Connettiti con Renovato 21

Geopolitica

Quale ordine internazionale?

Pubblicato

il

Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Pubblichiamo il testo dell’intervento di Thierry Meyssan alla conferenza «Amicizia con la Russia», organizzata il 4 novembre 2023 a Magdeburgo (Germania) dalla rivista Compact. Nel suo contributo Meyssan spiega la differenza fondamentale che, secondo lui, distingue le due concezioni dell’ordine mondiale che si scontrano, dal Donbass a Gaza: quella del blocco occidentale e quella cui fa riferimento il resto del mondo. Non si tratta d’imporre un ordine mondiale dominato da un’unica potenza (ordine unipolare) o da un gruppo di potenze (ordine multipolare), ma di decidere se deve essere rispettata la sovranità nazionale di ciascun Paese. Meyssan si basa sulla storia del Diritto internazionale, come lo concepirono lo zar Nicola II e il premio Nobel per la pace Léon Bourgeois.

 

Abbiamo visto i crimini di cui si è macchiata la NATO; perché allora dobbiamo avere fiducia nella Russia? Non corriamo forse il rischio di vedere quest’ultima comportarsi domani come si comporta oggi la NATO? Non soppianteremo una forma di schiavitù con un’altra?

 

Per rispondere a queste domande mi baserò sulla mia esperienza di consigliere di cinque capi di Stato. Ovunque i diplomatici russi mi hanno detto: Siete fuori strada: vi affrettate a spegnere un focolaio qui e nel frattempo ne scoppia un altro là. Il problema è più profondo e più vasto.

 

Per questo motivo vorrei illustrarvi la differenza tra l’ordine mondiale fondato su regole e quello basato sul Diritto internazionale. Non è la storia di uno sviluppo lineare, ma dello scontro tra due concezioni del mondo; una lotta che abbiamo il dovere di continuare.

 

Nel XVII secolo i Trattati di Vestfalia istituirono il principio della sovranità degli Stati. Tutti gli Stati hanno uguale peso e nessuno ha diritto di ingerirsi negli affari interni di ogni altro. Questi Trattati hanno retto per secoli sia le relazioni tra gli attuali Länder sia quelle tra gli Stati europei. Li riconfermò nel 1815 il Congresso di Vienna, alla disfatta di Napoleone I.

 

Alla vigilia della prima guerra mondiale, lo zar Nicola II convocò all’Aia due Conferenze internazionali per la Pace, nel 1899 e nel 1907, per «trovare gli strumenti più efficaci per assicurare a tutti i popoli i benefici di una pace reale e duratura». I convegni furono preparati in collaborazione con papa Benedetto XV, sulla base del diritto canonico, non del diritto del più forte. Al termine di due mesi di lavori, i documenti finali furono firmati da 27 Stati. Il presidente del Partito (repubblicano) radicale francese, Léon Bourgeois, presentò le proprie riflessioni (1) sulla dipendenza reciproca degli Stati e sul loro interesse a unirsi, superando le rivalità.

 

Grazie allo stimolo di Léon Bourgeois, la Conferenza istituì una Corte internazionale di arbitrato per favorire la risoluzione di dispute tra gli Stati per via giuridica invece che per mezzo della guerra. Secondo Bourgeois, gli Stati potranno accettare di disarmarsi solo quando avranno valide garanzie per la loro sicurezza.
Il testo finale introduce il concetto del «dovere degli Stati di evitare la guerra» appunto ricorrendo all’arbitrato.

 

Per impulso di un ministro dello zar, Frederic Fromhold de Martens, la Conferenza convenne che durante un conflitto armato le popolazioni e i belligeranti debbano essere tutelati dai principi frutto «delle consuetudini affermate tra nazioni civilizzate, delle leggi dell’umanità e delle esigenze della pubblica coscienza». Riassumendo, i firmatari s’impegnavano a smettere di comportarsi da barbari.

 

È un sistema che funziona solo tra Stati civilizzati che onorano la propria firma e rispondono del proprio operato all’opinione pubblica.

Sostieni Renovatio 21

Nel 1914 il sistema fallì perché gli Stati avevano rinunciato alla sovranità firmando trattati di Difesa che imponevano di entrare automaticamente in guerra in determinate circostanze, prescindendo dalla valutazione di ogni singolo Stato.

