Spirito
Il cardinale Zen: il Sinodo mira a «rovesciare» la gerarchia della Chiesa per creare «un sistema democratico»
Il cardinale Joseph Zen ha lanciato un forte avvertimento sul Sinodo sulla sinodalità e sulla persistente divisione derivante dalla Fiducia Supplicans, affermando che il «futuro della Chiesa» è «incerto» a meno che i problemi non vengano risolti. Lo riporta LifeSiteNews.
«Mi sento molto preoccupato per come questa cosiddetta “sinodalità” del Sinodo dei vescovi possa concludersi senza intoppi», ha esordito lo Zen, vescovo emerito di Hong Kong.
L’ultimo saggio del cardinale, pubblicato il 17 ottobre, rinnova la sua precedente preoccupazione e critica sul Sinodo sulla sinodalità, ma si ricollega anche alla controversa dichiarazione del 2023 Fiducia Supplicans che ha approvato le «benedizioni» tra persone dello stesso sesso.
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Zen ha presentato una comprensione tradizionale di un sinodo, spiegando che «c’è un documento della Chiesa che spiega il Sinodo, un importante fatto storico della Chiesa, è una struttura nella storia attraverso la quale la gerarchia guida la Chiesa».
Il Sinodo sulla sinodalità è composto da elettori laici e clericali, in un cambiamento sismico che ha suscitato molte critiche sul fatto che non sia più un Sinodo dei vescovi. I leader del Sinodo hanno costantemente postulato la «comune dignità del Battesimo» come la logica alla base degli elettori laici e clericali presenti al Sinodo.
Ma Zen ha avvertito che mentre tutta la Chiesa dovrebbe impegnarsi nella «missione di evangelizzazione», solo «la gerarchia può assicurare la direzione del cammino della Chiesa e salvaguardare il contenuto della fede tramandata dagli apostoli. Gesù ha affidato la Chiesa al “collegio apostolico guidato da Pietro”, e i successori degli apostoli sono i vescovi».
Il processo pluriennale del sinodo e il suo piano su larga scala per coinvolgere le persone erano «senza precedenti nella loro portata», ha commentato Zen.
Ma ha espresso preoccupazioni sulla procedura:
«A livello continentale, la segreteria centrale ha chiaramente esercitato un controllo rigoroso utilizzando procedure specifiche: enfasi sulla condivisione ed evitamento della discussione. Inaspettatamente, lo stesso approccio è stato utilizzato al Sinodo ufficiale».
Zen si è unito al cardinale Gerhard Müller e al vescovo Athanasius Schneider nel criticare il coinvolgimento degli elettori laici, affermando in modo sorprendente che «ovviamente, lo scopo di questa conferenza era quello di rovesciare la classe gerarchica della Chiesa e attuare un sistema democratico».
«Il Papa aveva il diritto di convocare qualsiasi riunione consultiva, ma il Sinodo dei vescovi avviato da Papa Paolo VI era specificamente progettato per consentire al Papa di ascoltare le opinioni dei suoi fratelli vescovi», ha aggiunto. «Con i “non vescovi che votavano insieme, non era più un Sinodo dei vescovi”».
Delineando un modo affinché l’incontro fosse fedele all’identità di un sinodo, Zen ha affermato che «dovrebbe tornare a come era quando il Sinodo fu istituito per la prima volta, e che ha funzionato bene per molti anni: ovvero, lasciare che i vescovi guidino, discutano e votino e presentino le loro raccomandazioni al Papa per la sua considerazione in quanto vescovi colleghi».
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Il cardinale ha esortato i suoi colleghi vescovi a «combattere per avere più potere e almeno a impedire ai non vescovi di votare con loro».
Zen ha mosso critiche particolari al cardinale gesuita Jean-Claude Hollerich – Relatore generale della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi; al cardinale Mario Grech – Segretario generale della Segreteria generale del Sinodo; e al cardinale Victor Manuel Fernández – Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede:
«Fin dall’inizio di questo sinodo, i due cardinali che presiedevano l’assemblea e il capo dell’ufficio dottrinale nominato dal Papa non hanno posto l’accento sulla preservazione della fede, ma hanno sottolineato l’importanza di apportare cambiamenti, in particolare, alla struttura operativa della Chiesa e ai suoi insegnamenti etici; e alla giustificazione etica del “sesso”, in particolare per quanto riguarda le relazioni omosessuali».
Zen ha fatto riferimento ai famosi Dubia da lui pubblicati con altri quattro cardinali l’anno scorso, che riguardavano, tra le altre cose, il tema delle «benedizioni» omosessuali. La lunga risposta del Papa, che approvava le «benedizioni» omosessuali in alcuni casi, è arrivata solo un giorno dopo, il che ha spinto Zen l’anno scorso a suggerire che era stata pre-scritta dai leader del sinodo.
