Spirito
Mons. Lefebvre e i vescovi: osservazioni tecniche sulle consacrazioni senza mandato e lo stato di necessità
Renovatio 21 pubblica questo articolo comparso su FSSPX.news, sito di attualità della Fraternità San Pio X, in merito agli attacchi ricevuti recentemente dalla FSSPX da parte di un sito di matrice ciellina. Renovatio 21 aveva già pubblicato una risposta della Fraternità e un saggio scritto da Don Mauro Tranquillo nel 2013 che, con largo anticipo, rispondeva ai punti dell’aggressione bussolina, anche perché si tratta sempre delle solite questioni, e quando d’improvviso riemergono, come in queste settimane, ci sarebbe, per prima cosa, da domandarsi il perché.
La Nuova Bussola Quotidiana ha dedicato alle consacrazioni episcopali del 1988 e alla situazione della Fraternità San Pio X una serie di articoli, con argomenti in realtà già molte volte confutati, che però a qualche lettore avranno potuto sembrare inediti. Dedichiamo qui una risposta «tecnica» ad alcune di queste osservazioni, rimandando poi a studi più completi.
La consacrazione episcopale contro la volontà del Papa è sempre uno scisma?
Cominciamo a chiarire quello che la Bussola, seguendo i suoi maestri, confonde. Citando due documenti papali «preconciliari» (che a breve esamineremo) essi sostengono non solo che il Papa ha in esclusiva e per diritto divino il potere di conferire la giurisdizione (1) episcopale (e infatti, come essi stessi ammettono, Mons. Lefebvre non pretese mai usurpare tale prerogativa), ma avrebbe anche per diritto divino il potere di designare in esclusiva i candidati a un’ordinazione episcopale, in qualsiasi caso. (2)
Secondo la Bussola, che qui riprende in parte la dottrina conciliare sull’episcopato ed in parte le teorie dei Padri Bisig e de Blignières (3), sarebbe impossibile separare il potere sacro dell’Ordine episcopale dal potere di governo, cosicché ordinare un vescovo senza consenso papale (anche escludendo la pretesa di assegnargli un potere di governo) sarebbe sempre uno scisma. Tale tesi è semplicemente contraria alla dottrina insegnata dalla Chiesa fino al Vaticano II, che separa nettamente l’origine del potere dell’ordine episcopale da quella del potere di governo (4). Per i Papi fino a Pio XII (5), la consacrazione episcopale da sola non può produrre alcun potere di governo.
La Chiesa, a differenza della Bussola, non ha mai del resto confuso lo scisma con la consacrazione episcopale senza mandato pontificio. Consideriamo qui il diritto canonico, visto nella sua natura magisteriale: esso è infallibile nel senso che non potrà mai esprimere qualcosa che vada contro il dogma, quindi è locus theologicus, come noi ben sappiamo malgrado le insinuazioni della Bussola.
Ebbene, il diritto ha sempre distinto le pene per il peccato di scisma dalle pene per la consacrazione episcopale fatta senza mandato apostolico. Se lo scisma è sempre stato punito di scomunica, la consacrazione episcopale fino a Pio XII era punita di una semplice sospensione a divinis (cfr. la vecchia redazione del canone 2370 [6], che tra l’altro addolciva la stessa sospensione con l’inciso «fino a che la Santa Sede li dispensi»).
Tale atto non era visto come quella sorta di «trauma ecclesiologico» descritto dalla Bussola, ma come un delitto nell’amministrazione dei Sacramenti. Infatti il titolo XVI della terza parte del codice, dove stava il canone 2370, era intitolato De delictis in administratione vel susceptione ordinum aliorumque sacramentorum, ben distinto dai delitti contra fidem et unitatem Ecclesiae, tra i quali appunto lo scisma, catalogati al titolo X (7).
L’inasprimento della pena voluto da Pio XII nel 1951 (ed entrato nel nuovo codice) non fa comunque coincidere la consacrazione episcopale con lo scisma, visto che rimangono in vigore due scomuniche per delitti ben distinti tra loro.
Questo argomento basta da solo a far crollare il castello di carte della Bussola e di Bisig e de Blignières, che fanno coincidere ogni consacrazione senza mandato con un atto di scisma. L’amministrare i sacramenti oltre i canoni per necessità (ordine episcopale compreso) è sempre possibile ed in alcuni casi doveroso per diritto divino, ed il diritto positivo stesso lo prevede anche in modo esplicito. Infatti è il diritto a scusare dalle pene chi agisce per necessità (can. 2205), e perfino da colpa purché l’atto non sia intrinsecamente malvagio (un’ordinazione episcopale non essendo tale, a meno di tenere la tesi per cui conferisca automaticamente quanto riservato al Papa, anche se il consacrante negasse di volerlo fare).
In tal caso, si potrà consacrare un vescovo lecitamente anche senza il permesso del Papa: perché, se c’è realmente la necessità, c’è anche la facoltà di amministrare i sacramenti, proprio per il diritto della Chiesa e non contro di essa. Se il Papa proibisse a un sacerdote senza giurisdizione ordinaria di confessare un moribondo, adducendo come ragione che, secondo lui, il soggetto è sano e può aspettare il parroco, il sacerdote assolverebbe comunque in modo valido e lecito: l’errore del Papa (in buona o mala fede) sulla situazione del malato non cambia il fatto che una tale facoltà non può essere negata in quella circostanza, perché la Chiesa non può andare contro il suo proprio fine (8).
La negazione dello stato di necessità della Chiesa da parte del Papa, come vedremo, non smette di far esistere un tale stato, e non smette di conferire le facoltà previste in tal caso dal Papa stesso come promulgatore della legge divina, per la natura delle cose della Chiesa, finalizzata alla salus animarum. Di certo, essendo i papi post-conciliari la causa dello stato di necessità, è difficile che essi ne ammettano l’esistenza o l’estensione reale.
Lo stato di necessità
Abbiamo visto che, proprio per il diritto voluto da Dio e dai Pontefici (e non contro di esso), è lecito amministrare i sacramenti di fronte a una necessità estrema del singolo, o alla necessità grave generale[9]. Per quale motivo Mons. Lefebvre nel 1988 era di fronte a una simile situazione?
