Psicofarmaci
Il New York Times: gli antidepressivi creano dipendenza
Pubblichiamo la traduzione di un articolo del New York Times apparso questo mese. Anche la stampa mainstream comincia a considerare l’estrema problematicità delle psicodroghe in libera vendita.
Victoria Toline china sul tavolo della cucina, a mano ferma estraeva una goccia di liquido da una fiala con un piccolo contagocce. Era un’operazione delicata che era diventata una routine quotidiana: estrarre come sempre piccole dosi dell’antidepressivo che aveva assunto per tre anni, di tanto in tanto, cercando disperatamente di smettere.
«Fondamentalmente è tutto quello che ho fatto – avere a che fare con capogiri, confusione, stanchezza, tutti sintomi dell’astinenza», ha detto la signora Toline, 27 anni, di Tacoma, Wash. Ci sono voluti nove mesi per superare la sua dipendenza dal farmaco, lo Zoloft, assumendo dosi sempre più piccole.
«Non riuscivo a concludere la mia laurea. Solo ora mi sento abbastanza bene da provare a rientrare nella società e tornare al lavoro».
Secondo un esame del New York Times sui dati federali, l’utilizzo a lungo termine degli antidepressivi è in aumento negli Stati Uniti. Circa 15,5 milioni di americani hanno assunto farmaci per almeno cinque anni. Il tasso dal 2010 è quasi raddoppiato mentre dal 2000 è più che triplicato.
Circa 15,5 milioni di americani hanno assunto farmaci per almeno cinque anni. Il tasso dal 2010 è quasi raddoppiato mentre dal 2000 è più che triplicato.
Quasi 25 milioni di adulti, come la signora Toline, hanno assunto antidepressivi per almeno due anni, un aumento del 60% dal 2010.
I farmaci hanno aiutato milioni di persone ad alleviare ansia e depressione e nella terapia psichiatrica sono largamente considerati pietre miliari. Molta, forse la maggior parte, della gente interrompe l’assunzione senza particolari problemi. Ma l’aumento dell’uso prolungato inoltre è il risultato di un problema inatteso ed in crescita: molti di coloro che cercano di smettere dicono di riuscire a farlo a causa dei sintomi da astinenza di cui non erano mai stati avvisati.
Molti di coloro che cercano di smettere dicono di riuscire a farlo a causa dei sintomi da astinenza di cui non erano mai stati avvisati
Alcuni scienziati molto tempo fa avevano anticipato che alcuni pazienti avrebbero potuto accusare sintomi di astinenza se avessero tentato di smettere – l’hanno definita «sindrome da astinenza da antidepressivi». Tuttavia l’astinenza non è mai stata rilevante né per i produttori di farmaci né per le autorità, che credevano invece che gli antidepressivi non potessero creare dipendenza e fare male piuttosto che bene.
Inizialmente questi farmaci sono stati approvati per l’uso a breve termine, in seguito a studi che generalmente durano circa due mesi. Ancora oggi, ci sono pochissimi dati sugli effetti che hanno sulle persone che li assumono per anni, anche se ora ci sono milioni di utenti.
Inizialmente questi farmaci sono stati approvati per l’uso a breve termine, in seguito a studi che generalmente durano circa due mesi. Ancora oggi, ci sono pochissimi dati sugli effetti che hanno sulle persone che li assumono per anni, anche se ora ci sono milioni di utenti.
L’uso crescente di antidepressivi non è solo un problema degli Stati Uniti. In gran parte del paesi industrializzati, le prescrizioni a lungo termine sono in aumento. Negli ultimi dieci anni i tassi di prescrizione sono raddoppiati anche in Gran Bretagna, dove le autorità sanitarie a gennaio hanno iniziato una revisione su scala nazionale della dipendenza e della disintossicazione da farmaci.
In Nuova Zelanda, dove le prescrizioni sono allo stesso modo ai massimi storici, un sondaggio tra i fruitori a lungo termine ha rilevato che l’astinenza era il disturbo più comune, citato ben da tre quarti di essi.
Eppure i medici non hanno una soluzione valida per le persone che lottano per smettere di prendere i farmaci – nessuna linea guida scientificamente supportata, nessun mezzo per determinare chi è maggiormente a rischio, nessun modo per personalizzare le strategie più idonee ad ogni individuo.
«Alcune persone sono essenzialmente lasciate su questi farmaci per motivi di convenienza, perché non è semplice affrontare il problema di toglierglieli», dice il dottor Anthony Kendrick, professore di cure primarie presso l’Università di Southampton, in Gran Bretagna.
Con i finanziamenti governativi, il dottor Kendrick sta sviluppando un supporto online e telefonico per aiutare professionisti e pazienti. «Dovremmo davvero prescrivere a molte persone antidepressivi a lungo termine quando non sappiamo se questi sono un bene per loro, o se saranno in grado di smettere?».
«Dovremmo davvero prescrivere a molte persone antidepressivi a lungo termine quando non sappiamo se questi sono un bene per loro, o se saranno in grado di smettere?»
Inizialmente gli antidepressivi erano considerati una terapia a breve termine per episodici problemi di umore, da assumere da sei a nove mesi: giusto il tempo per superare una crisi, e non oltre.
Studi successivi hanno mostrato che la «terapia di mantenimento» – l’utilizzo a lungo termine e spesso a tempo indeterminato – potrebbe in alcuni pazienti, impedire la ricomparsa della depressione, ma raramente questi test sono durati più di due anni.
Una volta approvato un farmaco, negli Stati Uniti i medici hanno completa libertà di prescriverlo nel modo che ritengono più opportuno. La mancanza di dati a lungo termine non ha impedito ai medici di far assumere a decine di milioni di americani antidepressivi a tempo indeterminato.
«La maggior parte delle persone viene sottoposta a questi farmaci come cura primaria, dopo una visita molto breve e senza chiari sintomi di depressione clinica», dice il dott. Allen Frances, professore emerito di psichiatria alla Duke University. «Solitamente si ha un miglioramento e spesso dipende dal passare del tempo o dall’effetto placebo».
«Ma il paziente ed il medico questo non lo sanno e attribuiscono all’antidepressivo un’importanza che non merita. Entrambi sono restii ad interrompere un metodo che sembra essere vincente, e l’inutile prescrizione può essere protratta per anni – o per tutta la vita».
Il Times ha analizzato alcuni dati raccolti dal 1999 come parte del National Health and Nutrition Examination Survey. Complessivamente, più di 34,4 milioni di adulti hanno assunto antidepressivi nel 2013-2014, rispetto ai 13,4 milioni del sondaggio degli anni 1999-2000.
Complessivamente, più di 34,4 milioni di americani adulti hanno assunto antidepressivi nel 2013-2014, rispetto ai 13,4 milioni del sondaggio degli anni 1999-2000
Gli adulti sopra i 45 anni, le donne e i bianchi, hanno maggiori probabilità di assumere antidepressivi rispetto ai giovani adulti, agli uomini ed alle minoranze. Ma l’utilizzo, secondo gli indici d’andamento, è in aumento negli anziani.
