Geopolitica
Il portavoce di Duterte avverte Marcos jr.: non capitolare alle politiche anticinesi degli USA
Le tensioni tra USA e Cina infiammano anche le Filippine, Paese di rilevanza nel quadrante del Pacifico.
Harry Roque, che era stato portavoce del presidente filippino Rodrigo Duterte durante la sua presidenza, ha rilasciato un’intervista al quotidiano cinese Global Times dal titolo: «Essere un alleato degli Stati Uniti non è stato vantaggioso per le Filippine, né economicamente né militarmente».
Nell’intervista che l’attuale presidente Bong Bong Marcos, figlio del presidente Fernando Marcos, ha ricevuto «cattivi consigli» riguardo alla Cina e agli Stati Uniti, accusando soprattutto l’ambasciatore filippino negli Stati Uniti Jose Manuel Romualdez, fratello di Imelda Marcos, madre di Bong Bong Marcos e influente moglie del padre di Bong Bong, il presidente Ferdinand Marcos.
«Sono molto preoccupato perché non penso che ora stiamo beneficiando del fatto che siamo vicini alla Cina. Recentemente, i tre progetti ferroviari che sono segmenti del progetto ferroviario di Mindanao sull’isola da cui proviene l’ex presidente [Duterte] non saranno più finanziati da compagnie cinesi, poiché le Filippine hanno abbandonato l’accordo di finanziamento con la Cina» ha dichiarato il Rowue. «E sembrerebbe che, a causa del cambiamento nei rapporti con la Cina, non riceveremo tanti investimenti quanto paesi come il Vietnam e la Malesia ricevono dalla Cina».
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Riguardo alla situazione militare, Roque ha detto che «quando il presidente Marcos ha accettato di ospitare le truppe statunitensi nelle nostre basi molto vicine a Taiwan, si è verificato un cambiamento fondamentale nella politica estera rispetto alla politica dell’ex presidente Duterte, che sosteneva che in a politica estera indipendente siamo amici di tutti e nemici di nessuno».
«Penso che la decisione del Presidente di consentire agli Stati Uniti l’uso delle basi militari filippine sia molto pericolosa perché potrebbe trascinare le Filippine in un conflitto armato in cui non abbiamo alcun interesse nazionale da difendere. Nel nostro inno nazionale ci è stato insegnato a cantare che moriremo per la madrepatria, non ci è stato fatto cantare che moriremo per Taiwan».
«Dovremmo essere coerenti, se la Cina è il nostro partner economico più importante e anche uno dei più grandi mercati di esportazione, dovrebbe essere anche il nostro più stretto alleato per quanto riguarda i nostri vincoli di sicurezza. Ci deve essere coerenza».
Le Filippine rivestono un ruolo fondamentale nel possibile teatro di guerra del Pacifico – cioè nella lotta per Taiwan, ossessione della Cina comunista e ingranaggio fondamentale per l’economia mondiale a causa della sua attualmente non sostituibile capacità di produrre microchip.
Come riportato da Renovatio 21, quattro settimane fa vi sono stati scontri in mare tra navi cinesi e filippine, con conseguenti proteste diplomatiche.
Come riportato da Renovatio 21, anno fa il presidente Ferdinand Marcos junior, detto «Bongbong», disse appena eletto che «la Cina è il nostro grande partner», riprendendo la linea di cortesia stabilita tra Mao Zedong e suo padre Ferdinando e sua madre Imelda. Tuttavia, riguardo alla questione del Mar Cinese, Bongbong si è allineato con la sentenza della Corte internazionale di arbitrato dell’Aia che nel 2016 ha definiva «senza basi legali» le rivendicazioni cinesi su quasi il 90% del Mar Cinese meridionale.
Sei mesi fa Marcos aveva di fatto optato per saldare l’alleanza con Washington irritando Pechino.
Da rilevare come pochi mesi prima, casualmente, avesse rialzato la testa il gruppo terroristico Maute, una sigla islamista affiliata all’ISIS responsabile di violenza nelle Filippine.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino
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Geopolitica
Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina
Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.
Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.
«Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.
Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».
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Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».
Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.
Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».
Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».
Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.
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Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Geopolitica
Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025
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