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COVID-19 e Vitamina D: ci stiamo perdendo qualcosa?

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense.

 

Come abbiamo fatto altre volte, per esempio con l‘acido ascorbico (Vitamina C), diamo il consiglio di procurarvi come potete le vitamine di cui si parla, come la Vitamina D, e farne scorta, fermo restando che riportiamo questo articolo per la vostra informazione ed intrattenimento, non siamo medici e che l’assunzione di qualsiasi farmaco o anche integratore dovrebbe essere prima discussa minuziosamente con il vostro medico curante. Come potete leggere in fondo all’articolo, «La vitamina D ha una potenziale tossicità ad alti livelli tra cui ipercalcemia e calcoli renali».

 

Oltre a sentire il vostro medico, vi invitiamo a leggere la pagina dell’Istituto Superiore di Sanità italiano relativa alle Vitamine: «La carenza di vitamina D comporta il rischio di rachitismo nei bambini, con conseguente deformazione delle ossa e arresto della crescita, e di osteomalacia negli adulti, una intensa forma di decalcificazione ossea. Un eccesso di vitamina D, al contrario, può causare calcificazioni diffuse negli organi, contrazioni e spasmi muscolari, vomito, diarrea. La normale esposizione ai raggi del sole è sufficiente a coprire il fabbisogno di vitamina D negli adulti, e va quindi assunta solo durante la fase di accrescimento e durante la gravidanza e l’allattamento. In questi casi l’assunzione dovrebbe essere di 10µg al giorno come integratore, vista la scarsa presenza di vitamina D negli alimenti, con l’eccezione dell’olio di fegato di merluzzo.
».

 

 

[Nota CHD: Con gli Stati Uniti in gran parte chiusi e le morti per COVID-19 in aumento, vogliamo condividere le seguenti informazioni e domande con i nostri lettori. Si prega di condividere ampiamente sui social media, in particolare con gli operatori sanitari in prima linea, i funzionari del governo e chiunque possa essere interessato a studiare la Vitamina D e i coronavirus.]

 

 

La vitamina D è un ormone steroideo liposolubile che regola oltre 200 geni nel corpo umano

Introduzione

La letteratura sul ruolo della vitamina D sul sistema immunitario è esplosa negli ultimi 10 anni, in particolare il suo effetto sulle infezioni virali e i disturbi autoimmuni. Circa l’80% della letteratura è degli ultimi dieci anni e gran parte è stata pubblicata all’estero. Ci sono studi che dimostrano che un sufficiente apporto di vitamina D contribuisce a ridurre la mortalità nei pazienti che necessitano di ventilazione. Esiste una vasta e crescente letteratura sul ruolo della vitamina D nella prevenzione delle infezioni virali e nella riduzione della loro gravità.

 

Le fasce di popolazione maggiormente a rischio di contrarre forme gravi di COVID-19 (anziani e soggetti con problematiche di salute pregresse) e i tempi dell’epidemia (fine dell’inverno nell’emisfero settentrionale quando i livelli di vitamina D della popolazione sono generalmente più bassi) sono coerenti con uno stato generale di carenza di vitamina D, fattore di rischio per il COVID-19. La percentuale relativamente bassa di infezioni nei bambini può essere motivata da un maggiore consumo di latte, alimento arricchito con vitamine A e D. La vitamina D è sia una vitamina sia un ormone steroideo che ricopre una vasta gamma di ruoli nei nostri corpi.

 

Le fasce di popolazione maggiormente a rischio di contrarre forme gravi di COVID-19 (anziani e soggetti con problematiche di salute pregresse) e i tempi dell’epidemia (fine dell’inverno nell’emisfero settentrionale quando i livelli di vitamina D della popolazione sono generalmente più bassi) sono coerenti con uno stato generale di carenza di vitamina D, fattore di rischio per il COVID-19

Uno studio del 2018 basato sui dati NHANES del 2001-2010 ha rilevato che il 28,9% degli adulti americani era carente di vitamina D (siero 25 (OH) D <20 ng / ml) e un ulteriore 41,4% degli adulti americani presentava un apporto insufficiente (siero 25 (OH) D tra 20 ng/ml e 30 ng/ml).

 

Gli americani di colore, i meno istruiti, i poveri, gli obesi, i fumatori, i sedentari e i consumatori sporadici di latte e derivati sono coloro che presentano una forte carenza di vitamina D.

 

Quelli con disturbi intestinali (Morbo di Crohn o celiachia) che non assumono una quantità sufficiente di vitamina D tramite l’alimentazione e quelli con malattie epatiche o renali, il cui corpo presenta una capacità ridotta di convertire la vitamina D nella sua forma attiva, possono altresì essere soggetti ad un aumentato rischio di carenza indipendentemente dall’età. La vitamina D è un ormone steroideo liposolubile che regola oltre 200 geni nel corpo umano.