Nel 1988, come oggi, è impossibile ricevere l’ordinazione sacerdotale (e quindi amministrare poi i sacramenti) per le vie ordinarie senza accettare (almeno esternamente) delle dottrine contrarie all’insegnamento della Chiesa.
Per esempio:
- Dal Concilio Vaticano II in poi, nessun candidato agli ordini può negare che la libertà religiosa sia un diritto naturale, conformemente alle condanne di Gregorio XVI e Pio IX. La dottrina di Dignitatis humanae, oggi imposta a tutti, e pesantemente ribadita da Benedetto XVI (10), impone di credere che esista un diritto naturale, valido per individui e gruppi, di professare qualsiasi religione, anche in pubblico, e che deve essere riconosciuto dall’autorità. Se un cattolico, per restare tale, nega tale dottrina in quanto condannata dal Magistero, non sarà mai ordinato prete per le vie ordinarie.
- Dal Concilio in poi, nessun candidato agli ordini può affermare che la giurisdizione episcopale proviene solo dal Pontefice, conformemente a secoli di Magistero (vedi articoli citati sopra), o che solo il Pontefice è soggetto del potere supremo della Chiesa. Tali affermazioni definite dal Magistero anche in modo infallibile sono contraddette apertamente dalla dottrina di Lumen gentium, documento chiave del Concilio, e costantemente ribadite. Se un cattolico, per restare tale, nega apertamente tali nuove dottrine, non sarà mai ordinato prete per le vie ordinarie.
- Dal Concilio in poi, la prassi ecumenica domina le relazioni con le altre religioni, nonostante condanne papali (cfr. Pio XI, enciclica Mortalium animos). Ogni cattolico deve apertamente distanziarsi da tali atti, compiuti da tutti i Papi post-conciliari, da Assisi 1986 fino alla Pachamama. Però se lo fa, non riceverà mai il sacramento dell’Ordine.
- Dal 1970, il candidato agli ordini deve accettare per principio e generalmente anche celebrare un rito che «si allontana in modo impressionante» dalla dottrina cattolica sul Sacrificio della Messa, così come definito a Trento (cfr. Breve esame critico del Novus Ordo Missae, dei cardinali Ottaviani e Bacci), e che è in contraddizione palese con il significato del rito tradizionale. Come si può pensare (per fare solo un esempio elementare) che un rito in cui il sacerdote non disgiunge pollice e indice per non perdere alcun frammento dell’ostia consacrata abbia lo stesso significato di un rito che prevede la comunione in mano e i ministri straordinari? Non sono certo «due forme dello stesso rito».
La lista potrebbe ovviamente continuare, come sa anche la Bussola, con argomenti sui quali essi stessi hanno preso le distanze da questo ultimo Pontificato.
Forse la Bussola ritiene impossibile ammettere che la gerarchia (cioè il Papa e i Vescovi diocesani) si ritrovi in un simile stato nella sua interezza o nel suo capo?
Purtroppo contra factum non fit argumentum. Per capire come sia possibile e come spiegare questa situazione senza cadere in nessun errore sulla costituzione della Chiesa, suggeriamo la lettura del libro Parole chiare sulla Chiesa, a cura dei sacerdoti del nostro Distretto italiano (11). Una tale trattazione esula infatti da un articolo già troppo lungo.
Davanti a questo stato di fatto, la Chiesa ha in sé la possibilità di amministrare i sacramenti in modo straordinario, episcopato compreso, venendo in soccorso così alle anime che non vogliono mettere in pericolo la propria fede per ricevere i sacramenti.
Non basta l’ordinazione a fare il prete o il vescovo cattolico, dice la Bussola, e noi condividiamo; ci vuole anche di essere inseriti nell’ordinamento canonico visibile, ma in modo appropriato alla situazione, che può anche essere straordinario, come l’attuale (straordinario vuol dire legale secondo le leggi eccezionali, non selvaggio); ma per essere prete e vescovo cattolico ci vuole anche e soprattutto l’integrale professione della fede cattolica, compresa la condanna senza equivoci degli errori correnti: per salvare questo ultimo elemento Mons. Lefebvre poté ricorrere ad ordinazioni episcopali fuori dall’ordinario, ma del tutto lecite, legittime nella reale situazione della Chiesa.
Osserviamo infine che tale stato di necessità non è percepito solo soggettivamente dalla Fraternità San Pio X, ma si basa soprattutto sulla certezza che abbiamo dal Magistero papale della condanna del diritto alla libertà religiosa, della collegialità, dell’ecumenismo, e di tutto quanto di contrario alla dottrina definita ha fatto seguito al Concilio, oltre che della liturgia e delle prassi che di fatto negano una serie di articoli di fede in modo più o meno diretto. (12)
La Fraternità non nega l’esistenza della gerarchia, ma non dimentica che si tratta di una gerarchia modernista. In quanto tale, non si può far finta di considerarne gli atti come «normali», e di valutarli come se si fosse in uno stato di ordine (del resto, nemmeno la Bussola sembra farlo per molti atti del presente pontificato). Ecco perché, pur di trasmettere e conservare la Fede cattolica come definita dai Papi, si ricorre a mezzi eccezionali.
Due documenti citati a sproposito
Ad Apostolorum Principis
Veniamo ora ad esaminare il primo documento citato contro Monsignor Lefebvre, cioè la lettera con cui Pio XII condanna le ordinazioni dei vescovi della «chiesa patriottica» in Cina (1958), destinati a formare una gerarchia parallela fedele al governo comunista. Può sembrare curioso che i conservatori, che accettano la dottrina erronea di Lumen gentium sull’origine sacramentale del potere di governo dei vescovi, citino un documento che condanna (sulla base di Mystici Corporis e mille altri documenti dottrinali) proprio quella teoria conciliare.
