Geopolitica
Funzionario ucraino ammette di aver mentito sugli stupri di massa russi farsi inviare più armi. I 5 stelle, dice, ci sono cascati
Ljudmila Denisova, l’alto funzionario ucraino licenziato per aver diffuso informazioni errate ha ammesso di aver mentito sul fatto che i russi commettessero stupri di massa per convincere i Paesi occidentali a inviare più armi in Ucraina.
La Denisova, l’ex commissaria parlamentare ucraina per i diritti umani, è stata rimossa dalla sua posizione a seguito di un voto di sfiducia al parlamento ucraino, passato con un margine di 234 a 9.
Il membro della Verkhovna Rada (il parlamento di Kiev) Pavlo Frolov ha specificamente accusato Denisova di promuovere la disinformazione che «ha danneggiato solo l’Ucraina» in relazione ai numerosi dettagli di «reati sessuali innaturali» e «abusi sessuali su minori nei territori occupati, che non erano supportati da prove».
In un’intervista pubblicata da una testata giornalistica ucraina LB.ua, la Denisova ha ammesso che le sue falsità avevano raggiunto l’obiettivo prefissato.
«Quando, ad esempio, ho parlato al Parlamento italiano alla commissione per gli affari internazionali (…) Ho parlato di cose terribili per spingerli in qualche modo a prendere le decisioni di cui l’Ucraina e il popolo ucraino avevano bisogno».
La Denisova va nel dettaglio, osservando come il Movimento Cinque Stelle in Italia era originariamente «contro la fornitura di armi a noi, ma dopo il discorso, uno dei leader del partito (…) ha detto che ci sosterranno, anche fornendo armi».
In una conferenza stampa, ancora mostrata sul canale YouTube ucraino Ukrinform si può sentire la giornalista dell’Espresso Federica Bianchi affrontare vigorosamente la questione con l’interessata.
«Torno anch’io al caso del 25 donne, perché mi dispiace, ma oggi sono andato a Bucha per verificarlo e ancora ho incontrato anche il procuratore della regione ed egli ha detto che di non aver idea di questi 25 casi. Egli ha detto che lei ha inventato e fabbricato le informazioni e ha detto che sono stati effettivamente solo registrati tre casi di stupro» dice l’inviata italiana.
L’inviata del gruppo GEDI non ha avuto paura di elencare tutte le fonti che ha compulsato, senza trovare la minima traccia di una verifica possibile.
(Minuto 34:59)
«Poi ho parlato con altri giornalisti locali e anche loro hanno confermato questa versione. Poi ho chiesto a 15 agenti di polizia di mostrarmi dove si trova il seminterrato avrebbero dovuto aver luogo gli stupri: nessuno ha idea di questo seminterrato», dice la giornalista italiana.
«Onestamente a questo punto per credere a questa storia abbiamo bisogno di prove, perché senza alcuna prova senza alcuna prova mi sembra che ci siano più parole che realtà, e io sono una donna e capisco cosa significhi essere violentata, ma penso che abbiamo ancora bisogno di prove solide per poter scrivere e segnalare un’informazione come questa».
La Denisova in quel caso si rifugia nella giustificazione che le donne stuprate non vogliono parlare, e loro non possono forzarle: un po’ come alla festa degli Alpini a Rimini, centinaia di segnalazioni di molestie e poi neanche una manciata di denunce.
Come rileva Summit News, nonostante il fatto che le sue affermazioni sullo stupro di massa fossero false, sono state ripetutamente amplificate dai media tradizionali come la CNN e il Washington Post.
La quantità di menzogne uscite dai ministeri di Kiev in questi mesi è senza precedenti.
Per fortuna, qualcuno se ne sta accorgendo.
Immagine di Yaruna21 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)
Geopolitica
Tulsi Gabbard: a strategia statunitense del «cambio di regime» è finita
Il capo dell’Intelligence statunitense Tulsi Gabbard ha riconosciuto la storia di cambi di regime di Washington, ma ha affermato che questa è terminata sotto la presidenza di Donald Trump, nonostante le sue recenti dichiarazioni sull’Iran e le accuse sul Venezuela.
Gli Stati Uniti sono da tempo criticati per aver perseguito politiche volte a rovesciare i governi con il pretesto di promuovere la democrazia o proteggere gli interessi nazionali, dall’Iraq del 2003 e dalla Libia del 2011 al sostegno a «rivoluzioni colorate» come il colpo di Stato di Maidan in Ucraina del 2014. Intervenendo al 21° Dialogo di Manama in Bahrein sabato, Gabbard ha affermato che, a differenza dei suoi predecessori, l’amministrazione Trump dà priorità alla diplomazia e agli accordi reciproci rispetto ai colpi di Stato.
