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Geopolitica

Le esplosioni di Beirut: un decimo della bomba di Hiroshima

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Renovatio 21 ripubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews.

 

 

 

Il presidente Michel Aoun conferma che le esplosioni sono state causate dal deposito di nitrato di ammonio incustodito. Autorità portuali e della dogana agli arresti domiciliari. Sospetti sulla presenza di un deposito di armi. Gli ex primi ministri domandano «un’inchiesta internazionale o araba» sulla vicenda. Il governatore di Beirut: Abbiamo bisogno di cibo, vestiti, materiale per ricostruire le case, un riparo per i rifugiati. La campagna di AsiaNews: «In aiuto a Beirut devastata».

Le esplosioni avvenute al porto di Beirut avevano un potere esplosivo pari a un decimo di quello scatenato dalla bomba di Hiroshima, lanciata 75 anni fa

 

 

Le esplosioni avvenute ieri al porto di Beirut avevano un potere esplosivo pari a un decimo di quello scatenato dalla bomba di Hiroshima, lanciata 75 anni fa.

 

Lo afferma uno studio dell’università di Sheffield (Gran Bretagna), sottolineando che in ogni caso quelle di ieri sono «senza dubbio una delle più grandi esplosioni non-nucleari della storia”».

 

L’esplosione ha ucciso almeno 135 persone e ferito quasi 5mila e 300mila sfollati, la cui casa è stata distrutta o danneggiata.  A causa dei fumi che si teme siano velenosi, centinaia di migliaia di persone si stanno muovendo dalla capitale verso la montagna o in ogni caso lontano dalla zona colpita.

 

Uno studio dell’università di Sheffield: «senza dubbio una delle più grandi esplosioni non-nucleari della storia”»

Secondo il presidente libanese Michel Aoun, le esplosioni sono state causate da 2750 tonnellate di nitrato di ammonio immagazzinate senza sicurezza in un deposito. Per questo alcune autorità del porto sono state messe agli arresti domiciliari, mentre è stata lanciata un’inchiesta sulle responsabilità.

 

Le autorità portuali e della dogana si difendono dicendo che molte volte hanno chiesto la rimozione della pericolosa sostanza, ma non hanno ottenuto risposta. Secondo alcuni siti specializzati, il nitrato di ammonio era stato requisito da una nave moldava nel 2013, che presentava alcune illegalità. La nave è stata poi abbandonata dai proprietari e dal 2014 la sostanza chimica era rimasta nei depositi del porto.

 

Diversi analisti sospettano che le esplosioni siano avvenute perché nel porto vi erano dei depositi di armi. In ogni caso, per molti a Beirut, il gigantesco incidente è una conferma dell’incapacità della classe politica e delle autorità a gestire la società libanese.

 

Per molti a Beirut, il gigantesco incidente è una conferma dell’incapacità della classe politica e delle autorità a gestire la società libanese

Vi sono anche richieste pressanti per un’inchiesta internazionale. Tutti gli ex premier libanesi, all’opposizione rispetto al presente governo, hanno domandato ieri una inchiesta «internazionale o araba», dato che le esplosioni hanno «minato la fiducia dei libanesi verso il governo». Nel gruppo sono compresi Fouad Siniora, Saad Hariri e Tammam Salam.

 

La richiesta di un’inchiesta internazionale è stata avanzata anche dal partito di Walid Joumblatt e da Marwan Hamadé.

 

Intanto, la situazione sul terreno è disastrosa. Molte persone si sono offerte volontarie per ripulire le strade della capitale bloccate dalle macerie e dalla polvere. La situazione umanitaria rimane acuta.

 

Il governatore di Beirut, Marwan Aboud, ha lanciato un appello: «Beirut ha bisogno di cibo; Beirut ha bisogno di vestiti, case, materiale per ricostruire le abitazioni. Beirut ha bisogno di un riparo per i rifugiati, per la sua gente».

«Beirut ha bisogno di cibo; Beirut ha bisogno di vestiti, case, materiale per ricostruire le abitazioni. Beirut ha bisogno di un riparo per i rifugiati, per la sua gente»

 

 

 

A sostegno della popolazione di Beirut e del Libano, in appoggio alla Caritas Libano, AsiaNews ha deciso di lanciare la campagna “In aiuto a Beirut devastata”. Coloro che vogliono contribuire possono inviare donazioni a:

– Fondazione PIME – IBAN: IT78C0306909606100000169898 – Codice identificativo istituto (BIC): BCITITMM –

   Causale: “AN04 – IN AIUTO A BEIRUT DEVASTATA”

–  attraverso il sito di AsiaNews alla voce “DONA ORA”

 

 

 

Immagine da Asianews

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Geopolitica

Fico: l’UE «si spara sulle ginocchia»

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Il primo ministro slovacco Robert Fico ha dichiarato martedì, durante il Forum europeo sull’energia nucleare (ENEF) a Bratislava, che il tentativo dell’Unione Europea di eliminare le fonti energetiche russe dal suo mercato rappresenta una politica autodistruttiva e rischiosa.

