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Gli alleati dovranno morire per Kiev?

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

La popolazione ucraina è divisa: una parte appartiene alla cultura europea, l’altra a quella russa. Una specificità che offre a Washington un campo su cui scontrarsi con Mosca. Da qualche settimana risuonano i tamburi di guerra. Ma gli alleati non desiderano morire per Kiev, né sacrificarsi contro la Russia.

 

 

 

Le forze armate USA

I nemici degli anglosassoni:

 

1 – Il nemico storico: i russi. Li considerano persone spregevoli, destinate, dopo Ottone I (X secolo), alla schiavitù, come il nome stesso dell’etnia dice (la cui denominazione deriva dall’inglese slave, che significa anche schiavo). Nel XX secolo gli anglosassoni si opponevano all’URSS, prendendo a pretesto il comunismo, ora sono contro la Russia, senza conoscerne la ragione.

 

Che si sia indipendenti o infeudati all’«Impero americano», dobbiamo smettere di far finta di non vedere. Gli Stati Uniti d’America non hanno altro obiettivo che distruggere la cultura russa, le strutture statali arabe e – per finire – l’economia cinese. Ma tutto questo non ha assolutamente nulla a che vedere con la legittima difesa del popolo statunitense

2 – Secondo avversario, da loro stessi creato con la «guerra senza fine», scatenata dopo l’11 settembre 2001: le popolazioni del Medio Oriente Allargato, di cui distruggono sistematicamente le strutture statali – che siano alleati o avversari non fa differenza – per «rispedirle all’età della pietra» e sfruttare le ricchezze dei loro territori (strategia Rumsfeld/Cebrowski).

 

3 – Terzo avversario: la Cina, il cui sviluppo economico minaccia di relegarli in seconda posizione. Per loro non c’è che un’opzione: la guerra. Perlomeno è quanto pensano i politologi, che parlano persino di «trappola di Tucidide», in riferimento alla guerra che Sparta mosse ad Atene, spaventata dalla sua espansione (1).

 

4 – Seguono, benché a lunga distanza, le questioni dell’Iran e della Corea del Nord.

 

Questo quanto ribadiscono ripetutamente, da angolazioni diverse, la Strategia interinale della Sicurezza Nazionale di Joe Biden (2) e la Valutazione annuale dei rischi (3) della Intelligence Community.

 

Fare tre guerre contemporaneamente è estremamente difficile. Il Pentagono sta cercando di decidere le priorità. Il segreto più assoluto circonda la commissione incaricata della valutazione, che consegnerà il proprio rapporto a giugno. Nessuno sa da chi sia composta. Ma l’amministrazione Biden non aspetta e si focalizza sulla Russia.

 

Che si sia indipendenti o infeudati all’«Impero americano», dobbiamo smettere di far finta di non vedere. Gli Stati Uniti d’America non hanno altro obiettivo che distruggere la cultura russa, le strutture statali arabe e – per finire – l’economia cinese. Ma tutto questo non ha assolutamente nulla a che vedere con la legittima difesa del popolo statunitense.

 

Solo così si spiega che gli Stati Uniti spendano per le forze armate somme astronomiche, sproporzionate rispetto ai Paesi «amici» o «nemici». Secondo l’Institute for Strategic Studies di Londra, la spesa militare degli USA è almeno pari alla somma di quella degli altri 15 Stati meglio armati (4).

 

 

Le ragioni di scontro con la Russia

Gli Stati Uniti sono preoccupati per la ripresa della Russia. Dopo il brusco crollo dell’aspettativa di vita nel periodo 1988-1994 (cinque anni in meno), i russi hanno recuperato, superando ampiamente la durata media della vita dell’epoca sovietica (12 anni in più), sebbene la speranza di vivere in buona salute permanga una delle più flebili in Europa.

 

La spesa militare degli USA è almeno pari alla somma di quella degli altri 15 Stati meglio armati

L’economia russa si diversifica, in particolare in campo agricolo, ma continua a dipendere dalle esportazioni energetiche. Le forze armate russe sono rinnovate, il complesso militare-industriale è più performante di quello del Pentagono, si sono fatte un’esperienza in Siria.

 

Per Washington, la costruzione del gasdotto Nord Stream 2 minaccia di svincolare l’Europa occidentale dalla dipendenza dal petrolio USA, mentre l’annessione della Crimea alla Federazione di Russia, per non dire di quella del Donbass, sono un colpo, sebbene parziale, inflitto alla dipendenza dell’Ucraina dall’Impero americano (Crimea e Donbass non sono di cultura occidentale).