Questa accusa è stata ripetuta nel suo nuovo saggio: «la risposta non poteva essere stata scritta dal papa stesso quel giorno. Era ovviamente preparata dalla persona responsabile della conferenza per sostenere le loro argomentazioni per cambiare la dottrina della Chiesa».
Zen è stato uno dei principali critici della Fiducia Supplicans, chiedendo al suo autore, il cardinale Fernandez, di dimettersi e avvertendo che è «un’eresia quando si definisce un peccato come qualcosa di buono».
Bergoglio e Fernandez hanno affermato che il documento non è soggetto a ulteriori discussioni, cosa che Zen ha ora definito come «un atto maleducato, non permettere ai vescovi di discuterne, e “loro” sono giunti a una conclusione su tale questione».
Il porporato cinese ha sottolineato la «grande spaccatura all’interno della chiesa e il caos tra i fedeli» in seguito alla pubblicazione del documento lo scorso dicembre. «Questo è stato raro nella storia della Chiesa», ha detto, aggiungendo che mentre «il Papa e la Congregazione per la Dottrina della Fede hanno espresso la loro “comprensione” di fronte a questa situazione», non hanno ritirato il documento. «Questa questione verrà discussa nella riunione del 2024?»
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Zen ha esortato i suoi fratelli vescovi a persuadere il Papa a non attuare la Fiducia Supplicans, e ha avvertito che se la questione «non verrà risolta durante l’incontro [il Sinodo 2024, ndr] il futuro della Chiesa sarà molto incerto»:
«Avrei pensato che almeno la questione della benedizione delle unioni omosessuali dovesse essere risparmiata da un dibattito infinito. Spero che i vescovi convinceranno il papa a decidere di posticipare l’attuazione di tale affermazione sine die (indefinitamente). Gesù disse a Pietro: “Tu aliquando conversus, confirma fratres tuos ” [“tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli”], non dopo averlo attentamente considerato, conferma i tuoi fratelli».
«Se questa questione non verrà risolta durante l’incontro, il futuro della Chiesa sarà molto incerto, perché alcuni amici del patriarca e del papa che insistono nel cambiare le tradizioni della Chiesa continuano a promuovere vigorosamente i loro piani».
Lo Zeno ha criticato la lobby LGBT che ha descritto come «attivamente impegnata a promuovere i propri piani fuori dalla sala dell’assemblea mentre questa è in sessione», come testimoniato dai recenti eventi ospitati da Padre James Martin e dal New Ways Ministry.
«Ciò che preoccupa è che perfino quei cosiddetti “nuovi ministri pastorali” che sostengono il cambiamento di genere sono stati accolti calorosamente dal Papa negli ultimi giorni», ha continuato Zen, facendo riferimento diretto all’udienza papale del New Ways Ministry dello scorso fine settimana.
I membri del sinodo stanno attualmente discutendo se concedere alle conferenze episcopali locali una maggiore autonomia, inclusa la possibilità di decidere la dottrina a livello locale. La questione, a quanto si dice, ha ricevuto un rifiuto nell’aula del sinodo, ma resta da vedere cosa il documento finale raccomanderà al Papa.
Mettendo in guardia da questa focalizzazione e dalla sinodalità stessa, Zen ha affermato che «ciò equivale a discutere se i laici debbano avere più diritti per “condividere” le responsabilità dei “pastori” gerarchici».
«Se coloro che propugnano questo cambiamento non riescono a conquistare l’intera Chiesa, combatteranno per la diversità tra le chiese locali?», si è chiesto.
«Le singole conferenze episcopali avranno una posizione indipendente su questioni di fede? Questa è una prospettiva spaventosa. Se questa idea avrà successo, non saremo più cattolici (la Chiesa anglicana di Londra ha approvato il matrimonio tra persone dello stesso sesso e i suoi seguaci sono diventati una minoranza inferiore al 20% della Chiesa anglicana globale. Possiamo non essere vigili?)»
Il cardinale ha concluso raccomandando ai suoi lettori di non essere ansiosi, ma di ricorrere alla preghiera e alla penitenza, secondo l’antica consuetudine della Chiesa:
«È inutile che ci preoccupiamo di questi problemi. Digiuno, preghiera (specialmente il rosario)! Non dobbiamo mai disperare».
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Pensiero
Miseria dell’ora legale, contro Dio e la legge naturale
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Spirito
Cristo Re, il cosmo divino contro il caos infernale. Omelia di Mons. Viganò
Renovatio 21 pubblica l’omelia nella festa di Cristo Re dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò.

Israël es tu Rex
Omelia nella festa di Cristo Re
Israël es tu Rex,
davidis et inclyta proles;
nomine qui in Domini,
Rex benedicte, venis.
D’Israele Tu sei il Re,
di David la nobile prole;
Tu che vieni, Re benedetto,
nel Nome del Signore.
