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Il patriarca ortodosso Cirillo: la Russia è Europa. I nemici approvano: la guerra contro Mosca dipende proprio da questo

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Gli Stati Uniti e i loro alleati si sono coalizzati contro la Russia perché ha seguito la sua strada e si rifiuta di rinunciare alle sue tradizioni cristiane, ha affermato il capo della Chiesa ortodossa russa, il patriarca Cirillo I.

 

Parlando dell’attuale scontro tra Mosca e l’Occidente sull’Ucraina durante un sermone di mercoledì, il patriarca ha suggerito che la Russia e il suo popolo sono entrati in «un periodo molto speciale» nella loro storia.

 

«Molti si sono rivoltati contro di noi, e continuo a chiedermi: perché lo hanno fatto? Siamo uguali a molti altri. In generale, rappresentiamo la stessa tradizione culturale europea. Siamo cristiani», ha detto.

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Secondo Cirillo, alla fine si è giunti alla conclusione che ciò è accaduto perché «la Russia ha osato – e ha osato perché è una grande potenza indipendente – seguire un percorso di civiltà diverso», rispetto a quello dell’Occidente.

 

«Oggi, anche nei paesi cristiani, stanno rifiutando Cristo, Dio e la Chiesa. Le chiese vengono trasformate in luoghi di intrattenimento o utilizzate per altri scopi, ma nel nostro paese la Chiesa sta costruendo migliaia di chiese», ha spiegato il patriarca.

 

Ora è il momento della «speciale misericordia di Dio» verso la Russia e il suo popolo, ha insistito il Patriarca. Questa comprensione «rafforza la speranza che il Signore sarà con noi finché non rifiuteremo la Sua guida», ha detto.

 

Il capo della Chiesa ortodossa russa, che mercoledì ha festeggiato il suo 78° compleanno, ha affermato che tutti i suoi sforzi sono volti a «garantire che il nostro popolo ortodosso non cambi mai la direzione della propria vita spirituale».

 

La questione della natura europea della Russia è, a giudizio di Renovatio 21, una delle principali radici della guerra in corso. La Russia, che usa una lingua indoeuropea, che è innestata nella storia europea delle nazioni cristiane, ha come avversarie forze guidate dal pensiero per cui de-europizzando Mosca, si ottiene un suo isolamento neutralizzante che porta alla sua perdita di potere e forse alla decadenza.

 

Zbigniew Brzezinski che – non diversamente da tanti ebrei neocon – potrebbe aver odiato la Russia per questioni famigliari: la sua aristocratica dinastia aveva regnato per un tempo sul voivodato di Tarnopoli, una zona polacca poi passata all’URSS e ora facente parte dell’Ucraina occidentale con il nome di Ternopil’.

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Consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Jimmy Carter, dal 1977 al 1981, nei primi anni Settanta aveva scritto libri visionari nei quali, oltre ad anticipare il potere di controllo delle masse con internet e la pornografia (tittytainment, intrattenimento a base di mammelle, lo definiva), parlava anche dell’uso del terrorismo islamico all’interno dell’equilibrio globale. Si dice che il suo pensiero sia quello che ha guidato il supporto americano ai mujaheddin islamisti nella guerra afghano-sovietica. In molti sostengono che ora in Ucraina si stia riproducendo il medesimo modello.

 

Nel contenimento dell’URSS – cioè, in ultima analisi, della Russia: abbiamo una volta per tutte capito che il comunismo non c’entrava nulla – il Brzezinski teorizzava la separazione di Ucraina e Russia come mezzo per disintegrare la cifra europea del carattere russo, di fatto limitandolo così all’Asia e facendolo infine collassare.

 

Nel 1998 il Brzezinski scrisse un articolo in cui rivelava l’idea per cui «senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero eurasiatico». Nel 1997 aveva invece scritto in favore di una «Russia vagamente confederata – composta da una Russia europea, una Repubblica siberiana e una Repubblica dell’Estremo Oriente» poiché «una Russia decentralizzata sarebbe meno suscettibile alla mobilitazione imperiale».