 

Per finire, la presenza militare dei russi in Siria frena il progetto di distruggere politicamente tutti i popoli della regione.

Gli Stati Uniti hanno una visione del mondo a breve termine, non percepiscono la responsabilità del retaggio delle loro azioni

 

 

«Quando si vuole affogare il cane, si dice che ha la rabbia»

È stato senza dubbio il presidente Biden ad aprire le ostilità, definendo «killer» il presidente russo. Mai prima d’ora le due potenze si erano insultate, nemmeno all’epoca del Gulag. Il presidente Putin gli ha risposto educatamente, proponendogli di discuterne in pubblico. Biden ha rifiutato.

 

Gli Stati Uniti hanno una visione del mondo a breve termine, non percepiscono la responsabilità del retaggio delle loro azioni. Secondo loro i russi cattivi: hanno ammassato oltre centomila uomini al confine con l’Ucraina e sono pronti a invaderla, come i sovietici fecero con Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia. Poco importa che allora non si trattasse della Russia, ma dell’URSS, e che non si trattasse della dottrina Putin, ma di quella Brežnev; per inciso, Leonid Brežnev non era russo, ma ucraino.

 

I russi hanno invece una visione del mondo a lungo termine. Secondo loro, con gli attentati dell’11 settembre 2001 i barbari statunitensi hanno compromesso l’equilibrio fra le potenze. Subito dopo, il 13 dicembre 2001, il presidente Bush annunciò il ritiro degli Stati Uniti dal Trattato antimissili balistici (ABM Treaty).

 

I russi hanno invece una visione del mondo a lungo termine. Secondo loro, con gli attentati dell’11 settembre 2001 i barbari statunitensi hanno compromesso l’equilibrio fra le potenze

Successivamente, gli Stati Uniti fecero entrare nella NATO, uno via l’altro, quasi tutti i Paesi membri del Patto di Varsavia e dell’URSS, violando l’impegno assunto al crollo di quest’ultima. Una politica confermata dalla Dichiarazione di Bucarest del 2008 (5).

 

Tutti conoscono la particolarità dell’Ucraina: a ovest la cultura occidentale, a est la cultura russa.

 

Per una quindicina d’anni, il Paese fu politicamente congelato; poi Washington organizzò una pseudo-rivoluzione e issò al potere le proprie marionette, in questo caso dei neonazisti (6).

 

Mosca reagì molto rapidamente per fare in modo che la Crimea proclamasse la propria indipendenza e venisse annessa alla Federazione di Russia, ma esitò con il Donbass. Da allora, passaporti russi vengono distribuiti agli abitanti della regione, per i quali Mosca è l’unica speranza.

 

Quando era senatore, il presidente Biden era noto per essere portavoce in senato delle soluzioni legislative studiate dal Pentagono. Diventato presidente, si è circondato di figure neoconservatrici

 

L’amministrazione Biden

Quando era senatore, il presidente Biden era noto per essere portavoce in senato delle soluzioni legislative studiate dal Pentagono. Diventato presidente, si è circondato di figure neoconservatrici.

 

Non lo ripeteremo mai abbastanza: i neoconservatori erano inizialmente militanti trotskisti reclutati dal presidente repubblicano Ronald Reagan. Da allora sono sempre stati al potere – salvo la parentesi del presidente jacksoniano Donald Trump – passando dal partito Repubblicano al partito Democratico e viceversa.

 

Durante la «rivoluzione colorata» del Maidan (2013-14), Biden, all’epoca vicepresidente, si schierò con i neonazisti, agenti della rete stay-behind della NATO (7). Diresse le operazioni con una delle assistenti del segretario di Stato, Victoria Nuland (il cui marito, Robert Kagan, è uno dei fondatori del Project for a New American Century, l’organo di raccolta fondi del repubblicano George W. Bush).

 

I neoconservatori erano inizialmente militanti trotskisti reclutati dal presidente repubblicano Ronald Reagan. Da allora sono sempre stati al potere – salvo la parentesi del presidente jacksoniano Donald Trump – passando dal partito Repubblicano al partito Democratico e viceversa

Il presidente Biden ha deciso di farne la vicaria del nuovo segretario di Stato. Durante la «rivoluzione», Nuland s’appoggiò all’allora ambasciatore a Kiev, Geoffrey Pyatt, oggi in servizio ad Atene.