 

Le idee di Léon Bourgeois si fecero strada, ma incontrarono oppositori, tra i quali il suo rivale all’interno del Partito radicale, Georges Clemenceau, persuaso che le opinioni pubbliche non possano impedire le guerre. Ne erano convinti anche gli anglosassoni: il presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, e il primo ministro britannico, Lloyd George.

 

Al termine della prima guerra mondiale questo terzetto sostituì la Forza dei vincitori all’ancora balbettante Diritto internazionale. Si spartirono il mondo e i resti degli imperi austroungarico, tedesco e ottomano. Negando le proprie colpe, addossarono l’intera responsabilità dei massacri alla Germania, cui imposero un disarmo senza garanzie. Per prevenire l’insorgenza di un rivale dell’impero britannico in Europa, gli anglosassoni cominciarono ad aizzare la Germania contro l’URSS e ottennero l’acquiescenza della Francia permettendole di saccheggiare lo sconfitto II Reich. Come disse il primo presidente della Repubblica federale, Theodor Heuss, in un certo senso posero le condizioni per l’affermazione del nazismo.

 

Come tra loro convenuto, Clemenceau, Wilson e Lloyd George rimodellarono il mondo secondo la loro visione (i 14 punti di Wilson, gli Accordi Sykes-Picot, la Dichiarazione di Balfour). Crearono il nucleo ebraico della Palestina, dissezionarono l’Africa e l’Asia, cercarono di ridurre la Turchia a congrue proporzioni. Al loro operato possono essere fatti risalire tutti i disordini che oggi scuotono il Medio Oriente.

 

Ma fu sulla base delle idee del defunto Nicola II e di Léon Bourgeois che dopo la prima guerra mondiale fu istituita la Società delle Nazioni (SDN); non vi parteciparono gli Stati Uniti, che rifiutavano anche ufficialmente qualsiasi idea di Diritto internazionale. Ma la SDN fu un fallimento, non perché gli Stati Uniti rifiutarono di farne parte, come comunemente si ritiene. Era loro diritto. Ma innanzitutto perché non fu in grado d’instaurare una cogente uguaglianza tra Stati, giacché il Regno Unito rifiutava di considerare suoi pari i popoli colonizzati. Inoltre la SDN non disponeva di forze armate comuni. Infine fallì perché i nazisti massacrarono gli oppositori, distruggendo l’opinione pubblica tedesca, violarono la firma di Berlino e non esitarono a comportarsi da barbari.

 

Fin dalla Carta Atlantica del 1942, il nuovo presidente statunitense Franklin Roosevelt e il nuovo primo ministro britannico, Winston Churchill, si posero il comune obiettivo di instaurare al termine del conflitto un governo mondiale.

 

Gli anglosassoni, che si ritenevano capaci di governare il mondo, non furono tuttavia d’accordo sul come farlo. Washington non voleva che Londra s’intromettesse nelle faccende dell’America Latina; Londra da parte sua non voleva condividere l’egemonia sull’Impero «dove il sole non tramonta mai». Durante la guerra gli anglosassoni firmarono molti trattati con i governi dei Paesi alleati, in particolare con quelli in esilio ospitati a Londra.

 

Tutto considerato il Terzo Reich non fu vinto dagli anglosassoni, ma furono i sovietici a rovesciarlo e a prendere Berlino. Joseph Stalin, primo segretario del PCUS, era contrario all’idea di un governo mondiale, a maggior ragione se anglosassone. Auspicava un organismo in grado di prevenire futuri conflitti. In ogni caso, fu dalle concezioni russe che germogliò il nuovo sistema: quello delle Nazioni Unite, nato con la Conferenza di San Francisco.

 

In sintonia con lo spirito delle Conferenze dell’Aia, tutti gli Stati membri dell’ONU sono uguali. L’Organizzazione ha un proprio tribunale, la Corte Internazionale di Giustizia, incaricata di risolvere i conflitti che insorgono tra i membri.

