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Geopolitica

Gerusalemme, bulldozer sul «fronte degli archeologi»

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Nel clima «favorevole» creato dalla guerra, le autorità israeliane hanno demolito ieri il Centro Al Bustan, nel quartiere a ridosso delle Mura di Solimano. Una zona che da anni vorrebbero sgomberare dalle famiglie arabe per espandere le infrastrutture del parco turistico che sta riportando alla luce tutti i reperti dell’antica Gerusalemme ebraica.

 

Mentre a Gaza e in Libano si combatte con raid aerei e missili, nel cuore di Gerusalemme – proprio all’ombra delle mura di Solimano – avanza il fronte dei bulldozer.

 

Ieri mattina sono tornati in azione nel quartiere di Silwan, a Gerusalemme Est, per demolire insieme a una casa palestinese un luogo simbolo: il giardino attrezzato per ragazzi divenuto il cuore di Al Bustan, una ONG araba che da più di quindici anni lotta contro l’espulsione di decine di famiglie in nome dell’espansione del parco archeologico della «Città di Davide», progetto simbolo dell’identità esclusivamente ebraica di Gerusalemme portata avanti dalla destra nazionalista israeliana.

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Silwan – un quartiere arabo di 50mila abitanti che è poi l’antica Siloe di cui parlano anche i vangeli – è infatti al centro da tempo di un durissimo scontro, ben noto alle diplomazie internazionali.

 

Fino al 1967, quando quest’area era ancora sotto la sovranità giordana, la sua fisionomia era ancora prevalentemente quella del giardino a cui fa riferimento il nome arabo. Ma tra gli anni Settanta e Ottanta – quando nella Gerusalemme «unificata», l’amministrazione israeliana ha bloccato tutti i permessi urbanistici per la costruzione di nuove case nei quartieri arabi – a Silwan è cresciuto «abusivamente» l’attuale quartiere.

 

La situazione è però iniziata a cambiare all’inizio degli anni Duemila, con gli scavi in un’area che – secondo alcuni archeologi – sarebbe quella della prima Gerusalemme, quella del re Davide 3000 anni fa.

 

Da quel momento questa zona ha cominciato ad attirare l’attenzione dei nazionalisti israeliani, decisi a riportare alla luce tutto ciò che parla di una presenza ebraica precedente al tempo degli arabi.

 

Con il generoso sostegno economico di Sheldon Adelson – magnate americano dei casinò, grande finanziatore di Netanyahu (e oggi attraverso i suoi eredi anche di Donald Trump) – è nato il parco archeologico dell’Ir David (la «Città di Davide» appunto) che è oggi una delle maggiori attrazioni per i turisti ebrei in visita a Gerusalemme.

 

Affidato in gestione a Elad – una ONG vicina agli ambienti dei coloni – ha cominciato a mettere nel mirino le case vicine degli arabi, reclamando in tribunale proprietà ebraiche ai sensi di presenze precedenti alla guerra del 1948. Ma utilizzando lo stesso metro di giudizio anche molti arabi dovrebbero poter reclamare quelle che erano le loro case e che furono costretti a lasciare a causa del conflitto.

 

Nel frattempo a Silwan il parco archeologico ha continuato a crescere nel sottosuolo (con una rete di tunnel archeologici che passano letteralmente sotto le case degli arabi) e con un’opzione anche sul cielo: proprio qui, infatti, dovrebbe avere il suo snodo la cabinovia panoramica, altro contestatissimo progetto turistico che da anni incombe su Gerusalemme.

 

Non stupisce, allora, che la guerra – con tutte le cautele venute a cadere – sia diventata un’occasione per nuovi colpi di mano in un’area strategica come Silwan. Nel luglio il tribunale distrettuale di Gerusalemme ha dato il via libera allo sgombero di 87 famiglie dalle loro case, per un totale di 680 persone. E, nonostante gli appelli lanciati dall’ufficio dell’ONU per i diritti umani, i bulldozer una alla volta stanno procedendo alle demolizioni.

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Ieri, quindi, è toccato anche alla casa di di Na’im Roweidi, che nel suo cortile ospitava il Centro Al-Bustan per i ragazzi e la «tenda della solidarietà», da anni presidio di protesta della comunità locale contro la pretesa di svuotare Silwan dei suoi abitanti.