Uso di antidepressivi a lungo termine
Quasi il 7% degli adulti americani ha assunto antidepressivi sotto prescrizione per almeno cinque anni.
Le donne bianche con più di 45 anni rappresentano circa un quinto della popolazione adulta, ma sono il 41% dei fruitori di antidepressivi, rispetto al 30% circa del 2000, ha mostrato uno studio. Le donne bianche più anziane rappresentano il 58% di quelle che sottoposte ad antidepressivi a lungo termine.
Andamento degli antidepressivi a lungo termine
Le donne bianche più anziane rappresentano il 58% degli adulti che hanno usato antidepressivi per almeno cinque anni.
«Quello che vedete è il numero di fruitori a lungo termine che si accumulano anno dopo anno»,afferma il dottor Mark Olfson, professore di psichiatria alla Columbia University. Il Dr. Olfson e il Dr. Ramin Mojtabai, professore di psichiatria alla Johns Hopkins University, hanno assistito il Times nelle analisi.
Gli antidepressivi non sono innocui; comunemente causano torpore emotivo, problemi sessuali come mancanza di desiderio o disfunzione erettile e aumento di peso.
Comunque, non è per nulla chiaro che tutti quelli con una prescrizione indeterminata non dovrebbero nemmeno pensarci. La maggior parte dei medici concorda che un sottogruppo di utenti beneficia di una prescrizione a vita, ma non su quanto questo gruppo sia grande.
Il Dr. Peter Kramer, psichiatra e autore di numerosi libri sugli antidepressivi, ha affermato che mentre lui generalmente lavora per disintossicare i pazienti con depressione lieve-moderata, alcuni riferiscono che avrebbero fatto di meglio.
«Qui si tratta di un problema culturale, che è la quantità di depressione con cui le persone devono convivere quando ci sono questi trattamenti che a così tanti offrono una migliore qualità della vita», ha detto il dottor Kramer. «Non credo che sia una domanda da porsi in anticipo».
Gli antidepressivi non sono innocui; comunemente causano torpore emotivo, problemi sessuali come mancanza di desiderio o disfunzione erettile e aumento di peso. I fruitori a lungo termine nei colloqui riportano un’ansia insidiosa difficile da quantificare: il quotidiano abuso di pillole li fa dubitare della propria capacità di ripresa, dicono.
«Siamo arrivati ad un punto, almeno qui in Occidente, dove sembra che ogni altra persona sia depressa e in terapia. Potete immaginare cosa si dice a proposito della nostra cultura»
«Siamo arrivati ad un punto, almeno qui in Occidente, dove sembra che ogni altra persona sia depressa e in terapia», dice Edward Shorter, storico della psichiatria all’Università di Toronto. «Potete immaginare cosa si dice a proposito della nostra cultura».
I pazienti che cercano di smettere di prendere i farmaci spesso dicono di non poterlo fare. In una recente indagine, su 250 fruitori a lungo termine di farmaci psichiatrici – più comunemente antidepressivi – circa la metà di coloro che hanno eliminato le loro prescrizioni ha valutato l’astinenza come molto grave. Quasi la metà di pazienti che ha provato a smettere non ha potuto farlo proprio a causa di questi sintomi.
In un altro studio su 180 utilizzatori di antidepressivi da lungo tempo, i sintomi di astinenza sono stati riportati da più di 130. Quasi la metà ha dichiarato di sentirsi dipendenti da antidepressivi.
In uno studio su 180 utilizzatori di antidepressivi da lungo tempo, i sintomi di astinenza sono stati riportati da più di 130. Quasi la metà ha dichiarato di sentirsi dipendenti da antidepressivi.
«Molti hanno criticato la mancanza di informazioni fornite dai medici riguardo alla possibile crisi d’astinenza», hanno concluso gli autori. «Molti altri hanno anche espresso la delusione e la frustrazione per la mancanza di supporto disponibile nella gestione dell’astinenza».
I produttori di farmaci non negano che alcuni pazienti soffrano di importanti sintomi quando tentano di disintossicarsi dagli antidepressivi.
«La probabilità di sviluppare la sindrome da astinenza varia a seconda degli individui, secondo la terapia ed il dosaggio prescritto», dice Thomas Biegi, portavoce di Pfizer, produttore di antidepressivi come Zoloft ed Effexor. Ha esortato i pazienti ad accordarsi con i loro medici a diminuire – a disintossicarsi assumendo dosi sempre più ridotte – sostiene che la società non avendone, non poteva fornire tassi di astinenza specifici.
Un gruppo di psichiatri accademici ha stilato un lungo rapporto elencando i sintomi, quali problemi di equilibrio, insonnia e ansia, che scompaiono quando si ricomincia ad assumere le pillole. Ma presto l’argomento svanì dalla letteratura scientifica. Le autorità non si sono interessate a questi sintomi, vedendo la depressione dilagante come il problema più grande.
In una dichiarazione, il produttore di farmaci Eli Lilly, riferendosi a due famosi antidepressivi, ha affermato che la società «rimane fedele a Prozac e Cymbalta, alla loro sicurezza e ai loro benefici, ripetutamente confermati dalla stessa Food and Drug Administration statunitense (FDA)».
L’azienda ha rifiutato di ammettere quanto siano i comuni i sintomi da astinenza.
Nausea e «Brain Zaps»
Già a metà degli anni ’90, i principali psichiatri riconoscevano l’astinenza come un potenziale problema per i pazienti che assumevano antidepressivi moderni.
In una conferenza del 1997 a Phoenix sponsorizzata dal produttore di farmaci Eli Lilly, un gruppo di psichiatri accademici ha stilato un lungo rapporto elencando i sintomi, quali problemi di equilibrio, insonnia e ansia, che scompaiono quando si ricomincia ad assumere le pillole. Ma presto l’argomento svanì dalla letteratura scientifica. Le autorità non si sono interessate a questi sintomi, vedendo la depressione dilagante come il problema più grande.
«Quello su cui ci stavamo concentrando era la depressione ricorrente», dice il dottor Robert Temple, vicedirettore per le scienze cliniche presso il Centro per la valutazione e la ricerca sui farmaci della Food and Drug Administration (FDA). «Se le teste delle persone scoppiassero a causa dell’astinenza, penso che ce ne saremmo accorti».
I produttori di farmaci hanno avuto scarsi incentivi a sostenere costosi studi sul modo migliore per smettere di utilizzare i loro prodotti, e i finanziamenti del governo non hanno colmato il vuoto nella ricerca.
Le etichette dei farmaci, su cui molti medici e pazienti fanno affidamento, forniscono pochissime indicazioni per porre fine all’assunzione in modo sicuro
Di conseguenza, le etichette dei farmaci, su cui molti medici e pazienti fanno affidamento, forniscono pochissime indicazioni per porre fine all’assunzione in modo sicuro.
«I seguenti eventi avversi sono stati riportati con un’incidenza dell’1% o superiore», recita l’etichetta di Cymbalta, uno dei principali antidepressivi. Tra le altre reazioni nei pazienti che cercano di sospendere l’assunzione elenca mal di testa, stanchezza e insonnia.
