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Geopolitica

Elezioni in Turchia, Erdogan prevale ma si andrà al ballottaggio

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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è rivolto a un’enorme folla di sostenitori dal balcone del quartier generale del suo partito ad Ankara stamattina presto, dopo la fine delle votazioni per le elezioni presidenziali e parlamentari del Paese.

 

Il presidente in carica ha dichiarato di credere di vincere un nuovo mandato al primo turno, ma a differenza dei suoi avversari, aspetterà che i risultati finali vengano annunciati ufficialmente.

 

«Riteniamo di poter superare il 50% in questo round», ha detto Erdogan in un discorso poco dopo le 2 del mattino, pur riconoscendo che «i risultati delle votazioni sia nazionali che estere richiederanno tempo per arrivare».

 

«Ma ovviamente non siamo come quelli che cercano di ingannare la nazione… creando un’immagine in cui sono molto indietro ma dicendo che erano avanti», ha aggiunto.

 

«Non sappiamo ancora se le elezioni si sono concluse al primo turno… Se la nostra nazione ha scelto per un secondo turno, anche questo è il benvenuto», ha affermato, affermando che «durante tutta la nostra vita politica, senza eccezioni, abbiamo sempre rispettato la decisione della volontà nazionale».

 

Alle 3 del mattino, il capo del Consiglio elettorale supremo, Ahmet Yener, ha confermato che con oltre il 91% dei voti contati, il voto inizialmente favorevole di Erdogan era sceso al 49,49% – al di sotto della maggioranza necessaria per evitare un ballottaggio – mentre il suo principale rivale, Kemal Kilicdaroglu del Partito popolare repubblicano (CHP), aveva il 44,49%.

 

Kilicdaroglu ha accusato il Partito per la giustizia e lo sviluppo (AK) al governo di aver bloccato e «bloccato la volontà della Turchia» chiedendo riconteggi. Anche il candidato outsider, Sinan Ogan, è intervenuto affermando che il suo campo ha «sentito che alcune manipolazioni vengono effettuate nei processi di conteggio dei voti all’estero».

 

L’autorità elettorale deve ancora finalizzare il conteggio e annunciare i risultati ufficiali. Mentre la maggior parte dei voti nazionali è già stata conteggiata, quasi il 30% dei voti espressi al di fuori del paese deve ancora essere conteggiato, ha aggiunto Yener stamattina presto.

 

La ripartizione può anche cambiare a seconda di come l’organo elettorale gestisce i voti espressi per un candidato che si era ritirato dalla corsa ma ha comunque ricevuto circa lo 0,5%. Se nessun candidato ottiene almeno la metà dei voti, il ballottaggio si terrà il 28 maggio.

 

Una vittoria di Kilicdaroglu cambierebbe equilibri nazionali e forse mondiali: lo sfidante, infatti, non contempla avvicinamenti con la Russia come quelli fatti, in maniera pur rapsodica e con bassi davvero considerevoli, da Erdogan negli ultimi anni – ricordando sempre che la Turchia è un Paese NATO. Tuttavia, secondo il vicecapo del Partito Patriottico di Turchia Ethem Sancak, la Turchia potrebbe lasciare la NATO a brevissimo.

 

Come riportato da Renovatio 21, in piena campagna elettorale l’Erdogan aveva dichiarato che era stato eliminato dai servizi segreti turchi del MIT il nuovo califfo ISIS. Alcuni osservatori, ad ogni modo, avevano notato che per la tornata elettorale la piattaforma del presidente si è avvicinata a quella dell’estremismo islamico. Istanbul sei mesi fa aveva subito un attentato subito attribuito al PKK, il Partito dei Lavoratori Curdi.

 

L’economia turca ha vissuto mesi di crollo continuo e inflazione impazzita, tuttavia il clan Erdogan fa affari d’oro, non solo con i droni militari (che vende anche in Ucraina) ma anche con l’Azerbaigian coinvolto nella lotta contro il nemico armeno in Nagorno-Karabakh – Baku gode come noto dell’appoggio totale di Ankara. Negli anni scorsi Erdogan aveva partecipato alla «conversione» della Chiesa di Santa Sofia in Costantinopoli in Moschea.

 

È anche noto, e riguarda gli interessi italiani, il ruolo preso dalla Turchia erdoganiana a sostegno delle forze libiche di Tripoli.

 

La dottrina sognata da Erdogan sarebbe il panturanismo, ossia l’unione di tutte le genti turche dal Mediterraneo alla Mongolia – un’ideologia professata da alcune organizzazioni di supremazia turca come i Lupi Grigi, cui apparteneva l’attentatore di Giovanni Paolo II Mehmet Ali Agca.

 

Tuttavia, i rapporti con alcuni Stati del Centrasia, dove Ankara deve competere con Mosca, non sono ai massimi.

 

Secondo alcune analisi, Erdogan non punterebbe più a divere «sultano», restaurando il prestigio e il peso politico della Turchia del Mondo, ma «califfo». Di qui il rapporto saldato tra Erdogan e la Fratellanza Musulmana, organizzazione fondamentalista invisa alle monarchie del Golfo e all’Egitto..

 

 

 

 

 

 

Immagine di Astro medya Org. Ltd. ŞTİ. via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)

 

 

 

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Geopolitica

Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»

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Un’effigie raffigurante il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stata avvistata appesa a una gru edile nel Nord-Est della Turchia, suscitando forte indignazione in Israele.

