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Geopolitica

Funzionario israeliano afferma che gli USA stanno cercando di rovesciare Netanyahu

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Dopo che una valutazione dell’intelligence statunitense ha concluso che il governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è vulnerabile, un alto funzionario israeliano ha suggerito che Washington stia tentando di rovesciare il governo di guerra di Tel Aviv. lo riporta il quotidiano israeliano Jerusalem Post.

 

Secondo quanto riportato, il presidente americano Joe Biden sarebbe divenuto molto critico del premier israeliano Netanyahu. Tuttavia, la Casa Bianca starebbe cercando di distinguere tra il sostegno a Israele e al suo leader, e l’amministrazione USA afferma che non ridurrà il sostegno a Tel Aviv.

 

In un commento al giornale gerosolomitano, in alto funzionario israeliano ha criticato l’amministrazione Biden dicendo: «ci aspettiamo che i nostri amici agiscano per rovesciare il regime terroristico di Hamas e non il governo eletto in Israele» e aggiungendo che «i cittadini israeliani, e nessun altro, eleggono il primo ministro. Israele non è un protettorato degli Stati Uniti ma un paese indipendente e democratico i cui cittadini sono quelli che scelgono il governo».

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La dichiarazione fa seguito alla «valutazione della minaccia» annuale compilata dalle agenzie di Intelligence statunitensi, pubblicata lo scorso lunedì. Il rapporto dello spionaggio USA mette in dubbio la presa del potere di Netanyahu.

 

«La vitalità di Netanyahu come leader, così come la sua coalizione di governo composta da partiti di estrema destra e ultraortodossi che hanno perseguito politiche intransigenti sulle questioni palestinesi e di sicurezza, potrebbero essere in pericolo» scrive la valutazione dell’Intelligence americana. «La sfiducia nella capacità di Netanyahu di governare si è approfondita e ampliata tra l’opinione pubblica rispetto ai livelli già elevati prima della guerra, e ci aspettiamo grandi proteste che chiedono le sue dimissioni e nuove elezioni. Un governo diverso e più moderato è una possibilità».

 

Tuttavia, anche se Netanyahu potrebbe non essere personalmente popolare tra gli israeliani, le sue politiche lo sono.

 

«Gli israeliani mostrano ripetutamente un livello storicamente basso di fiducia nel primo ministro, mentre il sostegno al suo partito Likud continua a diminuire», ha scritto Ksenia Svetlova per il Consiglio Atlantico. «Allo stesso tempo, è anche chiaro che l’opinione pubblica in Israele sostiene le politiche di Netanyahu… circa due terzi (63%) dell’opinione pubblica ebraica non sostiene che Israele accetti in linea di principio uno Stato palestinese indipendente e smilitarizzato».

 

Tali sviluppi seguono le esternazioni ufficiali del leader della maggioranza al Senato americano, il senatore democratico Charles Schumer, il quale ha di fatto «sfiduciato» il primo ministro dello Stato Ebraico.

SCHUMER DICE CHE IL PRIMO MINISTRO ISRAELIANO NETANYAHU È UN “GRANDE OSTACOLO ALLA PACE” CHE SI È “TROPPO FREQUENTEMENTE PIEGATO ALLE RICHIESTE DEGLI ESTREMISTI”

 

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«Il leader della maggioranza al Senato Charles E. Schumer chiederà al governo israeliano di indire nuove elezioni in un discorso avvertendo che Israele rischia di diventare un “paria” internazionale sotto la guida del primo ministro Benjamin Netanyahu e del suo gabinetto di destra» ha scritto il Washington Post.

 

Mentre Biden ha dovuto affrontare crescenti critiche da parte dei democratici per il suo sostegno incondizionato a Israele, la Casa Bianca ha tentato di distinguere il sostegno a Israele e Netanyahu. La scorsa settimana Biden ha criticato più volte Netanyahu, dicendo che avrebbe voluto avere un incontro risolutivo con il leader dello Stato ebraico.

 

 

Sabato, in un’intervista con MSNBC, Biden ha accusato Netanyahu di «ferire Israele», mentre il sito Axios ha riferito che la Casa Bianca sarebbe «frustrata» per l’«ingratitudine» del Primo Ministro di Israele.

 

Tuttavia, anche se Netanyahu rimanesse primo ministro e violasse le linee rosse di Biden, l’amministrazione afferma che non fermerà i trasferimenti di armi a Tel Aviv, riporta Zerohedge.

 

Durante le proteste massive anti-Netanyahu di un anno fa – una vera rivolta contro la riforma giudiziaria ad opera del governo più di destra e religiosamente estremista della storia dello Stato degli ebrei – circolò con insistenza la voce che vi fosse la mano americana dietro al caos. Trapelarono quindi, piuttosto oscuramente, documenti americani che indicavano nel Mossad la guida della protesta contro il governo in carica.

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Come riportato da Renovatio 21, molti segni facevano proprio pensare che in Israele fosse in corso una «rivoluzione colorata» del tipo utilizzato dagli americani (con l’aiuto, in genere persistente, di George Soros e delle sue fondazioni «filantropiche») i per i tentativi di regime change in Paesi di tutto il mondo a cavallo tra gli anni Novanta e i 2000.

