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Geopolitica
L’Africa francofona ricusa la Francia punendola dei 12 anni di tradimenti
Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
In politica nulla avviene per caso. I francesi non capiscono perché gli africani francofoni improvvisamente li respingano. Si consolano accusando la Russia di oscure macchinazioni. In realtà stanno cogliendo i frutti di quanto seminato in 12 anni. Ciò che accade non ha nulla a che vedere con il colonialismo e la Françafrique. È esclusivamente conseguenza della subordinazione delle forze armate francesi alla strategia statunitense.
Di fronte all’ondata di cambiamenti di regime nell’Africa francofona i media francesi sono stupefatti. Non riescono a comprendere il rigetto della Francia.
I ritornelli stantii sullo sfruttamento coloniale non convincono per nulla. Per esempio, si sottolinea che Parigi sfrutta i giacimenti di uranio del Niger non già a prezzo di mercato, ma a un costo ridicolmente basso. Si tratta di una motivazione che i golpisti non hanno mai invocato. Le loro giustificazioni sono altre.
Le accuse di manipolazioni russe sono altrettanto poco credibili. Innanzitutto perché dietro le quinte dei colpi di Stato di Mali, Guinea, Burkina-Faso, Niger e Gabon sembra non esserci la Russia; ma soprattutto perché i guai iniziano in un’epoca molto anteriore al suo arrivo. La Russia è sbarcata in Africa solo dopo la vittoria in Siria, nel 2016; i problemi risalgono almeno al 2010, se non al 2001.
Come sempre, anche in questo caso la situazione è incomprensibile se non se ne rammenta la genesi.
A partire dagli attentati dell’11 settembre 2001 gli Stati Uniti hanno affidato al loro vassallo, la Francia, un ruolo in Africa: mantenere lo status quo in attesa dell’insediamento dell’AfriCom e dell’estensione al continente nero della distruzione delle istituzioni politiche già avviata dal Pentagono nel Medio Oriente Allargato (1).
In Africa le politiche repubblicane hanno progressivamente ceduto il passo alle politiche tribali. In un certo senso si è trattato di un’emancipazione dalla pesante intromissione francese, ma al tempo stesso di una formidabile involuzione.
Nel 2010 il presidente francese Nicolas Sarkozy, probabilmente consigliato da Washington, prende l’iniziativa di mettere fine al conflitto in Costa d’Avorio, scossa appunto da antagonismi tribali. Un’iniziativa guidata prima dalla CEDEAO [Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale, nota come ECOWAS, ndr], poi dal primo ministro kenyano cugino di Barack Obama (2) Raila Odinga, che tenta di negoziare la partenza del presidente ivoriano Laurent Gbagbo, colpevole non già di aver instaurato un regime autoritario, ma di essersi trasformato da sottomesso agente della CIA in difensore della nazione.
Parigi interviene militarmente al termine delle elezioni presidenziali: arresta Gbagbo — con il falso pretesto di far cessare un genocidio — e lo sostituisce con Alassane Ouattara, amico di lunga data della classe dirigente francese. Gbagbo è infine assolto dalla Corte Penale Internazionale che, dopo un interminabile processo, lo ha riconosciuto non responsabile di genocidio; quindi l’intervento militare della Francia fu di fatto ingiustificato.
Nel 2011 il presidente Sarkozy, sempre su consiglio di Washington, impegna la Francia in Libia. Anche in questo caso la motivazione ufficiale è far cessare un genocidio perpetrato da un dittatore contro il suo stesso popolo. Per rendere credibile l’accusa, la CIA, che dietro le quinte manovra la Francia, allestisce false testimonianze davanti al Consiglio dei Diritti dell’Uomo di Ginevra.
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A New York, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite autorizza le grandi potenze a intervenire per far cessare un inesistente massacro. Il presidente russo, Dmitry Medvedev, finge di non vedere. Il presidente degli USA , Barack Obama, vuole che l’AfriCom possa finalmente iniziare le operazioni in Africa, dove tuttavia non ha sede: i suoi soldati si trovavano infatti in Germania.
All’ultimo momento però il comandante dell’AfriCom si rifiuta d’intervenire contro Muammar Gheddafi, a fianco di jihadisti che in Iraq hanno combattuto i suoi stessi soldati americani (i militari statunitensi non hanno mai ammesso il doppio gioco della CIA, che sostiene gli jihadisti per usarli contro la Russia, spesso a danno degli Occidentali).