 

A protestare per la demolizione ieri è stato anche il Consolato generale della Francia a Gerusalemme, ricordando che il governo di Parigi – insieme a 21 amministrazioni locali francesi – dal 2019 aveva sostenuto il Centro Al Bustan con oltre mezzo milione di euro, per offrire «a più di mille bambini e giovani attività culturali e sportive e un supporto educativo e psicologico essenziale».

 

Volti e presenze arabe per cui non c’è più posto nei progetti dell’Ir David.

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Geopolitica

Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset

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La proposta di applicare la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata, considerata da molti come un’equivalente all’annessione totale del territorio palestinese, ha suscitato una forte condanna internazionale, incluso un netto dissenso da parte degli Stati Uniti.   Il disegno di legge ha superato di stretta misura la sua lettura preliminare martedì, con 25 voti a favore e 24 contrari nella Knesset, composta da 120 membri. La proposta passerà ora alla Commissione Affari Esteri e Difesa per ulteriori discussioni.   Una dichiarazione parlamentare afferma che l’obiettivo del provvedimento è «estendere la sovranità dello Stato di Israele ai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania)».   Il momento del voto è stato significativo e provocatorio, poiché è coinciso con la visita in Israele del vicepresidente J.D. Vance, impegnato in discussioni sul cessate il fuoco a Gaza e sul centro di coordinamento gestito dalle truppe statunitensi e dai loro alleati, incaricato di supervisionare la transizione di Gaza dal controllo di Hamas. Vance ha percepito la tempistica del voto come un gesto intenzionale, accogliendolo con disappunto.

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Anche il Segretario di Stato Marco Rubio, in visita in Israele questa settimana, ha espresso critiche prima di lasciare il Paese mercoledì, dichiarando che il disegno di legge sull’annessione «non è qualcosa che appoggeremmo».   «Riteniamo che possa rappresentare una minaccia per l’accordo di pace», ha detto Rubio, in linea con la promozione della pace in Medio Oriente sostenuta ripetutamente da Trump. «Potrebbe rivelarsi controproducente». Vance ha ribadito che «la Cisgiordania non sarà annessa da Israele» e che l’amministrazione Trump «non ne è stata affatto soddisfatta», sottolineando la posizione ufficiale.   Vance, considerato il favorito per la prossima candidatura presidenziale repubblicana dopo Trump, probabilmente ricorderà questo episodio come un momento frustrante e forse irrispettoso, specialmente in un contesto in cui la destra americana appare sempre più divisa sulla politica verso Israele.   Si dice che il primo ministro Netanyahu non sia favorevole a spingere per un programma di sovranità, guidato principalmente da politici oltranzisti legati ai coloni. In una recente dichiarazione, il Likud ha definito il voto «un’ulteriore provocazione dell’opposizione volta a compromettere i nostri rapporti con gli Stati Uniti».   «La vera sovranità non si ottiene con una legge appariscente, ma con un lavoro concreto sul campo», ha sostenuto il partito.   Tuttavia, è stata la reazione di Vance a risultare la più veemente, definendo il voto una «stupida trovata politica» e un «insulto», aggiungendo che, pur essendo una mossa «solo simbolica», è stata «strana», specialmente perché avvenuta durante la sua presenza in Israele.   Come riportato da Renovatio 21, Trump ha minacciato di togliere tutti i fondi ad Israele in caso di annessione da parte dello Stato Giudaico della West Bank, che gli israeliani chiamano «Giudea e Samaria».  

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Trump minaccia di togliere i fondi a Israele se annette la Cisgiordania

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Israele «perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti» in caso di annessione della Giudea e della Samaria, nome con cui lo Stato Ebraico chiama la Cisgiordania, ha detto il presidente USA Donald Trump.

 

Trump ha replicato a un disegno di legge controverso presentato da esponenti dell’opposizione di destra alla Knesset, il parlamento israeliano, che prevede l’annessione del territorio conteso come reazione al terrorismo palestinese.

 

Il primo ministro Benjamin Netanyahu, sostenitore degli insediamenti ebraici in quell’area, si oppone al provvedimento, poiché rischierebbe di allontanare gli Stati arabi e musulmani aderenti agli Accordi di Abramo e al cessate il fuoco di Gaza.