In effetti è proprio il Concilio (in questo totalmente confermato dai documenti di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) a sostenere che la giurisdizione episcopale non venga dal Papa ma dalla stessa ordinazione sacramentale, proponendo così una dottrina già ampiamente condannata. Non sappiamo a che dottrina credano i conservatori, ma evidentemente vogliono mettersi sul terreno dei cattolici fedeli al Magistero tradizionale per cercare di porli in difficoltà.
In realtà ci sarebbe anzitutto da chiedersi, qualora costoro credano alla dottrina esposta da Pio XII, come facciano a non vedere che già dal Concilio si tenta di costruire una nuova religione che sovverte il cattolicesimo, e di imporla a tutti i fedeli; se invece non ci credono, ci si chiede perché usare strumentalmente una lettera che non potrebbero intendere in quel senso letterale, secondo quanto impone la Nota praevia di Lumen gentium.
Veniamo però al merito dell’obiezione: si sostiene che non solo la lettera insegni che per diritto divino è il Papa solo a conferire la giurisdizione ai vescovi residenziali, ma anche che solo la Santa Sede possa determinare chi deve ricevere l’episcopato. Facciamo anzitutto notare che si parla di candidati all’episcopato residenziale in una situazione ordinaria, cioè di candidati che insieme all’ordinazione dovranno appunto ricevere la giurisdizione dal Pontefice. Nessuno dubita che in tale caso solo alla Santa Sede spetti di giudicare i candidati idonei a tali nomine, senza altre ingerenze (il riferimento immediato della lettera è al governo comunista cinese).
Non si capisce però come questo possa inficiare la liceità morale dell’ordinazione episcopale in caso di grave necessità generale, senza pretesa di conferimento di alcuna giurisdizione: Pio XII parla della scelta di vescovi che dovranno ricevere missione canonica ordinaria dal Papa, il che niente ha a che vedere con il caso dei vescovi della FSSPX. La cosa sarà ancora più chiara con il commento al documento seguente.
Quartus supra
Viene portata un’obiezione che dovrebbe basarsi sulla lettera con cui Pio IX interviene in una querela suscitata dal patriarcato armeno cattolico (nel 1873). Era infatti successo che, nonostante il privilegio della chiesa armena di presentare a Roma una terna di candidati all’episcopato, tra i quali il Papa scegliesse chi nominare, il Papa avesse in alcuni casi rigettato i tre nomi per un quarto, direttamente scelto da lui.
Pio IX ovviamente risponde che i privilegi dei patriarcati o delle chiese locali sono norme di diritto ecclesiastico, che in nulla possono inficiare la pienezza del potere pontificio, che per diritto divino può andare oltre e nominare in altri modi i vescovi. Nessun cattolico mai metterebbe in dubbio una tale verità.
Tuttavia nemmeno questo ha nulla a che vedere con il caso di Monsignor Lefebvre: non si stabilisce qui un principio, come vorrebbero i nostri obiettanti, per cui conferire un’ordinazione episcopale (senza pretesa di conferire una sede, ma per una mera necessità sacramentale) sia per diritto divino impossibile senza una designazione papale; si dice invece che il Papa può per diritto divino nominare senza vincoli canonici chi vuole alle sedi vescovili.
Quanto alla citazione delle lettere di Papa sant’Innocenzo I (13), esse parlano dell’episcopato residenziale, cioè con la concessione della giurisdizione. I discorsi di queste lettere e dei Papi antichi vanno sempre letti nell’ottica dell’istituzione di vescovi residenziali, non della semplice collazione del sacramento dell’Ordine che, come abbiamo visto, resta possibile quando inevitabilmente necessario. Trattano infatti della situazione ordinaria e del caso comune di nomina episcopale a una sede.
Qualche ultima considerazione
Come si vede, la Fraternità San Pio X basa le sue scelte sulla considerazione della natura giuridica della Chiesa, che non è senza mezzi per le situazioni eccezionali. Che la gerarchia intera si sia separata dalla professione della vera Fede, o sia silente sull’apostasia, è un fatto enorme che non fa riflettere la Bussola. Per la Bussola in questa situazione occorrerebbe rapportarsi alle autorità come in periodo normale, ignorando tale generale apostasia (salvo poi qualificare i vescovi italiani del titolo di «usurpatori» quando toccano qualche novità dottrinale che la Bussola non ha digerito per il momento: infatti, perché supporre che i conservatori non accetteranno mai l’omosessualismo, se hanno accettato già collegialità e libertà religiosa?).
Un capitolo a parte meriterebbe l’uso strumentale e selettivo che la Bussola fa degli interventi romani in merito alla FSSPX, ignorando o minimizzando sistematicamente ogni concessione fatta nel tempo dai recenti Pontefici. Non insistiamo perché abbiamo voluto basarci su princìpi ben più elevati.
Facciamo però un esempio: la Bussola nega autorità alla risposta del presidente della Commissione Ecclesia Dei del 27 settembre 2002, che permetterebbe ai fedeli di assistere alla Messa e adempiere al precetto domenicale presso i sacerdoti della FSSPX.
Precisiamo anzitutto che la FSSPX chiede ai fedeli di venire a Messa presso le proprie cappelle proprio per manifestare il proprio rifiuto degli errori moderni e della nuova messa, partecipando a un culto corrispondente alla Fede romana, e non si basa su questi documenti (che al massimo sono stati usati come argomenti ad hominem).
Quello però che fa specie è che la Bussola spieghi pontificalmente che il diritto canonico dice che si assolve il precetto solo assistendo alla Messa domenicale in un «rito cattolico», dimenticandosi però che il nuovo canone 844§2, violando il diritto divino, permette ai cattolici impossibilitati di accedere a un ministro cattolico di ricevere i sacramenti da ministri non-cattolici validamente ordinati, «ogni volta che lo richieda la necessità o una vera utilità spirituale»; e che la Santa Sede, con diversi accordi con le «chiese» scismatiche orientali, ha permesso ai cattolici di assistere alla Messa presso tali comunità (compresa quella assira, dove la Messa non ha neppure le parole della consacrazione ed è perciò non solo illecita ma del tutto invalida). (14)
In conclusione, consigliamo al lettore la lettura degli articoli citati in nota, ricchi di apparati e di riferimenti, per tutte le questioni che potrebbero essere poco chiare o sospese. Non è infatti possibile in questo breve testo ritornare alla confutazione di ogni singolo sofisma o al chiarimento di ogni singolo concetto esposto.