I pochi studi pubblicati sull’astinenza da antidepressivi sostengono che è più difficile sospendere alcuni farmaci piuttosto che altri. Questo è dovuto alle differenze nell’emivita dei farmaci – il tempo necessario al corpo per eliminare il farmaco una volta che le pillole non vengono più assunte.
Le marche con un’emivita relativamente breve, come Effexor e Paxil, sembrano causare più sintomi di astinenza e più rapidamente di quelli che rimangono nel sistema più a lungo, come il Prozac.
Le marche con un’emivita relativamente breve, come Effexor e Paxil, sembrano causare più sintomi di astinenza e più rapidamente di quelli che rimangono nel sistema più a lungo, come il Prozac.
In uno dei primi studi pubblicati sull’astinenza, i ricercatori di Eli Lilly avevano persone che assumevano Zoloft, Paxil o Prozac che interrompevano bruscamente l’assunzione delle pillole, per circa una settimana. La metà di quelli sotto Paxil ha avuto gravi capogiri; il 42% ha sofferto di smarrimento; e il 39% di insonnia.
Tra i pazienti che hanno interrotto l’assunzione di Zoloft, il 38% ha presentato grave irritabilità; Il 29% ha avuto capogiri; e il 23% affaticamento. I sintomi sono comparsi subito dopo che le persone hanno smesso i farmaci e si sono risolti una volta ricominciato.
Al contrario quelli sotto Prozac, non hanno riscontrato alcun picco iniziale nei sintomi quando hanno smesso, ma questo risultato non era inaspettato. Sono necessarie diverse settimane per pulire completamente il corpo dal Prozac, pertanto un’interruzione di una settimana non è un test per l’astinenza.
In uno studio su Cymbalta, un altro farmaco dell’azienda Eli Lilly, le persone in astinenza hanno riscontrato in media da due a tre sintomi. I più comuni erano capogiri, nausea, mal di testa e parestesia: sensazioni di scosse elettriche nel cervello che molte persone chiamano «brain zaps». La maggior parte di questi sintomi è durata più di due settimane.
«La verità è che lo stato della scienza è assolutamente inadeguato», ha detto il dottor Derelie Mangin, professore nel dipartimento di medicina di famiglia presso la McMaster University di Hamilton, nell’Ontario.
«Non abbiamo abbastanza informazioni su cosa comporta l’astinenza da antidepressivi, quindi non possiamo elaborare adeguate strategie di progressiva riduzione».
Durante i colloqui, dozzine di persone che avevano avuto a che fare con l’astinenza da antidepressivi hanno raccontato storie molto simili: inizialmente i farmaci spesso alleviavano i problemi dell’umore. Un anno dopo circa, non era chiaro se il farmaco avesse sortito qualche effetto.
Eppure smettere era molto più difficile, e più incredibile del previsto.
«Mi ci è voluto un anno per venirne completamente fuori – un anno», dice il dottor Tom Stockmann, 34 anni, uno psichiatra dell’East London, che, quando ha smesso di assumere Cymbalta dopo 18 mesi di terapia, ha sperimentato capogiri, confusione, vertigini e «brain zaps».
Per interrompere l’assunzione gradualmente ed in modo sicuro, iniziò ad aprire le capsule, rimuovendo alcune gocce del farmaco ogni giorno in modo da ridurre la dose – decise che era l’unica soluzione possibile.
«Sapevo che alcune persone avevano sperimentato reazioni da astinenza – dice il dottor Stockmann –ma non avevo idea di quanto sarebbe stato difficile»
«Sapevo che alcune persone avevano sperimentato reazioni da astinenza – dice il dottor Stockmann –ma non avevo idea di quanto sarebbe stato difficile»
Robin Hempel, 54 anni, una madre di quattro figli che vive vicino a Concord, N.H., iniziò a prendere l’antidepressivo Paxil 21 anni fa per una grave sindrome premestruale su consiglio del suo ginecologo.
«Il ginecologo disse “Oh, questa piccola pillola ti cambierà la vita” – riferisce la signora Hempel – bene, non lo ha mai fatto».
Il farmaco ha attenuato i sintomi della SMP, ha detto, ma le ha anche fatto guadagnare poco più di 18kg in nove mesi. Smettere era quasi impossibile – all’inizio, il suo dottore diminuiva le dosi troppo velocemente, disse.
Nel 2015 riuscì nel suo ultimo tentativo, passando da mesi a 10 milligrammi, poi cinque da 20 milligrammi e «per giungere finalmente a piccole particelle di polvere», dopodiché fu costretta a letto per tre settimane con forti capogiri, nausea e crisi nervose, ha detto.
«Se mi avessero avvisato dei rischi nel cercare di smettere questo farmaco, non l’avrei mai iniziato – dice la signora Hempel – dopo un anno e mezzo di stop, sto ancora avendo problemi. Non sono io in questo momento; non ho creatività, non ho energia. Lei – Robin – se n’è andata»
«Se mi avessero avvisato dei rischi nel cercare di smettere questo farmaco, non l’avrei mai iniziato – dice la signora Hempel – dopo un anno e mezzo di stop, sto ancora avendo problemi. Non sono io in questo momento; non ho creatività, non ho energia. Lei – Robin – se n’è andata».
Almeno alcune delle domande più insistenti sull’astinenza da antidepressivi avranno presto una risposta.
Il Dr. Mangin, della McMaster University, ha guidato un gruppo di ricerca in Nuova Zelanda che ha recentemente completato il primo rigoroso trial a lungo termine sull’astinenza.
Il team ha reclutato più di 250 persone in tre diverse città che avevano assunto Prozac per molto tempo e che erano interessate a diminuirne gradualmente l’assunzione. Due terzi del gruppo erano sotto quel farmaco da più di due anni e un terzo da più di cinque anni.
Il team ha assegnato casualmente i partecipanti a uno dei due programmi. La metà con diminuzione graduale, ricevendo una capsula ogni giorno che, per un periodo di un mese o poco più, conteneva quantità progressivamente più basse del farmaco attivo.
L’altra metà credeva di essere nel regime di diminuzione progressiva, ma in realtà aveva capsule che contenvano il loro regolare dosaggio. I ricercatori hanno seguito entrambi i gruppi per un anno e mezzo. Stanno ancora analizzando i dati e le loro scoperte saranno pubblicate nei prossimi mesi.
Ma da questo tentativo e da altre esperienze cliniche una cosa è già chiara, ha detto il dott. Mangin: i sintomi di alcune persone erano così gravi che non potevano sopportare di smettere di prendere il farmaco.
«Anche con una lenta riduzione di un farmaco con un’emivita relativamente lunga, queste persone avevano sintomi di astinenza talmente importanti da dover ricominciare il farmaco» dice.
Al momento, le persone che non sono state in grado di smettere solo seguendo il consiglio del medico si stanno rivolgendo ad un metodo chiamato microtapering: prendere riduzioni minime per un lungo periodo di tempo, nove mesi, un anno, due anni, quel tanto che serve.
Al momento, le persone che non sono state in grado di smettere solo seguendo il consiglio del medico si stanno rivolgendo ad un metodo chiamato microtapering: prendere riduzioni minime per un lungo periodo di tempo, nove mesi, un anno, due anni, quel tanto che serve.
