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Economia

Il capo della Banca Centrale USA afferma che Trump non può licenziarlo

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Il presidente della Federal Reserve statunitense Jerome Powell ha dichiarato giovedì che non si dimetterà, anche se il presidente eletto Donald Trump, che in passato ha criticato il suo operato, dovesse cercare di estrometterlo una volta entrato in carica.

 

Powell ha parlato ai giornalisti dopo una riunione del Federal Open Market Committee, l’organismo che fissa i tassi, in cui i funzionari della banca di riserva hanno votato per ridurre il tasso di interesse di riferimento di un quarto di punto percentuale, portandolo a un intervallo compreso tra il 4,5% e il 4,75%.

 

Quando gli è stato chiesto se avrebbe lasciato il suo incarico presso la banca centrale se richiesto da Trump, il presidente della Fed ha semplicemente detto: «No». Successivamente ha affermato che il presidente non ha l’autorità di licenziare o declassare il presidente della Fed o uno qualsiasi degli altri governatori della Federal Reserve con posizioni di leadership prima della fine del loro mandato.

 

«Non è consentito dalla legge», ha detto Powell ai giornalisti.

 

Non è la prima volta che il capo del sistema di riserva statunitense esprime la sua determinazione a non lasciare l’incarico. Trump ha nominato Powell durante la sua prima presidenza nel 2017, ma ha ripetutamente e pubblicamente criticato la Fed e il suo presidente per non aver tagliato i tassi abbastanza rapidamente. Nel 2019, Powell ha affermato che non si sarebbe dimesso nemmeno se glielo avesse chiesto il presidente.

 

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha riconfermato Powell nel 2021, nonostante le critiche degli oppositori della decisione che sostenevano che aveva gravato gli americani medi mantenendo i tassi troppo alti per troppo tempo. Il mandato di Powell come presidente della Fed termina nel 2026.

 

A ottobre Trump ha dichiarato a Bloomberg che, a suo avviso, il presidente degli Stati Uniti dovrebbe avere maggiore influenza sulle decisioni della Fed sui tassi di interesse.

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«Non credo che dovrei essere autorizzato a ordinarlo, ma penso di avere il diritto di esprimere commenti sulla possibilità che i tassi di interesse salgano o scendano», ha affermato Trump.

 

Durante la campagna elettorale di quest’estate, il repubblicano aveva dichiarato che avrebbe lasciato che Powell portasse a termine il suo mandato, «soprattutto se avessi pensato che stesse facendo la cosa giusta», ma aveva aggiunto che non lo avrebbe riconfermato per un altro mandato.

 

Powell ha affermato che la vittoria elettorale di Trump non avrebbe avuto alcun impatto sulla politica dei tassi nel breve periodo, poiché la Fed si baserebbe invece sui dati economici per le sue decisioni.

 

«Nel breve termine, le elezioni non avranno effetti sulle nostre decisioni politiche», ha detto il presidente della Fed ai giornalisti.

 

Nel frattempo, l’ex segretario al Tesoro di Trump, Steve Mnuchin, ha dichiarato alla CNBC che il presidente eletto si concentrerà probabilmente sulla riduzione delle tasse e sull’imposizione di tariffe, in particolare sulla Cina.

 

La Fed è definibile come al contempo pubblica e privata, e si descrive come «indipendente all’interno del governo statunitense», con dichiarate finalità di natura privatistica. La Fed viene quindi considerata una banca centrale indipendente, visto che le sue azioni non ricevano ratificazione da nessuna parte dello Stato americano.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Fed aveva collaborato con i giganti finanziari globali per lanciare un programma pilota sul dollaro digitale.

 

Una lunga tradizione libertaria chiede di chiudere la Fed («End the Fed», è il coro che si udiva ai comizi del deputato libertaria texano Ron Paul) e ora essa pare travasata in grande parte nel popolo trumpista.

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Immagine di Brooking Institution via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0

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Economia

La Germania pagherà il personale delle base USA colpito dallo shutdown del governo federale. E in Italia?

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Il ministero delle Finanze tedesco ha annunciato che la Germania coprirà gli stipendi di migliaia di dipendenti delle basi militari statunitensi nel Paese, colpiti dallo shutdown del governo USA.   Nel contesto politico americano, il termine shutdown si riferisce alla chiusura parziale o totale delle attività del governo federale dovuta all’incapacità del Congresso di approvare un bilancio o una risoluzione di spesa (continuing resolution) entro la scadenza prevista. Questo porta alla sospensione di servizi governativi non essenziali e alla furlough (licenziamento temporaneo) di dipendenti federali.   Attualmente il Partito Democratico USA, capitano da Chuck Schumer e Hakeem Jeffries sta portando avanti uno shutdown che, contrariamente a quanto avvenne anni fa durante il primo mandato di Trump, sta accrescendo la popolarità del presidente, che ha trovato il modo di prendere per i fondelli i due e la loro politica con meme a base di sombrero.  

