Geopolitica
Biden: non c’è nessun genocidio a Gaza
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha respinto qualsiasi idea che l’operazione militare in corso da parte di Israele a Gaza possa essere descritta come un genocidio e ha ribadito il sostegno di Washington alla spinta dello Stato Ebraico per eliminare Hamas mentre ha ospitato alla Casa Bianca un evento del Jewish American Heritage Month.
Lunedì, il procuratore capo della Corte penale internazionale Karim Khan ha accusato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant – così come i leader di Hamas Yahya Sinwar, Mohammed Diab Ibrahim al-Masri e Ismail Haniyeh – di «crimini di guerra e crimini contro l’umanità».
Nel corso della giornata, parlando alla Casa Bianca, il presidente Biden ha condannato l’iniziativa della Corte penale internazionale nonché le accuse separate della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite secondo cui le azioni di Israele a Gaza potrebbero essere genocide.
«Vorrei essere chiaro: contrariamente alle accuse mosse contro Israele dalla Corte internazionale di giustizia, quello che sta accadendo non è un genocidio. Lo rifiutiamo», ha detto Biden.
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Secondo il ministero della sanità dell’enclave palestinese le operazioni dello Stato degli ebrei sulla Striscia di Gaza hanno finora ucciso oltre 35.000 persone e ne ha ferite quasi altre 80.000. Israele ha promesso di continuare l’offensiva finché Hamas non sarà completamente eliminata.
«Siamo al fianco di Israele per eliminare Sinwar e il resto dei massacri di Hamas», aveva detto Biden lunedì. «Vogliamo che Hamas venga sconfitto. Abbiamo lavorato con Israele per far sì che ciò accada».
Già a gennaio, una sentenza provvisoria della Corte Internazionale di Giustizia, la massima corte delle Nazioni Unite all’Aia, aveva ordinato a Israele di adottare misure per prevenire il genocidio e migliorare le condizioni umanitarie della popolazione di Gaza.
La causa, intentata dal Sud Africa alla fine dello scorso anno, accusa lo Stato Ebraico di aver commesso crimini di guerra sistematici nella regione palestinese.
L’Irlanda ha annunciato a marzo che avrebbe sostenuto il caso di Pretoria, definendo le azioni di Israele a Gaza una «palese violazione del diritto umanitario internazionale su scala di massa».
Come riportato da Renovatio 21, la settimana scorsa, l’Egitto ha anche invitato Israele a «rispettare i suoi obblighi come potenza occupante», minacciando di far saltare gli accordi di pace del 1979.
Biden a dicembre scorso, durante le celebrazioni per la festività ebraica di Hanukkah (sottolineata negli anni come risposta giudea al Natale) aveva parlato del suo impegno «incrollabile» per la sicurezza di Israele durante un ricevimento alla Casa Bianca, promettendo un continuo sostegno militare e arrivando a dire, senza problemi, «sono un sionista».
L’opinione pubblica americana, specie dalle parti della sinistra, è invece sempre più ferocemente schierata contro Israele, con proteste massive nei campus universitari sedate con interventi di squadre antisommossa. La situazione è tale che il documentarista Michael Moore, alfiere del goscismo americano, ha dichiarato che qualora Biden non abbassasse il suo sostegno allo Stato di Israele potrebbe perdere le elezioni.
Anche nella destra monta un grande dissenso nei confronti del favore di Biden verso Israele, al punto che è stato registrato un canto «Genocide Joe» («Joe genocidio», riferito a Biden) anche durante un comizio di Trump, il quale – ricordiamo che in apparenza è uno zelota del sostegno a Israele – ha fermato il suo discorso per dire delle persone che cantavano «non hanno torto».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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«Può combattere fino a consumare il suo piccolo cuore»: Trump sul possibile rifiuto di Zelens’kyj agli accordi
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Wargame USA sulla cacciata di Maduro: il risultato è un «caos a lungo termine»
Un’esercitazione ufficiale statunitense, condotta nel 2019, per rovesciare il presidente venezuelano Nicolás Maduro, ha concluso che, indipendentemente dal fatto che il rovesciamento fosse ottenuto tramite un colpo di stato militare, una rivolta popolare o un’azione militare statunitense, avrebbe prodotto «caos per un periodo di tempo prolungato senza possibilità di porvi fine». Lo riporta il New York Times.
L’esercitazione del 2019 ha coinvolto «funzionari di tutto il governo degli Stati Uniti, inclusi quelli del Pentagono e del Dipartimento di Stato». Il riassunto dell’esito dell’esercitazione citato è tratto dal rapporto non classificato sull’esercitazione del 2019, scritto per i funzionari del Pentagono dell’epoca dal consulente per la sicurezza nazionale ed ex reporter del Washington Post Douglas Farah, scrive il giornale neoeboraceno.
Il Farah, non considerabile come pro-Maduro, aveva partecipato all’esercitazione mentre era ricercatore presso la National Defense University. «Non si può avere un immediato cambiamento epocale» nel governo del Paese senza conseguenze, ha detto il giornalista, «non si avrebbe alcun comando e controllo sull’esercito e nessuna forza di polizia. Ci sarebbero saccheggi e caos. Qualsiasi dispiegamento militare statunitense volto a stabilizzare il Paese richiederebbe probabilmente decine di migliaia di soldati».
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Il New York Times ricorda che l’intervento militare statunitense ad Haiti nel 1994 per deporre la giunta militare richiese circa 25.000 uomini, e «il Venezuela è circa 33 volte più grande di Haiti, o circa il doppio della California». Allo stesso modo, George H.W. L’invasione di Panama da parte di Bush nel 1989 per rovesciare Manuel Noriega richiese 27.000 soldati statunitensi per «un Paese grande meno di un decimo del Venezuela».
Giorni fa il Segretario del dipartimento della Guerra Pete Hegseth ha elogiato la designazione, da parte del dipartimento di Stato, del cosiddetto «Cartel de los Soles» come “Organizzazione Terroristica Straniera» (FTO), una designazione che entrerà in vigore il prossimo 24 novembre. L’amministrazione Trump sostiene che il «cartello dei Soli», la cui esistenza non è mai stata provata, sia guidato da Nicolas Maduro e coinvolga i suoi massimi funzionari militari e di gabinetto.
La designazione FTO «apre un sacco di nuove opzioni» per le azioni contro i cartelli, sia via terra che via mare, che l’esercito statunitense può offrire al presidente, ha dichiarato Hegseth a One America News Network (OAN) in un’intervista andata in onda il 20 novembre. «Quindi nulla è escluso, ma nulla è automaticamente sul tavolo».
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Immagine screenshot da YouTube
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