«Le percentuali di diminuzione date dai medici sono spesso molto, troppo veloci» dice Laura Delano, che ha avuto evidenti sintomi mentre cercava di disintossicarsi da diversi psicofarmaci. Ha creato un sito Web, The Withdrawal Project, che fornisce risorse per l’astinenza da psicofarmaci, tra cui una guida per ridurli gradualmente.
Non è l’unica sconcertata dalla carenza di validi consigli medici riguardo a queste prescrizioni che sono diventate così comuni.
«Ci è voluto molto, molto tempo per convincere le persone a prestare attenzione a questo problema e a prenderlo sul serio» dice Luke Montagu, un imprenditore dei media e co-fondatore del Council for Evidence-Based Psychiatry, con sede a Londra, che ha spinto per la revisione da parte della Gran Bretagna della tossicodipendenza e della dipendenza da farmaci.
«C’è stato un momento davvero significativo – ricorda – stavo camminando vicino a casa mia, oltre una foresta, e all’improvviso mi sono reso conto che potevo sentire di nuovo l’intera gamma di emozioni. Il canto degli uccelli era più forte, i colori più vividi – ero felice».
«C’è questa enorme comunità parallela che si è formata, in gran parte online, in cui le persone si sostengono a vicenda nonostante i problemi di astinenza e mettendo a punto prassi migliori in gran parte senza l’aiuto dei medici».
Il dottor Stockmann, lo psichiatra dell’East London, non era del tutto convinto che l’astinenza fosse un problema serio prima di viverla lui stesso. La sua strategia di microtapering alla fine ha funzionato.
«C’è stato un momento davvero significativo – ricorda – stavo camminando vicino a casa mia, oltre una foresta, e all’improvviso mi sono reso conto che potevo sentire di nuovo l’intera gamma di emozioni. Il canto degli uccelli era più forte, i colori più vividi – ero felice».
«Ho visto molte persone – pazienti – non essere credute, non essere prese sul serio quando si sono lamentate di questo».
«Tutto questo deve finire».
Psicofarmaci
Pericoloso psicofarmaco venduto agli adolescenti: causa legale
Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Lo studio, pubblicato dall’American Academy of Child & Adolescent Psychiatry sulla sua rivista JAACAP, ha effettivamente scoperto che la paroxetina (Paxil) non era né sicura né efficace. Documenti interni successivi hanno dimostrato che GSK aveva incaricato un’agenzia di pubbliche relazioni di scrivere l’articolo, selezionando accuratamente i dati e reclutando 20 coautori per conferire credibilità. L’azienda ha poi utilizzato l’articolo per promuovere il Paxil ai medici.
L’editore di un articolo sottoposto a revisione paritaria, pubblicato decenni fa, che affermava che l’antidepressivo paroxetina, commercializzato come Paxil, è sicuro ed efficace per gli adolescenti, ha dichiarato di star esaminando l’articolo.
Nel frattempo, una causa intentata il mese scorso contro l’American Academy of Child & Adolescent Psychiatry (AACAP) e Elsevier , che pubblica la rivista dell’organizzazione, JAACAP, chiede alla rivista di ritrattare l’articolo.
L’avvocato George W. Murgatroyd III, agendo per conto del pubblico, ha intentato la causa presso la Corte superiore della divisione civile del distretto di Columbia.
Pubblicato nel 2001, l’articolo ha scatenato decenni di polemiche. I critici sostengono che abbia sopravvalutato i benefici del Paxil e minimizzato i rischi, tra cui l’aumento del rischio di suicidio tra gli adolescenti.
Noto come «articolo Keller», dal nome dell’autore principale, il dott. Martin Keller, allora presidente della facoltà di psichiatria alla Brown University, l’articolo riportava i risultati parziali dello studio 329, un’indagine volta a verificare se la paroxetina fosse sicura ed efficace nel trattamento della depressione negli adolescenti.
Lo studio è stato finanziato dalla GlaxoSmithKline, ora GSK, che produce il Paxil.
L’articolo riportava che «la paroxetina è generalmente ben tollerata ed efficace per la depressione maggiore negli adolescenti», un’affermazione ormai ampiamente nota per essere basata su risultati distorti.
Lo studio in realtà ha dimostrato che il farmaco non era né sicuro né efficace. Documenti interni successivi hanno dimostrato che GSK aveva incaricato un’agenzia di pubbliche relazioni di scrivere l’articolo, selezionando attentamente i dati e reclutando 20 coautori per conferire credibilità. L’azienda ha poi utilizzato l’articolo per promuovere il Paxil ai medici.
I revisori hanno sollevato preoccupazioni sui dati dello studio. Non appena l’articolo è stato pubblicato, i medici hanno scritto numerose lettere alla redazione chiedendo perché indicazioni statisticamente significative che il farmaco causasse gravi eventi avversi, tra cui «gesti suicidi», fossero state respinte negli studi clinici e non affrontate nell’articolo.
Secondo la denuncia, l’articolo di Keller è diventato uno degli articoli più citati a sostegno dell’uso di antidepressivi nella depressione infantile e adolescenziale, nonostante le prove di altri due studi GSK abbiano confermato che il farmaco era inefficace e rischioso.
Anche se la Food and Drug Administration (FDA) statunitense, che non ha mai approvato il farmaco per l’uso nei bambini e negli adolescenti, ha espresso preoccupazioni in merito allo studio.
Le richieste affinché la JAACAP ritrattasse l’articolo sono iniziate nel 2010, rafforzate da:
- Una nuova analisi del BMJ del 2015 conferma i pericoli del farmaco e la manipolazione dei dati.
- Prove tratte dai fascicoli interni di GSK e dalle deposizioni in altre cause legali relative al Paxil.
- Un caso del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti del 2012 in cui GSK ha pagato 3 miliardi di dollari per risolvere le accuse di frode penale relative al Paxil e ad altri due farmaci.
Tuttavia, finora JAACAP ed Elsevier si sono rifiutati di ritrattare l’articolo.
Murgatroyd ha rappresentato una dozzina di famiglie i cui figli si sono suicidati o sono rimasti gravemente feriti in un tentativo di suicidio, presumibilmente a causa dell’assunzione di Paxil. Il suo team legale ha deposto tutti gli autori dell’articolo e ha esaminato attentamente i documenti interni di GSK.
Sia JAACAP che Elsevier continuano a trarre profitto dall’articolo, secondo i documenti del tribunale. Scaricarlo dal sito web di JAACAP costa 41,50 dollari , mentre scaricarlo dal sito web ScienceDirect di Elsevier costa 33,39 dollari.
Il ricorso chiede al tribunale di «rimediare alla pubblicazione consapevole, alla distribuzione e alla continua vendita di un articolo medico falso e ingannevole che ha tratto in inganno medici, consumatori e istituzioni per oltre due decenni e continua a mettere a repentaglio la salute e la sicurezza mentale degli adolescenti, nonché la fiducia del pubblico nell’integrità scientifica».