 

Netanyahu ha criticato aspramente il disegno di legge, accusando i promotori di opposizione di una «provocazione» deliberata in concomitanza con la visita del vicepresidente statunitense J.D. Vance. (Lo stesso Vance ha qualificato il disegno di legge come un «insulto» personale)

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«I commenti pubblicati giovedì dalla rivista TIME sono stati espressi da Trump durante un’intervista del 15 ottobre, prima dell’approvazione preliminare alla Knesset di mercoledì – contro il volere del primo ministro – di un disegno di legge che estenderebbe la sovranità israeliana a tutti gli insediamenti della Cisgiordania» ha scritto il quotidiano israeliano Times of Israel.

 

Evidenziando l’impazienza dell’amministrazione verso tali iniziative, il vicepresidente di Trump, J.D. Vance, ha dichiarato giovedì, lasciando Israele, che il voto del giorno precedente lo aveva «offeso» ed era stato «molto stupido».

 

«Non accadrà. Non accadrà», ha affermato Trump a TIME, in riferimento all’annessione. «Non accadrà perché ho dato la mia parola ai Paesi arabi. E non potete farlo ora. Abbiamo avuto un grande sostegno arabo. Non accadrà perché ho dato la mia parola ai paesi arabi. Non accadrà. Israele perderebbe tutto il sostegno degli Stati Uniti se ciò accadesse».

 

Vance ha precisato che gli era stato descritto come una «trovata politica» e «puramente simbolica», ma ha aggiunto: «Si tratta di una trovata politica molto stupida, e personalmente la considero un insulto».

 

Gli Emirati Arabi Uniti, che hanno guidato i Paesi arabi e musulmani negli Accordi di Abramo, si oppongono da tempo all’annessione della Cisgiordania, sostenendo che renderebbe vani i futuri negoziati di pace nella regione.

 

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Geopolitica

Sanzioni sul petrolio, Trump ora è «completamente sul piede di guerra con la Russia»: parla Medvedev

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L’ex presidente della Federazione Russa Dmitrij Medvedevha qualificato le recenti sanzioni imposte dal presidente Donald Trump ai colossi petroliferi russi come un «atto di guerra» che colloca gli Stati Uniti in aperta ostilità con Mosca.   «Gli Stati Uniti sono nostri nemici, e il loro chiacchierone “pacificatore” ha ormai intrapreso la via della guerra contro la Russia», ha affermato Medvedev, alto esponente della sicurezza nazionale russa. «Le decisioni adottate rappresentano un atto di guerra contro la Russia. E ora Trump si è completamente allineato con l’Europa folle», ha precisato nella sua dichiarazione.   Rosneft e Lukoil, le principali compagnie petrolifere russe, sono state bersaglio delle sanzioni del Tesoro statunitense, unitamente a decine di loro filiali, con un conseguente rialzo del 3% dei prezzi mondiali del petrolio giovedì. Ulteriori effetti si sono riverberati sull’India, primo importatore di greggio russo, che sta considerando una contrazione dei propri acquisti.

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Trump ha ripetutamente sostenuto che «la guerra non sarebbe mai dovuta iniziare» e che le responsabilità ricadono su Joe Biden, ma Medvedev ha criticato anche il leader repubblicano su questo punto, secondo i media statali russi.   Medvedev ha ipotizzato che Trump sia stato influenzato da falchi interni e internazionali a irrigidirsi, piuttosto che da una convinzione ideologica come per il suo predecessore Biden. «Ma ora è il suo conflitto», ha concluso, ribadendo che la Russia deve puntare al raggiungimento degli obiettivi militari anziché ai negoziati.   «Certo, diranno che non aveva scelta, che è stato costretto dal Congresso e così via», ha ammesso Medvedev nella dichiarazione. Tuttavia, non emergono indizi chiari che l’amministrazione Trump abbia esercitato pressioni concrete sul suo alleato Zelens’kyj per concedere cessioni territoriali sostanziali o per abbandonare definitivamente l’aspirazione all’adesione alla NATO. Al contrario, Trump ha autorizzato attacchi a lungo raggio sul suolo russo e ha persino approvato il supporto dei servizi segreti agli ucraini per colpire infrastrutture energetiche nel cuore del Paese.   Con queste escalation promosse da Trump, Medvedev asserisce che il presidente è in carico ormai il conflitto in atto, anche dopo che la Casa Bianca ha confermato l’annullamento del vertice di Budapest con Putin. «Non voglio che un incontro sia sprecato», aveva detto Trump all’inizio della settimana. «Non voglio buttare via tempo, quindi valuteremo cosa accadrà».   Anche il Cremlino aveva sottolineato che «serve una preparazione, una preparazione seria» prima di concretizzare un summit.

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