Obama si rivolge perciò alla NATO, dimenticandosi di essersi in precedenza impegnato a non mobilitarla contro un Paese del Sud. Fatto sta che Gheddafi viene torturato e linciato, la Libia smembrata. Ma la Giamahiria, che non era una dittatura bensì un regime che s’ispirava ai socialisti francesi del XIX secolo e alla Comune di Parigi, era l’unica forza africana che aspirasse a unire arabi e neri.
Gheddafi voleva liberare il continente — come già aveva liberato i libici — dal colonialismo occidentale. Con il direttore dell’FMI, Dominique Strauss-Khan, s’apprestava perfino a pilotare l’adozione di una moneta comune da parte di alcuni Stati africani.
La caduta di Gheddafi risveglia gli avversari ch’egli combatteva: gli arabi ricominciano a massacrare i neri, anche quelli di cittadinanza libica, e a ridurli in schiavitù, sotto gli occhi degli insensibili vincitori occidentali. Gli Stati africani, sostenuti economicamente dalla Libia, crollano; per primo il Mali (3). Gli jihadisti arabi, messi al potere a Tripoli dalla Nato, sostengono taluni tuareg contro i neri in generale. Il problema si allarga progressivamente a tutto il Sahel.
Incapace di trarre lezione dai misfatti precedenti, il presidente francese François Hollande organizza un nuovo cambiamento di regime, in Mali. A marzo 2012, quasi alla scadenza del mandato, il presidente Amadou Toumani Touré, che non intendeva ricandidarsi, viene rovesciato da un manipolo di ufficiali addestrati negli Stati Uniti, che non sono stati nemmeno in grado di giustificare il loro operato.
Touré interrompe la campagna elettorale e nomina Dioncounda Traoré «presidente di transizione». Un gioco di prestigio avallato dalla CEDEAO [ECOWAS, ndr], presieduta da… Alassane Ouattara.
Come c’era da aspettarsi, il presidente transitorio Traoré invoca l’aiuto della Francia per combattere gli jihadisti che lo attaccano. Il vero scopo di Parigi è posizionare truppe in Mali per attaccare l’Algeria alle spalle, suo reale obiettivo. È «l’operazione Serval».
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Consci che la volta successiva sarebbe toccato al loro Paese, i generali algerini reprimono duramente il sequestro di ostaggi da parte degli jihadisti nel sito petrolifero di In Amenas. Lo scopo è scoraggiare la Francia dall’intervenire contro gli algerini.
Non importa, si ricomincia! La Francia riorganizza il dispositivo: eccoci all’Operazione Barkhane. Le forze armate francesi vengono messe a disposizione del sovrano statunitense. Regista dell’operazione è l’AfriCom, ancora stanziato in Germania. Le truppe francesi, supportate da membri dell’Unione Europea (Danimarca, Spagna, Estonia e Cechia), distruggono gli obiettivi indicati dal CentCom. Nella regione, un tempo francese, i militari francesi entrano facilmente in contatto con la popolazione, gli statunitensi devono invece superare lo scoglio della lingua.
A questo stadio la prima osservazione è che l’Operazione Barkhane, indipendentemente dai risultati, non è legittima. La motivazione degli occidentali è certamente il contenimento degli jihadisti, ma qualsiasi abitante del Sahel sa che sono gli stessi Occidentali che, con la distruzione della Libia, hanno creato gli jihadisti della regione. Ma non è tutto.
Facciamo un passo indietro. Ricordiamoci che tutto è cominciato con la volontà del Pentagono di distruggere con l’AfriCom le strutture politiche africane, come già aveva iniziato a fare il CentCom con quelle del Medio Oriente Allargato. (…) Hanno a disposizione le armi ufficialmente destinate all’Ucraina. Ben presto la regione sarà un immenso braciere (4). A novembre il presidente nigeriano Muhammadu Buhari, conferma il massiccio afflusso di armi statunitensi, inizialmente destinate all’Ucraina, nelle mani degli jihadisti del Sahel e del bacino del Lago Ciad.
Di fronte a questo rischio esiziale i militari di Mali, Burkina-Faso e Niger prendono il potere a difesa della popolazione.
