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«Il passeggero» di Cormac McCarthy: «La bellezza fa promesse che non può mantenere»

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La bruciante impressione che questo romanzo sia stato scritto proprio per noi non ci lascerà fino alla fine.

 

Se è vero che «la bellezza fa promesse che non può mantenere», solo pochi sanno cosa si provi quando ci si innamora di una ragazza troppo intelligente per noi: una sarcastica irriverente dal vestitino porpora o una brava stronzetta che ti cita Tommaso in latino. Forse è per questo che, a parte una scellerata scelta editoriale di non pubblicarne subito anche la seconda parte, l’ultimo romanzo di Cormac McCarthy, Il passeggero, ha ricevuto recensioni contrastanti.

 

Certo, noi uomini di mezza età siamo avvantaggiati dalla consapevolezza che una dracma fa sempre cento leptoni e va bene così, però anche per noi è duro entrare nell’abisso del nichilismo sapendo di dover lasciare per strada qualcosa di infinitamente bello, come la giovinezza, le ragazze e le Papastratos.

 

È stato scritto di tutto su questa opera, dal capolavoro al trionfo del nichilismo, passando per un delirio incomprensibile di un pinguino con le verruche. La verità è che «i cani dell’inferno possono passare all’interno del vuoto di un cerchio»: in questo libro si trovano più pagine di letteratura che senso nella trama.

 

Tuttavia, un paio di cose sono assolutamente rilevanti: McCarthy rivoluziona il concetto di «frase minima». Ti conduce nel delirio del pantano nichilista su una canoa rosa, ma ti fornisce una pagaia inossidabile, perché «per il viaggiatore esperto la meta è al massimo un sentito dire», ma il viaggio s’ha da fare. Anche quando la città sembra più vecchia di Ninive o quando si cerca di orientarsi tenendo presente la piantina di Roma antica e non ci si raccapezza più nemmeno sul Palatino, perché a un tratto appare il teatro Marcello o ti esplode di scorcio la maestà del Colosseo e allora capisci «la bontà divina appare in posti strani».

 

Magari si sarebbe potuto evitare il dilungarsi tecnico su Oppenheimer o sul presidente Kennedy, per quanto in entrambi i casi sono certo abbia azzeccato, anzi, per quanto riguarda la balistica dell’omicidio JFK sono sicuro che dica la verità, ma cui prodest? E soprattutto: «com’è che le pecore non si ritirano sotto la pioggia?». Tutte le grandi domande della vita fanno sembrare stupidi se dette ad alta voce: «se la neve fosse nera, i ghiacciai esisterebbero lo stesso?» oppure «esiste una via dal tangibile al numerico che non sia ancora stata esplorata?».

 

Una buona metà della storia è costruita su deliri di un’amabile schizofrenia, per cui «ogni linea è una linea spezzata» e massime senza tempo, o che lo diventeranno. Come «non diventerai mai ricco vendendo il tuo tempo. Nemmeno facendo saldature subacquee» o «non tutto ciò che puzza è un ricordo» e «la paura non ti segue, ti aspetta al varco».

 

Questo libro è diverso dall’epopea della frontiera, è in qualche modo la summa di una vita, un’esperienza emotiva diversa dal solito.

 

Questo libro sembra scritto per noi che odiamo i ristoranti in cui «camerieri in livrea servono piatti di alta cucina a cafoni pieni di boria che hanno pensato di uscire a cena in tenuta da palestra se non addirittura in lingerie». Non abbiamo nulla contro l’alta cucina, né contro i cafoni, né tanto meno contro la lingerie: ma le tute proprio no.

 

Peggio della tuta quando non si pratica sport c’è solo il mix di alta cucina e cafoni in canottiera. «Ho visto famiglie intere che sarebbe facile spiegare come allucinazioni, orde di idioti sbavanti che brancolano per le strade». Perdonateci ragazzi se noi reietti dall’infanzia di mondi di carta, fionde e boschi, non abbiamo impedito che riducessero la civiltà a un mero guazzabuglio tecnologico postmoderno in grado di annichilire perfino il senso comune.

 

Questo libro rientra nel novero di quelli che appartengono alla profonda verità di ogni scrittore: si scrive per non dover incenerire il mondo. Perciò, parafrasando Shakespeare, «ci sono più aerei in fondo al mare che sommergibili in cielo».