 

 

Domande che richiedono risposte

Sulla base dell’ampiezza della ricerca sulla vitamina D nei disturbi respiratori acuti e delle numerose infezioni virali in cui lo stato della vitamina D svolge un ruolo importante, è necessario rispondere alle seguenti domande:

 

  • I pazienti ospedalizzati per COVID-19 presentano carenza di vitamina D (livelli sierici 25 (OH) D <20 ng / ml) o insufficienza (livelli tra 20 ng / ml e 30 ng / ml)?
  • I pazienti ospedalizzati con COVID-19 presentano carenze di vitamina D maggiori di quanto ci si aspetterebbe dai controlli?
  • La maggior parte dei pazienti ospedalizzati in COVID-19 che necessitano di terapia intensiva hanno carenza di vitamina D?
  • Somministrare alte dosi di vitamina D ai pazienti COVID-19 riduce la necessità di ventilazione meccanica e/o il tempo per cui si rende necessaria?
  • Somministrare alte dosi di vitamina D agli operatori sanitari riduce il rischio di contrare il COVID-19?
  • Se si riscontra una carenza di vitamina D nei pazienti COVID-19 gravi, quale raccomandazione dovrebbe essere fatta al pubblico, in particolare a quelli che si trovano in quarantena e/o combattono l’infezione a casa?

 

Mentre solo il tempo e gli studi daranno risposte definitive a queste domande, i test sulla vitamina D sono facilmente accessibili, gli integratori sono economici nell’ambito della terapia intensiva COVID-19 dovremmo considerare qualsiasi cosa che possa ridurre il numero di casi, ricoveri e decessi. Anche una riduzione del 10% in una di queste categorie avrebbe un impatto notevole.

 

 

I test sulla vitamina D sono facilmente accessibili, gli integratori sono economici nell’ambito della terapia intensiva COVID-19 dovremmo considerare qualsiasi cosa che possa ridurre il numero di casi, ricoveri e decessi

La letteratura sostiene l’importanza di un apporto sufficiente di vitamina D

Ci sono studi che suggeriscono che una quantità sufficiente di vitamina D riduce il rischio di infezioni respiratorie acute. Inoltre, la letteratura sostiene l’importanza della vitamina D nel ridurre la morbilità e la mortalità in contesti di terapia intensiva. Quanto segue è un esempio della letteratura.

 

Un articolo del 2017 apparso sul BMJ afferma quanto segue: «Sono stati identificati 25 studi controllati randomizzati idonei (per un totale di 11.321 partecipanti, da 0 a 95 anni di età)… L’integrazione di vitamina D ha ridotto il rischio di infezione acuta del tratto respiratorio tra tutti i partecipanti (odds ratio corretto 0,88, intervallo di confidenza al 95% da 0,81 a 0,96; P per eterogeneità <0,001).”Gli effetti protettivi sono stati maggiori in coloro che erano carenti (livelli sierici <25 nmol / L = 10 ng / ml) e in coloro che assumevano vitamina D regolarmente (su base giornaliera o settimanale) rispetto a dosi elevate di bolo».

 

La letteratura sostiene l’importanza della vitamina D nel ridurre la morbilità e la mortalità in contesti di terapia intensiva

Un altro articolo del 2018 , riferito in particolare ai contesti di terapia intensiva, suggerisce che i risultati non significativi in alcuni grandi studi sull’integrazione di vitamina D sono probabilmente il risultato dell’inclusione negli studi di soggetti che presentano un apporto sufficiente di vitamina D e non escludono gli integratori di vitamina D nei gruppi di controllo.

 

Gli autori hanno chiarito che «tre diverse meta-analisi confermano che i pazienti con basso livello di vitamina D trascorrono una degenza più lunga in terapia intensiva e presentano un aumento della morbilità e della mortalità» e che «questo ormone svolge un importante ruolo pleiotropico (ha più di un effetto) nel contesto di malattie critiche e può favorire il recupero da una grave malattia acuta».

 

Un piccolo studio iraniano del 2019 ha raccomandato studi di follow-up più ampi dopo aver randomizzato 44 pazienti adulti ventilati meccanicamente a 300.000 UI di vitamina D rispetto al placebo. Lo studio ha riscontrato una riduzione significativa della mortalità (61,1% contro 36,3%) e una riduzione non significativa di 10 giorni sul tempo di ventilazione.

 

In uno studio pilota di follow-up del 2018 hanno scoperto che in pazienti critici e ventilati, con carenza di vitamina D e anemia, la vitamina D ad alte dosi ha aumentato l’emoglobina

Inoltre, un gruppo di ricerca di Emory ha pubblicato uno studio pilota nel 2016 che ha mostrato che alte dosi di vitamina D contribuivano a ridurre la degenza ospedaliera dei pazienti in terapia intensiva ventilati. In uno studio pilota di follow-up del 2018 hanno scoperto che in pazienti critici e ventilati, con carenza di vitamina D e anemia, la vitamina D ad alte dosi ha favorito l’aumento di emoglobina.

 

Uno studio del 2017 ha scoperto che «l’ integrazione mensile di alte dosi di vitamina D3 ha ridotto l’incidenza di ARI (infezioni respiratorie acute) negli anziani presenti nelle unità di lunga degenza, ma è stata associata a un maggiore tasso di cadute senza un aumento delle fratture».

 

Uno studio del 2015 pubblicato su Thorax ha scoperto che la carenza di vitamina D era comune nei pazienti che avevano sviluppato sindrome da distress respiratorio acuto in seguito a esofagectomia.

