Pensiero
Darja, il pensiero contro il nulla

Il rogo che di notte, sotto il cielo di Mosca, si è portato via Darja Dughina ha legato, indissolubilmente, una figlia a suo padre. Li ha legati oltre il tempo e oltre lo spazio.
Padre e figlia saranno d’ora in avanti, nella memoria collettiva, una cosa sola. In vita e in morte di entrambi. E questo è un fatto.
Gli interpreti per caso, o per mestiere, della cronaca di sangue e di fuoco che ha fatto irruzione nella quotidianità estiva di masse per lo più irrimediabilmente stordite – o, in alternativa, assatanate a comando – hanno prospettato in sequenza tutto il ventaglio di possibili ipotesi sul destino del padre: l’obiettivo (mancato) era lui; l’obiettivo era anche lui; l’obiettivo era lei ma col fine indiretto di disintegrare lui. Giochi di specchi di vita e di morte, in cui qualche miserabile picchiatore di tasti è riuscito a sfoggiare, davvero, il peggio di sé.
C’è il piano fisico della vicenda, che appare tragica in modo quasi archetipico: dei mostri, programmati per annientare pensieri che è proibito pensare annientando fisicamente chi ne sia portatore, uccidono esseri umani con crudeltà sulfurea
E qui, il conflitto che si sta consumando in terra d’Ucraina, e intorno al quale orbitano sciacalli anglofoni e anglofili attratti dall’odore della morte (altrui), pare avere scatenato, senza confini, l’odio coltivato per decenni dentro vivai nutriti di ideologie antiumane come si nutre la prole col latte materno.
Oggi quell’odio radicato nel passato – conservato sottovuoto, alimentato con cura, infine rilasciato nell’aria – ha attecchito in ogni anfratto sociale alla velocità della luce, non trovando più alcuna diga né morale né, prima ancora, cognitiva. Campo libero alla barbarie planetaria, dunque, e siamo di ciò spettatori impietriti.
Ma c’è un altro piano, in cui agiscono altri tentacoli dello stesso mostro spietato. Nella società telematica, gli assassini democratici, oltre alle bombe più o meno umanitarie, hanno armi nuove nel loro arsenale: se c’è un universo dove si uccidono corpi, c’è un metaverso dove si cancellano idee.
Il chiasmo infernale di cui Dugin oggi è vittima illustre investe ambedue i territori: gli hanno ammazzato la figlia, gli vogliono ammazzare il pensiero. In fondo, il primo crimine è strumentale al secondo, che si consuma in modo incruento, ma punta al medesimo scopo.
Infatti su Amazon l’autore Aleksandr Dugin è diventato irreperibile, pur avendo pubblicato innumerevoli libri. L’impero lo ha obliterato dal cyberspazio e dal cybermercato.
La sua damnatio memoriae è, in certo senso, una pistola fumante: è la prova provata della priorità che muove la macchina da guerra neoliberista e vetero-totalitaria in marcia frenetica verso la pulizia etnica e la disinfestazione delle idee non conformi e delle anime vive.
Lo strapotere di questo apparato si manifesta nella cosiddetta «cultura della cancellazione», nata oltreoceano e da lì irradiata nelle colonie, nel cui nome ossimorico si abbattono monumenti, si eliminano pezzi di letteratura e fette di storia, si inghiottono profili, lavori e carriere nella spirale del silenzio. La promuovono i padroni del discorso globale, la praticano con tracotanza beota branchi di poveri gregari con la bocca piena di filastrocche – tolleranza, uguaglianza, inclusione e diritti – e la testa vuota di pensiero.
Questi due piani, quello reale e quello virtuale, non sono affatto separati. Discendono dalla stessa matrice di nichilismo assassino, e si compenetrano l’uno nell’altro. Chi non ha remore a distruggere i libri, la storia e le idee, non avrà remore a compiere stragi e sacrifici sull’altare del nulla.
Si aggirano per il mondo, e sono sempre di più, pupazzi fatti di niente, che inseguono il niente, proclamano il niente, impongono il niente.
Pensano di poter cancellare la realtà delle cose, di adulterarla a proprio capriccio (bambini in provetta, droghe sintetiche, cambi di sesso), di resettarla a mezzo imbrogli spettacolari e incantesimi diabolici, allestiti per violentare la natura, la sua logica intrinseca e il suo ordine sacro.
Oggi, a pochi giorni da quel rogo, nei canali di una informazione avvelenata si affollano dietrologie ossessive e cervellotiche dove non ci si può che smarrire; col risultato che, alla fine, nessuno crede più a nessuno.
L’unica cosa vera e comprensibile, alla portata di tutti, resta il dramma di una giovane donna ammazzata, di suo padre, e di una madre che soffre in silenzio e in disparte. Un dramma che, per tempi modi e circostanze, assume sulla scena globale la dimensione religiosa della tragedia antica e chiama tutti coloro che non abbiano perduto l’anima verso qualcosa che somiglia a una catarsi.
In questa come in tante altre immagini spaventose, sia vicine sia lontane, che vediamo scorrere ogni giorno nel nostro tempo di apocalisse si può leggere in filigrana un denominatore comune: è in corso sotto i nostri occhi la battaglia dell’uomo contro il nulla e il suo epicentro è l’Europa. Darja lo aveva capito fino in fondo.
Per l’uomo che voglia combatterla, la cifra di questa battaglia non può che essere il dolore, da assumere su di sé con la consapevolezza del suo profondo significato vitale.
Da figli di un Dio che è stato trafitto sul legno della Croce, per salvarci, siamo chiamati a credere di essere fatti per qualcosa di più grande di noi stessi: sotto questa luce, anche il sacrificio può essere fertile e può, per contraddizione solo apparente, celebrare la vita.
Elisabetta Frezza
Immagine da Katehon.com
Pensiero
Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.
L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.
Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.
Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.
Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.
Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.
Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.
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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.
Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.
Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.
Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.
Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.
I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.
Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».
Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.
Patrizia Fermani
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Pensiero
Putin: il futuro risiede nella «visione sovrana del mondo»