 

Nel suo discorso di apertura, Fico ha duramente criticato il piano REPowerEU, volto a eliminare completamente le fonti energetiche russe, definendolo «una totale assurdità».

 

«Ci stiamo sparando in ginocchio», ha affermato. «E sono pronto a discutere con la Commissione Europea 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per convincerli che si tratta di un passo ideologico insensato».

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Fico ha evidenziato che la Slovacchia non può interrompere l’importazione di barre di combustibile nucleare dalla Russia per i suoi reattori di progettazione sovietica.

 

«Non metteresti mai un motore Mercedes in una Skoda. Non funziona così», ha commentato, sottolineando le preoccupazioni legate alla sicurezza.

 

La Slovacchia gestisce cinque reattori nucleari e sta costruendo un sesto presso la centrale di Mochovce. L’energia nucleare copre circa il 60% del fabbisogno elettrico del Paese ed è cruciale per i suoi obiettivi industriali, come lo sviluppo di grandi data center, ha osservato Fico.

 

Il primo ministro ha anche annunciato l’intenzione di costruire un ulteriore reattore presso la centrale nucleare di Bohunice, un progetto che coinvolgerà un appaltatore statunitense e potrebbe includere la partecipazione di altre nazioni attraverso un consorzio. Ha notato che gli Stati Uniti continuano a importare uranio russo.

 

Fico, spesso critico verso Bruxelles, ha sostenuto che i piani economici dell’UE, come la strategia di Lisbona del 2000, hanno ripetutamente fallito nel mantenere le promesse.

 

Il premier di Bratislava ha avvertito che, se l’UE non abbandonerà il suo approccio ideologico alla politica energetica ed economica, le nazioni europee perderanno competitività a livello globale.

 

Come riportato da Renovatio 21, Fico tre mesi fa aveva dichiarato che la Slovacchia è «pronta a combattere» per il diritto ad importare il gas russo.

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Negli ultimi mesi il primo ministro slovacco ha ribadito il suo sostegno ai valori della famiglia cristiana e ha esternato il suo pensiero riguardo la fine del veto dei singoli Stati nella UE, ventilata da Bruxelles per mettere a tacera Slovacchia e Ungheria e chiunque altro si metta di traverso alle politiche belliciste e antirusse della stanza degli eurobottoni: per Fico, qualora il veto sparisse, si tratterebbe della fine della UE.

 

Fico – unico europeo con il presidente serbo Aleksandr Vucic a partecipare alla parata del 9 maggio a Mosca – ha altresì detto apertis verbis che vari Stati occidentali desiderano la continuazione del conflitto ucraino.

 

Il primo ministro slovacco è inoltre, risaputamente, avversario della vaccinazione COVID, di cui ha denunciato i «gravi risultati».

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Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

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Il colonnello Macgregor: gli USA «di nuovo in rotta di collisione con l’Iran»

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«Il potenziale di degenerazione incontrollata dei conflitti in Ucraina e con l’Iran è enorme. Sembra che siamo di nuovo in rotta di collisione con l’Iran». Lo sostiene il colonnello Douglas Macgregor, uno dei più noti esperti americani di questioni militari e di sicurezza globale, nonché ex consigliere del presidente Donald Trump durante il suo primo mandato, rispondendo a LifeSiteNews che chiedeva se  «gli Stati Uniti si stanno preparando per una guerra più grande?»   Secondo l’ex ufficiale, uno dei principali fattori di rischio per l’escalation sarebbe la svolta di Donald Trump sulla questione ucraina. L’ex presidente, infatti, avrebbe abbandonato la sua iniziale posizione di non intervento, adottando una linea più vicina a quella dell’amministrazione Biden.   Come riporta il New York Post, «Trump ha accettato di fornire a Kiev informazioni di Intelligence statunitensi per sostenere attacchi alle infrastrutture energetiche nel profondo della Russia, aiutando l’Ucraina a portare la guerra fino alle porte del presidente Vladimir Putin».   Un ulteriore elemento di rischio, secondo Macgregor, è rappresentato dall’aumento delle critiche internazionali contro la politica israeliana a Gaza. Le crescenti denunce di genocidio e le pressioni internazionali potrebbero, secondo il colonnello, spingere Israele a una reazione drastica: il primo ministro Benjamin Netanyahu, afferma Macgregor, «deve agire al più presto o rischia di perdere il sostegno incondizionato al progetto del Grande Israele».   Durante un incontro svoltosi il 30 settembre a Quantico, in Virginia, il presidente Trump e il Segretario alla Difesa Pete Hegseth hanno riunito centinaia di alti funzionari militari provenienti da tutto il mondo. Il messaggio, scrive LifeSiteNews, è stato chiaro: il «dipartimento woke» è finito e il Pentagono sarà trasformato in un «Dipartimento della Guerra», con l’invito a dimettersi rivolto a chi non condivide la nuova linea.