Viviamo in un tempo eccezionale, molto più di quello che crede la Bussola, in cui l’intera gerarchia ha rinnegato l’integralità della fede romana. Forse è questo che la Bussola non capisce, e tira fuori dal cappello vecchi sofismi già più volte affrontati, senza chiedersi che cosa richieda oggi un’integrale professione di fede. Se però lo capisce e nega comunque la legittimità delle consacrazioni episcopali senza mandato in queste circostanze, è probabilmente la loro visione della Chiesa a far difetto di elementi giuridici indispensabili nelle situazioni eccezionali.
Ne va della natura della Chiesa, destinata a trasmettere la Fede integralmente e a salvare le anime, senza perdere nessuno dei suoi pezzi. C’è chi sacrifica la professione della Fede per salvare la gerarchia.
C’è chi sacrifica la gerarchia per salvare la professione della Fede, come i sedevacantismi vecchi e nuovi. La Fraternità San Pio X, al seguito delle scelte di Mons. Lefebvre, ha cercato una spiegazione e una strada che conservino tutti gli elementi costitutivi della Chiesa.
NOTE
1) Vi sono nella Chiesa due poteri, lasciati da Nostro Signore Gesù Cristo, e due gerarchie che ne derivano, le quali si incrociano e si sovrappongono in parte, ma che restano ben distinte nelle loro attribuzioni e nelle loro fonti. Questi due poteri sono: 1) la potestas sanctificandi, che si riceve e si esercita tramite il Sacramento dell’Ordine nei suoi vari gradi e che consiste principalmente nel potere di consacrare l’Eucaristia e mediante questa e gli altri Sacramenti dare la grazia alle anime. Poiché la fonte di questo potere è un Sacramento, l’autore diretto ne è Nostro Signore stesso, ex opere operato: i ministri ne sono solo gli strumenti. 2). La potestas regendi, o potere di giurisdizione, che comprende in sé il potere spirituale di governare e di insegnare. La Chiesa essendo una società deve avere un’autorità capace di legiferare e di guidare, oltre che di punire e correggere. Questo potere, che Nostro Signore ugualmente possiede al supremo grado, è da Lui trasmesso direttamente solo al Papa al momento dell’accettazione dell’elezione, e dal Papa in vari modi è trasmesso al resto della Chiesa. Non ha di per sé alcun legame con il potere d’ordine. In questo senso Vescovo è colui che ha ricevuto dal Papa il potere di governare una diocesi, indipendentemente dal fatto della sua consacrazione episcopale.
Per approfondire, si vedano gli articoli citati alla nota 4.
2) Notiamo preliminarmente che la maggior parte degli argomenti addotti dalla Bussola non sono affatto nuovi, come vedremo, e si trovano confutati globalmente nell’opuscolo La Tradizione scomunicate, ed Ichthys 2007.
3) Una radicale e completa confutazione di tali tesi si trova negli articoli apparsi sul Courrier de Rome, a firma di don Jean-Michel Gleize, apparsi nei numeri di ottobre e novembre 2022 (nn. 657-658). Ad essi rimandiamo il lettore che voglia approfondire ulteriormente.
4) Sull’argomento, due articoli consultabili on line: cfr. https://fsspx.it/it/news-events/news/episcopato-e-collegialita-84983 e https://www.slideshare.net/GedersonFalcometa/nuova-e-antica-dottrina-a-c…
5) Gli articoli citati alla nota 2 proveranno ad abundantiam quanto qui affermato. Ci piace aggiungere qui perfino una citazione di Giovanni XXIII (prima del Concilio) sull’argomento: dalla consacrazione episcopale «non può provenire assolutamente alcuna giurisdizione, se viene compiuta senza mandato apostolico» (Allocuzione concistoriale del 15 dicembre 1958, AAS 50, p.983). Anche Papa Giovanni ammetterebbe quindi che Mons. Lefebvre, secondo la dottrina tradizionale, non poteva compiere uno scisma senza pretesa di trasmettere ciò che solo il mandato apostolico può dare, la giurisdizione: questo perché di per sé la consacrazione sola non dà altro che il potere di ordine.
6) Tale impostazione proviene dal diritto tradizionale delle Decretali (C. 44, de electione et electi potestate, I, 6, in VI°).
7) Perfino nel nuovo Codice di diritto canonico (del 1983), nonostante l’ecclesiologia conciliare che lo pervade, la pena per la consacrazione episcopale senza mandato (nuovo canone 1382) non è inserita tra quelle per i delitti “contro l’unità della Chiesa” (Parte II tit. I), ma tra quelle per l’usurpazione di uffici ecclesiastici (tit. III).
8) Quanto alla citazione del Caietano sullo scisma fatta nell’ultimo articolo della Bussola, essa appare incompleta e tendenziosa. Il testo infatti letto per intero distingue molto bene lo scisma dalla disobbedienza (che può sempre giustificarsi di fronte a un ordine iniquo, come il richiedere la negazione della fede per accedere ai sacramenti o il proibirne ingiustamente l’amministrazione davanti a una vera necessità). Vedi il commento e la citazione integrale del Caietano negli articoli di don J.-M. Gleize sul Courrier de Rome dell’aprile 2018 e del novembre 2022.
9) A tal proposito, si veda lo studio completo a questo link: https://fsspx.it/it/news-events/news/l%E2%80%99apostolato-della-fsspx-e-…
10) https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/messages/peace/documents/…
11) Parole chiare sulla Chiesa, a cura di don Daniele Di Sorco, ed. Radio Spada 2023.
12) Per misurare l’ampiezza dei cambiamenti dottrinali imposti alla coscienza dei cattolici dal Concilio in poi, consigliamo la lettura dei seguenti libri: Mons. M. Lefebvre, Lo hanno detronizzato, ed. Piane; R. Amerio, Iota unum, ed. Lindau; Padre M. Gaudron, Catechismo della crisi nella Chiesa, ed. Piane.