Si tenga presente che i dirigenti africani si lamentano da anni del sostegno della Francia agli jihadisti che pure dichiara di combattere; non contestano i soldati francesi, ma il ruolo dei servizi segreti che lavorano per gli Stati Uniti.
Sin dall’avvio dell’operazione Serval gli jihadisti siriani si lamentarono di essere stati abbandonati dalla Francia a beneficio degli jihadisti del Sahel. E il presidente François Hollande dovette trattenere le truppe il tempo necessario agli istruttori qatariani degli jihadisti del Mali. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ne parlò con l’omologo francese Laurent Fabius, che gli rispose ridendo: «È la nostra realpolitik!».
Nel deserto del Fezzan, nella Libia meridionale, tra le città di Ghat (vicino alla frontiera algerina) e di Sabbah (vicino alla frontiera con il Niger), è sorto un sancta sanctorum di Al Qaeda. Secondo il serissimo Canard enchaîné, queste accademie dello jihadismo sono state organizzate dai servizi segreti britannici e francesi.
Circa due anni fa, l’8 ottobre 2021, il primo ministro maliano Coguel Kokalla Maïga, rilasciò un’intervista a RIA-Novosti (5), ampiamente ripresa e commentata nella regione ma ignorata dalla Francia, dove nessuno la conosce all’infuori dei nostri lettori.
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In uno scritto inviato al Consiglio di sicurezza (Ref. S/2023/636), Yaou Sngaré Bakar, ministro degli Esteri, della Cooperazione e dei Nigerini all’estero, ha riferito che il mese scorso agenti francesi hanno liberato dei terroristi, raggruppandoli nella vallata del villaggio Fitili (28 chilometri a nord-ovest di Yatakala), con l’obiettivo di pianificare un attacco a postazioni militari nella zona delle tre frontiere. In tre operazioni, due in territorio nigerino, una in territorio maliano, sono stati arrestati 16 capi terroristi.
Per inciso, la lettera di Yaou Sangaré Bakar solleva importanti interrogativi sul ruolo della CEDEAO [ECOWAS](6). Domande di vecchia data, già sollevate dal cambiamento di regime ivoriano: la CEDEAO, istituzione internazionale, ha adottato sanzioni contro il Niger e mobilitato truppe per il ripristino dell’ordine costituzionale; ma il suo statuto non l’autorizza a comminare questo tipo di sanzioni, non più di quanto la carta dell’ONU l’autorizzi ad agire militarmente contro uno dei suoi membri.
I casi della Guinea e del Gabon sono diversi: non sono Paesi del Lago Ciad né del Sahel e non sono ancora minacciati. I militari si sono innanzitutto ribellati a regimi autoritari: quello di Alpha Condé in Guinea e quello di Ali Bongo in Gabon. Entrambi rifiutavano di lasciare il potere, malgrado il volere contrario della popolazione.
Ma i golpisti dei due Paesi hanno subito contestato la presenza militare francese: semplicemente perché possono prevedere, senza tema di sbagliare, che l’esercito francese non difenderà né gli interessi dei gabonesi né quelli dei francesi, ma esclusivamente quelli di Washington.
È una guerra che viene preparata con anni di anticipo. Oggi gli Stati Uniti trasferiscono armi sotto la copertura del conflitto in Ucraina. Domani sarà troppo tardi.
In questo contesto è quantomeno sorprendente ascoltare il presidente francese Emmanuel Macron invocare la difesa dell’ordine costituzionale, sia perché questi Stati corrono un pericolo immediato, sia perché egli stesso ha tradito la Costituzione ponendo l’esercito francese al servizio delle ambizioni dei dirigenti statunitensi.
Thierry Meyssan
NOTE
1) «La dottrina Rumsfeld/Cebrowski», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 25 maggio 2021.
2) «L’expérience politique africaine de Barack Obama», di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 9 marzo 2013.
3) «La guerra contro la Libia è un disastro economico per l’Africa e l’Europa», di Thierry Meyssan, Traduzione Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 4 luglio 2011.
4) «Si prepara una nuova guerra per il dopo-disfatta contro la Russia», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 24 maggio 2022.
5) «Премьер Мали обвинил Францию в подготовке террористов», RIA Novosti, 8 ottobre 2021.
6) Voltaire, attualità internazionale – N° 51
Fonte: «L’Africa francofona ricusa la Francia punendola dei 12 anni di tradimenti», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 12 settembre 2023.
