Geopolitica
Dalla Thailandia alla Scandinavia, ecco gli schiavi del mirtillo
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nell’ultimo decennio oltre 110mila thailandesi sono partiti verso Svezia e Finlandia, attratti dalla promessa di salari elevati e buone condizioni di lavoro per trovarsi spesso invece sfruttati e intrappolati dal debito con gli intermediari. Una piaga su cui il governo di Bangkok non interviene per non perdere opportunità di lavoro e turisti europei.
Realtà consistente ma poco nota, sono molte migliaia i lavoratori che dalla Thailandia migrano stabilmente o periodicamente nei Paesi scandinavi per la raccolta di bacche, soprattutto mirtilli. Spesso ritrovandosi poi vittime di sfruttamento e abusi a 13mila chilometri da casa.
Si calcola che nell’ultimo decennio oltre 110mila cittadini thailandesi siano partiti soprattutto verso Svezia e Finlandia, attratti dalla promessa di salari elevati e buone condizioni di lavoro per trovarsi spesso sfruttati e intrappolati dal debito, lontani dalle famiglie, in regioni remote inserite in realtà a loro estranee.
Fonti di organizzazioni dedicate alla tutela dei lavoratori indicano come in 15 anni ai migranti siano stati sottratti dieci miliardi di baht (equivalenti a quasi 260 milioni di euro) a favore di intermediari senza scrupoli e dei produttori di bacche.
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Una realtà passata perlopiù sotto silenzio nell’opinione pubblica del Paese di partenza e in quelli di arrivo, che si è aggravata ulteriormente da quando, dopo il tentativo dei produttori di «importare» manodopera cinese e vietnamita naufragato per la reazione dei governi. Hanno così ripreso a «privilegiare» i thailandesi, maggiormente manipolabili per le scarse tutele, le forti necessità e anche per le pressioni che abitualmente spingono molte famiglie, soprattutto nelle aree agricole del Nord-Est, a indebitarsi e a lasciarsi convincere a migrare senza adeguate garanzie, con il miraggio di compensi attorno ai 2.000 euro mensili.
Una necessità e un sogno sfruttati in molti casi da organizzazioni e da procacciatori sul territorio che legano i migranti nella trappola del debito convincendoli a sborsare in anticipo forti somme anticipate spesso da prestatori senza scrupoli e esponendoli quindi a sfruttamento e alla accettazione di pessime condizioni salariali e di impiego una volta arrivati a destinazione.
Una situazione evidenziata da lavoratori-attivisti come Praisanti Jumangwa, che intervistato dal quotidiano thailandese The Nation ha raccontato i lunghi periodi di permanenza nelle foreste, lavorando dall’alba al tramonto per raccolti a volte insufficienti a coprire i costi di vitto e alloggio a loro carico, esposti alla durezza dell’ambiente e a sfruttamento.
Il sogno di benessere diventa spesso perdita della famiglia e di ogni speranza, mentre il governo di Bangkok fatica a intervenire per sanare situazioni che alleggeriscono comunque l’elevata disoccupazione di alcune regioni e coinvolgono Paesi con cui il Regno di Thailandia ha consolidati rapporti e che, a loro volta, «esportano» turisti necessari a sostenere una delle maggiori attività economiche del Paese.
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La Cina snobba il ministro degli Esteri tedesco
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Geopolitica
Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset
La proposta di applicare la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata, considerata da molti come un’equivalente all’annessione totale del territorio palestinese, ha suscitato una forte condanna internazionale, incluso un netto dissenso da parte degli Stati Uniti.
Il disegno di legge ha superato di stretta misura la sua lettura preliminare martedì, con 25 voti a favore e 24 contrari nella Knesset, composta da 120 membri. La proposta passerà ora alla Commissione Affari Esteri e Difesa per ulteriori discussioni.
Una dichiarazione parlamentare afferma che l’obiettivo del provvedimento è «estendere la sovranità dello Stato di Israele ai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania)».
Il momento del voto è stato significativo e provocatorio, poiché è coinciso con la visita in Israele del vicepresidente J.D. Vance, impegnato in discussioni sul cessate il fuoco a Gaza e sul centro di coordinamento gestito dalle truppe statunitensi e dai loro alleati, incaricato di supervisionare la transizione di Gaza dal controllo di Hamas. Vance ha percepito la tempistica del voto come un gesto intenzionale, accogliendolo con disappunto.
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Anche il Segretario di Stato Marco Rubio, in visita in Israele questa settimana, ha espresso critiche prima di lasciare il Paese mercoledì, dichiarando che il disegno di legge sull’annessione «non è qualcosa che appoggeremmo».
«Riteniamo che possa rappresentare una minaccia per l’accordo di pace», ha detto Rubio, in linea con la promozione della pace in Medio Oriente sostenuta ripetutamente da Trump. «Potrebbe rivelarsi controproducente». Vance ha ribadito che «la Cisgiordania non sarà annessa da Israele» e che l’amministrazione Trump «non ne è stata affatto soddisfatta», sottolineando la posizione ufficiale.
Vance, considerato il favorito per la prossima candidatura presidenziale repubblicana dopo Trump, probabilmente ricorderà questo episodio come un momento frustrante e forse irrispettoso, specialmente in un contesto in cui la destra americana appare sempre più divisa sulla politica verso Israele.
Si dice che il primo ministro Netanyahu non sia favorevole a spingere per un programma di sovranità, guidato principalmente da politici oltranzisti legati ai coloni. In una recente dichiarazione, il Likud ha definito il voto «un’ulteriore provocazione dell’opposizione volta a compromettere i nostri rapporti con gli Stati Uniti».
«La vera sovranità non si ottiene con una legge appariscente, ma con un lavoro concreto sul campo», ha sostenuto il partito.
Tuttavia, è stata la reazione di Vance a risultare la più veemente, definendo il voto una «stupida trovata politica» e un «insulto», aggiungendo che, pur essendo una mossa «solo simbolica», è stata «strana», specialmente perché avvenuta durante la sua presenza in Israele.
Come riportato da Renovatio 21, Trump ha minacciato di togliere tutti i fondi ad Israele in caso di annessione da parte dello Stato Giudaico della West Bank, che gli israeliani chiamano «Giudea e Samaria».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Geopolitica
Trump minaccia di togliere i fondi a Israele se annette la Cisgiordania
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