Teodolfo di Orléans,
Inno Gloria laus et honor.
Gloria, laus et honor tibi sit, Rex Christe Redemptor. Al canto di questo inno antichissimo, intonato nella Domenica delle Palme dinanzi alle porte serrate della chiesa, la processione del clero e dei fedeli entra solennemente nella nuova Gerusalemme, spalancandone i robusti battenti con il triplice colpo della Croce astile.
La suggestiva cerimonia della seconda Domenica di Passione rievoca l’ingresso trionfale di Nostro Signore nella Città santa, di cui era figura l’ingresso di Salomone (1Re 1, 32-40). Essa ha dunque un’indole eminentemente regale, perché con questa presa di possesso del Tempio, Egli è riconosciuto e osannato come Dio, come Messia e come Re dei Giudei: il Cristo, Χριστός, l’Unto del Signore. La Sua divina Regalità era già stata testimoniata e onorata dai Magi, nella grotta di Betlemme: con l’oro al Re dei Re, l’incenso al Dio Vivo e Vero, la mirra al Sacerdote e Vittima.
Poco meno di cent’anni fa, l’11 Dicembre 1925, il grande Pontefice lombardo Pio XI promulgò l’immortale Enciclica Quas primas, nella quale è definita la dottrina della universale Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo: Egli è Re in quanto Dio, in quanto discendente della stirpe regale della tribù di Davide e per diritto di conquista mediante la Redenzione.
L’istituzione di questa festa non ha in verità introdotto nulla di nuovo. Essa è stata voluta da Pio XI per contrastare e combattere la peste del liberalismo laicista, il massonico Libera Chiesa in libero Stato e la folle presunzione di estromettere Gesù Cristo dalla società civile. Pio XI non fu il solo a ribadire solennemente la dottrina cattolica: prima di lui Clemente XII, Benedetto XIV, Clemente XIII, Pio VI, Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XIV, Pio IX, Leone XIII e San Pio X avevano severamente condannato le logge segrete, la carboneria, la Massoneria e tutti gli errori che i nemici di Cristo avevano sparso e alimentato nel corso degli ultimi due secoli.
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Dopo la grande frattura del Protestantesimo nel Cinquecento, i tre secoli successivi hanno visto affrontarsi in una serie di terribili battaglie la Chiesa Cattolica e l’Antichiesa, cioè la Massoneria: da una parte, il Principe della Pace e le Sue schiere angeliche e terrene; dall’altra, la scelesta turba, la folla sciagurata, aizzata dai mercanti asserviti a Lucifero.
Il mito del «popolo sovrano» ha sepolto sotto le rovine della Rivoluzione secoli di civiltà cristiana, mostrando sino a quali aberrazioni l’uomo potesse giungere. I Martiri di questi secoli di violenze inaudite e di eccidi ancora impuniti ci guardano dai loro scranni in cielo, chiedendo giustizia per il sangue che essi hanno versato, e con il loro silenzio – quasi di notte oscura per la Chiesa, alla vigilia della sua passione – essi osservano increduli i papi di questi ultimi decenni deporre le armi spirituali e cooperare con i nemici di Cristo.
Da quegli scranni ci guardano anche i Pontefici guerrieri che – anche a costo della propria vita, come Pio VI, imprigionato da Napoleone e morto di stenti in carcere – seppero affrontare a testa alta i più feroci attacchi contro Dio, contro il Papato, contro la Gerarchia Cattolica, contro i fedeli. Se la Storia non fosse stata falsificata dai momentanei vincitori di questa guerra – come avviene ancora oggi – nelle scuole i nostri figli studierebbero non la presa della Bastiglia, non le menzogne dell’epopea del Risorgimento, non le gesta di mercenari cospiratori o di ministri corrotti, ma le fasi del genocidio contro i Cattolici delle Nazioni un tempo cristiane.
Quando venne istituita la festa di Cristo Re, la Chiesa Cattolica non poteva più avvalersi della cooperazione dei Sovrani cattolici, che nelle leggi civili e penali avevano fatto osservare i principi del Vangelo e della Legge naturale. La prima autorità dell’ancien régime a cadere fu infatti la Monarchia di diritto divino, che attinge alla Regalità di Cristo la potestà vicaria nelle cose temporali.
La seconda autorità cadde pochi decenni dopo, e fu quella dei pontefici asserviti alla Rivoluzione. Con la deposizione della tiara papale, Paolo VI suggellò l’abdicazione della potestà di Cristo nelle cose spirituali e la resa alle ideologie anticristiche e anticattoliche della Sinagoga di Satana. «Anche noi, più di ogni altro abbiamo il culto dell’uomo», disse Montini alla chiusura del Vaticano II (1). E sotto le volte della Basilica Vaticana echeggiarono queste parole: «La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità», parole che solo pochi anni prima avrebbero scandalizzato qualsiasi Cattolico.