 

Quanto al segretario di Stato del presidente Biden, Antony Blinken, è al tempo stesso giudice e parte in causa, essendo di origine ucraina da parte di madre. Benché allevato a Parigi dal secondo marito della madre (l’avvocato Samuel Pisar, consigliere del presidente Kennedy), Blinken aderisce alle idee neoconservatrici.

 

 

La preparazione dello scontro con la Russia

A metà marzo 2021, gli Stati Uniti hanno organizzato con i partner della NATO le manovre Defender-Europe 21, che si protrarranno fino a giugno. È la ripresa della mega-esercitazione Defender-Europe 20, ridimensionata e abbreviata a causa del COVID-19. Consiste in un gigantesco dispiegamento di uomini e mezzi per simulare uno scontro con la Russia. Le manovre sono accompagnate da un’esercitazione in Grecia di bombardieri nucleari, alla presenza del citato Geoffrey Pyatt.

 

A metà marzo 2021, gli Stati Uniti hanno organizzato con i partner della NATO le manovre Defender-Europe 21, che si protrarranno fino a giugno

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha pubblicato la nuova Strategia per la Sicurezza (8) il 25 marzo, tre settimane dopo che Biden aveva pubblicato quella degli Stati Uniti.

 

In risposta alla NATO, la Russia ha intrapreso manovre militari lungo la frontiera occidentale, compreso il confine con l’Ucraina, nonché inviato truppe supplementari in Crimea e perfino in Transnistria.

 

Il 1° aprile il segretario alla Difesa USA ha telefonato all’omologo ucraino per allertarlo sulla possibile intensificazione della tensione con la Russia (9). Il presidente Zelensky ha poi fatto una dichiarazione per assicurare che avrebbe sorvegliato le manovre russe suscettibili di essere provocazioni (10).

 

In risposta alla NATO, la Russia ha intrapreso manovre militari lungo la frontiera occidentale, compreso il confine con l’Ucraina, nonché inviato truppe supplementari in Crimea e perfino in Transnistria

Il 2 aprile il Regno Unito ha organizzato una riunione dei propri ministri della Difesa e degli Esteri con gli omologhi ucraini, sotto la responsabilità del ministro britannico Ben Wallace (11) (molto attivo durante il conflitto del Nagorno-Karabakh) (12).

 

Il 2 aprile il presidente Biden ha chiamato l’omologo ucraino per assicurargli il suo sostegno nel contrasto con la Russia. Secondo l’Atlantic Council, gli avrebbe annunciato la decisione di regalare all’Ucraina un centinaio di aerei da combattimento (F-5, F-16 e E-2C), attualmente dislocati nella base aerea di Davis-Monthan (13).

 

Il 4 aprile il presidente della Commissione delle Forze armate della Camera dei Rappresentanti, il democratico Adam Smith, ha negoziato con parlamentari ucraini importanti sovvenzioni all’esercito ucraino, in cambio dell’arruolamento contro il gasdotto Nord Stream 2 (14).

 

Il 5 aprile il presidente Zelensky si è recato in visita in Qatar, ufficialmente per implementare le relazioni commerciali. Il Qatar è il principale fornitore di armi agli jihadisti e, secondo nostre informazioni, con l’occasione è stata affrontata la questione di un eventuale finanziamento di combattenti. Faceva parte della spedizione il direttore generale della società di forniture militari Ukroboronprom, Yuri Gusev, che fornì armi a Daesh, su ordine del Qatar (15).

Avendo ricevuto carta bianca dal Qatar, la Turchia, Paese membro della NATO, ha immediatamente avviato il reclutamento di jihadisti internazionali in Siria per inviarli a combattere nel Donbass ucraino

 

Il 6 aprile la Lituania, che in passato protesse la parte occidentale dell’Ucraina all’epoca sotto la propria giurisdizione, si è informata sulla situazione militare (16).

 

Il 6 e 7 aprile 2021 il generale britannico sir Stuart Peach, presidente del Comitato militare della NATO, si è recato in Ucraina per definire le riforme necessarie per l’adesione alla NATO (17).

 

Il 9 aprile, conformemente alla Convenzione di Montreux, il Pentagono ha informato la Turchia dell’intenzione di far transitare navi da guerra negli stretti dei Dardanelli e del Bosforo.