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Il governo federale statunitense è fermo dal 1° ottobre, a causa del mancato accordo tra Repubblicani e Democratici su un disegno di legge di spesa al Senato. Questa situazione, giunta alla quarta settimana, ha lasciato centinaia di migliaia di dipendenti federali in congedo forzato o senza stipendio.   Mercoledì, una portavoce del ministero delle Finanze di Berlino ha dichiarato all’agenzia AFP che la Germania «avvierà una spesa straordinaria per garantire il pagamento puntuale degli stipendi di ottobre», descrivendo l’iniziativa come «un gesto di solidarietà verso le forze armate USA di stanza in Germania e i loro dipendenti civili».   L’accordo è stato raggiunto in collaborazione con lo stato della Renania-Palatinato, che ospita importanti basi americane, come la base aerea di Ramstein, quartier generale dell’aeronautica statunitense per Europa e Africa.   La Germania, alleato chiave degli USA nella NATO, accoglie più installazioni militari americane di qualsiasi altro Paese europeo, con circa 120 siti, una presenza che risale alla fine della Seconda Guerra Mondiale.   Berlino si aspetta di essere rimborsata non appena Washington riprenderà i pagamenti, ha aggiunto la portavoce. Il presidente Donald Trump ha ordinato al Pentagono di garantire gli stipendi ai militari americani durante la chiusura.

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La sospensione dei finanziamenti è avvenuta dopo il fallimento dei negoziati per estendere i sussidi federali per l’assistenza sanitaria in scadenza. I Repubblicani hanno proposto un disegno di legge di spesa temporanea per mantenere il governo operativo durante i negoziati di bilancio, mentre i Democratici hanno insistito per prorogare i sussidi sanitari prima di qualsiasi accordo, avvertendo che milioni di americani rischierebbero aumenti significativi dei premi assicurativi. Entrambe le parti si accusano reciprocamente di sfruttare la crisi per fini politici.   In Italia il rischio è avvertito ma non vi è alcuna concreta reazione di tutela da parte del governo romano. Lo shutdown del governo USA ha avuto ripercussioni sulle basi militari statunitensi in Italia, come Aviano e altre, interrompendo attività non essenziali e causando ritardi o sospensioni negli stipendi per i dipendenti civili italiani. Lo shutdown, causato da un mancato accordo sul bilancio al Congresso, ha congelato le attività amministrative federali, ma le operazioni di difesa essenziali sono continuate, anche se con ritardi burocratici e pagamenti sospesi per il personale non essenziale.   In queste ore è stata presentata un’interrogazione per garantire che gli stipendi dei lavoratori italiani nelle basi militari USA in Italia non siano a rischio da parte di un  senatore vicentino, che ha raccolto le preoccupazioni dei circa 5.000 dipendenti italiani impiegati in strutture come le basi Ederle e Dal Din a Vicenza. L’interrogazione urgente è stata presentatqa al ministro degli Esteri Tajani, chiedendo misure di tutela contro i possibili effetti dello shutdown amministrativo degli Stati Uniti sugli stipendi dei lavoratori.  

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Economia

Amazon vuole sostituire 600.000 lavoratori con i robot: verso la de-umanizzazione spaziale della produzione

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Amazon starebbe implementando strategie di automazione per ridurre la necessità di assumere oltre mezzo milione di lavoratori negli Stati Uniti. Lo riporta il New York Times, che cita interviste e documenti interni, l’azienda punta a utilizzare robot per sostituire più di 600.000 posti di lavoro che dovrebbe altrimenti coprire entro il 2033, pur prevedendo di raddoppiare le vendite di prodotti nello stesso arco temporale.

 

I documenti rivelano che il team di robotica di Amazon sta lavorando per automatizzare il 75% delle operazioni aziendali, con l’obiettivo di eliminare 160.000 posti di lavoro negli Stati Uniti entro il 2027. Questo permetterebbe di risparmiare circa 30 centesimi per ogni articolo immagazzinato e consegnato, generando un risparmio complessivo di 12,6 miliardi di dollari per l’azienda tra il 2025 e il 2027 grazie all’automazione.

 

Amazon ha valutato misure per migliorare la propria immagine pubblica vista delle previste critiche legate alla perdita di posti di lavoro, considerando la partecipazione a progetti comunitari ed evitando termini come «automazione» e «IA». Sono stati invece presi in considerazione termini più vaghi come «tecnologia avanzata» e l’uso del termine «cobot» per i robot che collaborano con gli esseri umani.

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Amazon ha comunicato al NYT che ai suoi dirigenti non è stato chiesto di evitare determinati termini quando si parla di robotica e che il coinvolgimento nella comunità non è collegato ai piani di automazione dell’azienda.

 

«Nessun altro ha lo stesso incentivo di Amazon a trovare il modo di automatizzare. Una volta capito come farlo in modo redditizio, il concetto si estenderà anche ad altri», ha dichiarato al NYT Daron Acemoglu, vincitore del Premio Nobel per l’economia lo scorso anno.