 

Dovremo attendere la seconda parte di questa dilogia, Stella Maris, per avere chiaro il quadro d’insieme.

 

Nel frattempo, possiamo soffermarci una sera a riflettere sul fatto che «quel che l’uomo cerca è la bellezza, pura e semplice. Non c’è altro modo di dirlo. Il fruscìo degli abiti, il profumo. I capelli di lei che gli sfiorano la pancia nuda. Categorie quasi insignificanti per una donna». La domanda è se resistono punti fermi come la bellezza nell’ermeneutica del ventunesimo secolo.

 

In pochi anni la lingua stessa è stata stravolta: si è passati da «fattoni» a «consumatori», da «sesso» a «genere», da «peccato» a «discernimento», alcuni concetti dell’ermeneutica della quotidianità come quello di «onore» o «sgualdrina», poi, sono ormai del tutto privi di significato. Si è voluto trasformare un mondo di uomini malvagi in una favola invertita di personaggi da aiutare, col risultato che «senza malfattori il mondo dei giusti è completamente spogliato di senso».

 

Nel mondo dell’esattezza scientifica, dell’inoppugnabilità del controllo tecnico «ogni cosa sembra dipendere dalla velocità della luce, ma nessuno vuol parlare della velocità delle tenebre».

 

Per questo motivo, Il passeggero è scritto per chi scrive, perché le persone brillanti devono portare un bel fardello, se sia una fatica di Sisifo o meno, non è ancora abbastanza chiaro.

 

È chiaro, però, a tutte le ragazze più intelligenti di cui abbiamo parlato all’inizio, se non lo è lo diciamo meglio ora, che, se per lo scettico tutti gli argomenti sono viziosi, per noi classicisti drammadipendenti è normale pensare di sedersi sulle macerie del mondo aspettandoci che, alla fine, suoni il telefono.

 

Fosse anche soltanto per questo, vale la pena di vivere! Per tutti gli altri idioti rimane la schadenfreude.

 

 

 

 

Articolo previamente apparso su Ricognizioni.

 

 

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Quattro Stati UE boicotteranno l’Eurovision 2026 a causa della partecipazione di Israele

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Spagna, Irlanda, Slovenia e Paesi Bassi hanno annunciato il boicottaggio del prossimo Eurovision Song Contest in seguito alla conferma della partecipazione di Israele. All’inizio del 2025 diverse emittenti avevano chiesto all’Unione Europea di Radiodiffusione (EBU), organizzatrice dell’evento, di escludere Israele accusandolo di brogli nel voto e per il conflitto in corso a Gaza.

 

L’ultima tregua, mediata dagli Stati Uniti, avrebbe dovuto porre fine ai combattimenti e permettere l’arrivo di aiuti umanitari nell’enclave, ma da quando è entrata in vigore gli attacchi israeliani hanno causato 366 morti, secondo il ministero della Salute di Gaza.

 

Il tutto si inserisce in un anno di escalation iniziato con l’offensiva israeliana lanciata in risposta all’attacco di Hamas dell’ottobre 2023, che provocò 1.200 morti e il rapimento di 250 ostaggi. Da allora, secondo le autorità sanitarie locali, l’operazione militare israeliana ha ucciso oltre 70.000 palestinesi.

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Le decisioni di ritiro sono arrivate giovedì, subito dopo l’approvazione da parte dell’EBU di nuove regole di voto più rigide, varate in risposta alle accuse di diverse emittenti europee secondo cui l’edizione 2025 era stata manipolata a favore del concorrente israeliano.

 

Poche ore più tardi l’emittente olandese AVROTROS ha comunicato l’addio al concorso: «La violazione di valori universali come l’umanità, la libertà di stampa e l’interferenza politica registrata nella precedente edizione dell’Eurovision Song Contest ha oltrepassato un limite per noi».

 

L’emittente irlandese RTÉ ha giustificato la propria scelta con «la terribile perdita di vite umane a Gaza», la crisi umanitaria in corso e la repressione della libertà di stampa da parte di Israele, annunciando anche che non trasmetterà l’evento.