 

Tuttavia, in considerazione delle vicende pregresse, le cinque potenze vincitrici hanno un seggio permanente al Consiglio di sicurezza, nonché diritto di veto. Dal momento che i vincitori nutrivano diffidenza reciproca (gli anglosassoni accarezzarono l’idea di continuare la guerra usando le truppe tedesche superstiti contro l’URSS) e inoltre non si poteva prevedere il comportamento dell’Assemblea generale, ogni potenza vincitrice cercò di assicurarsi che l’Organizzazione non volgesse a proprio danno (gli Stati Uniti avevano commesso spaventosi crimini di guerra sganciando due bombe atomiche sui civili, proprio mentre il Giappone… stava preparandosi alla resa ai sovietici).

 

Però le grandi potenze non interpretavano il diritto di veto allo stesso modo. Alcune lo concepivano come diritto di censurare le decisioni degli altri, altre come obbligo di prendere decisioni all’unanimità.

 

Ma fin dall’inizio gli anglosassoni non rispettarono gli impegni. Dapprima venne proclamato uno Stato israeliano (14 maggio 1948), senza che ci fosse accordo sui suoi confini; poi l’inviato speciale del segretario generale delle Nazioni Unite incaricato di presiedere alla costituzione di uno Stato palestinese, conte Folke Bernadotte, fu assassinato da suprematisti ebrei, comandati da Yitzhak Shamir.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Il seggio al Consiglio di sicurezza destinato alla Cina, sul finire della guerra civile cinese fu attribuito al Kuomintang di Chiang Kai-shek invece che a Beijing. Gli anglosassoni proclamarono l’indipendenza della propria zona di occupazione coreana, denominandola Repubblica di Corea (15 agosto 1948); crearono la NATO (4 aprile 1949); infine proclamarono l’indipendenza della loro zona di occupazione tedesca chiamandola Germania Federale (23 maggio 1949).

 

Ritenendo di essere stata beffata, l’URSS se ne andò sbattendo la porta (politica del «seggio vuoto»). Il georgiano Stalin credette, erroneamente, che il veto non fosse un diritto di censura, ma espressione del requisito di unanimità tra i vincitori. Pensava di bloccare l’organizzazione boicottandola.

 

Gli anglosassoni interpretarono a proprio uso e consumo il testo della Carta da loro stessi redatta e approfittarono dell’assenza dei sovietici per far calzare «caschi blu» ai propri soldati e muovere guerra ai nord-coreani (25 giugno 1950) a «nome della comunità internazionale» (sic). I sovietici rientrarono all’ONU il 1° agosto 1950, dopo sei mesi e mezzo di assenza.

 

Il Trattato del Nord Atlantico è legale, ma il suo regolamento interno vìola la Carta delle Nazioni Unite: pone le forze armate alleate sotto il comando degli anglosassoni. Il comandante supremo dell’organismo alleato in Europa, il SACEUR [Supreme Allied Commander Europe], deve obbligatoriamente essere un ufficiale statunitense.

 

Secondo il primo segretario generale della NATO, lord Ismay, il vero obiettivo dell’Alleanza non è preservare la pace, né combattere i sovietici, ma «mantenere gli americani all’interno, i russi fuori e i tedeschi sotto tutela» (2). Sintetizzando, Roosevelt e Churchill volevano creare il braccio armato del governo mondiale. Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream, che collegava Russia e Germania, è stato ordinato da Joe Biden in conformità al principio enunciato da lord Ismay.

 

Dopo la Liberazione, l’MI6 e l’OPC (che diventerà CIA) costituirono segretamente una rete stay-behind in Germania, usando migliaia di funzionari nazisti che avevano aiutato a sfuggire alla giustizia. Klaus Barbie, che torturò il coordinatore della Resistenza francese, Jean Moulin, fu il primo comandante di questo esercito nell’ombra. La rete fu infine incorporata nella NATO e sensibilmente ridotta. Fu infine utilizzata dagli anglosassoni per intromettersi nella vita politica dei Paesi cosiddetti alleati, in realtà vassalli.

 

Gli ex collaboratori di Joseph Goebbels crearono la Volksbund für Frieden und Freiheit. Perseguitarono i comunisti tedeschi con il supporto degli Stati Uniti. Più tardi agenti stay-behind della NATO riuscirono a manipolare l’estrema sinistra per renderla esecrabile. Fu quanto accadde, per esempio, alla banda di Baader, i cui membri furono assassinati in prigione dallo stay-behind, prima che fossero giudicati e potessero parlare. Nel 1992 la Danimarca spiò la cancelliera Angela Merkel per conto della NATO; nel 2022 la Norvegia, membro della NATO, aiutò gli Stati Uniti a sabotare il Nord Stream…

 

Ma torniamo al Diritto internazionale. Progressivamente le cose rientrarono nell’ordine fino al 1968, quando l’ucraino Leonid Breznev, durante la Primavera di Praga, fece in Europa centrale quello che gli anglosassoni facevano ovunque: impedì agli Stati suoi alleati di scegliere un modello economico diverso dal quello dell’URSS.

