Geopolitica
Il partito comunista filippino (fuorilegge) dichiara guerra alle aziende cinesi
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews.
I vertici del Cpp hanno dato mandato al braccio armato (NPA) di colpire compagnie e progetti legati a Pechino. Secondo le accuse, esse contribuiscono al saccheggio e alla distruzione delle risorse marine e naturali. Ma Duterte e il governo di Manila rilanciano l’alleanza con i cinesi, definita di “interesse” strategico per la nazione.
Il partito comunista filippino, dichiarato fuorilegge da Manila, ha dato mandato ieri al suo braccio armato di colpire compagnie e obiettivi cinesi coinvolti in progetti infrastrutturali. Nel mirino vi sono anche imprese statali legate al governo e al partito, che sono state inserite nella lista nera degli Stati Uniti perché artefici della «militarizzazione»” impressa da Pechino nel mar Cinese meridionale.
L’annuncio giunge a sei settimane di distanza dalla presa di posizione del governo di Manila – il nemico giurato della guerriglia comunista degli ultimi 50 anni – che ha ribadito di non voler seguire le indicazioni di Washington mantenendo, se non rafforzando, i legami con la Cina
L’annuncio giunge a sei settimane di distanza dalla presa di posizione del governo di Manila – il nemico giurato della guerriglia comunista degli ultimi 50 anni – che ha ribadito di non voler seguire le indicazioni di Washington mantenendo, se non rafforzando, i legami con la Cina.
Nel mirino vi sono aziende e compagnie impegnate nella ostruzione di isole artificiali e installazioni militari nelle acque contese del mar Cinese meridionale, al centro di una disputa annosa che coinvolge anche il Vietnam, la Malaysia, Taiwan e Brunei.
Almeno una delle 24 aziende oggetto di sanzioni statunitensi è coinvolta in progetti infrastrutturali nelle Filippine. Nella nota diffusa ieri, il Partito comunista filippino (CPP) non ha fatto un chiaro riferimento alle compagnie cinesi nel mirino, ma ha sottolineato che esse sono coinvolte nella costruzione di installazioni di Pechino e «nel saccheggio e nella distruzione delle risorse marine nel Mare filippino occidentale, in violazione della sovranità nazionale».
Nel mirino vi sono aziende e compagnie impegnate nella ostruzione di isole artificiali e installazioni militari nelle acque contese del mar Cinese meridionale, al centro di una disputa annosa che coinvolge anche il Vietnam, la Malaysia, Taiwan e Brunei.
«Alcune di queste compagnie – prosegue la dichiarazione – sono coinvolte in progetti infrastrutturali di vasta portata, per la realizzazione di vie di accesso alle miniere e dighe che invadono sempre più nel profondo le terre ancestrali delle minoranze e le foreste di varie parti del Paese». Questi progetti, aggiunge, «non causano solo lo sfollamento di migliaia di persone e agricoltori» dalle loro terre, ma «causano anche il caos nell’ecosistema naturali delle restanti foreste».
Marco Valbuena, portavoce del braccio armato del partito comunista [CPP’s New People’s Army, NPA], conferma che le compagnie cinesi e le guardie armate preposte alla loro sicurezza «sono obiettivi» da colpire. Il leader della guerriglia comunista filippina ha inoltre aggiunto che i vertici del movimento intendono «accendere i riflettori» della politica internazionale su quella che definiscono una «distruzione diffusa» perpetrata dalle compagnie cinesi all’ambiente e all’ecosistema nazionale.
Il leader della guerriglia comunista filippina ha inoltre aggiunto che i vertici del movimento intendono «accendere i riflettori» della politica internazionale su quella che definiscono una «distruzione diffusa» perpetrata dalle compagnie cinesi all’ambiente e all’ecosistema nazionale
Ai primi di settembre l’amministrazione del presidente filippino Rodrigo Duterte ha affermato con aria di sfida di non voler tagliare gli stretti legami con le compagnie cinesi, le quali hanno investito miliardi di dollari in mega-progetti. Al riguardo, il portavoce presidenziale Harry Roque ha ribadito che il governo intende continuare la collaborazione perché è «nell’interesse nazionale» completare iniziative di primo piano che possono contribuire allo sviluppo della nazione.
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Immagine da Bing Maps
Geopolitica
Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino
La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.
Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.
«Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.
Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.
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«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».
Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.
Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.
Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
Geopolitica
Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina
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Geopolitica
Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025
I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).
A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.
L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.
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Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.
«È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».
Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.
L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.
Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.
In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».
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La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».
Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».
Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.
Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.
Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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