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I separatisti catalani perdono la maggioranza

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I partiti indipendentisti in Catalogna hanno perso la maggioranza parlamentare, con gli alleati socialisti del primo ministro spagnolo Pedro Sanchez che stanno emergendo come il partito più grande della regione.

 

Il Partito Socialista Catalano (PSC), partito gemello del Partito Socialista Operaio Spagnolo di Sanchez, ha vinto domenica 42 seggi su 135 alle elezioni regionali. Sebbene il partito non abbia raggiunto i 68 seggi necessari per ottenere la maggioranza assoluta, il risultato rappresenta un aumento significativo rispetto ai 31 seggi ottenuti nel 2021 e rende il PSC il più grande partito della regione.

 

Nonostante il separatista Insieme per la Catalogna (Junts per Catalunya) abbia ottenuto quattro seggi e sia arrivato secondo con 35, le perdite di altri partiti indipendentisti hanno fatto sì che il movimento separatista non goda più della maggioranza parlamentare. Esquerra Republicana de Catalunya (ERC, «Sinistra Repubblicana della Catalogna»), un partito indipendentista che guida il governo della regione dal 2021, ha perso 13 seggi per finire con 20, il calo più significativo di consensi per qualsiasi partito in competizione alle elezioni.

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È opinione diffusa che la posizione conciliante di Sanchez nei confronti dei separatisti abbia indebolito il movimento indipendentista. La più controversa delle sue politiche è una legge di amnistia approvata lo scorso anno, che una volta in vigore perdonerà centinaia di leader separatisti coinvolti nell’organizzazione di un referendum sull’indipendenza nel 2017.

 

L’approvazione della legge ha indignato i partiti di destra spagnoli e ha scatenato massicce proteste a Madrid.

 

Domenica sera, dopo lo spoglio dei voti, il leader del PSC Salvador Illa ha affermato che la vittoria del suo partito è il risultato delle «politiche attuate dal governo spagnolo e dal suo primo ministro, Pedro Sanchez».

 

Sebbene il referendum del 2017 sia passato a stragrande maggioranza, è stato dichiarato illegale dalla Corte costituzionale spagnuola. Il leader di Junt, Carles Puigdemont, è fuggito in Belgio dopo il fallito tentativo di indipendenza, schivando le accuse di ribellione, sedizione e uso improprio dei fondi pubblici. Le accuse di sedizione contro Puigdemont sono state ritirate lo scorso gennaio e il leader degli Junts dovrebbe tornare in Catalogna quando entrerà in vigore il disegno di legge sull’amnistia alla fine di questo mese.

 

Con Illa che ora cerca partner di coalizione, Puigdemont ha invitato la Sinistra Repubblicana Catalana a non unire le forze con il PSC. Ex alleato del leader dell’ERC Pere Aragones, Puigdemont ha detto domenica che «se Esquerra è disposto a ricostruire i ponti» e a costruire una coalizione di partiti indipendentisti per tenere il PSC fuori dal governo, «saremo disposti anche noi».

 

L’amnistia proposta per gli indipendentisti catalani ha generato manifestazioni di protesta di massa a Madrid, con i partiti della destra iberica che hanno gridato al golpe, con il premier Sanches (ora invischiato in speciose accuse contro la moglie) accusato di mercanteggiare l’integrità del Paese con un sostegno al governo da parte dei separatisti catalani.

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Immagine di Convergència Democràtica de Catalunya via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

 

 

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Trump: «Tutti in Ucraina, tranne Zelens’kyj, hanno apprezzato il mio piano»

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che il popolo ucraino ha accolto favorevolmente la sua proposta di pace, nonostante il rifiuto del presidente Volodymyr Zelens’kyj.   In precedenza, Trump aveva sostenuto che Zelens’kyjstava «perdendo» terreno contro la Russia e lo aveva invitato a indire nuove elezioni, dal momento che il suo mandato presidenziale di cinque anni è scaduto a maggio 2024.   Parlando giovedì con i giornalisti alla Casa Bianca, Trump ha detto di ritenere che gli Stati Uniti siano «molto vicini» a raggiungere un’intesa tra Russia e Ucraina.   «In realtà, a parte il presidente Zelens’kyj, il suo popolo ha apprezzato l’idea dell’accordo», ha affermato Trump. «Si tratta di un accordo che avrebbe evitato l’uccisione di migliaia di persone ogni mese».