 

La situazione cominciò a peggiorare con la dissoluzione dell’URSS. Il sottosegretario statunitense alla Difesa, Paul Wolfowitz, elaborò una dottrina secondo cui per rimanere padroni del mondo gli Stati Uniti dovevano prevenire a ogni costo l’insorgenza di un nuovo rivale, prima di tutto l’Unione Europea.

 

È in applicazione di questa teoria che il segretario di Stato James Baker impose l’allargamento dell’Unione Europea a tutti gli ex Stati del Patto di Varsavia e dell’URSS. L’Unione si è così privata della possibilità di diventare entità politica. Ed è sempre in applicazione di questa dottrina che il Trattato di Maastricht ha posto la UE sotto la protezione della NATO. Ed è di nuovo in applicazione di questa dottrina che la Germania e la Francia pagano e armano l’Ucraina.

 

Fu poi la volta del professore ceco-statunitense Josef Korbel. Propose agli anglosassoni di dominare il mondo riscrivendo i Trattati internazionali: bastava sostituire il diritto anglosassone, fondato sulla consuetudine, alla razionalità del diritto romano. In questo modo tutti i Trattati avrebbero a lungo termine assicurato il vantaggio alle potenze dominanti, cioè gli Stati Uniti e il Regno Unito, legati da una «relazione speciale», secondo le parole di Winston Churchill.

 

La figlia del professor Korbel, la Democratica Madeleine Albright, divenne ambasciatrice all’ONU e successivamente segretaria di Stato. Quando la Casa Bianca passò ai Repubblicani, la figlia adottiva di Korbel, Condoleezza Rice, le successe come consigliera nazionale per la Sicurezza e in seguito alla segreteria di Stato. Per vent’anni le due «sorelle» (3) hanno pazientemente riscritto i principali testi internazionali, con il pretesto di modernizzarli, di fatto cambiandone lo spirito.

Aiuta Renovatio 21

Oggi le istituzioni internazionali funzionano secondo le regole imposte dagli anglosassoni, frutto delle antecedenti violazioni del Diritto internazionale. Questo diritto non è codificato da alcun testo, poiché si tratta dell’interpretazione delle consuetudini da parte della potenza dominante. Ogni giorno si sostituiscono regole ingiuste al Diritto internazionale e si contravviene alla propria firma.

 

Per esempio:

 

• Nel 1990, al momento della loro fondazione, gli Stati baltici s’impegnarono per iscritto a conservare i monumenti in onore dei sacrifici dell’Armata rossa. La distruzione di questi monumenti è perciò violazione della parola data.

 

• Nel 1947 la Finlandia s’impegnò per iscritto a rimanere neutrale. L’adesione alla NATO è perciò violazione della parola data.

 

• Il 25 ottobre 1971 le Nazioni Unite adottarono la Risoluzione 2758 che riconosce Beijing, non Taiwan, unico rappresentante legittimo della Cina. Il governo di Chiang Kai-shek è stato perciò espulso dal Consiglio di sicurezza e sostituito da quello di Mao Zedong. Di conseguenza, le recenti manovre navali cinesi nello Stretto di Taiwan non costituiscono un’aggressione a uno Stato sovrano, ma un dispiegamento di forze nelle proprie acque territoriali.

 

• Gli Accordi di Minsk avrebbero dovuto proteggere gli ucraini russofoni dalle molestie dei nazionalisti integralisti. La Francia e la Germania se ne fecero garanti davanti al Consiglio di sicurezza. Ma, come hanno riconosciuto Angela Merkel e François Hollande, né Parigi né Berlino intendevano applicarli. La loro firma non aveva alcun valore. Se si fossero comportati diversamente non ci sarebbe stata la guerra in Ucraina.