 

Se Amazon raggiungesse il suo obiettivo di automazione, continua l’Acemoglu, «uno dei maggiori datori di lavoro degli Stati Uniti diventerebbe un distruttore netto di posti di lavoro, non un creatore netto di posti di lavoro».

 

Come riportato da Renovatio 21, mesi fa era emerso che i robot stavano per superare in numero gli umani nei magazzini Amazon.

 

Un’ondata di migliaia di licenziamenti si era avuta tre anni fa, a qui erano seguite «purghe» di lavoratori di tutti i colossi come Google, Microsoft, Facebook.

 

Come riportato da Renovatio 21, un immane blackout dell’internet si è consumato pochi giorni fa quando i server di AWS (Amazon Web Service), sui cui poggiano miriadi di siti, applicazioni, sistemi sono andati in tilt.

 

Il padrone di Amazon, Jeff Bezos, ha rivelato in un’intervista a Torino durante un evento con il controverso erede FIAT Jaki Elkann la sua visione di spostare i server nello spazio – un’industria dove opera da decenni con la sua azienda Blue Origin.

 

 

Non parliamo tuttavia solo di meri impianti informatici. L’ipotesi di Renovatio 21 è che, oltre robotizzare la manifattura e la distribuzione, Bezos voglia pure de-terrestrizzarla, portandola nello spazio.

 

Il lavoro, la produzione divengono così de-umanizzati in maniera assoluta. Prospettive a cui i sindacati e gli Stati stessi non pensano in alcuno modo, di cui pure gli accadimenti dell’ora presente sono presagi netti.

 

 

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Immagine di Maryland GovPics via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Economia

Il governo olandese sequestra il produttore di chip cinese Nexperia, la Cina risponde con un divieto di esportazione

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Il governo dei Paesi Bassi ha preso il controllo di Nexperia, un’azienda di semiconduttori di proprietà cinese con sede in Olanda, in risposta alle pressioni degli Stati Uniti, segnando un’importante escalation nella competizione occidentale con Pechino per il controllo delle catene di approvvigionamento tecnologiche avanzate.   Nexperia, specializzata nella produzione di semiconduttori di vecchia generazione per automobili ed elettronica di consumo, dà lavoro a migliaia di persone in Europa, Stati Uniti e Asia ed è stata acquisita da Wingtech nel 2013. Il 30 settembre, le autorità olandesi hanno comunicato che le decisioni su Nexperia sarebbero passate sotto l’autorità del ministro dell’Economia Vincent Karremans.   Questa mossa è seguita all’inasprimento delle restrizioni commerciali da parte di Washington contro Wingtech, la casa madre di Nexperia, già inclusa nella lista nera commerciale statunitense. Documenti giudiziari hanno rivelato che a giugno funzionari americani avevano ammonito il governo olandese sul rischio di ulteriori sanzioni se Nexperia non avesse sostituito il suo amministratore delegato cinese, Zhang Xuezheng.   In risposta, il ministero del Commercio cinese ha vietato l’esportazione di alcuni prodotti dalle filiali cinesi di Nexperia. Pechino ha condannato l’intervento olandese, attribuendolo alle pressioni USA. Un editoriale del quotidiano il lingua inglese del Partito Comunista Cinese Global Times ha dichiarato: «Questo non è l’agire di una nazione che rispetta lo stato di diritto, ma di un governo che usa la legge come uno strumento da applicare o scartare in base a convenienze politiche».

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«La Cina non chiede ai Paesi Bassi di prendere parte a una competizione geopolitica, ma di rispettare i valori che dichiarano di sostenere: stato di diritto, concorrenza equa e protezione della proprietà legalmente acquisita» ha aggiunto l’house organ anglofono del PCC.   L’anno scorso era emerso che le fabbriche di semiconduttori con tecnologia avanzata olandese presenti a Taiwan potrebbero essere spente da remoto nel caso di invasione dell’isola da parte di Pechino. In particolare si tratterebbe delle fabbriche del colosso Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), che impiega tecnologie ultraviolette di estrema precisione (chiamate in gergo EUV) fornite da un’azienda olandese, la ASML. Tali macchine, grandi come un autobus e dal costo di circa 217 milioni di dollari cadauna. utilizzano onde luminose ad alta frequenza per stampare i chip più avanzati al mondo.   Secondo quando riportato da Bloomberg, in caso di invasione da parte della Repubblica Popolare Cinese, gli EUV di ASML nelle fabbriche TSMC potrebbero essere resi inutilizzabili.   Come riportato da Renovatio 21, un anno fa l’Intelligence olandese accusa la Cina di cyber spionaggio dopo che fu segnalata la compromissione di 20.000 sistemi di sicurezza informatica Fortinet Fortigate in tutto il mondo.   SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di Raimond Spekking via Wikimedia pubblicata su licenza CC BY-SA 4.0
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