 

In seguito Brzezinski si espresse a favore del bombardamento della Serbia da parte della NATO nel 1999 durante la guerra del Kosovo. A questo punto vediamo con chiarezza cosa fu anche quel tragico conflitto di un quarto di secolo fa, che epperò tanti di noi ricordano ancora oggi: la guerra contro la Yugoslavia era altro che un’ulteriore operazione di de-europizzazione della Russia, colpita nel suo spirito slavo, ed europeo, che si riflette nitidamente nei «parenti serbi».

 

Nel frattempo, gli intellettuali russi non cessano di interrogarsi sul tema. «L’élite occidentale è fallita. Sono i russi ora i veri europei»: aveva detto a gennaio il politologo di Mosca Karaganov, quello che – dopo anni passati alla Commissione Trilaterale, tempio del pensiero di Brzezinski creato dai Rockefeller – ora parla di ipotetici attacchi atomici a città europee.

 

«L’Occidente sta chiudendo la cortina di ferro, innanzitutto perché i veri europei siamo noi in Russia. Rimaniamo sani. E vogliono escludere queste forze sane. In secondo luogo, l’Occidente sta chiudendo questo sipario, ancora più strettamente che durante la Guerra Fredda, per mobilitare la propria popolazione per le ostilità. Ma non abbiamo bisogno di uno scontro militare con l’Occidente, quindi faremo affidamento su una politica di contenimento per prevenire il peggio» ha scritto Karaganov.

 

«Naturalmente non cancelleremo nulla, compresa la nostra storia europea. Sì, abbiamo completato il nostro viaggio europeo. Penso che si sia trascinato un po’, forse per un secolo. Ma senza il vaccino europeo, senza la cultura europea, non saremmo diventati una potenza così grande. Non avremmo avuto Dostoevskij, Tolstoj, Pushkin o Blok».

 

«Manterremo quindi la cultura europea, che l’Occidente del nostro continente sembra voler abbandonare. Ma spero che non si distrugga completamente, a questo proposito. Perché l’Europa occidentale non sta abbandonando solo la cultura russa, ma sta abbandonando anche la propria cultura. Sta cancellando una cultura che è in gran parte basata sull’amore e sui valori cristiani. Sta cancellando la sua storia, distruggendo i suoi monumenti. Tuttavia, non rifiuteremo le nostre radici europee».

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Sulla questione si è espresso che il filosofo Aleksandr Dugin, figura oramai notissima a livello internazionale (al punto da essere censurato in Italia e in USA), che ricordiamo essere anche, italofono impressionante, il traduttore russo dell’opera di Giulio Evola.

 

«Cosa significa per la Russia rompere con l’Occidente? È la salvezza. L’Occidente moderno, dove trionfano i Rothschild, Soros, Schwab, Bill Gates e Zuckerberg, è la cosa più disgustosa della storia del mondo. Non è più l’Occidente della cultura mediterranea greco-romana, né il Medioevo cristiano, e nemmeno il ventesimo secolo violento e contraddittorio. È un cimitero di rifiuti tossici della civiltà, è anti-civilizzazione» aveva scritto Dugin a pochi giorni dallo scoppio del conflitto Mosca-Kiev, considerato non come «una guerra con l’Ucraina. È un confronto con il globalismo come fenomeno planetario integrale. È un confronto a tutti i livelli – geopolitico e ideologico».

 

«E quanto prima e più completamente la Russia se ne stacca, tanto prima ritorna alle sue radici. A cosa? Alle radici cristiane, greco-romane, mediterranee, europee… Cioè, alle radici comuni al vero Occidente».

 

Al di là del pensiero delle menti russe, oggi più che mai ferite dal tradimento finale dell’Occidente impadronitosi politicamente di Kiev, dobbiamo fare anche noi qualche valutazione, essendoci in gioco non un dibattito accademico, ma il destino della civiltà umana.

 

La Russia è Europa? Per noi sì, e non può che essere così. È l’Europa che non è più se stessa – è l’Europa che è divenuta una provincia dell’impero della morte, un luogo di follia e rovina per sé, per noi, e per il mondo.

 

Far tornare la Russia in Europa significa mettere fine al conflitto presente. Far tornare l’Europa in se stessa significa evitare tragedie ancora più grandi, le guerre della Necrocultura il cui unico fine è la distruzione della civiltà, la riduzione di miliardi di persone nella sofferenza e nella schiavitù, lo sterminio dell’umanità nel suo insieme.