 

Il 10 aprile il presidente turco Recep Tayyp Erdoğan ha ricevuto a Istanbul l’omologo ucraino Zelensky, nel quadro di regolari consultazioni fra le due nazioni (18).

 

Avendo ricevuto carta bianca dal Qatar, la Turchia, Paese membro della NATO, ha immediatamente avviato il reclutamento di jihadisti internazionali in Siria per inviarli a combattere nel Donbass ucraino. Sono stati inoltre inviati istruttori militari al porto ucraino di Mariupol, sede della Brigata Islamista Internazionale (19), creata dal presidente Erdoğan e dall’omologo ucraino dell’epoca, insieme ai tatari fedeli a Washington e opposti alla Russia.

Sono stati inoltre inviati istruttori militari al porto ucraino di Mariupol, sede della Brigata Islamista Internazionale, creata dal presidente Erdoğan e dall’omologo ucraino dell’epoca, insieme ai tatari fedeli a Washington e opposti alla Russia

 

La Federazione di Russia ha reagito in modo del tutto logico, ammassando truppe alla frontiera ucraina.

 

I partner dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) hanno interrogato la Russia sulle manovre, ricevendo solo risposte evasive. Il Documento di Vienna (1999) impegna i membri dell’OSCE a informarsi reciprocamente dei movimenti di truppe e di materiale bellico. Ma si sa che i russi non ragionano come gli Occidentali: non informano mai né la popolazione né i partner durante le operazioni, ma solo dopo che sono concluse.

 

Due giorni dopo, il G7 ha pubblicato una dichiarazione in cui manifestava preoccupazione per i movimenti della Russia, sorvolando però su quelli di NATO e Turchia. Si congratulava inoltre con l’Ucraina per l’autocontrollo e chiedeva alla Russia di «mettere fine alle provocazioni» (20).

 

Il 15 aprile il presidente Biden ha manifestato la propria visione del conflitto, espellendo dieci diplomatici russi. Ha adottato sanzioni contro la Russia, accusata non soltanto di aver truccato elezioni per far vincere il presidente Donald Trump, ma anche di aver offerto ricompense per l’assassinio di soldati USA in Afghanistan, nonché per aver attaccato i sistemi informatici federali attraverso un software di SolarWinds.

Il 13 aprile, in occasione della riunione dei ministri degli Esteri della NATO con la Commissione Ucraina/NATO, gli Stati Uniti hanno esposto il loro grande progetto. Tutti gli alleati – nessuno dei quali desideroso di morire affinché gli ucraini riescano a divorziare dalla Russia – sono stati invitati a recare sostegno a Kiev e a denunciare l’escalation della Russia (21). Il segretario di Stato Blinken si è a lungo intrattenuto con l’omologo ucraino, Dmytro Kouleba (22). Sembrava ci si stesse avviando inesorabilmente alla guerra.

 

Senonché la telefonata del presidente Biden all’omologo russo Putin ha improvvisamente disteso l’atmosfera. Gli ha proposto un incontro al vertice, benché, dopo averlo insultato, avesse sdegnosamente rifiutato la proposta di Putin di un dibattito pubblico (23). Dopo l’iniziativa di Biden, la guerra è apparsa evitabile.

 

Ciononostante, il 14 aprile Blinken ha convocato i principali alleati (Germania, Francia, Italia e Regno Unito) per mobilitarli (24).

 

Il 15 aprile il presidente Biden ha manifestato la propria visione del conflitto, espellendo dieci diplomatici russi (25). Ha adottato sanzioni contro la Russia, accusata non soltanto di aver truccato elezioni per far vincere il presidente Donald Trump, ma anche di aver offerto ricompense per l’assassinio di soldati USA in Afghanistan, nonché per aver attaccato i sistemi informatici federali attraverso un software di SolarWinds.

 

Com’era prevedibile, la Russia ha espulso un identico numero di diplomatici statunitensi. Ha inoltre teso una trappola a un diplomatico ucraino, fermandolo in flagrante reato di spionaggio: aveva ancora in mano documenti classificati segreto militare.

 

Proseguendo sulla propria strada, il presidente Zelensky ha incontrato gli omologhi francese e tedesco: il presidente Emmanuel Macron e la cancelliera Angela Merkel.

 

Alla fin fine, gli Stati Uniti e la Russia s’incontreranno e discuteranno: è prematuro morire per Kiev.

Pur deplorando l’escalation russa e riaffermando senza esitazioni il sostegno morale all’integrità territoriale dell’Ucraina, gli interlocutori sono stati evasivi sul prosieguo della vicenda.