 

La perversione del Diritto internazionale ha raggiunto il culmine con la nomina, nel 2012, dello statunitense Jeffrey Feltman a direttore degli Affari politici. Dal suo ufficio di New York ha supervisionato la guerra occidentale contro la Siria. Ha insomma utilizzato le istituzioni della pace per fare la guerra. (4)

 

Fino a quando gli Stati Uniti non l’hanno minacciata ammassando armi ai suoi confini, la Federazione di Russia ha rispettato i trattati firmati, compresi quelli firmati dall’URSS. Il Trattato di non-proliferazione nucleare (TNP) impone l’obbligo alle potenze nucleari di non disseminare i loro arsenali nel mondo. Gli Stati Uniti, violando la propria firma, da decenni accumulano bombe atomiche in cinque Paesi vassalli: nelle basi di Kleine Brogel in Belgio, di Büchel qui in Germania (Renania-Palatinato), di Aviano e Ghedi in Italia, di Volkel nei Paesi Bassi, infine di Incirlik in Turchia.

 

Poi, grazie ai loro colpi di mano, dicono che ormai è consuetudine! Ebbene, la Federazione di Russia, ritenendosi assediata dopo il sorvolo del Golfo di Finlandia da parte di un bombardiere nucleare statunitense, ha a sua volta deciso di aggirare il Trattato di non proliferazione, posizionando bombe atomiche in Bielorussia.

 

Naturalmente la Bielorussia non è Cuba. Piazzarvi bombe nucleari russe non cambia nulla, è solo un messaggio per Washington: se volete ripristinare il diritto del più forte, possiamo accettarlo, anche perché i più forti adesso siamo noi. Si noti che la Russia non ha violato la lettera del Trattato, perché non addestra i militari bielorussi all’uso di queste armi, si è semplicemente presa delle libertà con lo spirito del Trattato.

 

Per essere efficaci e duraturi, aveva spiegato nello scorso secolo Léon Bourgeois, i Trattati di disarmo devono fondarsi su garanzie giuridiche. È perciò urgente ripristinare il Diritto internazionale; in caso contrario ci butteremo a testa bassa in una guerra devastatrice.

 

A difesa del nostro onore e nel nostro interesse dobbiamo ristabilire il Diritto internazionale. È una costruzione fragile ma, se vogliamo evitare la guerra, dobbiamo ripristinarlo. Siamo sicuri che la Russia la pensa come noi, che non lo violerà.

 

L’alternativa è sostenere la NATO, che l’11 ottobre ha riunito a Bruxelles i 31 ministri della Difesa per ascoltare in videoconferenza l’omologo israeliano affermare che avrebbe raso al suolo Gaza. Nessuno dei ministri, tra loro anche il tedesco Boris Pistorius, ha osato insorgere contro la pianificazione di questi crimini di massa contro i civili. L’onore del popolo tedesco è già stato tradito dai nazisti che non hanno esitato a sacrificarlo. Non lasciatevi tradire di nuovo, questa volta dal Partito socialdemocratico e dai Verdi.

 

Non dobbiamo scegliere tra due sovrani, ma proteggere la pace, dal Donbass a Gaza, e, in sostanza, difendere il Diritto internazionale.

 

Thierry Meyssan

 

NOTE

1) Il «Solidarismo» è diventato l’ideologia dominante della III Repubblica francese.

2) Si noti: «i russi fuori», non i sovietici.

3) Condoleezza Rice non è mai stata legalmente adottata, ma viveva a casa del professor Korbel; Madeleine Albright la considerava sua sorella minore.

4) «La Germania e l’ONU contro la Siria», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Al-Watan (Siria), Megachip-Globalist (Italia), Rete Voltaire, 28 gennaio 2016.

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

Fonte: «Quale ordine internazionale?», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 7 novembre 2023.