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Pensiero
La questione di Heidegger

Negli scorsi mesi è scoppiata sul quotidiano La Verità una bizzarra diatriba riguardo ad un pensatore finito purtroppo per essere centrale nel nostro panorama filosofico accademico, Martin Heidegger (1889-1976), già noto per la collaborazione con il nazismo e per l’adulterio consumato con la celebre ebrea Hannah Arendt, all’epoca sua studentessa, e da alcuni, per qualche ragione, considerato come un filosofo «cattolico».
Un articolista con fotina antica a nome Boni Castellane (supponiamo si chiami Bonifazio, ma lo si trova scritto così, con il diminutivo, immaginiamo) ha cominciato, con un pezzo importante, a magnificare le qualità dell’Heidegger lo scorso 17 agosto:«Omologati e schiavi della Tecnologia – Heidegger ci aveva visti in anticipo».
Giorni dopo, aveva risposto un duo di autori, tra cui Massimo Gandolfini, noto, oltre che la fotina con il sigaro, per aver guidato (per ragioni a noi sconosciute) eventi cattolici di odore vescovile, che come da programma non sono andati da nessuna parte, se non verso la narcosi della dissidenza rimasta e il compromesso cattolico. Sono seguite altri botta e risposta sul ruolo del «sacro» secondo l’Heideggerro e la sua incompatibilità con il cristianesimo.
Il Gandolfini e il suo sodale scrivono, non senza ragione, che «il dio a cui si riferisce Heidegger non è il nostro». Una verità non nota agli intellettuali cattolici che, in costante complesso di inferiorità nei confronti del mondo, hanno iniziato ad importare il pensatore tedesco dalle Università italiane – dove ha tracimato, dopo un progetto di inoculo sintetico non differente da quello avutosi con Nietzsche – per finire addirittura nei seminari.
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Il progetto, spiegava anni fa Gianni Collu al direttore di Renovatio 21, era del tutto identico a quello visto con Nietzsche, recuperato dall’ambito della cultura nazista, purgato nell’edizione Adelphi di Giorgio Colli e Mazzino Montinari – la cura dell’opera omnia nicciana arriva prima in italiano che in tedesco! – e servito alla massa del ceto medio riflessivo italiota, e mondiale, per distoglierlo dal marxismo e introdurre elementi di irrazionalismo e individualismo nichilista nella vita del popolo – di lì all’esoterismo di massa, il passo diventa brevissimo.
Con Heidegger si è tentato un lavoro simile, ma Collu aveva profetizzato allo scrivente che stavolta non avrebbe avuto successo, perché era troppo il peso del suo legame con l’hitlerismo, e troppa pure la cifra improponibile del suo pensiero. Di lì a poco, vi fu lo scandalo dei cosiddetti «Quaderni neri», scritti ritenuti inaccettabili che improvvisamente sarebbero riemersi – in verità, molti sapevano, ma il programma di heidegerizzare la cultura (compresa quella cattolica) imponeva di chiudere un occhio, si vede. Fu ad ogni modo divertente vedere lo stupore di autori e autrici che avevano dedicato una buona porzione della carriera allo Heidegger – specie se di origini ebraiche.
L’incompatibilità di Heidegger – portatore di una filosofia oscura e disperata – con il cattolicesimo è, comunque, totale. Di Heidegger non vanno solo segnalati i pericoli, va combattuto interamente il suo pensiero, che altro non è se non un ulteriore sforzo per eliminare la metafisica, e quindi ogni prospettiva non materiale – cioè spirituale – per l’uomo.
Molto vi sarebbe da dire sul personaggio, anche a partire dal suo dramma biografico. Lasciamo qui la parola al professor Matteo D’Amico, che ha trattato il tema dell’influenza di Heidegger nel mondo cattolico, e la difformità di questo personaggio e del suo pensiero, in un intervento al Convegno di studi di Rimini della Fraternità San Pio X nel 2017.
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Immagine di Landesarchiv Baden-Württemberg, Staatsarchiv Freiburg W 134 Nr. 060680b / Fotograf: Willy Pragher via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
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