 

Possiamo solo ipotizzare che Netanyahu, un sabra (ebreo nato in Israele) cresciuto negli USA, sia obiettivo di un tentativo di defenestrazione forse per i suoi rapporti intensi avuti con Putin nel corso dei decenni di premierato, in previsione di una guerra con Mosca che potrebbe presto divenire totale. L’appoggio di Israele a Kiev è stato altalenante, con rifiuti, pur sotto la pressione di Washington, di fornire gli ucraini di armi, comprese quelle cibernetiche.

 

L’appoggio profondo degli USA a Israele tuttavia non sembra ancora vacillare. A dicembre presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha espresso il suo impegno «incrollabile» per la sicurezza di Israele durante un ricevimento alla Casa Bianca lunedì, in occasione della festa ebraica di Hanukkah, promettendo un continuo sostegno militare allo Stato Ebraico nel conflitto contro Hamas e dichiarando solennemente: «sono un sionista».

 

Il sionismo ha avuto diverse declinazioni ideologiche, tutte però con la costante del ritorno e del possesso del Paese «ancestrale»: tra i vari tipi di sionismo, è possibile elencare il sionismo politico, il sionismo liberale , il sionismo operaio, il sionismo culturale, il sionismo religioso e il sionismo revisionista, quello cui appartiene il padre di Netanyahu, studioso nonché assistente dell’ammiratore di Mussolini Ze’ev Zabotinsky.

 

I sostenitori del sionismo lo vedono come un movimento di liberazione nazionale per il rimpatrio di un popolo indigeno (che era soggetto a persecuzione e condivideva un’identità nazionale attraverso la coscienza nazionale), nella patria dei suoi antenati, rivendicando la storia antica. I critici del sionismo invece lo vedono come un’ideologia o movimento colonialista, razzista, o eccezionalista, accusando i sionisti di «suprematismo ebraico».

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Geopolitica

La Von der Leyen lancia un ultimatum alla Serbia

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La Serbia non potrà entrare nell’UE senza un pieno allineamento alla politica estera del blocco, incluse tutte le sanzioni contro la Russia, ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.   La Serbia, che ha richiesto l’adesione all’UE nel 2009 e ha ottenuto lo status di paese candidato nel 2012, è tra i pochi stati europei a non aver imposto restrizioni a Mosca. Belgrado ha sottolineato i suoi storici legami con la Russia e la dipendenza dalle sue forniture energetiche.   Mercoledì, durante una conferenza stampa a Belgrado accanto al presidente serbo Aleksandar Vucic, von der Leyen ha ribadito che la Serbia deve compiere «passi concreti» verso l’adesione e mostrare un «maggiore allineamento» con le posizioni dell’UE, incluse le sanzioni, evidenziando che l’attuale livello di conformità della Serbia alla politica estera dell’UE è del 61%, ma ha insistito che «serve fare di più», sottolineando il desiderio di Bruxelles di vedere Belgrado come un «partner affidabile».

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Vucic ha più volte dichiarato che la Serbia non imporrà sanzioni alla Russia, definendo la sua posizione «indipendente e sovrana». Tuttavia, il rifiuto di Belgrado ha attirato crescenti pressioni da parte di Bruxelles e Washington.   La settimana scorsa, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alla Petroleum Industry of Serbia (NIS), parzialmente controllata dalla russa Gazprom Neft, spingendo la Croazia a interrompere le forniture di greggio. Vucic ha avvertito che tali misure potrebbero portare alla chiusura dell’unica raffineria petrolifera serba entro novembre, mettendo a rischio l’approvvigionamento di benzina e carburante per aerei.   Come riportato da Renovatio 21proteste sempre più violente si susseguono nel Paese, che Belgrado attribuisce a influenze occidentali volte a destabilizzare il governo.   Le proteste hanno già portato alle dimissioni del primo ministro Milos Vucevic e all’arresto di diversi funzionari, tra cui un ex ministro del Commercio, con l’accusa di corruzione.   Il presidente Aleksandar Vucic ha affermato che i disordini sono stati fomentati dall’estero e ha denunciato quella che ha definito «violenza mascherata da attivismo»: «mancano pochi giorni prima che inizino a uccidere per le strade» aveva detto lo scorso agosto davanti all’ennesima ondata di proteste violente.   Come riportato da Renovatio 21, le grandi manifestazioni contro Vucic di marzo erano seguite la visita pubblica del figlio del presidente USA Don Trump jr. al premier di Belgrado.