 

Uno studio del 2018 sull’Indian Journal of Anesthesia non ha riportato risultati significativi nei pazienti sottoposti a respirazione meccanica sulla base della carenza o sufficienza di vitamina D al momento del ricovero, ma ciò era probabilmente dovuto alla ridotta dimensione del campione. Le tendenze per i giorni in terapia intensiva, giorni di ventilazione meccanica, giorni di prove di respirazione spontanea e mortalità a 30 giorni sono state tutte più favorevoli nel gruppo con sufficiente apporto di vitamina D.

 

In un altro studio iraniano del 2018 condotto su 46 pazienti con carenza di vitamina D e polmonite associata alla ventilazione meccanica, una singola dose di 300.000 UI di vitamina D rispetto al placebo ha ridotto significativamente i livelli sierici di IL-6 e ha ridotto significativamente la mortalità. L’IL-6 è una citochina che si trova in quantità elevate nella sindrome da distress respiratorio acuto.

 

A differenza degli studi riportati sopra, un ampio studio austriaco del 2014 su 492 pazienti gravemente malati con carenza di vitamina D non ha mostrato risultati significativi con l’integrazione di vitamina D per la maggior parte delle sue misure di esito. L’unico risultato significativo è stata la riduzione della mortalità ospedaliera nel sottogruppo con gravi carenze di vitamina D.

 

Tuttavia, questa popolazione di studio comprendeva pazienti chirurgici, neurologici e medici ed è possibile che la vitamina D sia rilevante solo per le infezioni respiratorie. Inoltre, lo studio non ha riportato eventi avversi gravi dopo la somministrazione di dosi molto elevate di vitamina D in una popolazione in condizioni critiche.

 

Uno studio sui ratti del 2017 ha dimostrato che il pretrattamento con calcitriolo (la forma attiva della vitamina D) ha ridotto il danno polmonare acuto indotto dai lipopolisaccaridi modulando il sistema renina-angiotensina. ACE e ACE2 fanno parte di questo sistema e ACE2 è il sito di legame di SARS-CoV2 sulle cellule.

 

È in corso un dibattito irrisolto sul fatto che gli inibitori della conversione dell’angiotensina (ACE-inibitori) usati per trattare la pressione sanguigna e le condizioni cardiache aumentino o diminuiscano il rischio di infezione da SARS-CoV2. Come la carenza di vitamina D potrebbe adattarsi a questa discussione rimane una domanda aperta.

 

 

È interessante notare che uno studio caso-controllo del 2018 su 532 lavoratori giapponesi ha scoperto che in un sottogruppo di partecipanti senza vaccinazione, la sufficienza di vitamina D era associata a un rischio significativamente più basso di influenza

Ricerche sulla vitamina D in altre infezioni virali

La carenza di vitamina D è stata studiata in molti virus e, generalmente, livelli sufficienti di vitamina D portano a tassi più bassi di infezione e una riduzione della gravità. Questa ricerca è una combinazione di studi in vitro e in vivo. Non esiste una letteratura specifica sui coronavirus, quindi abbiamo cercato ricerche sulla vitamina D in altre infezioni virali tra cui influenza, HIV, Dengue, Epstein Barr, epatite B ed epatite C. Seguono alcuni esempi:

 

Uno studio cinese del 2018 su due diversi dosaggi di vitamina D somministrati a 400 neonati ha mostrato un rischio significativamente più basso di influenza A, riduzione della carica virale e riduzione della durata dei sintomi nel gruppo con la dose più alta.

 

Uno studio simile risalente al 2010 su scolari giapponesi ha scoperto che 1200 UI/die di vitamina D hanno ridotto le infezioni da influenza A dal 18,6% nel gruppo placebo al 10,8% nel gruppo che assumeva vitamina D. I bambini con asma che ricevevano integrazione presentavano anche un rischio ridotto di attacchi di asma.

 

È interessante notare che uno studio caso-controllo del 2018 su 532 lavoratori giapponesi ha scoperto che “in un sottogruppo di partecipanti senza vaccinazione, la sufficienza di vitamina D (≥30 ng / mL) era associata a un rischio significativamente più basso di influenza (odds ratio 0,14; confidenza al 95% intervallo 0,03-0,74)”.

 

La carenza di vitamina D è stata studiata in molti virus e, generalmente, livelli sufficienti di vitamina D portano a tassi più bassi di infezione e una riduzione della gravità

Uno studio del 2018 sui giovani con HIV ha mostrato che la vitamina D ad alte dosi ha attenuato l’attivazione immunitaria e la spossatezza causata dalla terapia antiretrovirale.

 

Uno studio del 2016 su 466 neonati sudafricani (metà infetti da HIV) ha scoperto che bassi livelli di vitamina D e SNP su alcuni geni aumentavano il rischio di tubercolosi e morte.