 

L’Europa, per il bene di ogni essere umano, deve tornare in sé. La missione di ciascuno di noi è aiutare questo processo, che è necessario – per noi, per la nostra discendenza – come nient’altro.

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine di Saint-Petersburg Theological Academy via Flickr pubblicata su licenza CC BY-ND 2.0

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In Messico la Chiesa celebra 500 anni di evangelizzazione

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Per celebrare il 500° anniversario della sua fondazione, la diocesi di Tlaxcala ha organizzato 500 Ore Sante dal 12 settembre al 3 ottobre 2025 nelle sue diverse parrocchie. Si tratta di un’occasione per rivisitare l’evangelizzazione di questo Paese centroamericano avvenuta mezzo millennio fa, un fatto trascurato dalla maggior parte dei media europei, salvo considerarlo un presunto misfatto della colonizzazione spagnola.   Dal 12 settembre al 3 ottobre 2025, le 93 parrocchie dei sette decanati che compongono la diocesi di Tlaxcala si sono alternate nel rendere grazie a Dio per l’arrivo dei missionari nella loro terra 500 anni fa e nel prepararsi spiritualmente alla celebrazione giubilare che culminerà con una messa solenne il 12 ottobre 2025.   La storia della diocesi di Tlaxcala è strettamente legata all’evangelizzazione del Messico. Fondata nel 1525, rappresenta uno dei primi bastioni del cattolicesimo nel Nuovo Mondo. Sebbene la sua sede sia stata successivamente trasferita a Puebla, Tlaxcala conserva una grande importanza storica, rafforzata dalla sua restaurazione ufficiale nel 1959, per decisione di Papa Giovanni XXIII.   Questa celebrazione mette in luce non solo il vigore della fede cattolica in questo Paese centroamericano, ma anche il suo ruolo nel plasmare l’identità culturale messicana. Circa l’83% della popolazione messicana si identifica ancora come cattolica, sebbene questa percentuale sia in leggero calo, soprattutto a causa dell’ascesa dei cosiddetti protestanti «evangelici», che hanno sapientemente colmato il vuoto creatosi nel catechismo, nella morale e nella liturgia a partire dal periodo post-conciliare.

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Queste 500 ore sante rappresentano anche un approccio che si inserisce nel contesto del rinnovamento eucaristico ispirato da iniziative come il National Eucharistic Revival nei vicini Stati Uniti, con l’obiettivo di rafforzare la devozione eucaristica di fronte al declino della fede nella presenza reale di Cristo.   L’evangelizzazione del Messico, iniziata con l’arrivo dei missionari spagnoli all’inizio del XVI secolo e che ha permesso l’ascesa di una regione minata da un paganesimo sanguinario, è oggi messa in discussione dall’ideologia decolonizzante, che denuncia un intervento brutale, segnato dalla distruzione delle culture indigene e dall’imposizione di nuove strutture sociali e religiose: una visione che ignora il carattere sanguinario del culto azteco.   Nel 2025, la celebrazione dei 500 anni di evangelizzazione si svolge in un contesto politico teso. I rapporti tra la Chiesa cattolica e il governo messicano sono stati segnati da attriti per molti anni, in particolare sotto l’amministrazione di Andrés Manuel López Obrador, noto come «AMLO» (2018-2024), che ha scelto pastori evangelici come suoi interlocutori, mantenendo una distanza dalla gerarchia cattolica.   Le prospettive non sono migliorate con l’arrivo della presidente Claudia Sheinbaum nel 2024: beneficiando di una schiacciante maggioranza al Congresso, la nuova donna forte del Paese può portare avanti le sue riforme progressiste senza timore di alcuna opposizione.   Inoltre, con l’avvicinarsi del 500° anniversario dell’evangelizzazione del Messico, Claudia Sheinbaum ha ripetutamente chiesto alla Chiesa e alla Spagna di scusarsi per le presunte «atrocità» della conquista spagnola, ricordando che Cortés fece giustiziare Cuauhtémoc, l’ultimo imperatore azteco, nel 1525. Una considerazione anacronistica per un pagano sanguinario.   Nonostante ciò, la Chiesa cattolica messicana continua a svolgere un ruolo attivo nella società: nel 2025, mentre il Messico è scosso da un’ondata di violenza, che include l’assassinio di alti funzionari, la Chiesa raddoppia i suoi sforzi per promuovere la pace, l’unità e la giustizia sociale. Resta da sperare che le 500 ore di adorazione eucaristica ispirino un rinnovamento morale in tutti – persone e pastori – nella terra di Nostra Signora di Guadalupe.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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Immagine di Juan Carlos Fonseca Mata via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International  
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Il cardinale Sarah afferma che papa Leone è «consapevole della battaglia» sulle restrizioni alla messa in latino