 

Anche la televisione pubblica slovena RTVSLO ha confermato il ritiro: «Non possiamo condividere il palco con il rappresentante di un Paese che ha causato il genocidio dei palestinesi a Gaza», ha dichiarato la direttrice Ksenija Horvat.

 

Successivamente è arrivata la decisione della spagnola RTVE, che insieme ad altre sette emittenti aveva chiesto un voto segreto sull’ammissione di Israele. Respinta la proposta dall’EBU, RTVE ha commentato: «Questa decisione accresce la nostra sfiducia nell’organizzazione del concorso e conferma la pressione politica che lo circonda».

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Per far fronte alle polemiche, gli organizzatori dell’Eurovision hanno introdotto nuove misure anti-interferenza: limiti al televoto del pubblico, regole più severe sulla promozione dei brani, rafforzamento della sicurezza e ripristino delle giurie nazionali già nelle semifinali.

 

Come riportato da Renovatio 21, due anni fa arrivò in finale all’Eurovisione una sedicente «strega» non binaria che dichiarò di aver come scopo il «far aderire tutti alla stregoneria».

 

Vi furono polemiche quattro anni fa quando la Romania accusò che l’organizzazione ha cambiato il voto per far vincere l’Ucraina.

 

Due anni fa un’altra vincitrice ucraina dell’Eurovision fu inserita nella lista dei ricercati di Mosca.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Russia ha lanciato un’«alternativa morale» all’Eurovision, che secondo il ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov sarà «senza perversioni».

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Immagine di David Jones via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Bibita col DNA di Ozzy Osbourne disponibile con pagamento a rate

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Una nuova partnership kitsch tra John «Ozzy» Osbourne e Liquid Death, il marchio di acqua in lattina, ha lanciato sul mercato una serie limitata di lattine di tè freddo infuso con il DNA del «reverendo rock».   Ovviamente il prodotto è andato subito a ruba ed è esaurito. Le lattine sono state tutte tracannate e schiacciate da Osbourne in persona, lasciando «tracce di DNA della sua saliva che ora potete possedere», secondo il sito web di Liquid Death.   Ma diciamoci la verità, non si compra lo scarto salivare di una rockstar per dissetarsi: lo si compra per fare necro-collezionismo probabilmente. Le leggende attorno al personaggio sono molteplici: si diceva che Ozzy fosse un mutante genetico, capace di resistere a secchiate di droga, alla rabbia per aver morso un pipistrello vivo e a un incidente quasi mortale in quad.   «Ozzy Osbourne è 1 su 1», recita il testo pubblicitario del sito, «ma stiamo vendendo il suo vero DNA così potrete riciclarlo per sempre».

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Ogni lattina viene consegnata in un «barattolo per campioni sigillato in laboratorio», etichettato con il nome del donatore, il numero del campione (su dieci) e la data del prelievo. Ozzy ha persino firmato il contenitore, apparentemente dando un assegno in bianco per qualsiasi futura clonazione.   «Ora, quando la tecnologia e la legge federale lo consentiranno, potrete replicare Ozzy Osbourne e godervi la sua musica per centinaia di anni nel futuro», si legge sul sito web. I pezzi disponibili sono solo 10 e sono stati venduti a 450 dollari ciascuno, anche in comode rate.    Vista la rarità del prodotto, il «bagarinaggio online» non poteva mancare: su eBay ce ne sono state due in vendita, ciascuna a migliaia di dollari.   Sui social media, i fan erano entusiasti della partnership di Ozzy con il suo brand, anche se il prezzo ha fatto storcere il naso a qualcuno. «Accidenti, avrei dovuto salvare il tuo DNA quando mi hai sputato addosso nell’84 durante un concerto alla LB Arena», ha scritto un fan su X.   Ozzy Osbourne, che da giovane sul palco aveva pure mangiato un pipistrello, è perito quattro mesi fa. Il fatto che fosse stato iniettato col vaccino COVID, che ci dicono venire da un chirottero di Wuhano, lo rende in qualche modo un personaggio simbolico della pandemica, e non solo di quella: alcuni hanno ipotizzato che la morte, avvenuta dopo una «lunga battaglia» (in genere dicono per qualche ragione così) contro il morbo di Parkinson, potrebbe costituire un caso di eutanasia.  