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Come riportato da Renovatio 21, lo scorso mese il servizio di Intelligence estero russo (SVR) ha sostenuto che l’UE starebbe cercando di orchestrare un «Maidan serbo» per insediare un governo filo-Bruxelles. Belgrado nel dicembre 2023 produsse evidenti segni di «maidanizzazione» in corso. Già allora presidente serbo accusò le potenze occidentali di tentare di «ricattare» la Serbia affinché sostenga le sanzioni e di tentare di orchestrare una «rivoluzione colorata» – una sorta di Maidan belgradese –contro il suo governo a dicembre.   Vucic giorni fa ha accusato le potenze occidentali di aver cercato di orchestrare il suo rovesciamento. In un’intervista su Pink TV trasmessa lunedì, il presidente serbo aveva affermato che le «potenze straniere» hanno speso circa 3 miliardi di euro nell’ultimo decennio nel tentativo di estrometterlo dal potere.   Come riportato da Renovatio 21, il ministro degli Esteri Pietro Szijjarto ha dichiarato che l’Unione Europea sta tentando di rovesciare i governi di Ungheria, Slovacchia e Serbia perché danno priorità agli interessi nazionali rispetto all’allineamento con Bruxelles.

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Pakistan e Afghanistan concordano il cessate il fuoco

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Afghanistan e Pakistan hanno dichiarato un cessate il fuoco temporaneo, mettendo fine agli scontri iniziati mercoledì mattina tra le loro forze. Più di una dozzina di civili sono stati uccisi nell’ultimo conflitto armato tra i due paesi vicini.

 

Il ministero degli Esteri pakistano ha comunicato, alcune ore dopo lo scontro, che Kabul e Islamabad hanno concordato una tregua di 48 ore, con inizio alle 18:00 ora locale di mercoledì.

 

Nella sua nota, il ministero ha sottolineato che entrambe le parti «si impegneranno sinceramente attraverso il dialogo per trovare una soluzione positiva ai loro problemi complessi ma risolvibili».

 

In precedenza, il portavoce dei talebani afghani Zabihullah Mujahid aveva scritto su X che le forze pakistane avevano avviato un attacco, utilizzando «armi leggere e pesanti», causando la morte di 12 civili e il ferimento di oltre 100 persone.

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Il portavoce aggiunto che le forze afghane hanno risposto al fuoco, uccidendo un «gran numero» di soldati, confiscando armi e carri armati pakistani e distruggendo installazioni militari.

 

Ali Mohammad Haqmal, portavoce del distretto di Spin Boldak, in Afghanistan, luogo dello scontro, ha stimato che le vittime civili siano state 15. Secondo l’AFP, un funzionario dell’ospedale locale ha riferito che tra i feriti ci sarebbero 80 donne e bambini.

 

Islamabad ha definito le accuse «oltraggiose» e «palesi menzogne», sostenendo che i talebani afghani abbiano iniziato le ostilità attaccando una postazione militare pakistana e altre aree vicino al confine. L’esercito pakistano ha dichiarato di aver respinto l’assalto, uccidendo 37 combattenti talebani in due operazioni distinte.

 

Secondo l’agenzia Reuters, che cita fonti di sicurezza anonime, lo scontro sarebbe durato circa cinque ore.

 

Il conflitto segue un’escalation di scontri avvenuta nel fine settimana, durante la quale Afghanistan e Pakistan si sono accusati a vicenda per le vittime. I talebani hanno affermato di aver ucciso 58 soldati pakistani, mentre Islamabad ha dichiarato di aver conquistato 19 posti di frontiera afghani.

 

Le tensioni transfrontaliere tra Afghanistan e Pakistan sono aumentate negli ultimi anni, con entrambe le parti che si accusano ripetutamente di ospitare militanti.

 

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Geopolitica

Israele accusa Hamas di aver restituito il corpo sbagliato

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Uno dei corpi restituiti martedì da Hamas non appartiene a nessuno degli ostaggi tenuti prigionieri dal gruppo armato palestinese a Gaza, hanno affermato le Forze di difesa israeliane (IDF).   Lunedì Hamas ha liberato gli ultimi 20 ostaggi israeliani ancora in vita in cambio del rilascio di quasi 2.000 prigionieri palestinesi, nell’ambito di un accordo mediato da Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia. Martedì, il gruppo ha iniziato a consegnare i cadaveri dei prigionieri deceduti a Israele, restituendone sette in due lotti tramite la Croce Rossa.   Tuttavia, le IDF hanno dichiarato mercoledì in una dichiarazione su X che un esame presso l’istituto forense Abu Kabir ha rivelato che uno dei quattro corpi del secondo lotto «non appartiene a nessuno degli ostaggi». Si ritiene che i resti appartengano a un palestinese, hanno aggiunto.     Gli altri tre corpi sono stati confermati come appartenenti ai prigionieri. Sono stati identificati come il sergente maggiore Tamir Nimrodi, 18 anni, Uriel Baruch, 35 anni, ed Eitan Levy, 53 anni, si legge nel comunicato.   Il capo di stato maggiore delle IDF, tenente generale Eyal Zamir, ha dichiarato in precedenza che Israele «non avrà pace finché non restituiremo tutti [gli ostaggi]. Questo è il nostro dovere morale, nazionale ed ebraico». Hamas detiene ancora i corpi di 21 prigionieri deceduti.   Questa settimana, rifugiati palestinesi e combattenti di Hamas sono tornati a Gaza City e in altre aree dell’enclave, dopo il ritiro parziale delle forze dell’IDF, in linea con l’accordo. A Gaza sono stati segnalati scontri sporadici tra Hamas e fazioni rivali.  

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