13) Sarebbe da discutere anche l’inesattezza della traduzione delle lettere abbozzata dalla Bussola. Il testo, reperibile nella Patrologia latina del Migne 20:583, visto il pronome quo, che la Bussola omette di tradurre correttamente, fa capire chiaramente che è l’Apostolo Pietro la fonte dell’ipse episcopatus (non di tutto l’episcopato qui, ma di quello romano) e della tota auctoritas nominis (il prestigio della sede romana).
14) Tale concessione, risalente al 2001, con Giovanni Paolo II e al Card. Ratzinger come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, fece molto discutere e rimane un monumento di ecclesiologia e teologia sacramentale anti-cattoliche https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2001/… . Si veda il commento a tale mostruosità in Sì Sì No No Anno XXVIII n. 1, del 15 gennaio 2002 (https://www.sisinono.org/agosto-2002.html?download=264:n-1).
Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Spirito
Corredentrice e Mediatrice: cosa chiedevano i vescovi alla vigilia del Vaticano II
Il numero di novembre 2025 del Courrier de Rome assume un significato particolare alla luce della Nota Mater populi fidelis del cardinale Fernández, che rifiuta i titoli di Corredentrice e Mediatrice di tutte le Grazie. Per cogliere la portata di questa rottura, i due studi storici di padre Jean-Michel Gleize costituiscono il cuore di questo numero e ne costituiscono l’interesse principale.
Questi articoli richiamano alla mente un fatto significativo, spesso dimenticato: alla vigilia del Concilio Vaticano II, l’episcopato cattolico chiese quasi all’unanimità una definizione di Corredenzione e Mediazione Universale. Le citazioni che l’autore estrae dagli Atti conciliari sono sorprendenti. Il vescovo di Malta, l’arcivescovo Galea, vedeva in questa definizione «un grandissimo aiuto» per riunire i cristiani separati, affermando che questa verità sarebbe stata accolta «come la voce della Madre Celeste che vuole riportare tutti i suoi figli all’unità».
I vescovi spagnoli, da parte loro, hanno affermato inequivocabilmente che Maria «merita di essere Mediatrice presso il Mediatore» e che, secondo San Pio X, è «la prima dei ministri a distribuire le grazie».
La Polonia, fedele alla sua tradizione mariana, ha espresso con forza il sentimento del popolo cristiano. Il vescovo Blecharczyk ha osservato che tutti – «ignoranti o dotti» – credono che Maria, suscitata da Dio, sia «la collaboratrice dell’opera della Redenzione” e “la Mediatrice di tutte le grazie che scaturiscono dalla Redenzione come dalla loro fonte».
Sostieni Renovatio 21
Quanto al vescovo Czerniak, egli ha affermato che questa dottrina è ormai così chiara, così profondamente radicata nella Tradizione e nell’insegnamento dei papi, che deve essere resa professione di fede: «La Beata Vergine Maria deve essere dichiarata Mediatrice di tutte le grazie […] perché la volontà di Dio l’ha creata come Mediatrice universale».
Questi testi dimostrano che la dottrina di Maria, Corredentrice e Mediatrice, non si basava sulle opinioni di teologi isolati, ma sulla voce unificata della Chiesa docente, che vedeva in questa definizione un bene spirituale importante per i fedeli e persino un mezzo per convertire i non cattolici. Le poche obiezioni registrate – solo due autentiche – non riguardavano mai la dottrina in sé, ma piuttosto considerazioni di opportunità pastorale.
Rivelando questa unanimità episcopale, padre Gleize dimostra che la Nota del Dicastero, riducendo la cooperazione di Maria a un mero esempio, «non riflette accuratamente la dottrina del Magistero della Chiesa».
Questo numero offre quindi uno spunto cruciale per comprendere l’attuale dibattito mariano: lungi dall’essere spunti devozionali, Corredenzione e Mediazione Universale sono al centro della fede cattolica trasmessa dai pastori. Leggere questo dossier significa riscoprire questa profonda armonia, oggi oscurata, tra la Tradizione viva della Chiesa e la verità sulla Madre di Dio.
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine: Chiesa cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso (Grove City, Ohio) – Statua della Beata Vergine Maria
Immagine di Nheyob via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
Spirito
La Vergine Corredentrice contro il Serpente Maledetto: omelia dell’Immacolata di mons. Viganò
Tu Reparatrix
Omelia nell’Immacolata Concezione della Beatissima Semprevergine Maria
Tuti sumus te tutante, Virgo potestatis tantæ, Dei ligans omnipotentiam.
Fa’ che possiamo esser protetti da Te, Vergine che hai avuto tanto potere da Dio, da farTi amministrare la Sua onnipotenza.
Sequentia O mira claritas
Questo giorno benedetto, dedicato alla celebrazione dell’Immacolata Concezione di Maria Santissima, ci offre l’occasione di tessere una pubblica e solenne riparazione all’onore dell’Augustissima Madre di Dio, dopo che un odioso documento vaticano – la Nota Mater populi fidelis – ha osato dichiarare «sempre impropria» l’attribuzione del titolo di Mediatrice e Corredentrice a Colei che il Padre ha voluto come Figlia, il Figlio come Madre e lo Spirito Santo come Sposa.
Quel serpente maledetto, cui Ella schiaccerà il capo, continua ad insidiarLe il virgineo calcagno, sprizzando il veleno mortifero che già vomitarono gli eresiarchi di tutti i tempi. A riprova dell’inaudito affronto alla Santissima Madre, valga lo scandalo dei semplici, che La venerano come Addolorata Corredentrice e come Mediatrice di tutte le Grazie.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Nel celebrare le glorie della nostra Signora e Regina, non possiamo non vedere nella Sua Concezione Immacolata la necessaria premessa e preparazione non solo dell’Incarnazione del Verbo Eterno del Padre, ma anche dell’immolazione della Madre del Verbo Incarnato, vittima pura, santa e immacolata per Grazia specialissima, prima creatura degna di unirSi al Figlio nell’oblazione al Padre.