La scorsa settimana la JAACAP ha pubblicato una «espressione di preoccupazione» indicando che il Comitato per l’etica delle pubblicazioni (COPE) gestirà le raccomandazioni e le linee guida.
COPE è un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che fornisce consulenza ai direttori di riviste sull’integrità delle pubblicazioni. COPE non indaga su eventuali condotte scorrette nella ricerca o nelle pubblicazioni, ma verifica solo se le riviste coinvolte hanno rispettato il suo codice di condotta.
L’AACAP non ha risposto alla richiesta di commento di The Defender. Elsevier ha risposto solo che avrebbe avuto bisogno di più tempo per rispondere a tale richiesta.
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Lo studio 329 ha rivelato gravi rischi per la sicurezza, tra cui comportamenti suicidi
Prima di pubblicare l’articolo di Keller, GSK ha finanziato tre studi per testare la sicurezza e l’efficacia della paroxetina nel trattamento della depressione nei bambini e negli adolescenti. Il farmaco non ha dimostrato efficacia in nessuno dei tre studi.
Il primo studio, lo Studio 329, completato nel 1998, ha rivelato anche gravi rischi per la sicurezza, tra cui comportamenti suicidari. Studi successivi hanno confermato tali rischi. Secondo i documenti del tribunale, GSK sapeva che i risultati «deludenti» dello Studio 329 avrebbero rappresentato un disastro commerciale per il farmaco.
Tuttavia, lo studio ha prodotto alcuni risultati positivi minimi, che potrebbero indicare la possibilità di efficacia. Ha raggiunto il 15% dei risultati che i ricercatori speravano di ottenere, dimostrando l’efficacia del Paxil. I dirigenti di GSK hanno ammesso privatamente che questi risultati non erano sufficienti a dimostrarne l’efficacia.
Tuttavia, la GSK aveva intenzione di pubblicare dati selezionati dello studio su una prestigiosa rivista medica per affermare che il farmaco funzionava.
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GSK assume un’agenzia di pubbliche relazioni per scrivere la prima bozza dell’articolo JAACAP
L’azienda farmaceutica ha incaricato un’agenzia privata di pubbliche relazioni, la Scientific Therapeutics Information Inc. (STI), di scrivere l’articolo. Un dipendente ne ha redatto la bozza e l’ha inviata a Keller, che è stato selezionato come autore principale e ha completato il processo di pubblicazione. Il ruolo di STI non è stato elencato nella bozza finale presentata al JAACAP.
Più avanti, nel 1998, anche il secondo studio di GSK, il numero 377, non dimostrò efficacia. Secondo i documenti del tribunale, lo studio mostrò anche un numero di eventi avversi gravi correlati alla suicidalità quattro volte superiore rispetto allo studio placebo.
Nello stesso anno, sebbene la GSK fosse a conoscenza di due studi che dimostravano l’inefficacia del farmaco, la casa farmaceutica decise di non pubblicare alcun dato dello studio 377 e pagò invece «direttamente o indirettamente» tre eminenti psichiatri (la dottoressa Karen Wagner, il dottor Neal Ryan e Keller, che avevano lavorato allo studio 329) per promuovere il Paxil come trattamento sicuro ed efficace per la depressione adolescenziale in convegni, forum e in un incontro dell’American Psychiatric Association.
Anche il terzo studio, il 701, concluso nel 2001, non è riuscito a dimostrare l’efficacia sei mesi prima della pubblicazione dell’articolo di Keller, ma GSK e JAACAP hanno proceduto con la pubblicazione.
Venti autori psichiatri sono stati aggiunti come autori dell’articolo di Keller. Sono stati aggiunti anche due dipendenti di GSK, James P. McCafferty e Rosemary Oakes – gli unici autori senza laurea in medicina o dottorato – sebbene la loro affiliazione con GSK non sia stata resa nota.
Le testimonianze raccolte in altri studi clinici hanno indicato che 10 degli autori non hanno nemmeno commentato l’articolo e nessuno di loro ha avuto accesso ai dati grezzi degli studi clinici, sebbene tutti abbiano affermato di averlo fatto.
Nessuno di loro ha dichiarato di avere conflitti di interesse e tutti hanno firmato l’articolo come se fosse opera loro.
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GSK ha utilizzato la ricerca Keller per vendere Paxil per un valore di 1 miliardo di dollari agli adolescenti
Dopo che JAACAP ha pubblicato l’articolo, il team di vendita di GSK ha iniziato a promuovere il Paxil come «sicuro ed efficace» per gli adolescenti.
GSK ha inviato l’articolo a tutti i suoi 2.000 rappresentanti di vendita del Paxil. Nei tre anni successivi alla pubblicazione dell’articolo, si stima che l’azienda abbia guadagnato oltre 1 miliardo di dollari dalla vendita del farmaco agli adolescenti, secondo quanto riportato dai documenti del tribunale.
Negli anni successivi, le autorità di regolamentazione del Regno Unito e dell’Unione Europea hanno emesso avvisi sui pericoli della paroxetina, basandosi sul suo legame con l’ideazione suicidaria negli adolescenti.
Nel 2003, la FDA ha emesso un avviso simile, affermando che non c’erano «prove» che il farmaco fosse efficace.
Negli anni successivi, alcuni autori iniziarono a discutere internamente delle loro preoccupazioni sulla tendenza al suicidio, senza tuttavia apportare modifiche all’articolo, secondo i documenti del tribunale.
JAACAP ed Elsevier hanno rifiutato la ritrattazione per proteggere gli autori?
La denuncia presentata il mese scorso sostiene che i redattori del JAACAP e Elsevier si sono rifiutati di ritrattare l’articolo di Keller «in un apparente tentativo di proteggere almeno cinque degli autori dell’articolo di Keller, che sono membri di spicco dell’AACAP, da possibili conseguenze della ritrattazione».
I conflitti di interesse tra gli autori dell’articolo sarebbero evidenti. Keller, Wagner e Ryan hanno tutti ricevuto denaro per promuovere il Paxil come sicuro ed efficace negli anni precedenti la pubblicazione, secondo la denuncia.
Secondo la denuncia, due autori, McCafferty e Oakes, lavoravano per GSK e non lo hanno dichiarato nell’articolo.
Diversi autori dell’articolo di Keller hanno poi ricoperto posizioni influenti all’interno dell’AACAP. Wagner è stato presidente dal 2017 al 2019.
La dottoressa Gabrielle A. Carlson è stata anche presidente dell’organizzazione dal 2019 al 2021. In precedenza, è stata presidente del Comitato di Programma dell’AACAP dal 2011 al 2014 e ha vinto il premio Virginia Q. Anthony Outstanding Woman Leader Award dell’AACAP.
Il dottor Graham Emslie ha fatto parte del comitato editoriale del JAACAP. Il dottor Boris Birmaher ha presieduto comitati dell’AACAP e ha pubblicato numerosi articoli, editoriali e parametri di pratica organizzativa.
L’attuale caporedattore della rivista, il dottor Douglas Novins, che non è stato uno degli autori dell’articolo ma detiene il potere decisionale finale in merito alla ritrattazione, ha collaborato a stretto contatto con alcuni degli autori, scrivendo editoriali insieme a entrambi i precedenti presidenti.