 

Un articolo del 2018 sulla vitamina D negli stati di infezione da HIV riporta: «Alti livelli di espressione di Vitamina D e VDR sono anche associati alla resistenza naturale all’infezione da HIV-1. Per contro, la carenza di Vitamina D è collegata a maggiore infiammazione e attivazione immunitaria, bassa conta delle cellule T CD4+ nel sangue periferico, progressione più rapida della malattia da HIV e tempi di sopravvivenza più brevi nei pazienti con infezione da HIV»

 

Un articolo del 2018: «Alti livelli di espressione di Vitamina D e VDR sono anche associati alla resistenza naturale all’infezione da HIV-1. Per contro, la carenza di Vitamina D è collegata a maggiore infiammazione e attivazione immunitaria, bassa conta delle cellule T (…)  progressione più rapida della malattia da HIV e tempi di sopravvivenza più brevi nei pazienti con infezione da HIV»

Un piccolo studio del 2020 su pazienti sani ha mostrato che una dose maggiore di vitamina D riduceva la suscettibilità all’infezione da DENV-2 (dengue) nelle cellule del sangue. Uno studio del 2017  sui macrofagi derivati da monociti umani ha scoperto che «DENV si legava in modo meno efficiente ai macrofagi differenziati con vitamina D3, causando una minore infezione».

 

La situazione di carenza di vitamina D e infezione da virus di Epstein-Barr nella sclerosi multipla recidivante/remittente (RRMS) è più sfumata. Sebbene ciascuno di essi sia un fattore di rischio indipendente per la RRMS, studi recenti hanno scoperto che l’integrazione di vitamina D ad alte dosi ha portato a livelli di anticorpi significativamente inferiori a EBNA-1. In questo caso, i livelli inferiori di anticorpi comportano un minor rischio di recidiva e di nuove lesioni alla risonanza magnetica.

 

Una meta-analisi del 2019 degli studi sullo stato della vitamina D nelle infezioni croniche da epatite B ha scoperto che «i livelli di vitamina D erano più bassi nei pazienti affetti da epatite cronica B e inversamente correlati alla carica virale».

 

Uno studio israeliano del 2018 ha scoperto che l’epatite B trasfettava le cellule tumorali del fegato sottoregolando i recettori della vitamina D per consentire al virus di replicarsi.

 

La scorsa settimana, l’ex direttore del CDC, il dott. Tom Frieden, ha suggerito che la vitamina D potrebbe ridurre le infezioni da coronavirus

In uno studio israeliano del 2012, l’aggiunta di vitamina D alla terapia antivirale standard nei pazienti con infezione da epatite C cronica ha migliorato la risposta virale.

 

Uno studio del 2015 su bambini egiziani  affetti da epatite C ha scoperto che i casi trattati con vitamina D e antivirali hanno mostrato una “risposta virologica precoce e prolungata” significativamente più elevata rispetto ai controlli.

 

Bisognerebbe considerare un fattore aggiuntivo. I polimorfismi a singolo nucleotide che influenzano la funzione del recettore della vitamina D e il metabolismo della vitamina D nella sua forma attiva influiscono sulla sufficienza, quindi identificare i pazienti con quei polimorfismi aiuterà a identificare quelli a maggior rischio di carenza di vitamina D. Esiste anche una letteratura emergente su questi fattori genetici.

 

La scorsa settimana, l’ex direttore del CDC, il dott. Tom Frieden, ha suggerito che la vitamina D potrebbe ridurre le infezioni da coronavirus.

 

Speriamo che questo articolo convincerà medici e ricercatori a esaminare più da vicino la vitamina D come potenziale opzione preventiva e terapeutica. Come abbiamo affermato in un nostro recente video, riteniamo che le scarse risorse di cui disponiamo dovrebbero essere concentrate sulla ricerca di cure più che su un vaccino che potrebbe non arrivare mai.

Riteniamo che le scarse risorse di cui disponiamo dovrebbero essere concentrate sulla ricerca di cure più che su un vaccino che potrebbe non arrivare mai

 

Infine, un avvertimento

Questo non è un consiglio medico e non dovreste assumere alte dosi di vitamina D senza consultare il medico curante, in particolare se avete patologie pregresse. La vitamina D ha una potenziale tossicità ad alti livelli tra cui ipercalcemia e calcoli renali. Una dose giornaliera di 800 UI – 2000 UI di vitamina D è generalmente considerata sicura e sarà sufficiente nella maggior parte delle persone, ma di più non è necessariamente meglio.

 

Le informazioni del NIH [Dipartimento della salute e dei servizi umani degli Stati Uniti d’America, ndr] sul dosaggio di vitamina D e le interazioni farmacologiche sono disponibili qui. [qui invece trovate informazioni dall’ISS italiano, fermo restando che dovete discuterne con il vostro medico curante, ndr]

 

Questo non è un consiglio medico e non dovreste assumere alte dosi di vitamina D senza consultare il medico curante, in particolare se avete patologie pregresse

Si prega di condividere queste informazioni.

 

 

Katie Weisman e il Team di CHD

 

 

Traduzione di Alessandra Boni

 

 

© 7 aprile 2020, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD

 

 

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Epidemie

Il Congo dichiara una nuova epidemia di Ebola

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Almeno 16 persone, tra cui quattro operatori sanitari, sono morte a causa di una nuova epidemia del mortale virus Ebola nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), hanno annunciato le autorità del paese dell’Africa centrale.

 

Finora sono stati segnalati 28 casi sospetti nella provincia di Kasai e i test di laboratorio hanno confermato il ceppo zairese della malattia, ha affermato giovedì il ministero della Salute congolese in una nota.

 

«Il tasso di mortalità è stimato al 57%, anche se le indagini e le analisi di laboratorio continuano a definire la situazione», ha affermato il ministero, aggiungendo che gli ultimi casi segnano la 16a epidemia registrata nella Repubblica Democratica del Congo.