Chi più di Lei, preservata da ogni macchia, sarebbe stato degno di tale privilegio? Chi più di Lei avrebbe avuto titolo di offrire la propria mistica co-Passione al Sacrificio perfetto di Nostro Signore? E come avrebbe Ella potuto rispondere con maggiore carità all’esempio del divin Figlio, se non lasciandoSi trafiggere, con altrettanta carità, dalle acuminate spade che fanno di Lei la Mater dolorosa e la Regina Crucis?
Nostra Signora è infatti Regina della Croce in virtù della co-Passione e della Corredenzione. Se Cristo regna dalla Croce – Regnavit a ligno Deus; se la Croce è il trono di gloria della divina e universale Signoria del Re dei Re; come avrebbe potuto l’Augustissima Regina meritare questo titolo, se non allargando misticamente le proprie braccia sulla Croce del Figlio?
Mediante la mistica partecipazione alla Passione del Salvatore, Ella è Reparatrix, Riparatrice dei peccati grazie ai meriti acquisiti ai piedi della Croce: Redentrice anch’Ella, soli secunda Numini, seconda solo a Dio, e dunque Corredentrice, Stella polare nella notte oscura che riverbera la sola luce del Sol Justitiæ. Infine, grazie ai quei meriti Ella è costituita Mediatrix, Mediatrice di tutte le Grazie: tanto quelle proprie, quanto quelle infinite del Figlio. Ella è amministratrice del Tesoro dei meriti infiniti di Cristo, al quale si aggiungono i meriti dei Santi e – vale ricordarlo – anche i meriti di quanti, nel corso della loro vita, hanno completato nella propria carne quello che manca ai patimenti di Cristo, per il bene del Suo Corpo che è la Chiesa (Col 1, 24).
L’offerta della Vergine – la più perfetta delle creature, eletta a Tabernacolo dell’Altissimo ed Arca dell’Alleanza – non poteva non costituire il più prezioso ornamento del Sacrificio di Cristo, e il più fulgido esempio di carità per noi, membra vive di quel Corpo Mistico che tutti ci unisce sulla Croce, memori delle parole del Salvatore: Chi vuole venire dietro a Me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua (Mt 16, 24).
Quale guida migliore, in questa via Crucis personale ed ecclesiale, se non Colei che accompagnò il Signore con le Pie Donne lungo il Calvario? Colei che il Signore agonizzante ci ha dato per Madre e alla Quale ci ha affidati come figli? Colei che Lo ha visto spirare pro peccatis suæ gentis, per i peccati del Suo popolo? Colei che ne accolse il Corpo esanime e Lo pose nel sepolcro? Lo ripetiamo, forse senza attenzione, quando cantiamo la sequenza Stabat Mater: Crucifixi fige plagas cordi meo valide: imprimi a fondo nel mio cuore le piaghe del [Tuo Figlio] Crocifisso.
La Vergine Immacolata – Colei che mai avrebbe avuto bisogno di espiare colpe dalle quali era stata preservata – si fa Vittima con la Vittima divina, varca l’unica soglia che ammette al Cielo e da quella gloria eterna con il Figlio continua, come Madre e Avvocata, a riversare i fiumi di Grazie che la Provvidenza Le ha affidato come Tesoriera di Dio.
Aiuta Renovatio 21
Viviamo in un tempo di grandi sovvertimenti. La Vergine Santissima ci ha rassicurati: Alla fine, il Mio Cuore Immacolato trionferà. Nella certezza del trionfo finale, cari fratelli, è contenuta anche la certezza della Croce, passaggio obbligato per una vera sequela Christi. La Regina Crucis ci dice: alla fine. Alla fine della salita verso il Calvario, perché è da quel trono che Ella ha misticamente conquistato unendoSi al Figlio nel Sacrificio al Padre che la Regina Crucis trionfa con il Suo divin Figlio. Dal trono della Croce, Ella regna come dispensatrice di tutte le Grazie che l’onnipotenza divina Le affida per amministrarle.
Affidiamo a Lei la Barca di Pietro, perché Ella la guidi e la accompagni nella passio Ecclesiæ come già accompagnò il Suo divin Figlio, Capo del Corpo Mistico, nella Sua dolorosa Passione, verso il trionfo della Pasqua eterna. Affidiamoci alla Vergine Immacolata con le parole della Sequenza O mira claritas:
Fa’ che possaiamo esser protetti da Te, Vergine Immacolata, che tanto potere hai avuto da Dio, da farTi amministrare la Sua onnipotenza.
E così sia.
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo
8 Dicembre MMXXV In Conceptione Immaculata B.M.V.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Spirito
Io difendo Ambrogio e Ambrogio difende me
Come ogni anno Renovatio 21 pubblica questo articolo nel giorno di Sant’Ambrogio, patrono di Milano. Facciamo gli auguri a tutti i nostri lettori milanesi, che sono tanti – per Renovatio 21 Milano è di gran lunga la città con più visitatori, e non poteva essere altrimenti, essendo città italiana di massima intelligenza. Rinnoviamo, ancora una volta, l’appello a pregare il Santo milanese, perché la necessità, infestata da eretici e corrotti, da violenti e da volgari, da invertiti e disperati, possa risalire dall’abisso in cui costoro la stanno spingendo. Costoro non conoscono Ambrogio, non sentono il suo calore, non sentono il bisogno della sua protezione. Il flagello di Ambrogio ci aiuti a cacciare da Mediolano parassiti e demòni. A tutti coloro che comprendo quanto stiamo scrivendo, diciamo: Bon Sant Ambrœus a tucc!
Fu Penelope, una ragazza greca, a mostrarmelo per la prima volta.
In realtà mi porse una cartolina. La foto di un mosaico: un uomo dell’antichità, con la barba i baffi e i capelli corti. Un volto semplice, immerso in paramenti che invece parevan importanti. Sopra questa figura c’era scritto solo «AMBROSIVS».