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Il cardinale Robert Sarah ha condiviso in un’intervista pubblicata lunedì di aver parlato con papa Leone XIV delle preoccupazioni di coloro che hanno partecipato alla messa tradizionale in latino e che il pontefice è consapevole delle loro difficoltà.

 

«Continuiamo a litigare per la liturgia, continuiamo a fare bullismo contro certe persone», ha dichiarato Sarah alla pubblicazione francese Tribune Chrétienne in un’intervista esclusiva, suggerendo che i cristiani che partecipano e sostengono la Messa in latino non possono essere giustamente privati ​​della Messa in latino, anche perché questi cattolici praticano la loro fede in modo pieno e autentico.

 

«In realtà, quando guardiamo davvero ai cristiani praticanti oggi, sono loro ad andare alla Messa tradizionale. Allora perché proibirglielo? Al contrario, dovremmo incoraggiarli», ha detto il presule. «Non so cosa farà il papa, ma è consapevole di questa battaglia. È consapevole di questa difficoltà».

 

Il cardinale ha affermato di aver avuto «l’opportunità» di discutere la questione quando ha incontrato papa Leone, ma non ha rivelato alcun dettaglio specifico sulla loro conversazione, incluso se Leone abbia indicato una linea d’azione riguardo alla messa in rito antico.

 

Tuttavia, ha espresso la speranza che Leo tenga conto delle esigenze dei cattolici che frequentano la Messa tridentina. Quando il suo intervistatore gli ha fatto notare che il cardinale Raymond Burke ha ottenuto una Messa tradizionale nella Basilica di San Pietro, Sarah ha risposto:

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«Ciò avverrà, ma a tutti deve essere dato spazio. Il papa è il padre di tutti, di ognuno di noi. È il padre dei tradizionalisti. È il padre dei progressisti, il padre di tutti. Non può ignorare i suoi figli. Ognuno ha il suo carattere, la sua sensibilità. Tutti devono essere tenuti in considerazione. Credo che cercherà di agire in questo modo».

 

In precedenza nella sua intervista, Sarah aveva sottolineato che la Messa è diventata un «campo di battaglia tra tradizionalisti e progressisti» e si era chiesto il perché, incoraggiando i fedeli a riflettere sulla provenienza dell’autorità di proibire una Messa.

 

«Penso che dobbiamo riflettere su questo. È l’unico momento in cui l’uomo è in rapporto faccia a faccia con Dio», ha detto riferendosi alla Messa. «È l’unico momento in cui l’uomo è in contatto diretto con Dio, quando Dio lo ascolta, quando l’uomo parla con Dio».

 

«Perché dobbiamo combattere? Perché proibire questo? Perché proibire quello? Chi ci dà questo diritto? Chi ci dà questo potere? Qualcuno che ha un rapporto personale con Dio? Non abbiamo mai visto una cosa del genere nella storia della Chiesa», ha continuato il cardinale, riferendosi al divieto senza precedenti di una venerabile liturgia sviluppatasi organicamente nel corso di molti secoli.

 

«Quindi penso che se il papa cerca di capirlo non sia facile, perché la questione è una questione di fede. Come crediamo, come preghiamo», ha detto Sarah, invertendo il detto latino «Lex orandi, lex credendi».

 

Quando Leone ha finalmente affrontato pubblicamente la questione il mese scorso, ha evitato di dare una risposta chiara sulla sua posizione in merito alla legittimità delle restrizioni al TLM, affermando che l’argomento è «molto complicato».

 

Il papa ha inoltre definito la messa in latino un «argomento scottante» e ha rivelato di aver già ricevuto «numerose richieste e lettere» sull’argomento.

