Alimentazione
Il saké è patrimonio culturale immateriale UNESCO

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
L’organismo ONU ha dato ieri la sua approvazione riconoscendo il valore della tradizionale bevanda alcolica. Essa è frutto di un’antica tecnica di fermentazione del riso e altri ingredienti con l’utilizzo di muffe «koji». Per i produttori è occasione per promuoverne il valore in patria e all’estero. Per il 2026 il governo punta a far inserire la calligrafia «shodo».
Le conoscenze e le abilità tradizionali giapponesi utilizzate nella produzione di sake e di distillati «shochu» diventano un Patrimonio culturale immateriale UNESCO.
L’approvazione è giunta ieri da parte del comitato dell’organismo delle Nazioni Unite, che riconosce il valore alla base della realizzazione della tradizionale bevanda alcolica del Sol Levante frutto di un’antica tecnica di fermentazione del riso e altri ingredienti con l’utilizzo di muffe «koji». Si tratta di un metodo di produzione unico nel suo genere, in cui più fermentazioni avvengono contemporaneamente in un unico recipiente.
L’approvazione, spiega Kyodo news, segna il 23° ingresso del Giappone nella lista, dopo che un gruppo consultivo dell’Organizzazione ONU per l’Educazione, la Scienza e la Cultura ne aveva raccomandato l’inserimento a novembre. I sostenitori hanno voluto sottolineare in questo modo l’importanza e il valore nella cultura e nella tradizione della società giapponese.
Gli esperti UNESCO affermano che la produzione di sake è essenziale per gli eventi tradizionali nel Paese dell’estremo oriente, a partire dai rituali e nei matrimoni, contribuendo inoltre all’unità delle comunità locali. Con l’inserimento nell’elenco, i produttori della bevanda mirano a espandere le esportazioni, a rivitalizzare le economie locali e a tramandare le competenze tradizionali alle nuove generazioni in un contesto di contrazione dei consumi interni.
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Anche il primo ministro Shigeru Ishiba ha accolto con favore la decisione dell’organismo Onu, affermando in una nota che la produzione di sake è una «tecnica che possiamo vantare nel mondo». Il capo del governo ha quindi aggiunto che «la tramanderemo alla prossima generazione e sfrutteremo questa opportunità per promuovere la rivitalizzazione in tutta la regione e per espanderne la presenza all’estero».
L’inserimento nell’elenco era atteso con impazienza dall’industria del settore, con una ventina di rappresentanti dell’Associazione produttori di sake e shochu che si sono riunite per assistere all’annuncio a Kumamoto, nel Giappone sud-occidentale. E mentre la folla applaudiva ed esultava alla notizia Masaharu Honda, il settantenne direttore dell’associazione, ha promosso un brindisi per festeggiare, brindando con il sake prodotto nella zona. «Questa – ha detto Honda – è una tazza di pura gioia».
Marika Tazawa, presidente di un’agenzia viaggi che offre un tour in un birrificio nella prefettura di Nagano, nel Giappone centrale, per sperimentare la produzione di sake con pernottamento, ha aggiunto che il riconoscimento rappresenta «un forte incoraggiamento per il settore. Spero – sottolinea – che porti a un maggiore riconoscimento e a un miglioramento dello status».
Tra gli alcolici a produzione tradizionale locale vi sono il sake, lo shochu, l’awamori e il vino di riso dolce da cucina mirin. L’awamori, prodotto nella Prefettura di Okinawa, è considerato l’acquavite più antica del Sol Levante e risale a circa 600 anni fa, con un metodo di produzione tradizionale ereditato dal Regno delle Ryukyu, annesso al Giappone nel 1879.
L’approvazione formale alla sessione del comitato inter-governativo UNESCO ad Asuncion, in Paraguay, è arrivata dopo che Tokyo ha avanzato la candidatura della produzione di sake nel 2022, perché venisse inserito nella lista. Tra i patrimoni immateriali giapponesi già presenti, e ai quali si va ad aggiungere il sake, figurano le arti dello spettacolo Noh e Kabuki e la cucina tradizionale «washoku».
Il governo nipponico sta infine cercando di far inserire la calligrafia «shodo» fra i Patrimoni culturali immateriali nel 2026, quando l’organismo ONU ha in calendario il prossimo esame biennale delle candidature.
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Immagine di Culture Japon via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Alimentazione
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Alimentazione
Un terzo dei Paesi è afflitto da prezzi alimentari «anormalmente alti»: rischio di disordini sociali