«È Ambrogio. È il protettore di Milano. Tenete questa foto con voi».
Ciò accadeva, a Milano, quasi una ventina di anni fa. Per me, più di un’era geologica. Un altro pianeta, un’altra vita.
Si era, appunto, nei giorni di Sant’Ambrogio. Vivevo a Milano da un anno ma io mai avevo sentito il bisogno di sapere chi fosse Ambrogio. Mai avevo avvertito la necessità di guardarlo in faccia. Del resto, una faccia non poteva averla. Sant’Ambrogio era una festa, non una persona.
Eppure, pure in quella passata incarnazione del mio essere in cui la Fede era remota, avevo compreso che il gesto di Penelope aveva un valore inusuale. Non mi aveva passato un disco (allora c’erano) e neppure un libro (di quelli che non leggi e non restituisci). Sentivo che voleva trasmettermi qualcosa di speciale. Quasi un oggetto magico, un talismano: all’epoca le mie categorie cerebrali erano quelle.
Penelope aveva studiato negli anni Novanta con quella che allora era la mia fidanzata, una ragazza tedesco-americana.
Avevano studiato quella cosa che si chiama «design», che allora era quasi una cosa seria. Lo avevano fatto a Londra, al tempo centro di rimescolamento della intraprendenza giovanile mondiale, quel tipo di frullatore dove gli ingredienti erano americani, giapponesi, libanesi, russi, austriaci, coreani, fiamminghi, croati, i cui schizzi ormai apolidi si riversavano ad ondate nelle case di moda o negli studi pubblicitari di Milano. Erano giorni corruschi e distratti.
Niente di quel mondo poteva portarmi a pensare a quella inspiegabile scintilla che vedevo negli occhi di Penelope, un qualcosa che allora non potevo sapere come chiamare, ma ora sì: devozione. Penelope aveva ritrovato la Fede proprio in quel bailamme di colore e nichilismo che immergeva la nostra giovinezza.
Era cristiana ortodossa, anche questo scuoteva la mia ignoranza. Ma come, una ortodossa che mi parla di un santo cattolico?
«I santi venuti prima dello scisma sono santi per tutti» mi edusse con quell’accento soave. Io mica lo sapevo.
Aiuta Renovatio 21
Devozione
Fu con quella cartolina in tasca che un pomeriggio d’inverno, senza saper neanche bene perché, entrai per la prima volta nella Basilica di Sant’Ambrogio.
Vagai per la navata, che rispetto a quella del Duomo, notai, era più luminosa, e non so quanto la cosa mi piacesse. Osservai quella colonna stranissima che si erge a metà chiesa, che sopra monta un serpente di bronzo. Ero confuso.
C’era pace. Quello, sì, lo sentivo distintamente. Non passò molto prima di venir magnetizzato verso il fondo della Basilica. E di lì, giù per quella mezza manciata di scalini.
Ero entrato nella cripta.
Non ero preparato: non mi aspettavo di trovare, in quel cunicolo buio sotto l’altare, tre scheletri — gli unici punti illuminati — e una grande cancellata di metallo a dividermi da essi.
Di quella prima volta, conservo il ricordo nitido di una sola figura umana che stava dinanzi a me. Una ragazzina, che non arrivava ai vent’anni. Composta, nel suo cappottino elegante, stivali alti, gli occhi azzurri, che potevo scorgere con un bagliore proveniente dall’esterno, trasmettevano fierezza, ma non solo quella. Era in ginocchio davanti alla cancellata, rivolta verso i Santi. Le mani erano giunte in preghiera. Con le stesse, poi si aggrappava alle barre di metallo. Come se fossero le inferriate di un carcere, come se ardesse per liberare se stessa o qualcos’altro, tenuto appena oltre quelle sbarre.
Cosa stava facendo? Perché una ragazza così — una ragazza di buona famiglia, che trovavo anche carina — aveva bisogno di fare una cosa simile? Pregare con tutto lo spirito uno scheletro?
La risposta è in qualcosa che imparai a comprendere tempo dopo: devozione.
La devozione era, in realtà, quella fierezza che avevo fugacemente letto negli occhi di Penelope, e che ora veniva irradiata da questa ragazzina. Una devozione speciale, personale, locale: quella fanciulla stava pregando il protettore della città. Il difensore proprio di quella città specifica.
Passarono gli anni, passarono le fidanzate, le fortune, le sventure, gli studi, i lavori, le gioie, le disgrazie, i sindaci e i governi: eppure mi ritrovai sempre, e sempre più spesso, immerso in quella cripta. Con il tempo, mi ritrovai ad emulare quella ragazzina che non vidi mai più: in ginocchio, le mani a stringere forte quella grata, di cui anche ora che scrivo percepisco il freddo del metallo mentre tocca i miei palmi.
A volte, su quella grata appoggio anche la testa, così, tra una sbarra e l’altra, nell’impossibilità di fare passare attraverso il mio cranio, così, in quello che è anche un appoggio di sollievo, sempre con il ferro gelido a toccarmi fino alle ossa. In ginocchio, a parlare con il Patrono. A chiedergli di proteggermi, e di proteggere tutta la città dove vivevo. Proteggere Milano, perché a Milano, talvolta a distanza talvolta no, avevo visto ogni sorta di cosa.
Avevo visto la gente brutalizzarsi nel modo più abietto; avevo visto la cattiveria dei potenti; avevo visto la cattiveria degli impotenti; avevo visto uomini combattersi e ammalarsi; avevo visto amici accumulare danari perdendo l’umanità e anche la famiglia; avevo visto un uomo spararsi davanti all’ex fidanzata nel bar sottocasa; avevo visto coetanei inghiottiti da abissi notturni per non riemergere più; avevo visto la droga (sia quella illegale che quella legale) consumare le menti di una o due generazioni per non lasciare niente; avevo visto una bella conterranea fucilata dal convivente impasticcato psichiatricamente, un’altra fu squartata dal rampollo suo convivente; avevo visto luoghi di perdizione vera, che ancora oggi mi chiedo come facciano ad esistere; avevo visto il crimine convivere tranquillo con la quotidianità; avevo visto l’ambizione delle persone renderle squallide, mostruose, deformi; avevo visto tradimenti, adulterii, ogni sorta di sovversione sessuale e morale; avevo visto ragazze rifiutare i propri figli, e ucciderli; altre ne avevo viste uccidere in provetta quantità indefinite di bambini per alla fine averne uno solo in braccio.