 

Secondo la stampa turca, l’episodio si è verificato sabato in un cantiere nella città di Trebisonda, sul Mar Nero. L’iniziativa sarebbe stata organizzata da Kemal Saglam, docente di comunicazione visiva presso un’università locale. Saglam ha dichiarato ai media turchi che il gesto aveva un intento simbolico, volto a denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza.

 

Le immagini, diffuse viralmente e riportate anche dal quotidiano turco Yeni Safak, mostrano la figura sospesa alla gru, accompagnata da uno striscione con la scritta: «Pena di morte per Netanyahu».

 

Il ministero degli Esteri israeliano, tramite un post su X, ha condiviso un video dell’incidente, accusando un accademico turco di aver creato l’effigie «con il fiero sostegno di un’azienda statale». Il ministero ha condannato l’atto, sottolineando che «le autorità turche non hanno denunciato questo comportamento scandaloso».

 

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Le autorità turche non hanno ancora fornito una risposta ufficiale.

 

I rapporti diplomatici tra Israele e Turchia sono tesi da anni e si sono ulteriormente deteriorati dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato Netanyahu di aver commesso un «genocidio» a Gaza.

 

La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.

 

Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.

 

Come riportato da Renovatio 21, i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.

 

Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.

 

La Turchia ha avuto un ruolo attivo nei recenti negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, con diversi rapporti che indicano come l’influenza di Ankara su Hamas abbia facilitato il rilascio degli ostaggi nell’ambito del piano in 20 punti del presidente statunitense Donald Trump.

 

Venerdì, Erdogan ha dichiarato alla stampa che gli Stati Uniti dovrebbero intensificare le pressioni su Israele, anche attraverso sanzioni e divieti sulla vendita di armi, per garantire il rispetto degli impegni presi nel piano di Trump.

 

Domenica, Netanyahu ha annunciato che Israele deciderà quali forze straniere potranno partecipare alla missione internazionale proposta per Gaza, prevista dal piano di Trump per garantire il cessate il fuoco. La settimana precedente, aveva lasciato intendere che si sarebbe opposto a qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza turche a Gaza.

 

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Immagine screenshot da Twitter; modificata

 

 

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Droga

Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela

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Il presidente statunitense Donald Trump sta esaminando proposte per operazioni militari americane contro presunte «strutture per la produzione di cocaina» e altri bersagli legati al narcotraffico all’interno del Venezuela. Lo riporta la CNN, che cita fonti anonime.   Due funzionari non identificati hanno dichiarato alla rete che Trump non ha scartato l’ipotesi di un negoziato diplomatico con Nicolás Maduro, nonostante recenti indicazioni secondo cui gli Stati Uniti avrebbero interrotto del tutto i colloqui con Caracas, mentre valutano una possibile campagna per destituire il leader venezuelano.   Tuttavia, una fonte della CNN ha precisato che «ci sono piani sul tavolo che il presidente sta esaminando» per azioni mirate all’interno del Venezuela. Un terzo funzionario ha indicato che l’amministrazione Trump sta considerando varie opzioni, ma al momento si concentra sulla «lotta alla droga in Venezuela».

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A giudizio di alcuni esponenti dell’amministrazione statunitense, una campagna antidroga nel Paese sudamericano potrebbe accrescere la pressione per un cambio di regime a Caracas. Trump ha pubblicamente smentito l’intenzione di rimuovere Maduro dal potere.   Nelle scorse settimane, le forze armate americane hanno condotto vari raid contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico e, secondo Washington, collegate al Venezuela, causando decine di vittime.     Giovedì, Trump – che aveva già confermato l’autorizzazione di operazioni della CIA in Venezuela – ha dichiarato che gli Stati Uniti potrebbero estendere la loro campagna antidroga dal mare alla terraferma, senza entrare in dettagli. Inoltre, la portaerei USS Gerald R. Ford è stata inviata nei Caraibi per sostenere l’operazione antidroga.   Maduro ha respinto ogni legame del suo governo con il traffico di stupefacenti, insinuando che gli Stati Uniti stiano usando le accuse come copertura per un cambio di regime. Dopo le notizie sul dispiegamento della portaerei, il presidente venezuelano ha accusato Washington di perseguire «una nuova guerra eterna».   Secondo un reportaggio del New York Times, Maduro stesso avrebbe proposto agli Stati Uniti significative concessioni economiche, inclusa la possibilità per le aziende americane di acquisire una quota rilevante nel settore petrolifero, durante negoziati segreti durati mesi. Tuttavia, Washington avrebbe rifiutato l’offerta, con il futuro politico del presidente Nicolas Maduro come principale ostacolo.   Un precedente articolo del quotidiano neoeboraceno riportava che Trump avesse ordinato l’interruzione dei colloqui con il Venezuela, «frustrato» dal rifiuto di Maduro di cedere volontariamente il potere. Il giornale suggeriva anche che gli Stati Uniti stessero pianificando una possibile escalation militare.   Nel frattempo, Maduro ha avvertito che il Venezuela entrerebbe in uno stato di «lotta armata» in caso di attacco, aumentando la prontezza militare in tutto il Paese.

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Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, gli Stati Uniti hanno inviato almeno otto navi della Marina, un sottomarino d’attacco e circa 4.000 soldati vicino alla costa venezuelana, dichiarando che la missione mirava a contrastare i cartelli della droga. Washington ha sostenuto che l’armata ha affondato tre imbarcazioni venezuelane, senza però fornire prove che le persone a bordo fossero criminali.   La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.   Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.   Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.

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Geopolitica

Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco

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Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.

 

Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.

 

Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.

 

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Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.

 

Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.

 

Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.

 

Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.

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