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Il governo ha dichiarato di aver schierato squadre di risposta rapida, supportate da esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), per potenziare la sorveglianza epidemiologica e istituire strutture di triage e isolamento.

 

L’Ebola, una febbre emorragica altamente contagiosa, si diffonde attraverso il contatto diretto con fluidi corporei o tessuti infetti. I sintomi includono spesso febbre alta, affaticamento, mal di testa, mal di gola, vomito, diarrea, eruzioni cutanee ed emorragie interne o esterne.

 

Il Congo ha registrato l’ultima volta il virus nel 2022 nella provincia di Equateur, dopo una devastante epidemia tra il 2018 e il 2020 che ha ucciso quasi 2.300 persone. Il paese, attualmente alle prese con un conflitto armato nelle sue province orientali ricche di minerali, alimentato dal gruppo ribelle M23, ha anche sperimentato gravi epidemie negli ultimi mesi, che vanno da quelle descritte come «misteriose» al virus Mpox , precedentemente noto come vaiolo delle scimmie.

 

L’OMS ha dichiarato che consegnerà due tonnellate di forniture, tra cui dispositivi di protezione individuale, attrezzature per laboratori mobili e medicinali, per sostenere Kinshasa. Ha aggiunto che il Congo dispone di una scorta di trattamenti e di 2.000 dosi del vaccino Ervebo, che saranno inviate nel Kasai per vaccinare i contatti e gli operatori sanitari in prima linea.

 

Come riportato da Renovatio 21, all’inizio di quest’anno, anche la vicina Uganda ha dichiarato una nuova epidemia di Ebola dopo che un’infermiera di 32 anni è morta per insufficienza multiorgano. L’OMS ha registrato 14 casi, di cui 12 confermati e due probabili, con quattro decessi.

 

Come riportato da Renovatio 21, la lotta in Congo tra le forze governative e i ribelli del gruppo M23 secondo molti sostenuto dal Ruanda, sta continuando in queste ore, con i ribelli ad accusare gli accordi di pace.

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Nel frattempo si consumano anche cruenti attacchi contro i villaggi cristiani, con diecine di morti.

 

Come riportato da Renovatio 21, il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) aveva lanciato un allarme secondo cui gli scontri in corso nella città di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo orientale, potrebbero causare la fuga di campioni di Ebola e di altri agenti patogeni da un laboratorio.

 

Come riportato da Renovatio 21, dichiarazioni di allarme simili sono state lanciate due anni fa dall’OMS anche nel caso del conflitto in Sudan, con rischi riguardo a biolaboratori che, abbiamo appreso, sono siti pure lì.

 

A maggio 2024 era emerso che scienziati cinesi hanno progettato in un laboratorio un virus con elementi dell’Ebola che ha ucciso un gruppo di criceti.

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Immagine di World Bank Photo via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0

 

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Armi biologiche

I vaccini COVID «sono armi biologiche» che «hanno provocato danni profondi»: nuovo studio

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Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Lo studio, condotto da 11 esperti scientifici e legali, ha rilevato che le caratteristiche artificiali del virus SARS-CoV-2 e dei vaccini mRNA contro il COVID-19 sono probabilmente il risultato di una controversa ricerca sul gain-of-function. L’articolo è stato pubblicato sul Journal of American Physicians and Surgeons.  

Un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria suggerisce che il virus SARS-CoV-2 responsabile del COVID-19 mostra segni di «ingegneria deliberata» e che queste caratteristiche, tra cui la proteina spike presente anche nei vaccini mRNA contro il COVID-19, sono responsabili di danni alla salute diffusi a livello globale.

 

Lo studio, redatto da 11 esperti scientifici e legali, è stato pubblicato nell’edizione autunnale del Journal of American Physicians and Surgeons.

  Gli autori sostengono che le caratteristiche artificiali del SARS-CoV-2 e dei vaccini mRNA contro il COVID-19 siano probabilmente il risultato di una controversa ricerca sull’acquisizione di funzione, in violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sulle armi biologiche.   La ricerca sul guadagno di funzione, che aumenta la trasmissibilità o la virulenza dei virus, è spesso utilizzata nello sviluppo dei vaccini.  

Secondo il documento, la diffusione del COVID-19, seguita dalla distribuzione dei vaccini a mRNA, ha provocato danni alla salute senza precedenti, che vanno da «malattie autoimmuni e catastrofi cardiovascolari a complicazioni della gravidanza e tumori aggressivi».

  «Lungi dall’essere benigni, questi vaccini hanno provocato danni profondi, sconvolgendo quasi tutti gli apparati del corpo umano e contribuendo a livelli di morbilità e mortalità senza precedenti», afferma il documento.   Il dottor Andrew Zywiec, primario presso Zywiec & Porter, è l’autore principale dello studio. Ha affermato che lo studio rivela un «modello di danno troppo costante e pervasivo per essere liquidato come casuale».   «La tossicità sistemica scatenata da questi interventi, che si manifesta sotto forma di malattie autoimmuni, devastazioni cardiovascolari, tumori aggressivi e danni riproduttivi catastrofici, rappresenta non solo un fallimento della salute pubblica, ma un profondo tradimento della fiducia» ha aggiunto.   Joseph Sansone, Ph.D., uno psicoterapeuta che ha intentato una causa per vietare i vaccini a mRNA in Florida, ha affermato che l’articolo è «estremamente significativo» in quanto è «il primo articolo di una rivista peer-reviewed che afferma che sia il COVID che le iniezioni di COVID violano la Convenzione sulle armi biologiche e che sia il COVID-19 che le iniezioni di COVID sono armi biologiche».  