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21



Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

Continua a leggere

Geopolitica

L’UE e la Casa Bianca condannano gli «estremisti israeliani» che attaccano i convogli umanitari

Pubblicato

il

Da

Il capo della politica estera dell’UE, Josep Borrell, ha chiesto a Israele di fare qualcosa contro gli «estremisti» che attaccano i convogli di aiuti umanitari in viaggio verso Gaza.   In seguito all’offensiva israeliana sulla città di Rafah, che si trova al confine dell’enclave palestinese con l’Egitto, le forniture di cibo e altri beni destinati a Gaza sono state dirottate attraverso Israele. Lunedì uno di questi convogli è stato saccheggiato vicino a Hebron.   «Sono indignato per gli attacchi ripetuti e ancora incontrollati perpetrati dagli estremisti israeliani contro i convogli umanitari in viaggio verso Gaza, anche dalla Giordania. Centinaia di migliaia di civili stanno morendo di fame», ha detto il Borrell su X martedì sera. Ha esortato le autorità israeliane a «fermare queste operazioni e ritenere i responsabili responsabili».   La sua condanna arriva dopo che il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan ha denunciato l’attacco durante la conferenza stampa di lunedì alla Casa Bianca.   «È un oltraggio totale che ci siano persone che attaccano e saccheggiano questi convogli provenienti dalla Giordania diretti a Gaza per fornire assistenza umanitaria», ha detto il Sullivano. «È qualcosa su cui non facciamo mistero: lo troviamo completamente e assolutamente inaccettabile».  

Sostieni Renovatio 21

Nell’incidente di lunedì, un convoglio è stato fermato al checkpoint di Tarqumiya vicino a Hebron e un gruppo di persone ha distrutto parte del cibo dai camion. L’attivista pacifista israeliana Sapir Sluzker Amran, che ha assistito all’attacco, ha identificato gli autori come un gruppo chiamato Tsav 9.   «La maggior parte di loro erano coloni. Vivono anche lì, sono coloni negli insediamenti della zona», ha detto martedì a CBS News. «Il tema comune a tutti loro è che appartengono ai gruppi sionisti di destra».   Le foto e i video ripresi da Amran mostrano gli aggressori salire sui camion, lanciare pacchi di cibo sul ciglio della strada e scaricare la farina dai sacchi.     «Hanno iniziato qualche mese fa, raccolgono molti soldi e hanno molti sostenitori nel governo», ha detto Amran alla CBS, sostenendo che l’esercito e la polizia israeliani hanno fatto trapelare l’ubicazione dei convogli di aiuti destinati al gruppo. Ha anche affermato che uno dei coloni l’ha colpita durante l’incidente di lunedì e che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno invece protetto l’aggressore.   Tsav 9 è un gruppo che si è impegnato a bloccare tutti gli aiuti a Gaza mentre tutti gli ostaggi israeliani rimarranno nelle mani di Hamas, l’organizzazione militante palestinese che ha catturato oltre 200 prigionieri durante l’incursione del 7 ottobre dello scorso anno.   La polizia israeliana ha affermato che stava indagando sull’attacco al convoglio e aveva arrestato «diversi sospetti».   Come riportato da Renovatio 21, dopo che erano state annunziate sanzioni nelle settimane precedenti, lo scorso mese gli Stati Uniti hanno accusato cinque unità dell’esercito israeliano di violazioni dei diritti umani.   Come riportato da Renovatio 21abusi da parte dei militari israeliani sono diffusi sui social, come ad esempio il canale Telegram «72 vergini – senza censura», dove vengono caricati dagli stessi militari video ed immagini di quella che si può definire «pornografia bellica». Vantando «contenuti esclusivi dalla Striscia di Gaza», il canale 72 Virgins – Uncensored ha più di 5.000 follower e pubblica video e foto che mostrano le uccisioni e le catture di militanti di Hamas, nonché immagini dei morti.  

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine screenshot da YouTube
Continua a leggere

Geopolitica

La polifonia vaticana sulla guerra in Ucraina

Pubblicato

il

Da

Mentre il conflitto tra Ucraina e Russia entra nel suo terzo anno, nelle dichiarazioni ufficiali della Santa Sede sono emersi diversi punti di vista, sia da parte del Santo Padre che dei servizi diplomatici della Segreteria di Stato.

 

Sinfonia? Cacofonia? Dissonanza intenzionale? Che si sia entusiasti o meno dell’attuale pontificato, varia notevolmente l’apprezzamento delle differenze di tono che si osservano al di là del Tevere nella trattazione del conflitto russo-ucraino.

 

Da parte del Papa, Papa Francesco ripete da mesi costantemente i suoi appelli alla pace per la ragione che «la guerra è sempre una sconfitta» e che coloro che vincono sono i “fabbricanti di armi”. È una posizione che ha il merito di restare immutata.