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) lancia l’allarme: i prezzi dei prodotti alimentari restano eccezionalmente elevati in tutto il mondo, e in molti Paesi sono aumentati fino a cinque volte rispetto ai livelli medi del decennio scorso. Un’escalation che, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, rischia di alimentare nuovi disordini sociali, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo o politicamente instabili.
«Le condizioni attuali ricordano i periodi che hanno preceduto la Primavera Araba e la crisi alimentare del 2007-2008», si legge nel rapporto diffuso in questi giorni. E il messaggio è chiaro: le turbolenze globali, legate alla sicurezza alimentare, «sono tutt’altro che finite».
Un’analisi di BloombergNEF, basata sui dati FAO, evidenzia come il quadro sia il risultato di una combinazione di fattori: eventi meteorologici estremi, tensioni geopolitiche e politiche monetarie espansive. L’aumento dei prezzi di gasolio e benzina – spinti anche dai conflitti in corso e dalle restrizioni commerciali – ha fatto lievitare i costi di produzione e di trasporto dei beni agricoli.
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A questo si aggiunge il fattore monetario: l’eccessiva stampa di denaro da parte di molte economie avanzate ed emergenti durante e dopo la pandemia ha rappresentato, secondo gli analisti, il principale motore dell’inflazione globale.
Secondo la FAO, nel 2023 il 50% dei Paesi del Nord America e dell’Europa ha registrato prezzi alimentari «anormalmente elevati» rispetto alla media del periodo 2015-2019. L’organizzazione definisce «anormale» un livello di prezzo superiore di almeno una deviazione standard rispetto alla media storica per ciascuna merce e regione, spiega Bloomberg.
La tendenza, tuttavia, non riguarda solo l’Occidente: anche in Asia, Africa e America Latina l’impennata dei prezzi sta riducendo l’accesso ai beni di prima necessità, colpendo le fasce più vulnerabili della popolazione.
La FAO richiama nel suo rapporto due momenti emblematici della storia recente che mostrano il legame diretto tra caro-viveri e instabilità politica.
Un esempio è la cosiddetta «Primavera araba» (2010-2011): il forte aumento dei prezzi del grano e del pane, dovuto alla siccità e ai divieti di esportazione imposti dalla Russia, contribuì a scatenare proteste in Tunisia, Egitto, Libia e Siria. L’inflazione alimentare fu un fattore chiave, che si sommò al malcontento politico e sociale.
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Un ulteriore caso è quello della crisi alimentare del 2007-2008: in quel periodo, i picchi dei prezzi globali dei cereali provocarono rivolte in oltre 30 Paesi, tra cui Haiti, Bangladesh, Egitto e Mozambico, dove i beni di prima necessità divennero inaccessibili per ampie fasce della popolazione.
Gli analisti concordano sul fatto che quando «l’inflazione alimentare supera la crescita del reddito», si innesca una spirale pericolosa che può condurre a crisi sociali e politiche.
Con l’aumento dei costi dei beni di base e la perdita di potere d’acquisto, cresce la pressione sui governi, già provati da crisi energetiche, conflitti regionali e tensioni valutarie.
In breve, il mondo potrebbe trovarsi di fronte a «una nuova stagione di rivolte per il pane».
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Alimentazione
Carestia dichiarata a Gaza da un gruppo per la sicurezza alimentare legato alle Nazioni Unite

Famine declared by IPC in #Gaza Governorate is a direct result of actions by #Israel‘s Government that has unlawfully restricted entry & distribution of humanitarian aid.
It is a war crime to use starvation as a method of warfare, and the resulting deaths may also amount to a… pic.twitter.com/knqnRpe2yH — UN Human Rights (@UNHumanRights) August 22, 2025
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