Il virus SARS-CoV-2 è «indicativo di manipolazione di laboratorio»

Secondo l’articolo, il virus SARS-CoV-2 «presenta molteplici caratteristiche genomiche indicative di manipolazione di laboratorio», tra cui il sito di scissione della furina, che «aumenta l’infettività» e che è «assente nei virus simili alla SARS presenti in natura».

  Diverse altre caratteristiche del virus SARS-CoV-2 «migliorano l’evasione immunologica e la trasmissibilità tramite aerosol», rendendo il virus «insolitamente resistente… e cinque volte più stabile nell’aria» rispetto ad altri virus respiratori.  

«Queste caratteristiche combinate, insieme ai modelli di mutazione del virus, sono una forte prova che il SARS-CoV-2 non avrebbe potuto evolversi naturalmente», afferma il documento.

 

L’articolo cita due articoli di riviste scientifiche sottoposte a revisione paritaria, redatti da scienziati militari, che affermano che il SARS-CoV-2 contiene «prove di manipolazione» che rendono il virus un «patogeno attraente» per le sue caratteristiche, che ricordano quelle di un’arma biologica.

  Queste manipolazioni «rappresentano una violazione della Convenzione sulle armi biologiche», sostiene il documento.   Promulgata nel 1975, la convenzione «proibisce di fatto lo sviluppo, la produzione, l’acquisizione, il trasferimento, lo stoccaggio e l’uso di armi biologiche e tossiche». È stata firmata da quasi 200 Paesi.  

Un articolo accusa Fauci di aver deliberatamente nascosto le origini del SARS-CoV-2

Secondo il documento, la ricerca sull’acquisizione di funzione implica «tecniche di manipolazione virale» che possono portare allo sviluppo di agenti patogeni vietati dalla convenzione.   Tuttavia, il governo degli Stati Uniti, in particolare il National Institute of Allergy and Infectious Diseases, guidato dal dottor Anthony Fauci fino al 2022, è da tempo coinvolto nella ricerca sul guadagno di funzione, «inclusa una collaborazione di lunga data tra istituzioni finanziate dagli Stati Uniti e il Wuhan Institute of Virology» in Cina.   I sostenitori della «teoria della fuga dal laboratorio» sulle origini del SARS-CoV-2 sostengono che la ricerca sul guadagno di funzione nel laboratorio di Wuhan e una successiva fuga di notizie abbiano portato allo scoppio dell’epidemia globale di COVID-19, che è stata insabbiata.   Ad aprile, l’amministrazione Trump ha lanciato una nuova versione del sito web ufficiale del governo dedicato al COVID-19, presentando prove che il COVID-19 sia emerso a causa di una fuga di notizie dal laboratorio di Wuhan. La CIAl’FBIil Dipartimento dell’Energia degli Stati Unitiil Congresso degli Stati Uniti e diverse agenzie di Intelligence straniere hanno avallato questa teoria.   Il documento fa riferimento al Progetto DEFUSE, una proposta presentata dall’EcoHealth Alliance e dagli scienziati di Wuhan alla Defense Advanced Research Projects Agency degli Stati Uniti nel 2018. Sebbene la proposta sia stata respinta, descriveva la creazione di coronavirus con caratteristiche che ne aumentavano l’infettività, tra cui il sito di scissione della furina.   EcoHealth Alliance e il suo ex presidente, il dottor Peter Daszak, hanno collaborato con i ricercatori di Wuhan. L’anno scorso, il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti (HHS) ha sospeso tutti i finanziamenti per EcoHealth Alliance dopo aver scoperto che l’organizzazione non aveva monitorato adeguatamente gli esperimenti rischiosi sul coronavirus.   Il documento afferma che Fauci e l’intelligence statunitense non hanno mai rivelato l’esistenza della ricerca. Al contrario, «hanno oscurato quella che è, di fatto, la prova dell’intenzione di produrre un virus molto simile a quello che ha causato la pandemia di COVID-19».   L’articolo cita una teleconferenza del 1° febbraio 2020 con Fauci e importanti virologi, tra cui diversi coautori dell’ormai famigerato articolo «The proximal origin of SARS-CoV-2». L’articolo, che promuoveva l’origine naturale del COVID-19, è stato pubblicato su Nature Medicine nel marzo 2020.   Sebbene diversi coautori di «Proximal Origin» abbiano espresso dubbi sul fatto che il SARS-CoV-2 si sia sviluppato naturalmente, Fauci «ha cercato di sopprimere» tali preoccupazioni durante la chiamata del 1° febbraio 2020.   «Proximal Origin» è diventato uno degli articoli più citati del 2020, con oltre 6 milioni di accessi. Nel 2023, The Nation ha riportato che oltre 2.000 testate giornalistiche hanno citato l’articolo.   Successivamente, il governo degli Stati Uniti, la comunità scientifica e i media hanno utilizzato il termine «origine prossimale» per promuovere la teoria «zoonotica» – o dell’origine naturale – dell’origine del SARS-CoV-2 e per screditare i sostenitori della «teoria della fuga di laboratorio».   «L’occultamento deliberato di caratteristiche genomiche critiche ha ritardato la consapevolezza pubblica e gli sforzi di mitigazione della pandemia, consentendo potenzialmente una diffusione più ampia e un maggior numero di decessi», afferma il documento.   A maggio, il presidente Donald Trump ha emesso un ordine esecutivo che ha sospeso la ricerca sul guadagno di funzione negli Stati Uniti per 120 giorni, in attesa dello sviluppo di un nuovo quadro normativo. Ha inoltre interrotto i finanziamenti statunitensi per tale ricerca in alcuni Paesi.  