Il dottor David Healy, coautore dell’articolo del BMJ che ha rianalizzato i dati dello studio 329, ha dichiarato a The Defender che per anni lui e altri che avevano indagato sulla questione avevano dato per scontato che la rivista fosse stata ingannata da GSK, ma in seguito si sono resi conto che la rivista «non era stata ingannata, era complice».
Keller e l’allora direttrice, la dottoressa Mina Dulcan, erano amici intimi, ha detto Healy, una relazione rivelata nelle trascrizioni delle interviste rilasciate dalla Dulcan per una serie di programmi della BBC.
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Immagine di Tokino via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Gravidanza
Gli antidepressivi in gravidanza aumentano il rischio di difetti alla nascita
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Le etichette della FDA non menzionano i rischi identificati dalle recenti ricerche
Tracy Beth Høeg, MD, Ph.D., consulente senior per le scienze cliniche presso la FDA e moderatrice del panel di lunedì, ha affermato in un video sull’evento che l’attuale etichetta di avvertenza della FDA per «almeno un SSRI» non menziona i rischi identificati in studi recenti, tra cui «tassi più elevati di aborto spontaneo, parto prematuro ed effetti negativi sullo sviluppo neurocognitivo del bambino». Secondo la Mayo Clinic, gli SSRI sono una classe di farmaci che bloccano la ricaptazione della serotonina da parte delle cellule cerebrali e sono gli antidepressivi più comunemente prescritti. Gli SSRI attraversano la barriera placentare e ematoencefalica e passano nel latte materno, potendo così influire sullo sviluppo cerebrale del feto. Il dottor Adam Urato, primario di medicina materna e fetale presso il MetroWest Medical Center di Framingham, nel Massachusetts, ha affermato di ritenere che la FDA debba rafforzare le avvertenze. «Mai prima nella storia umana avevamo alterato chimicamente lo sviluppo dei bambini in questo modo, in particolare lo sviluppo del cervello fetale, e questo sta accadendo senza alcun reale preavviso pubblico, e questo deve finire», ha affermato Urato. Le autorità di regolamentazione devono essere creative nel modo in cui informare le donne sui possibili rischi degli SSRI, ha affermato il dottor Josef Witt-Doerring, psichiatra specializzato nell’identificazione e nel trattamento delle reazioni avverse ai farmaci in ambito psichiatrico ed ex responsabile medico della FDA. Avere un codice QR«proprio sui tappi delle bottiglie con la scritta “guardami”» e link a «video di facile lettura per i pazienti che parlano dei rischi più importanti… potrebbe fare miracoli», ha affermato Witt-Doerring.Iscriviti al canale Telegram ![]()
Gli SSRI sono efficaci?
Alcuni relatori hanno criticato la teoria secondo cui gli SSRI sarebbero efficaci nel trattamento della depressione e hanno condiviso le prove della loro inefficacia. La dottoressa Joanna Moncrieff ha mostrato al panel una diapositiva che mostrava i risultati di uno studio, da cui emergeva che la differenza negli effetti tra i soggetti a cui era stato somministrato un antidepressivo e quelli a cui era stato somministrato un placebo era «assolutamente minuscola». Moncrieff è professore di psichiatria critica e sociale presso l’University College di Londra e autore di Chemically Imbalanced: The Making and Unmaking of the Serotonin Myth. La NBC News, sotto il titolo «Un comitato della FDA promuove la disinformazione sugli antidepressivi durante la gravidanza, affermano gli psichiatri», ha citato i medici che hanno contestato l’attacco all’efficacia degli SSRI. Il dottor Joseph Goldberg, professore di psichiatria clinica presso la Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York ed ex presidente dell’American Society of Clinical Psychopharmacology, ha dichiarato alla NBC: «si può dire che lo sbarco sulla Luna sia stato un inganno. Le teorie del complotto abbondano nel nostro mondo. Ma non c’è dubbio sull’efficacia degli SSRI». Goldberg è un ex consulente dell’industria farmaceutica. Nel 2018, ha ricevuto oltre 140.000 dollari dalle aziende farmaceutiche, secondo i dati ottenuti da ProPublica. Goldberg ha dichiarato alla NBC che la FDA lo aveva invitato a partecipare al dibattito, ma lui ha rifiutato perché, stando al tenore dell’invito, riteneva che l’evento “non sarebbe stato un dibattito equo”, secondo quanto riportato dalla NBC.Aiuta Renovatio 21
Non è facile smettere di prendere gli SSRI
I relatori hanno anche citato ricerche che dimostrano quanto sia difficile per alcune persone sospendere gradualmente l’assunzione degli SSRI una volta iniziato il trattamento. «Abbiamo condotto uno studio che ha dimostrato che, tra le persone che avevano assunto antidepressivi per due anni, l’80% non riusciva a smettere di prenderli nonostante i tentativi», ha affermato Moncrieff. Il rapporto «Make America Healthy Again» ha criticato la «sovramedicalizzazione» dei giovani statunitensi con farmaci, inclusi gli SSRI. Il rapporto citava una ricerca che dimostrava che alcune persone che interrompono l’assunzione di SSRI manifestano sintomi di astinenza dovuti alla dipendenza fisica. Uno studio pubblicato all’inizio di questo mese su JAMA Psychiatry ha riferito che i pazienti che avevano smesso di assumere antidepressivi, compresi gli SSRI, avevano manifestato sintomi una settimana dopo l’interruzione del farmaco, ma che tali sintomi erano «al di sotto della soglia per un’astinenza clinicamente significativa». Tuttavia, critici come James Davies, Ph.D., professore associato di psicologia all’Università di Roehampton in Inghilterra, hanno affermato che la maggior parte degli studi esaminati dagli autori dello studio JAMA ha seguito solo pazienti che avevano assunto antidepressivi per otto settimane. Davies, la cui ricerca del 2019 ha rilevato alti tassi di sintomi di astinenza, quasi la metà dei quali classificati come «gravi», ha dichiarato al New York Times: «se si osservano persone che assumono la cocaina da otto settimane, non si noterà l’astinenza. È come dire che la cocaina non crea dipendenza perché abbiamo condotto uno studio su persone che la assumevano solo da otto settimane». Davies ha affermato che lo studio del JAMA, «se letto in modo acritico», potrebbe «causare danni considerevoli minimizzando significativamente gli effetti dell’uso reale di antidepressivi». Suzanne Burdick Ph.D. © 22 luglio 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD. Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Psicofarmaci
Antipsicotici e psicofarmaci SSRI prescritti ai bambini autistici
Renovatio 21 traduce questo articolo per gentile concessione di Children’s Health Defense. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La FDA ha approvato solo due farmaci, entrambi antipsicotici, per il trattamento dei bambini autistici. Entrambi sono approvati specificamente per il trattamento dell’«irritabilità associata all’autismo». Tuttavia, i medici spesso prescrivono anche altri farmaci, off-label, inclusi stimolanti e antidepressivi, senza il supporto di studi sulle possibili interazioni tra più farmaci.