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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Geopolitica
Gli israeliani negano il coinvolgimento nella morte del presidente iraniano
Il governo israeliano non ha nulla a che fare con la morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi in un incidente in elicottero domenica, ha riferito Reuters, citando un funzionario anonimo.
Raisi e molti altri funzionari iraniani, tra cui il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, sono rimasti uccisi quando l’elicottero su cui viaggiavano è precipitato nella provincia montuosa dell’Azerbaigian orientale, nel nord-ovest dell’Iran. Dopo più di dieci ore di ricerche – ostacolate dalla nebbia e dalla pioggia – il presidente e il suo entourage sono stati confermati morti.
Sabato il capo dello Stato si era recato nella regione di confine dopo essersi unito al presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev per inaugurare una diga. Raisi si era impegnato a visitare ciascuna delle 30 province dell’Iran almeno una volta all’anno, e quindi viaggiava regolarmente per il paese.
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La sua morte ha fatto ipotizzare che dietro l’incidente potrebbe esserci Israele, nemico di lunga data dell’Iran, scrive RT.
Lunedì un funzionario israeliano, che ha chiesto l’anonimato, ha negato il coinvolgimento della nazione nell’incidente, dicendo a Reuters «Non siamo stati noi».
L’ultima ondata di tensioni tra Israele e Iran è iniziata il 1° aprile, dopo che un presunto attacco aereo israeliano ha colpito il consolato iraniano nella capitale siriana Damasco. L’attacco ha ucciso sette ufficiali della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), tra cui due generali di alto rango.
In risposta, Teheran ha lanciato decine di droni e missili contro Israele, che in seguito ha reagito con una manciata di droni e missili lanciati dall’aria.
La Repubblica Islamica ha promesso in più occasioni di spazzare via, distruggere o annientare il «regime sionista», come chiama Israele.
Il ministro israeliano del Patrimonio, Amichai Eliyahu – noto per aver dichiarato la possibilità di nuclearizzare Gaza – ha reagito alla notizia della morte di Raisi pubblicando l’immagine di un bicchiere di vino su X, accompagnata da un «cin-cin» nella didascalia.
Avigdor Lieberman, ex ministro della Difesa e leader del partito di opposizione di destra Yisrael Beiteinu, ha dichiarato al sito di notizie Ynet che Israele «non verserà una lacrima per la morte del presidente iraniano».
Il leader supremo iraniano, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha dichiarato cinque giorni di lutto nel Paese per le vittime dell’incidente. Il vice di Raisi, Mohammad Mokhber, ha assunto la presidenza dopo l’approvazione di Khamenei lunedì. Mokhber manterrà la carica per 50 giorni fino allo svolgimento delle elezioni.
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Solo poche settimane fa il presidente iraniano Ebrahim Raisi aveva minacciato Israele di annientamento se tentasse di attaccare nuovamente l’Iran.
«Se il regime sionista commette ancora una volta un errore e attacca la terra sacra dell’Iran, la situazione sarà diversa, e non è chiaro se rimarrà qualcosa di questo regime», aveva detto Raisi all’agenzia di stampa statale IRNA.
Come riportato da Renovatio 21, negli scorsi giorni Teheran ha dichiarato pubblicamente di sapere dove sono nascoste le atomiche israeliane. Nelle scorse settimane lo Stato Ebraico aveva dichiarato di essere pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani.
Negli ultimi mesi l’Iran ha accusato Israele di aver fatto saltare i suoi gasdotti. Hacker legati ad Israele avrebbero rivendicato un ulteriore attacco informatico al sistema di distribuzione delle benzine in Iran.
Sei mesi fa l’Iran ha arrestato e giustiziato tre sospetti agenti del Mossad. All’ONU il ministro degli Esteri iraniano aveva dichiarato che gli USA «non saranno risparmiati» in caso di escalation.
Come riportato da Renovatio 21, anche da Israele a novembre 2023 erano partite minacce secondo le quali l’Iran potrebbe essere «cancellato dalla faccia della terra».
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Immagine di President of Russia via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
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Discurso del Presidente Javier Milei en la Convención “Europa Viva 24”, organizado por el partido VOX en el Palacio Vistalegre, Madrid, España. pic.twitter.com/E52RVrzTds
— Oficina del Presidente (@OPRArgentina) May 19, 2024
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