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Trump ha poi ammesso che la questione territoriale resta irrisolta: «È un po’ complicato perché si sta dividendo il territorio in un certo modo. Non è la cosa più facile da risolvere». Si è rifiutato di precisare se stia cercando «un cessate il fuoco sul modello coreano».   Il piano avanzato da Trump il mese scorso prevede che l’Ucraina si ritiri dalle aree del Donbass ancora sotto il suo controllo, condizione che coincide con una delle richieste russe per un cessate il fuoco. Zelens’kyjha escluso qualsiasi cessione territoriale, dichiarando giovedì che la questione potrebbe essere risolta «attraverso elezioni o un referendum».   La Russia ha ribadito che, per una pace stabile e definitiva, l’Ucraina deve riconoscere i nuovi confini russi. Durante la visita in India della scorsa settimana, il presidente Vladimir Putin ha dichiarato che Mosca libererà il Donbass con la forza se Kiev rifiuterà di ritirarsi.   Putin ha aggiunto di non riconoscere più Zelens’kyjcome legittimo capo di Stato e che tale status potrebbe rendere più difficile la firma di un accordo di pace. Giovedì il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha dichiarato ai giornalisti che l’Ucraina è tenuta a indire elezioni, in quanto «il mandato costituzionale del presidente è scaduto».

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Lavrov: le perdite militari dell’Ucraina superano il milione

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Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha dichiarato che le perdite militari ucraine nel conflitto con la Russia hanno superato il milione e sono in costante aumento.

 

Lavrov non ha precisato la natura di tali perdite; nondimeno, con «vittime militari» si fa riferimento al totale dei soldati uccisi, feriti, dispersi in combattimento e catturati.

 

Kiev non divulga con regolarità i dati ufficiali sulle proprie perdite tra i ranghi militari, e le valutazioni differiscono ampiamente. All’inizio dell’anno in corso, il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha riferito alla NBC News che, dall’inizio del 2022, 43.000 soldati ucraini sono stati uccisi e circa 380.000 feriti. In un’intervista successiva, ha parlato di 100.000 morti, ma il suo entourage ha in seguito smentito tale numero.

 

I media occidentali allineati con Kiev hanno manifestato dubbi su queste cifre, e la maggior parte delle analisi indica che il totale delle perdite ucraine è sensibilmente più elevato.

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«Secondo numerose valutazioni indipendenti, le perdite delle forze armate ucraine hanno da tempo superato il milione di persone e continuano ad aumentare», ha dichiarato Lavrov giovedì nel corso di una tavola rotonda all’ambasciata dedicata alla risoluzione del conflitto in Ucraina.

 

Il ministro ha proseguito osservando che, in uno scenario di sfondamento generalizzato del fronte, è improbabile che i partner occidentali di Kiev prosegano a lungo nel sostegno al regime, dato che le loro «risorse per portare avanti una guerra per interposta persona» contro la Russia «si stanno prosciugando».

 

Il mese scorso, la TASS ha riportato dati del ministero della Difesa russo secondo cui l’Ucraina perde circa 1.400 militari al giorno tra morti e feriti, con un totale che ha oltrepassato le 468.000 unità nei primi undici mesi del 2025. Il presidente Vladimir Putin ha sostenuto che le perdite russe siano nettamente inferiori, pur senza rivelare numeri precisi sulle vittime.