Dieci anni fa, un’inchiesta dell’Huffington Post rivelò che la Johnson & Johnson aveva promosso illegalmente il Risperdal, un farmaco antipsicotico associato a gravi effetti collaterali, tra bambini e anziani.
Oggi, il farmaco rimane uno dei soli due farmaci approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense per il trattamento dell’autismo. L’altro è l’aripiprazolo, anch’esso un antipsicotico, commercializzato con il nome di Abilify e venduto da Bristol Myers Squibb.
Secondo il rapporto investigativo in 15 parti dell’Huffington Post, la FDA aveva proibito ai venditori della Johnson & Johnson di «provare a promuovere il Risperdal ai medici per curare i bambini a causa dei suoi temuti effetti collaterali, tra cui disturbi ormonali».
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Tuttavia, la società «ha organizzato unità di vendita speciali che prendevano di mira illegalmente i medici che curavano anziani e bambini», nonostante siano stati segnalati effetti avversi, tra cui la ginecomastia, che causa l’ingrossamento del tessuto mammario nei maschi, in alcuni bambini che assumevano il farmaco.
I resoconti hanno dato origine a migliaia di cause legali, con risarcimenti complessivi che hanno raggiunto diversi miliardi di dollari.
La FDA ha approvato per la prima volta il Risperdal (risperidone) per il trattamento della schizofrenia nel 1993. Nel 2006, la FDA ha approvato il farmaco per il trattamento dei sintomi di «irritabilità», tra cui aggressività e «capricci», associati all’autismo.
Il ricercatore scientifico e autore James Lyons-Weiler, Ph.D, ha affermato che la distinzione tra l’approvazione dei farmaci per il trattamento dell’autismo e il trattamento dell’«irritabilità associata all’autismo» è fondamentale.
Sebbene i tassi di autismo tra i bambini degli Stati Uniti siano aumentati notevolmente (da 1 su 10.000 negli anni Settanta a 1 su 31 nel 2022), Risperdal e aripiprazolo restano gli unici farmaci del loro genere approvati dalla FDA per le persone affette da autismo.
Secondo Autism Speaks, i due farmaci approvati dalla FDA non affrontano le caratteristiche principali dell’autismo: difficoltà nella comunicazione reciproca, problemi di integrazione sensoriale, modelli ripetitivi di comportamento e profili di apprendimento atipici, che l’organizzazione definisce «un’ampia area di bisogni insoddisfatti».
«I tratti fondamentali dell’autismo rimangono farmacologicamente intatti», ha affermato Lyons-Weiler. «Stiamo applicando trattamenti progettati per il disturbo depressivo maggiore, la schizofrenia, l’epilessia e il disturbo d’ansia generalizzato a bambini in via di sviluppo con un’eziologia e una neurobiologia completamente diverse».
Diversi altri tipi di farmaci vengono comunemente prescritti «off-label» [fuori indicazione, ndt] ai pazienti affetti da autismo, il che significa che i farmaci hanno l’approvazione della FDA, ma non sono approvati per il trattamento dei sintomi dell’autismo.
La pediatra dottoressa Michelle Perro ha affermato che questi farmaci includono «antipsicotici, stimolanti, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e melatonina». I farmaci vengono prescritti per «gestire sintomi associati come irritabilità, aggressività, iperattività, ansia e disturbi del sonno».
Lyons-Weiler ha affermato che «la prescrizione off-label è la regola, non l’eccezione, nella cura dell’autismo”, ma ha osservato che viene praticata “in assenza di dati sulla sicurezza a lungo termine».
Studi hanno dimostrato che i bambini con autismo sono più suscettibili agli eventi avversi. Esistono pochi studi su come questi farmaci interagiscono quando assunti contemporaneamente, sebbene la pratica di prescrivere più farmaci, nota come politerapia , sia anch’essa associata a un aumento del rischio di eventi avversi.
«L’attuale modello farmacologico per l’autismo non è un paradigma di trattamento, bensì una sedazione comportamentale applicata in modo selettivo», ha affermato Lyons-Weiler.
Nel 2022, il Risperdal era il 183° farmaco più comunemente prescritto negli Stati Uniti, sebbene il suo utilizzo sia diminuito di oltre la metà rispetto al picco del 2014.
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I farmaci off-label per i sintomi dell’autismo non sono ancora stati testati clinicamente
Sia i farmaci approvati dalla FDA che quelli prescritti off-label per i sintomi correlati all’autismo sono tutti associati a gravi eventi avversi.
I farmaci antipsicotici, tra cui Abilify, Risperdal e Zyprexa, vengono comunemente prescritti per l’aggressività, l’irritabilità e i comportamenti ripetitivi.
Gli effetti collaterali comuni associati agli antipsicotici vanno da sonnolenza, vertigini e aumento di peso a convulsioni, ipotensione e problemi sessuali. Questi farmaci sono anche associati a iperglicemia, ictus e pensieri suicidi o autolesionismo.
Questa categoria di farmaci «altera ampiamente l’attività dei neurotrasmettitori ed è collegata alla sindrome metabolica, all’aumento della prolattina, alla ginecomastia e al profondo aumento di peso», ha affermato Lyons-Weiler.
Perro ha affermato che i farmaci possono anche portare a «un’esacerbazione di problemi motori sottostanti».
Gli antidepressivi, o inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), migliorano i livelli di serotonina, un ormone e neurotrasmettitore che regola l’umore. Questi farmaci, tra cui Celexa, Prozac e Zoloft, vengono prescritti ai bambini con autismo per ridurre l’ansia, la depressione e la frequenza o l’intensità dei comportamenti ripetitivi.
Ma secondo Lyons-Weiler, «gli SSRI sono spesso inefficaci e possono indurre agitazione, appiattimento emotivo o persino ideazione suicidaria, soprattutto nella popolazione pediatrica».
Autism Speaks riconosce che «ampi studi clinici devono ancora dimostrare» l’efficacia degli SSRI nel trattamento dei sintomi dell’autismo.
Sebbene gli effetti collaterali più comuni degli SSRI siano diarrea, affaticamento, nausea e aumento di peso, questi farmaci sono anche associati a gravi effetti avversi, tra cui alterazioni del ritmo cardiaco, sanguinamento e pensieri suicidi o autolesionistici.
«Gli SSRI possono aiutare a combattere i comportamenti ripetitivi, ma possono anche aumentare l’isolamento sociale e causare ulteriore intorpidimento emotivo», ha affermato Perro.
Anche gli stimolanti, che contrastano l’iperattività e la mancanza di attenzione e concentrazione, vengono comunemente somministrati ai bambini autistici. Tra questi, Adderall, Ritalin e Vyvanse.
Gli stimolanti aumentano i livelli di dopamina e noradrenalina , ormoni e neurotrasmettitori coinvolti in funzioni corporee fondamentali e nella regolazione delle emozioni.
Gli effetti collaterali più comuni degli stimolanti sono: diminuzione dell’appetito, mal di testa, disturbi del sonno e mal di stomaco.
Gli stimolanti sono inoltre associati a eventi avversi più gravi, tra cui alterazioni del ritmo cardiaco, aumento della pressione sanguigna, convulsioni, ictus e fenomeno di Raynaud, una patologia che si verifica quando il sangue non fluisce correttamente alle dita delle mani e dei piedi.