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Alla domanda sul significato di questa mossa, Macgregor ha risposto: «Il POTUS [cioè il presidente USA, ndr]è tutto una questione di apparenza e glamour. Il messaggio riguardante la forma fisica e l’avanzamento basato sul merito era genuino, ma il resto era un flusso di coscienza poco chiaro. Non siamo pronti a combattere una guerra importante a questo punto. Farlo sarebbe sciocco e pericoloso».   Alla richiesta di confermare i segnali di una crescente attività militare, il colonnello ha aggiunto: «Le forze statunitensi si stanno concentrando in modi che ricordano l’ultimo scontro tra Israele e Iran. Sembra che siamo di nuovo in rotta di collisione con l’Iran».   Riguardo a un possibile scenario di guerra, Macgregor ha ribadito: «il potenziale di degenerazione incontrollata dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente con l’Iran è enorme. Il recente sequestro francese di una petroliera russa in mare è un atto di guerra. La NATO è senza leadership a seguito della decisione di Trump di adottare la politica di Biden nei confronti di Mosca. In Medio Oriente, siamo in balia delle azioni di Israele. Nei Caraibi siamo pronti a scatenare un nuovo conflitto con il Venezuela».   Le critiche alla politica israeliana nei confronti di Gaza stanno aumentando anche negli Stati Uniti. Persino la CNN ha pubblicato un articolo dal titolo: «Come le azioni israeliane hanno causato la carestia a Gaza». Diversi paesi europei hanno preso posizione contro Israele, mentre anche nel campo conservatore americano si registrano segnali di cambiamento.   Secondo Macgregor, «Israele sta perdendo il sostegno popolare negli Stati Uniti, ma controlla ancora Washington e la Casa Bianca. Il primo ministro Netanyahu deve agire al più presto o rischia di perdere il sostegno incondizionato al progetto del Grande Israele. Gli Stati Islamici in Medio Oriente e in Egitto si stanno allineando al sostegno della Cina e della Russia. Non c’è alcun incentivo per Israele a scendere a compromessi o a ritardare l’azione».  

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Immagine di Neil Hester via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
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Geopolitica

Gli USA hanno dato a Israele 21,7 miliardi di dollari in aiuti militari durante il conflitto di Gaza

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Un recente rapporto rivela che gli Stati Uniti hanno fornito a Israele 21,7 miliardi di dollari in aiuti militari durante i due anni di conflitto a Gaza.

 

Il rapporto, pubblicato martedì dal progetto Costs of War della Watson School of International and Public Affairs della Brown University, coincide con il secondo anniversario dell’attacco del 7 ottobre 2023, quando il gruppo armato palestinese Hamas ha compiuto un’incursione in Israele, uccidendo 1.200 persone e prendendo in ostaggio altre 250.

 

In risposta, i raid aerei e l’offensiva terrestre di Israele a Gaza hanno causato oltre 67.000 morti e circa 170.000 feriti, secondo le autorità sanitarie palestinesi. Il mese scorso, una commissione delle Nazioni Unite ha definito le azioni di Gerusalemme Ovest come «genocidio».

 

Considerando ulteriori spese del Pentagono, comprese tra 9,65 e 12,07 miliardi di dollari, per operazioni militari a sostegno di Israele nello Yemen e in altre aree del Medio Oriente, il totale dell’investimento statunitense nel conflitto di Gaza si attesta tra 31,35 e 33,77 miliardi di dollari, secondo il rapporto.

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Questa cifra, basata su dati open source, non include decine di miliardi di dollari in armamenti che saranno pagati e consegnati nei prossimi anni, in linea con accordi preesistenti tra Washington e lo Stato degli ebrei, precisa il rapporto.

 

Le armi fornite dagli Stati Uniti, come aerei da combattimento, elicotteri, missili e bombe, «sono state fondamentali per le operazioni delle Forze di difesa israeliane (IDF) e della polizia israeliana a Gaza, in Cisgiordania e oltre», si legge nel rapporto.

 

Con il loro impiego, Israele «ha inflitto un devastante tributo umanitario alla popolazione di Gaza», con oltre il 10% della popolazione dell’enclave palestinese uccisa o ferita e almeno 5,27 milioni di sfollati a Gaza e nella regione circostante, sottolinea il rapporto.

 

La settimana scorsa, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha continuato la politica di armamento di Israele avviata dal suo predecessore democratico Joe Biden, ha proposto un accordo per lo scambio di prigionieri tra Gerusalemme Ovest e Hamas, che secondo lui dovrebbe spianare la strada alla fine del conflitto.

 

Hamas ha accolto l’offerta accettando di rilasciare gli ostaggi rimanenti, ma ha finora rifiutato l’invito al disarmo. Nonostante la sospensione dell’avanzata su Gaza City, le Forze di difesa israeliane hanno ignorato la richiesta di Trump di interrompere immediatamente i raid aerei nell’enclave palestinese.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

 

 

 

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