 

Alla fin fine, gli Stati Uniti e la Russia s’incontreranno e discuteranno: è prematuro morire per Kiev.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

NOTE

1) Destined for War: Can America and China Escape Thucydides’s Trap?, Graham Allison, Houghton Mifflin Harcourt (2017).

2) Interim National Security Guidance, White House, March 3, 2021. «La strategia di Sicurezza Nazionale del presidente Biden», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 6 aprile 2021.

3) Annual Threat Assessment of the US Intelligence Community, Director of National Intelligence, 9 aprile, 2021.

4) The Military Balance 2021, Institute for Strategic Studies, Routledge (2021).

5) «Déclaration du Sommet de l’Otan à Bucarest», NATO, 3 aprile 2008.

6) «Chi sono i nazisti nel governo ucraino?», di Thierry Meyssan, Traduzione Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 4 marzo 2014.

7) Les Armées Secrètes de l’OTAN, Danièle Ganser, Ed. Demi-Lune (2003). Disponibile in episodi su Voltairenet.org, pubblicato in italiano con il titolo Gli eserciti segreti della NATO, Fazi Editore, 2005.

8) Decreto presidenziale 121/2021.

9) «Readout of Secretary of Defense Lloyd J. Austin III’s Call With Ukrainian Minister of Defence Andrii Taran», US Department of Defense, 2 aprile, 2021.

10) «Zelensky on Russian troops near border: Ukraine is ready for any provocations», Ukrinform, 2 aprile 2021.

11) «UK defense secretary initiates talks with Taran due to escalation in eastern Ukraine”, Ukrinform, 2 aprile 2021.

12) «Alto-Karabakh: la vittoria di Londra e Ankara, la disfatta di Soros e degli armeni», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 24 novembre 2020.

13) «U.S. Should Provide Lend-Lease Type of Aid Package for Ukraine to Help it Upgrade its Air Force – Atlantic Council», Defense Express, 7 aprile, 2021.

14) «Arakhamiya, Congressman Smith discuss expanding military support for Ukraine», Ukrinform, 5 marzo 2021.

15) «Ucraina e Qatar forniscono missili antierei allo Stato islamico», di Andrej Fomin, Traduzione Alessandro Lattanzio, Oriental Review (Russia) , Rete Voltaire, 23 novembre 2015.

16) «Ukrainian, Latvian defense ministers discuss security situation on Ukraine’s borders», Ukrinform, 7 aprile 2021.

17) «Visite du président du Comité militaire de l’OTAN en Ukraine», Otan, 6 aprile, 2021.

18) «La Turchia recluta jihadisti per mandarli in Ucraina», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 17 aprile 2021.

19) «L’Ukraine et la Turquie créent une Brigade internationale islamique contre la Russie», par Thierry Meyssan, Télévision nationale syrienne , Réseau Voltaire, 12 agosto 2015.

20) «Déclaration du G7 sur l’Ukraine», Réseau Voltaire, 12 aprile 2021.

21) «La Commission OTAN-Ukraine se penche sur l’état de la sécurité en Ukraine», Réseau Voltaire, 13 aprile 2021.

22) «Rencontre d’Antony Blinken et Dmytro Kouleba», Stati Uniti (Dipartimento di Stato) , Réseau Voltaire, 13 aprile  2021.

23)  «Conversation téléphonique entre Joe Biden et Vladimir Poutine», Stati Uniti (Casa Bianca), Réseau Voltaire, 13 aprile 2021.

[24] « Réunion des principaux alliés sur l’Ukraine », Stati Uniti (Dipartimento di Stato), Réseau Voltaire, 14 aprile 2021.

25) «Remarks on Russia», by Joseph R. Biden Jr., Voltaire Network, 15 aprile 2021.

 

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Fonte: «Gli alleati dovranno morire per Kiev?», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 20 aprile 2021, 

 

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Geopolitica

Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»

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Un’effigie raffigurante il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stata avvistata appesa a una gru edile nel Nord-Est della Turchia, suscitando forte indignazione in Israele.

 

Secondo la stampa turca, l’episodio si è verificato sabato in un cantiere nella città di Trebisonda, sul Mar Nero. L’iniziativa sarebbe stata organizzata da Kemal Saglam, docente di comunicazione visiva presso un’università locale. Saglam ha dichiarato ai media turchi che il gesto aveva un intento simbolico, volto a denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza.