 

In un’intervista alla televisione svizzera RTS del 2 febbraio 2024, andata in onda a marzo, il Papa ha invitato l’Ucraina ad avere «il coraggio di negoziare»: «credo che il più forte sia chi vede la situazione, chi pensa del popolo, che ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare», ha dichiarato, chiedendo che la mediazione venga effettuata da un paese che lo ha offerto, come la Turchia.

 

Sarà un negoziato necessario per evitare il «suicidio» del Paese. Il Papa ha poi risposto a una domanda sul tema del «bianco», parlando delle virtù del bianco ma anche della «bandiera bianca». Le sue dichiarazioni hanno innescato una crisi diplomatica tra Santa Sede e Ucraina, ma che avrebbero lo scopo di sottolineare la posizione pacifista di un Papa che mette la sacralità della vita al di sopra di ogni altra cosa.

 

Per il capo della diplomazia ucraina, a cui si uniscono le voci più critiche all’interno della Chiesa nei confronti dell’attuale Romano Pontefice, si tratterebbe di un atteggiamento che evoca la «neutralità osservata da Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale».

Sostieni Renovatio 21

Il Vaticano ha tentato di chiudere la polemica: «il Papa usa il termine bandiera bianca, e risponde riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare una cessazione delle ostilità, una tregua raggiunta con il coraggio del negoziato», ha spiegato il direttore della Lo ha affermato la Sala Stampa della Santa Sede.

 

Il 24 aprile Francesco insisteva e affermava in una nuova intervista concessa al canale americano CBS: «cercate di negoziare. Cerca la pace. Una pace negoziata è meglio di una guerra senza fine», sottolinea il Sommo Pontefice, alludendo sia alla guerra in Ucraina che alla situazione a Gaza.

 

Da parte della Segreteria di Stato i toni non sono esattamente gli stessi. Dall’inizio del conflitto, la diplomazia vaticana non ha mai difeso una capitolazione dell’Ucraina. In più occasioni, i suoi due più alti funzionari, il cardinale Pietro Parolin e l’arcivescovo Paul Gallagher, hanno ammesso pubblicamente la legittimità di una guerra difensiva, inviando anche armi per realizzarla.

 

In una recente intervista con la rivista America del 25 marzo 2024, l’arcivescovo Gallagher ha affermato di ritenere che «la Russia non stabilisce le condizioni necessarie [per negoziare]. Le condizioni necessarie, che sono nelle mani della Russia, sono fermare gli attacchi, fermare i missili». Afferma anche della Santa Sede che «non sosteniamo che i confini dei paesi debbano essere modificati con la forza».

 

I gesuiti della Civiltà Cattolica – rivista influente in Italia, e teoricamente vidimata dalla Santa Sede prima della pubblicazione – hanno difeso una posizione diversa da quella di Papa Francesco e della Segreteria di Stato, sostenendo una futura controffensiva ucraina e un sostegno più forte dall’Europa e dalla NATO per l’Ucraina. Cosa si può dire di questo concerto a più voci?

 

Un funzionario vaticano, citato in condizione di anonimato da La Croix, riassume la situazione dipingendo un quadro sfumato della più antica diplomazia del mondo: «Siamo neutrali ma senza indifferenza etica. La storia è più complessa di un mondo in bianco e nero. Per noi Ucraina e Russia non sono due realtà sociopolitiche completamente separate…»

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di Catholic Church England and Wales via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

 

 

Continua a leggere

Geopolitica

Israele uccide più civili che combattenti di Hamas: parla il segretario di Stato USA Blinken

Pubblicato

il

Da

Gli attacchi aerei e l’offensiva di terra di Israele a Gaza hanno causato la morte di più civili palestinesi che combattenti di Hamas, ha riconosciuto il Segretario di Stato americano Antony Blinken.   Durante la sua apparizione domenica al programma televisivo della CBS Face the Nation, a Blinken è stato chiesto se Washington fosse d’accordo con la recente affermazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu secondo cui gli attacchi a Gaza hanno finora provocato la morte di 14.000 «terroristi» e 16.000 civili.   «Sì, lo facciamo», ha risposto il Segretario di Stato. «Israele dispone di processi, procedure, norme e regolamenti per cercare di ridurre al minimo i danni civili», ma essi «non sono stati applicati in modo coerente ed efficace. C’è un divario tra l’intento dichiarato e alcuni dei risultati che abbiamo visto», ha spiegato.