E secondo Lyons-Weiler, «gli stimolanti possono aumentare l’ansia, l’aggressività o i tic, soprattutto nei bambini con disturbi del sistema immunitario o dell’asse intestino-cervello».
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«Un deserto farmacologico inesplorato»
Sebbene il profilo degli eventi avversi di farmaci specifici sia ben noto e riportato nei foglietti illustrativi di ciascun farmaco, si conoscono molte meno informazioni sugli eventi avversi potenzialmente dannosi che possono derivare dalle interazioni tra più farmaci assunti contemporaneamente per trattare i sintomi correlati all’autismo.
Secondo un articolo pubblicato il mese scorso su The Conversation, negli ultimi anni la politerapia «è diventata un problema sempre più frequente per le persone autistiche».
«La politerapia aggrava questi rischi, eppure rimane sottoregolamentata», ha affermato Lyons-Weiler. «I bambini assumono spesso tre, quattro, cinque o più psicofarmaci contemporaneamente, senza un singolo studio clinico randomizzato controllato che guidi queste combinazioni. Se usati singolarmente, questi farmaci comportano già gravi effetti collaterali. Se combinati, entriamo in un mondo farmacologico inesplorato».
Secondo Lyons-Weiler, gli eventi avversi gravi associati alla politerapia per il trattamento dei sintomi dell’autismo includono:
- Stagnazione cognitiva, inclusa una ridotta capacità di elaborazione
- Disturbi endocrini, tra cui pubertà ritardata e testosterone soppresso
- Effetti metabolici, tra cui resistenza all’insulina, cambiamenti del colesterolo e rapido aumento di peso
- Effetti collaterali neurologici, tra cui disturbi del movimento e sedazione
- Comportamento peggiorato
«Questi esiti vengono troppo spesso trattati come comorbilità non correlate, quando in realtà potrebbero essere iatrogeni», ha affermato Lyons-Weiler. «Ecco perché la politerapia senza una comprensione sistemica della disintossicazione, del metabolismo e della neuroinfiammazione è pericolosa. Tratta i sintomi come entità isolate, non come espressioni di un sistema più ampio e compromesso».
Lyons-Weiler ha affermato che esistono solo pochi studi che esaminano gli effetti della politerapia sui bambini autistici.
Uno studio pubblicato sulla rivista Research in Autism Spectrum Disorders nel 2020 ha scoperto che i giovani autistici in Nuova Zelanda avevano maggiori probabilità di manifestare effetti collaterali rispetto ai giovani non autistici, in parte perché questi giovani «subiscono un carico significativo di farmaci», con oltre la metà dei giovani studiati che assumeva tre o più farmaci contemporaneamente.
Uno studio successivo, pubblicato sulla stessa rivista nel 2022, ha rilevato che «i bambini con autismo e ADHD sperimentano un notevole carico farmacologico e interazioni potenzialmente avverse tra farmaci psicotropi e farmaci per il sonno, sollevando importanti interrogativi sulla loro assistenza clinica».
Secondo una revisione sistematica e una meta-analisi del 2019 pubblicate sulla rivista Pediatric Drugs, l’aumentata sensibilità sensoriale e del sistema nervoso nei pazienti autistici potrebbe spiegare la maggiore prevalenza di effetti collaterali.
Uno studio pubblicato l’anno scorso sulla rivista Autism ha scoperto che le persone affette da autismo avevano un rischio di mortalità più del doppio rispetto alla popolazione generale.
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L’industria farmaceutica trae grandi profitti dai trattamenti farmacologici per l’autismo
Secondo Lyons-Weiler, mentre gli attuali percorsi di cura farmacologica per i pazienti autistici si sono rivelati problematici, i trattamenti più efficaci vengono trascurati perché «non sono “prescrivibili” e quindi non sono rimborsabili, e quindi non sono “mainstream”».
«Gli interventi farmaceutici sono facili da prescrivere, rimborsare e codificare in protocolli», ha affermato. «Ciò che viene trascurato sono le terapie che trattano il bambino come un sistema biologico, non come un problema comportamentale».
Secondo Perro, «Queste terapie possono includere cambiamenti nella dieta, prodotti omeopatici, probiotici, protocolli di disintossicazione e integratori mirati, insieme a terapie che si concentrano sulla riduzione dell’infiammazione e sulla promozione della salute intestinale, contribuendo a migliorare i risultati sia comportamentali che fisici nei bambini con disturbi dello spettro autistico».
Lyons-Weiler ha ipotizzato che ridurre l’esposizione a noti interferenti del sistema immunitario presenti nell’ambiente possa essere d’aiuto anche ai pazienti autistici.
«Tuttavia, questi interventi non si adattano perfettamente al modello di fatturazione CPT [ terminologia procedurale corrente ] o al quadro degli studi clinici randomizzati e controllati con placebo in doppio cieco, quindi restano nell’ombra», ha affermato Lyons-Weiler.
Ha auspicato una «ricerca pratica, applicata e a livello di sistema» che operi al di fuori dell’influenza degli interessi farmaceutici, con una totale trasparenza dei dati e incentivi alla replicazione integrati nel progetto di ricerca.
Secondo Perro, «un’area fondamentale della ricerca, che non è stata ancora esplorata a sufficienza, riguarda l’identificazione di vari biomarcatori… che potrebbero prevedere le risposte al trattamento o gli effetti collaterali».
Ha inoltre chiesto più studi sulla sicurezza a lungo termine, studi longitudinali , prove comparative e studi che esplorino trattamenti non farmacologici.
Ad aprile, il National Institutes of Health (NIH) ha annunciato il lancio di un nuovo programma di ricerca per studiare le cause dell’autismo e l’ aumento delle diagnosi.
Il mese scorso, l’NIH e i Centers for Medicare & Medicaid Services hanno annunciato una «partnership storica» che consentirà ai ricercatori dell’NIH di analizzare le cartelle cliniche di bambini e adulti iscritti a Medicare o Medicaid con diagnosi di autismo.
Lyons-Weiler ha affermato che sono necessari più che semplici ulteriori studi scientifici e clinici.
«Questo non si potrà ottenere solo con i farmaci. È necessario ascoltare le famiglie, integrare le evidenze del mondo reale e rispettare la complessità della biologia, anziché ignorarla», ha affermato Lyons-Weiler.
Lo dobbiamo ai bambini che non hanno mai scoperto chi avrebbero potuto essere. Lo dobbiamo ai genitori che non chiedono miracoli, ma una scienza onesta, coraggiosa e completa.
Michael Nevradakis
Ph.D.
© 27 maggio 2025, Children’s Health Defense, Inc. Questo articolo è riprodotto e distribuito con il permesso di Children’s Health Defense, Inc. Vuoi saperne di più dalla Difesa della salute dei bambini? Iscriviti per ricevere gratuitamente notizie e aggiornamenti da Robert F. Kennedy, Jr. e la Difesa della salute dei bambini. La tua donazione ci aiuterà a supportare gli sforzi di CHD.
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