 

Le immagini, diffuse viralmente e riportate anche dal quotidiano turco Yeni Safak, mostrano la figura sospesa alla gru, accompagnata da uno striscione con la scritta: «Pena di morte per Netanyahu».

 

Il ministero degli Esteri israeliano, tramite un post su X, ha condiviso un video dell’incidente, accusando un accademico turco di aver creato l’effigie «con il fiero sostegno di un’azienda statale». Il ministero ha condannato l’atto, sottolineando che «le autorità turche non hanno denunciato questo comportamento scandaloso».

 

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Le autorità turche non hanno ancora fornito una risposta ufficiale.

 

I rapporti diplomatici tra Israele e Turchia sono tesi da anni e si sono ulteriormente deteriorati dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato Netanyahu di aver commesso un «genocidio» a Gaza.

 

La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.

 

Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.

 

Come riportato da Renovatio 21, i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.

 

Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.

 

La Turchia ha avuto un ruolo attivo nei recenti negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, con diversi rapporti che indicano come l’influenza di Ankara su Hamas abbia facilitato il rilascio degli ostaggi nell’ambito del piano in 20 punti del presidente statunitense Donald Trump.

 

Venerdì, Erdogan ha dichiarato alla stampa che gli Stati Uniti dovrebbero intensificare le pressioni su Israele, anche attraverso sanzioni e divieti sulla vendita di armi, per garantire il rispetto degli impegni presi nel piano di Trump.

 

Domenica, Netanyahu ha annunciato che Israele deciderà quali forze straniere potranno partecipare alla missione internazionale proposta per Gaza, prevista dal piano di Trump per garantire il cessate il fuoco. La settimana precedente, aveva lasciato intendere che si sarebbe opposto a qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza turche a Gaza.

 

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Droga

Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela

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Il presidente statunitense Donald Trump sta esaminando proposte per operazioni militari americane contro presunte «strutture per la produzione di cocaina» e altri bersagli legati al narcotraffico all’interno del Venezuela. Lo riporta la CNN, che cita fonti anonime.   Due funzionari non identificati hanno dichiarato alla rete che Trump non ha scartato l’ipotesi di un negoziato diplomatico con Nicolás Maduro, nonostante recenti indicazioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero interrotto del tutto i colloqui con Caracas, mentre valutano una possibile campagna per destituire il leader venezuelano.   Tuttavia, una fonte della CNN ha precisato che «ci sono piani sul tavolo che il presidente sta esaminando» per azioni mirate all’interno del Venezuela. Un terzo funzionario ha indicato che l’amministrazione Trump sta considerando varie opzioni, ma al momento si concentra sulla «lotta alla droga in Venezuela».

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A giudizio di alcuni esponenti dell’amministrazione statunitense, una campagna antidroga nel Paese sudamericano potrebbe accrescere la pressione per un cambio di regime a Caracas. Trump ha pubblicamente smentito l’intenzione di rimuovere Maduro dal potere.   Nelle scorse settimane, le forze armate americane hanno condotto vari raid contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico e, secondo Washington, collegate al Venezuela, causando decine di vittime.     Giovedì, Trump – che aveva già confermato l’autorizzazione di operazioni della CIA in Venezuela – ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero estendere la loro campagna antidroga dal mare alla terraferma, senza entrare in dettagli. Inoltre, la portaerei USS Gerald R. Ford è stata inviata nei Caraibi per sostenere l’operazione antidroga.   Maduro ha respinto ogni legame del suo governo con il traffico di stupefacenti, insinuando che gli Stati Uniti stiano usando le accuse come copertura per un cambio di regime. Dopo le notizie sul dispiegamento della portaerei, il presidente venezuelano ha accusato Washington di perseguire «una nuova guerra eterna».   Secondo un reportaggio del New York Times, Maduro stesso avrebbe proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.   Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.   Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.

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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, gli Stati Uniti hanno inviato almeno otto navi della Marina, un sottomarino d’attacco e circa 4.000 soldati vicino alla costa venezuelana, dichiarando che la missione mirava a contrastare i cartelli della droga. Washington ha sostenuto che l’armata ha affondato tre imbarcazioni venezuelane, senza però fornire prove che le persone a bordo fossero criminali.   La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.   Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.   Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.

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Geopolitica

Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco

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Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.

 

Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.

 

Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.

 

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Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.

 

Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.

 

Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.

 

Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.

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