La proteina Spike potrebbe causare danni irreversibili

Secondo gli autori dello studio, lo sviluppo del SARS-CoV-2 e delle caratteristiche del COVID-19 che presentano proprietà di acquisizione di funzione simili hanno causato danni significativi alla salute pubblica globale.   Il documento fa riferimento alle statistiche del Defense Medical Epidemiology Database che mostrano un aumento significativo dell’incidenza di miocardite (151,4%), embolia polmonare (43,6%), disfunzione ovarica (34,9%), malattia ipertensiva (22,9%), sindrome di Guillain-Barré (14,9%), cancro esofageo (12,5%) e cancro al seno (7%) nel 2021, l’anno in cui i vaccini contro il COVID-19 sono stati distribuiti a livello globale.   Ulteriori dati militari statunitensi citati nel documento mostrano «aumenti persistenti» di miocardite, cancro agli organi digestivi, cancro al cervello e altre lesioni tra il 2022 e il 2025.   Anche i danni riproduttivi sono aumentati significativamente in seguito alla distribuzione dei vaccini contro il COVID-19, sostiene il documento. Cita dati provenienti da fonti quali il Vaccine Adverse Event Reporting System ( VAERS ), gestito dal governo statunitense, il rapporto di sorveglianza post-marketing di Pfizer del 2021 e i dati degli studi clinici di fase 2/3 per il suo vaccino contro il COVID-19, che mostrano un aumento di aborti spontanei, nati morti e decessi neonatali.   Lo studio cita la proteina spike nei vaccini mRNA contro il COVID-19 come uno dei probabili fattori responsabili dell’aumento dell’incidenza di tumori e altre patologie negli ultimi anni.   «L’espressione proteica prolungata, esemplificata dal rilevamento della proteina spike S1 oltre 700 giorni dopo la vaccinazione contro il COVID, sottolinea il potenziale di danni irreversibili», afferma il documento.   Il documento sostiene che la soppressione di «trattamenti comprovati o promettenti» come l’idrossiclorochina a favore dell’obbligo vaccinale universale contro il COVID-19 – e la decisione politica di implementare la vaccinazione di massa durante la pandemia – hanno ulteriormente aggravato la salute pubblica globale e hanno avuto «effetti dannosi sulla fiducia del pubblico».   Il documento è stato pubblicato proprio mentre la Food and Drug Administration statunitense, all’inizio di questa settimana, ha interrotto l’ampia autorizzazione dei vaccini contro il COVID-19, limitando le iniezioni alle persone ad alto rischio di contrarre la malattia grave.   All’inizio di questo mese, l’HHS ha annunciato di aver cancellato quasi 500 milioni di dollari in contratti e sovvenzioni per lo sviluppo di vaccini a mRNA.   Un numero crescente di scienziati ha chiesto la sospensione o il ritiro dei vaccini a mRNA. Gli autori dello studio hanno affermato che i loro risultati rafforzano queste richieste.   «L’aumento delle malattie autoimmuni, dei tumori aggressivi, delle interruzioni di gravidanza, dei decessi cardiovascolari, della frammentazione sociale e dei rischi incombenti delle piattaforme avanzate di mRNA richiedono un’immediata sospensione dell’uso di vaccini a mRNA e di prodotti biologici, indagini approfondite sui motivi alla base di questa violazione senza precedenti della fiducia pubblica e misure robuste per ripristinare terapie sicure e pratiche etiche di salute pubblica» hanno affermato.   La dottoressa Irene Mavrakakis, una delle coautrici dell’articolo e professoressa associata presso il dipartimento di Chirurgia del Philadelphia College of Osteopathic Medicine, ha affermato che l’articolo sostiene le richieste di «ritiro completo di tutti i vaccini e farmaci biologici contro il COVID-19 e di una moratoria su tutti i farmaci biologici a mRNA».   La Mavrakakis ha anche chiesto che vengano «perseguiti penalmente i decisori che sono stati penalmente negligenti e hanno mancato ai loro doveri». Ha affermato che i produttori di vaccini dovrebbero essere privati ​​dell’immunità di cui godono ai sensi del National Childhood Vaccine Injury Act del 1986 e del Public Readiness and Emergency Preparedness Act ( PREP Act ) del 2005.   Karl Jablonowski, Ph.D., ricercatore senior presso Children’s Health Defense, concorda. Ha affermato che la ricerca sul guadagno di funzione «avrà sempre i suoi sostenitori», ma l’umanità si trova ad affrontare «rischi estremi e inevitabilmente paga un prezzo elevato per tale ricerca».   «I laboratori possono avere perdite, e lo fanno», ha affermato. «Un singolo evento al Wuhan Institute of Virology alla fine del 2019 ha causato innumerevoli sofferenze e morti. Finché non saremo in grado di costruire un laboratorio a prova di perdite, non dovremmo assemblare virus che potrebbero devastare il mondo al suo interno».   Michael Nevradakis Ph.D.   © 29 agosto 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.   Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Epidemie