Sostieni Renovatio 21

Blinken, che ha origini ebraiche, ha sottolineato che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) stanno combattendo «un nemico che si nasconde nelle infrastrutture civili, si nasconde dietro i civili», il che rende problematico determinare cosa sia realmente accaduto in ciascuno dei singoli incidenti.   «Data la totalità di ciò che abbiamo visto in termini di sofferenza civile, in termini di bambini, donne, uomini… che sono stati uccisi o feriti, è ragionevole valutare che in un certo numero di casi Israele non ha agito in modo in modo coerente con il diritto umanitario internazionale», ha affermato.   Tuttavia, il Segretario di Stato ha aggiunto che si trattava solo di una valutazione e che sarebbero necessarie ulteriori indagini affinché l’amministrazione del presidente americano Joe Biden possa giungere a conclusioni definitive.   In ulteriori interviste TV uscite domenica, il Blinken ha criticato la condotta di Israele nella guerra a Gaza, sostenendo che un’offensiva totale su Rafah nel sud dell’enclave palestinese provocherebbe solo «anarchia», invece di eliminare Hamas. Secondo il segretario di Stato, Washington crede che le forze israeliane dovrebbero «uscire da Gaza» poiché le loro tattiche non sono riuscite a neutralizzare Hamas e potrebbero portare a un’insurrezione duratura.   Il massimo diplomatico americano ha quindi detto alla CBS che un’invasione su vasta scala di Rafah potrebbe comportare «potenzialmente un costo incredibilmente alto» per i civili, e che anche un massiccio assalto alla città meridionale di Gaza difficilmente potrebbe porre fine alla minaccia di Hamas.   «Israele è sulla traiettoria, potenzialmente, di ereditare un’insurrezione con molti Hamas armati rimasti, o se lascia un vuoto riempito dal caos, riempito dall’anarchia e probabilmente riempito da Hamas», ha affermato Blinken, che ha sottolineato che il gruppo militante era già tornato in alcune aree del nord di Gaza che Israele aveva «liberato».   Washington è in attesa di vedere piani credibili da parte dello Stato Ebraico per Gaza una volta che la guerra sarà finalmente finita, ha detto Blinken in un’altra intervista alla NBC, aggiungendo «abbiamo parlato con loro di un modo molto migliore per ottenere un risultato duraturo».   I commenti di Blinken arrivano mentre le forze israeliane si stanno spingendo più in profondità nella densamente popolata Rafah, dove più di un milione di palestinesi si sono accalcati nella speranza di rifugiarsi. Secondo le autorità locali, il bombardamento nella parte orientale di Rafah ha già costretto alla fuga 300.000 abitanti di Gaza. Israele ha affermato che la città ospita quattro battaglioni di combattenti di Hamas.   Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ammesso la scorsa settimana che almeno alcuni civili palestinesi a Gaza sono stati uccisi da bombe di fabbricazione americana e ha promesso di sospendere la fornitura di qualsiasi arma che Israele potrebbe utilizzare in un’importante operazione militare a Rafah.

Aiuta Renovatio 21

La Casa Bianca ha recentemente sospeso la fornitura di alcune bombe di maggior carico che Israele potrebbe utilizzare nella sua nuova offensiva, oltraggiando i fedeli sostenitori dello Stato degli ebrei.   La settimana scorsa, il Dipartimento di Stato USA ha pubblicato un rapporto che criticava la condotta di Israele nella guerra a Gaza, ma non ha individuato alcuna violazione specifica che renderebbe necessario il divieto degli aiuti militari statunitensi al suo alleato.   Almeno 35.034 persone sono state uccise e altre 78.755 ferite negli attacchi dell’IDF a Gaza, secondo gli ultimi dati del ministero della Sanità dell’enclave palestinese, che nei suoi rapporti non fa distinzione tra civili e militanti.   L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) ha dichiarato la scorsa settimana che ci sono stati 14.500 bambini e 9.500 donne tra coloro che sono stati uccisi a Gaza. Sabato il Jerusalem Post ha riferito che da allora le Nazioni Unite hanno dimezzato il numero stimato di vittime tra minori e donne.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine di pubblico dominio CCo via Flickr
Continua a leggere

Più popolari