Paolo VI – e con lui il predecessore Giovanni XXIII – furono gli iniziatori del processo di liquidazione della Chiesa di Cristo e su di essi incombe la responsabilità di aver disarmato la Cittadella e averne spalancate le porte per meglio farvi entrare il nemico, salvo poi ipocritamente denunciare che «da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio» (2). E nulla si salvò da quell’operazione di disarmo: né la dottrina, né la morale, né la liturgia, né la disciplina.
Così venne sfigurata anche la festa di Cristo Re, la cui data fu spostata alla fine dell’anno liturgico, assumendo una valenza escatologica: Cristo Re del mondo a venire, non delle società terrene. Perché la Signoria del Verbo Incarnato non doveva rappresentare un ostacolo al dialogo con «l’uomo contemporaneo» e con l’idolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
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I fautori di questo smantellamento suicida ebbero a rallegrarsi che finalmente si fosse posto fine al trionfalismo postridentino di una Chiesa che voleva convertire il mondo a Cristo, e non adattare la divina Rivelazione all’antievangelo dell’Antichiesa; di una Chiesa che onorava il proprio Signore come Re universale e a Lui voleva condurre tutte le anime, perché nel regnum Christi esse potessero vivere nella pax Christi.
Scelesta turba clamitat: regnare Christum nolumus (3) – cantiamo nel magnifico inno della festa odierna – La folla scellerata schiamazza: Non vogliamo che Cristo regni! Questa bestemmia è il grido di battaglia delle orde di Lucifero, dei figli delle tenebre; lo stesso grido che risuonò quando lo spirito ribelle e orgoglioso di Satana vomitò il suo Non serviam. Un grido che sovverte il κόσμος divino, fondato in Nostro Signore Gesù Cristo, nel Dio incarnato per obbedienza all’Eterno Padre, e per obbedienza morto sulla Croce propter nos homines et propter nostram salutem.
Alla fine dei tempi, ormai prossima, l’Anticristo contenderà a Cristo proprio la Sua universale Signoria, cercando di sedurre i popoli con prodigi e falsi miracoli, addirittura simulando la propria resurrezione. Affascinante, seducente, simulatore, orgoglioso, pieno di sé, l’Anticristo combatterà la Santa Chiesa senza esclusione di colpi, ne perseguiterà i Ministri e i fedeli, ne adultererà la dottrina, ne corromperà i chierici facendone dei propri servi.
Quello che vediamo accadere nella sfera civile e religiosa da almeno da due secoli, in un continuo crescendo, è la preparazione di questo piano infernale, volto a spodestare Nostro Signore, a rifiutarLo come Dio, come Re e come Sommo Sacerdote, a calpestare empiamente l’Incarnazione e l’opera della Redenzione.
Con la festa di Cristo Re noi cooperiamo al ripristino dell’ordine, del κόσμος divino contro il χαός infernale. Restituiamo a Cristo la corona che già Gli appartiene, lo scettro che Gli ha strappato la Rivoluzione. Non perché stia a noi rendere possibile la restaurazione dell’ordine, di cui sarà artefice unico Nostro Signore, ma perché non è possibile prendere parte a questa restaurazione senza che noi vi contribuiamo.
Ai tempi della prima Venuta del Salvatore, il regno di Israele e il tempio non avevano né un Re legittimo, né legittimi Sommi Sacerdoti: l’autorità civile e religiosa era ricoperta da personaggi di nomina imperiale. Nella seconda Venuta alla fine del mondo questa vacanza dell’autorità sarà ancora più evidente, perché Nostro Signore ricomporrà in Sé tutte le cose – Instaurare omnia in Christo (Ef 1, 10) – in un momento storico in cui sarà il Male a dominare in tutti gli ambiti della vita quotidiana, in tutte le istituzioni, in tutte le società.
E sarà una vittoria trionfale, schiacciante, totale, inesorabile, su tutte le menzogne e i crimini dell’Anticristo e della Sinagoga di Satana.
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Facciamo nostra la preghiera dell’inno Te sæculorum Principem:
O Christe, Princeps Pacifer,
Mentes rebelles subjice:
Tuoque amore devios,
Ovile in unum congrega.
O Cristo, Principe che porti la vera Pace: sottometti le menti ribelli e riunisci in un solo ovile quanti si sono allontanati dal Tuo amore. E così sia.
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo
26 Ottobre MMXXV
D.N.J.C. Regis
Dominica XX post Pent., ultima Octobris
NOTE
1) Cfr. Discorso di Paolo VI alla IX Sessione Pubblica del Concilio Vaticano II, 7 Dicembre 1965.
2) Paolo VI, Omelia nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 1972.
3) Inno Te sæculorum Principem nella festa di Cristo Re.
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Immagine di Dominikosaurus via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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