«Il vecchio modo di pensare di Washington è qualcosa che speriamo sia ormai un ricordo del passato e che ci ha frenato per troppo tempo: per decenni, la nostra politica estera è rimasta intrappolata in un ciclo controproducente e senza fine di cambi di regime o di costruzione di nazioni», ha affermato, descrivendolo come un «approccio unico per tutti» per rovesciare regimi, imporre modelli di governance statunitensi e intervenire in conflitti «poco compresi», solo per «andarsene con più nemici che alleati».
La Gabbard ha affermato che la strategia ha prosciugato migliaia di miliardi di dollari dei contribuenti statunitensi, è costata innumerevoli vite e ha alimentato nuove minacce alla sicurezza, ma ha osservato che Trump è stato eletto «per porre fine a tutto questo».
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«E fin dal primo giorno, ha mostrato un modo molto diverso di condurre la politica estera, pragmatico e orientato agli accordi», ha affermato la Gabbarda. «Ecco come si manifesta in pratica la politica America First del presidente Trump: costruire la pace attraverso la diplomazia».
Fin dal suo insediamento all’inizio del 2025, Trump si è ripetutamente descritto come un pacificatore globale, vantandosi di aver mediato accordi internazionali e affermando di meritare il Premio Nobel per la Pace. I critici, tuttavia, sostengono che le sue campagne di pressione su Venezuela e Iran rispecchino la strategia di Washington per un cambio di regime.
Il mese scorso Caracas ha accusato gli Stati Uniti di aver pianificato un colpo di stato contro il presidente Nicolas Maduro con il pretesto della campagna antidroga in corso al largo delle coste del Paese.
Lo stesso Trump ha accennato a un «cambio di regime» in Iran dopo gli attacchi statunitensi di giugno, scrivendo su Truth Social: «Perché non dovrebbe esserci un cambio di regime???».
Teheran, che da tempo accusa Washington di cercare di destabilizzarla attraverso sanzioni e azioni segrete, ha denunciato gli attacchi come prova dei rinnovati tentativi di indebolire il suo governo.
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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic
Geopolitica
«Boicottate Dubai»: campagna contro gli Emirati per «complicità» nei massacri in Darfur
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Geopolitica
Il Venezuela chiede aiuti militari a Russia, Cina e Iran
Il Venezuela ha sollecitato l’aiuto di Russia, Cina e Iran per potenziare le proprie difese militari nell’ambito dell’attuale tensione con gli Stati Uniti, ha riferito venerdì il Washington Post citando documenti governativi USA.
Stando al giornale, il presidente Nicolas Maduro ha indirizzato una lettera al leader cinese Xi Jinping per ottenere radar di rilevamento, invocando esplicitamente l’«escalation» con Washington. Caracas avrebbe inoltre chiesto all’Iran sistemi anti-radar e droni con autonomia fino a 1.000 km.
I documenti indicano che il ministro dei Trasporti venezuelano Ramón Celestino Velázquez avrebbe dovuto recapitare a Vladimir Putin, durante la sua visita a Mosca il mese scorso, una missiva con la richiesta di missili non meglio specificati e supporto per la manutenzione dei caccia Su-30MK2 e dei radar già acquisiti. Non è noto quale risposta abbiano dato Russia, Cina o Iran.
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Donald Trump ha accusato Maduro di capeggiare «cartelli macroterroristici» dediti al traffico di droga verso gli USA, offrendo una taglia per la sua cattura. Washington ha dispiegato una flotta nei Caraibi occidentali e, da settembre, ha colpito in acque internazionali oltre una dozzina di imbarcazioni sospette. Maduro ha respinto le imputazioni, parlando di «guerra inventata» da Trump.
Lunedì Mosca ha ratificato il trattato di partenariato strategico con Caracas, siglato a maggio. La portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha dichiarato che la Russia «sostiene la sovranità nazionale del Venezuela» e lo assisterà nel «superare qualsiasi minaccia, da qualunque parte provenga».
Un articolo del New York Times riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.
Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.
Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, gli Stati Uniti hanno inviato almeno otto navi della Marina, un sottomarino d’attacco e circa 4.000 soldati vicino alla costa venezuelana, dichiarando che la missione mirava a contrastare i cartelli della droga. Washington ha sostenuto che l’armata ha affondato tre imbarcazioni venezuelane, senza però fornire prove che le persone a bordo fossero criminali.
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La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Caracas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.
Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.
Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.
Nelle scorse settimane perfino l’account YouTube di Maduro è stato rimosso da YouTube.
Secondo notizie emerse negli ultimi giorni Trump punterebbe ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela.
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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
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