Caso di verme divoratore di carne umana in USA

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Il Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti (HHS) ha segnalato il primo caso umano di verme divoratore di carne umana associato ai viaggi nel Maryland, dopo il ritorno di un «paziente» da El Salvador. Lo riporta l’agenzia Reuters, citante il portavoce dell’HHS Andrew G. Nixon

 

Si tratta di una creatura chiamata New World screwworm (verme a vite del Nuovo Mondo), il cui nome scientifico è Cochliomyia hominivorax, conosciuta come «Mosca assassina», una specie di mosca parassita le cui larve (o vermi) mangiano i tessuti vivi degli animali a sangue caldo.

 

Non sono stati resi noti dettagli sullo status di immigrazione del paziente, sebbene sia importante sottolineare che il Maryland è una roccaforte dell’estrema sinistra del Partito Democratico USA e un Sanctuary State, uno Stato-rifugio per gli immigrati.

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Dal 2023, le larve di mosca assassina si stanno spostando verso nord dall’America Centrale attraverso il Messico, con un nuovo caso identificato a luglio a circa 400 miglia a sud del confine statunitense, a Veracruz. La risposta del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) è stata quella di chiudere le attività transfrontaliere dei porti di ingresso del bestiame negli Stati Uniti per mitigare la minaccia alla biosicurezza.

 

«L’HHS ha segnalato negli Stati Uniti il ​​primo caso umano di parassita del Nuovo Mondo associato ai viaggi. I Centers for Disease Control and Prevention (CDC) hanno confermato la presenza del parassita il 4 agosto in un paziente di ritorno da El Salvador» scrive Reuters. «Fonti del settore avevano precedentemente riferito a Reuters che il paziente proveniva dal Guatemala, e le email della Beef Alliance avevano diffuso questa versione ai responsabili dell’allevamento. L’HHS non ha chiarito la discrepanza».

 

L’HHS afferma che il rischio per la salute pubblica degli Stati Uniti è molto basso. Quest’anno non sono stati segnalati casi di contagio tra gli animali negli Stati Uniti.

 

Gli esseri umani possono sopravvivere alle infestazioni dal verme a vite del Nuovo Mondo con un trattamento adeguato, ma questo è il primo caso negli Stati Uniti che ha fatto scattare l’allarme tra i funzionari della sanità pubblica e l’industria del bestiame. Se non trattati, questi parassiti possono uccidere gli ospiti, come bovini, animali selvatici e animali domestici.

 

Il Segretario del dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti d’America (USDA) Brooke Rollins ha recentemente annunciato i piani per un nuovo impianto sterile per mosche in Texas (base aerea miliare di Moore), ispirato alle passate campagne di eradicazione. La costruzione della struttura richiederà dai 2 ai 3 anni.

 

Anche il Messico sta costruendo un impianto per la produzione di mosche sterili da 51 milioni di dollari nel Sud. Attualmente, ne esiste solo uno (a Panama City), che produce 100 milioni di mosche sterili a settimana, ma ne serviranno 500 milioni per respingere le infestazioni fino al Darien Gap.

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L’USDA stima che un’epidemia di verme della vite senza fine del Texas potrebbe devastare l’industria bovina, causando perdite per 1,8 miliardi di dollari tra mortalità del bestiame, manodopera e costi di trattamento. La minaccia biologica arriva in un momento in cui il patrimonio bovino nazionale è il più piccolo degli ultimi 70 anni, i prezzi della carne bovina sono a livelli record e i margini di profitto degli allevamenti intensivi rimangono estremamente ridotti.

 

Una serie di fattori, tra cui la riduzione delle mandrie, la siccità e le tariffe doganali, sta facendo salire i prezzi della carne bovina nei supermercati a livelli record …

 

L’USDA classifica ufficialmente i vermi della vite come una «minaccia per la biosicurezza agricola» e, visti i recenti casi di cittadini cinesi sorpresi a introdurre clandestinamente funghi «agroterroristici» nel Paese, viene da chiedersi se questi parassiti potrebbero essere utilizzati come arma da parte di avversari stranieri per una guerra ibrida.

 

Come riportato da Renovatio 21, gli USA già in passato sono stati teatro di casi di batterio vibrio vulnificus, organismo noto per divorare la carne delle infezioni, detto anche batterio carnivoro. Parimenti, sono emersi altre creature inquietanti come l’ameba mangia cervello, segnalata nei fiumi del Nebraska e in Missouri.

 

Prioni sarebbero invece stati alla base anche di un’epidemia del 2019 di cervi-zombie: ai poveri ungulati, già martoriati dalle zecche portatrici di Lyme che ritengono il loro manto peloso il luogo migliore per accoppiarsi, viene «mangiato» il cervello da proteine infette, ingenerando così nelle tenere bestie cornute comportamenti di zomberia pura.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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