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Carlos Varela via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Arruolamento forzato anche per l’autista ucraino di Angelina Jolie

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La visita a sorpresa della star di Hollywood ed ex ambasciatrice umanitaria ONU Angelina Jolie in Ucraina martedì scorso è stata interrotta dagli agenti della leva obbligatoria, che hanno arrestato un membro del suo entourage e lo hanno arruolato. Lo riporta la stampa locale.

 

L’episodio si è verificato a un posto di blocco militare vicino a Yuzhnoukrainsk, nella regione di Nikolaev, mentre il convoglio di Jolie era diretto verso una zona della regione di Kherson controllata da Kiev.

 

Nonostante avesse segnalato alle autorità di trasportare una «persona importante», un componente del gruppo – identificato in alcuni resoconti come autista, in altri come guardia del corpo – è stato fermato dagli ufficiali di reclutamento.

 

Un video circolato su Telegram mostra la Jolie (il cui vero nome è Angelina Jolie Voight, figlia problematica dell’attore supertrumpiano John Voight) recarsi di persona al centro di leva per tentare di ottenerne il rilascio.

 

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Secondo TASS, avrebbe persino cercato di contattare l’ufficio del presidente ucraino Volodymyro Zelens’kyj. Fonti militari ucraine avevano inizialmente riferito all’emittente locale TSN che la presenza della diva al centro non era legata all’arresto, sostenendo che aveva semplicemente «chiesto di usare il bagno». Le autorità hanno poi precisato che l’uomo, cittadino ucraino nato nel 1992 e ufficiale di riserva senza motivi di esenzione, era trattenuto per verifiche sulla mobilitazione.

 

Alla fine, l’attrice americana ha lasciato il membro dello staff e ha proseguito il viaggio. Gli addetti alla leva di Kiev sono stati aspramente criticati per i video virali che mostrano uomini trascinati nei furgoni, pratica nota come «busificazione».

 

L’indignazione pubblica è cresciuta, con numerose denunce di scontri violenti e persino decessi legati alla mobilitazione forzata. Il mese scorso, il giornalista britannico Jerome Starkey ha riferito che il suo interprete ucraino è stato «arruolato con la forza» a un posto di blocco di routine. «Il tuo amico è andato in guerra. Bang, bang!», avrebbe scherzato un soldato.

 

Anche le modalità di coscrizione ucraine hanno attirato l’attenzione internazionale: a settembre, il ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto ha condannato quella che ha definito «una caccia all’uomo aperta», accusando i governi occidentali di chiudere un occhio.

 

La Jolie aveva già visitato l’Ucraina nell’aprile 2022, poco dopo l’escalation del conflitto, in un periodo in cui numerose celebrità, come gli attori Ben Stiller e Sean Penn, si erano recate nel Paese. Il primo ministro ungherese Vittorio Orban ha sostenuto che le star di Hollywood venivano pagate tramite USAID – il canale USA per finanziare progetti politici all’estero, ormai chiuso – per promuovere narrazioni pro-Kiev.

 

In seguito l’autista, di nome Dmitry Pishikov, ha dato una sua versione dell’accaduto.

 

«A quel posto di blocco mi hanno fermato per qualche motivo, senza spiegazioni, e mi hanno chiesto di seguirli in auto per chiarire alcuni dettagli. Evidentemente con l’inganno», ha dichiarato Pishikov a TSN in un’intervista pubblicata venerdì.

 

È stato portato in un centro di leva locale, dove è stato trattenuto con falsi pretesti, ha aggiunto. «”Dieci minuti, c’è un piccolo dettaglio, ti lasceremo andare non appena avremo chiarito la situazione”, hanno detto. Hanno mentito», ha riferito all’emittente, aggiungendo di essere ancora «un po’ indignato» per le azioni dei funzionari della coscrizione.

 

L’uomo dichiarato a TSN che venerdì si trovava in un centro di addestramento militare e che «verrà addestrato e presterà servizio nell’esercito».

 

Igor Kastyukevich, senatore della regione russa di Kherson – la parte controllata dall’Ucraina visitata da Jolie – ha condannato il viaggio definendolo «un’altra trovata pubblicitaria che sfrutta la fame e la paura». Nessuna visita di star di Hollywood «che usa i soldi dei contribuenti americani ed europei» aiuterà la gente comune, ha dichiarato alla TASS.

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