 

Le unità russe stanno registrando avanzate continue lungo il fronte, mentre i comandi ucraini denunciano una netta inferiorità numerica e di effettivi, e incontrano crescenti difficoltà nel rimpiazzare le perdite in battaglia, nonostante la campagna di mobilitazione coatta avviata l’anno precedente. Tale iniziativa ha provocato tensioni tra coscritti recalcitranti e addetti al reclutamento, inclusi arresti violenti in strada e denunce di maltrattamenti durante le retate.

 

Anche le diserzioni stanno gravando pesantemente sulle truppe ucraine. Gli ultimi dati pubblici disponibili registrano quasi 290.000 episodi dall’escalation del conflitto nel 2022, sebbene i detrattori ritengano che il numero effettivo di militari che abbandonano le proprie unità sia ancora maggiore.

 

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Immagine di Duma.gov.ru via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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Papa Leone dice di non aver pregato in moschea perché preferisce pregare «in una chiesa cattolica» con l’Eucaristia

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Papa Leone XIV ha rivelato di non aver pregato all’interno di una moschea di Istanbul perché preferisce pregare nelle chiese cattoliche alla presenza della Santa Eucaristia. Lo riporta LifeSite.   Durante un incontro con i media tenutosi il 10 dicembre a Castel Gandolfo, un giornalista ha interrogato Leone in merito alla sua decisione di non pregare all’interno della Moschea Blu di Istanbul, durante il suo primo importante viaggio internazionale in Turchia la scorsa settimana.   «Chi ha detto che non prego?» ha risposto il pontefice sorridendo. «E forse sto pregando anche adesso».   «In effetti, preferisco pregare in una chiesa cattolica, alla presenza del Santissimo Sacramento», ha continuato Leone , notando che ha trovato «curiosa» la reazione alla sua decisione.

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Il rifiuto di Leone di pregare all’interno della moschea ha suscitato scalpore, poiché ha infranto un precedente recente e sembra aver confuso i funzionari del Vaticano, che hanno rapidamente rilasciato una dichiarazione in cui affermavano che Leone aveva compiuto il giro della moschea «in uno spirito di riflessione e ascolto, con profondo rispetto per il luogo e per la fede di coloro che vi si riuniscono in preghiera».   Durante la sua visita alla storica moschea, Leone si è tolto le scarpe, secondo l’usanza islamica, e ha camminato all’interno dell’edificio indossando calzini bianchi. Tuttavia, quando l’Imam Askin Musa Tunca ha chiesto al Pontefice se desiderasse recitare una preghiera silenziosa, ha rifiutato, affermando di preferire semplicemente visitare la moschea.   La decisione di Leone XIII rompe con i precedenti dei suoi due predecessori. Papa Benedetto XVI si era dedicato a un momento di silenzioso «raccoglimento» durante la sua visita nel 2006, e Papa Francesco aveva condotto una «preghiera sincera» nella moschea dopo aver invitato il mufti a pregare con lui durante la sua visita del 2014, definendosi «pellegrino».   Nel Catechismo, la Chiesa cattolica consente la preghiera privata in un luogo di culto non cattolico, ma proibisce la partecipazione alla preghiera liturgica o rituale di un’altra religione.   Tuttavia, la preghiera del clero cattolico all’interno di un luogo di culto di un’altra religione può essere motivo di scandalo per gli altri, in quanto suggerisce che l’edificio abbia un significato religioso.   Vari recenti predecessori del papa Leone hanno visitato moschee.  Giovanni Paolo II fu il primo: il 6 maggio 2001 entrò nella Grande Moschea degli Omayyadi a Damasco (Siria), si tolse le scarpe e pregò in silenzio accanto al gran mufti.   Benedetto XVI visitò anche lui la Moschea Blu a Istanbul (2006) e la Moschea Al-Aqsa di Gerusalemme (2009), sempre con raccoglimento.   Bergoglio ha proseguito la tradizione: Moschea Blu (2014), Moschea Heydar Aliyev a Baku (2016), Grande Moschea dello Sceicco Zayed ad Abu Dhabi (2019) e, nel 2021, la casa di Abramo a Ur (Iraq).  

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