 

La messa tradizionale della Chiesa è stata sottoposta a pesanti restrizioni nel luglio 2021 a causa della Traditionis Custodes di papa Francesco e delle successive misure imposte dal cardinale Arthur Roche nel suo ruolo di prefetto della Congregazione per il Culto Divino.

 

Mentre il Vaticano, sotto Leone XIII, ha concesso a una parrocchia del Texas una proroga di due anni per celebrare la messa latina tradizionale, il papa non ha finora dato alcuna indicazione, nemmeno in questa decisione, che dichiarerà abrogata la Traditionis Custodes o ne modificherà i diktat.

 

La Traditionis Custodes è stata fermamente condannata dal clero e dagli studiosi come un ripudio della pratica perenne della Chiesa cattolica e perfino del solenne insegnamento della Chiesa.

 

Il cardinale Burke ha affermato che la liturgia tradizionale non può essere proscritta, nemmeno dal Papa stesso. «Si tratta di una realtà oggettiva della grazia divina che non può essere modificata da un mero atto di volontà, nemmeno dalla più alta autorità ecclesiastica», ha scritto il cardinale statunitense nel 2021.

 

La bolla Quo Primum di San Pio V del 1570 autorizzò in modo permanente la Messa tradizionale, dichiarando che poteva essere usata «liberamente e lecitamente» «in perpetuo» e che persino l’ira di Dio si sarebbe abbattuta su coloro che avessero osato limitare o abolire la Messa di sempre.

 

«(…) Decretiamo e dichiariamo che le presenti Lettere in nessun tempo potranno venir revocate o diminuite, ma sempre stabili e valide dovranno perseverare nel loro vigore. E ciò, non ostanti: precedenti costituzioni e decreti Apostolici; costituzioni e decreti, tanto generali che particolari, pubblicati in Concilii sia Provinciali che Sinodali; qualunque statuto e consuetudine in contrario (…)» scrive Quo Primum.

 

«Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l’audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo».

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Immagine di Lawrence OP via Flickr pubblicata su licenza Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

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Messi in vendita gli effetti personali di Pio XII

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Il 28 giugno 2025, presso la Galleria Moenius di Berna, saranno messi all’asta oggetti appartenuti a Papa Pio XII, il Venerabile Eugenio Pacelli (1890-1958). La vendita, ha annunciato la galleria svizzera, comprendeva autografi, libri, oggetti devozionali, abiti, scarpe e oggetti personali.   La maggior parte di questi oggetti fu tramandata da Suor Pascalina Lehnert (1894-1983). Suora tedesca delle Suore della Santa Croce, fu governante e assistente di Papa Pio XII, che servì anche quando questi fu Nunzio Apostolico in Baviera dalla fine del 1918.   Tra questi oggetti c’erano delle scarpe da cerimonia, probabilmente indossate raramente perché in ottime condizioni. Decorate con una raffinata bordatura in argento e oro lungo i bordi, le scarpe presentavano lo stemma dei Pacelli con la colomba bianca e il ramoscello d’ulivo ricamato sul collo del piede. Attorno allo stemma sono presenti la croce di San Giovanni e il cappello rosso cardinalizio con le sue tradizionali nappe.

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Se Pio XII fosse stato canonizzato, gli oggetti venduti a Berna sarebbero stati classificati come reliquie di seconda classe e quindi proibiti alla vendita. La Chiesa cattolica riconosce tre classi di reliquie. Le reliquie di prima classe sono i resti mortali terreni dei santi; sono sacre. Questi resti possono essere qualsiasi parte del corpo, comprese ossa, carne e persino capelli.   Una reliquia di seconda classe è un oggetto appartenuto o utilizzato da un santo durante la sua vita. Può includere abiti, gioielli, Bibbie o libri di preghiere e altri oggetti di uso quotidiano.   Una reliquia di terza classe è qualsiasi oggetto, nuovo o vecchio, che sia entrato in contatto con i resti di un santo o ne abbia toccato la tomba o il reliquiario. Queste sono anche chiamate reliquie di contatto.   Nella Chiesa cattolica, il commercio di reliquie di prima e seconda classe è proibito. Tuttavia, con l’autorizzazione della Sede Apostolica, possono essere trasferite, scambiate o donate. Le reliquie di terza classe possono essere vendute, ma il loro valore è molto limitato.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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