Perversione, decadenza, morte. Milano è davvero una metropoli.
Come non invocare la protezione di Ambrogio? La cosa mi era impensabile.
Come non immaginare, mentre stringo quelle sbarre, che egli stenda un manto santo sopra la città?
Che blocchi il Male che correva libero per quelle strade?
Finii col credere fermamente che Ambrogio fosse ciò che tratteneva Milano dallo sprofondare in quell’Inferno di fuoco che avrebbe inghiottito quell’inferno umano che registravo con i miei occhi.
Per questo, la preghiera in quella cripta divenne per me assidua.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Tales ambio defensores
Non posso enumerare le volte in cui sono finito davanti alle spoglie mortali di Ambrogio, Gervaso e Protaso. Per dei periodi, è stato un affare quotidiano.
Mi sono aggrappato a quelle sbarre migliaia di volte; spesso sono stato mandato via dal solerte signore filippino (credo) che arriva con l’enorme, tintinnante mazzo di chiavi per chiudere tutta la basilica.
Ho fatto ogni sorta di meravigliosi incontri in quel luogo santo.
Ricordo quando, inciampandole addosso, dissi «izvinite» («mi scusi») a una anziana signora velata. Si faceva multipli segni della croce ed era, chiaramente, una delle tante signore ortodosse — per lo più immagino badanti, ma vi sono talvolta anche veri e propri gruppi di pellegrini — che vanno ad omaggiare Ambrogio.
La signora, usciti dalla cripta, volle scambiare quattro chiacchiere con me, entusiasta del misero russo che stavo studiando. Pretese che salissi immediatamente con lei in metropolitana fino al Duomo, dove mi schiuse le porte di una chiesa ortodossa, che prima di allora mai avevo saputo esistere, appena dietro la cattedrale. La visita ad Ambrogio era una fermata che ella faceva prima di andare nella sua chiesa. C’erano tante signore (moldave, ucraine, bielorusse, russe, kazake…), alcune ho pensato fossero impiegate nell’assistenza di malati o anziani, altre, più giovani ed eleganti, lavoravano chiaramente nella moda; altre ancora, più formose e appariscenti, probabilmente si occupavano di altro – tutte, però, portavano il velo. C’erano i pope con barbe e vesti scure e lunghissime, le candele, l’iconostasi immensa con i suoi bagliori dorati. Tutto sembrava solenne anche se non vi era una funzione in corso. Anche la signora moldava, come Penelope, mi passò una cartolina, e cioè quel che poteva donarmi di più vicino ad una icona.
Capii di essere finito un’altra volta in un circuito invisibile il cui termine era sempre e comunque Ambrogio. La devozione.
Sì, il circuito della devozione, la cui fermata principale era quella cripta, in cui sono finito non perché ho letto un libro (ignoravo, e tuttora ignoro tutto del Santo!) ma perché sospinto da questo flusso intangibile che scorreva a Milano attraverso perfino i cuori degli stranieri.
In quella cripta ho portato tutto: dalle gioie dei primi (piccoli) incassi per i lavori compiuti alla morte di un genitore, dalla speranza di prosperità alla frantumazione del mio essere che a volte gli eventi milanesi potevano cagionare.
Soprattutto, ho portato la mia pochezza. Il mio bisogno di essere protetto, difeso.
«Tales ambio defensores» disse Ambrogio quando rinvenne i corpi dei due martiri Gervaso e Protaso che ora giacciono con lui (fu l’esito di uno scavo che egli volle commissionare guidato da un presagio interiore; l’evento gli permise di vincere definitivamente il cuore di Milano, che all’epoca contava molti eretici ariani).
Me lo sono ripetuto anche io tante volte: «Tali difensori io desidero».
Sostieni Renovatio 21
Nemici di Ambrogio
Al contempo, mi sento in dovere di difendere Ambrogio. Perché, per quanto possa sembrare incredibile, Ambrogio ha dei nemici.
Forze che bramano la distruzione di Ambrogio e di quel fiume invisibile che mi ha portato da lui.
Nel 1799 i napoleonici della Repubblica Cisalpina vollero che la Basilica venisse trasformata in un ospedale militare.
Altre forze figlie della Rivoluzione — i nostri «liberatori» angloamericani — bombardarono vigliaccamente dal cielo Sant’Ambrogio nel 1943.
Poi, il 28 giugno 2000 il Male e la sua manovalanza terrena passano all’attacco diretto, penetrando sino al cuore ambrosiano. Nascondono in un inginocchiatoio della nostra cripta uno zaino con due bottiglie contenenti benzina, collegate a un innesco chimico alimentato da una pila. Una bomba incendiaria. (Bruciare Ambrogio e il suo tempio, lo dirò più sotto, potrebbe avere un suo significato di nemesi precisa). L’ordigno è trovato dalla Digos, perché un quotidiano riceve un volantino di rivendicazione. Gli esecutori dovrebbero essere gli anarchici della sigla «Solidarietà Internazionale»; protesterebbero per una cerimonia della polizia penitenziaria.
Io in realtà so che, da secoli, vogliono colpire qualcosa di più grande, qualcosa di fondamentale per l’equilibrio di tutta la città – e della mia vita.
Vogliono colpire Ambrogio.
Vogliono colpire la sua devozione.
Perché so tutto questo, non mi son sorpreso quando qualche anno fa uscì sotto forma di libro un attacco ad Ambrogio.
Il libro, incensato dall’intero arco delle gazzette nazionali, da Il Sole 24 ore a Il Manifesto, portava la firma di una vecchia conoscenza, diciamo così, tale Franco Cardini.
Il titolo non è molto sibillino: Contro Ambrogio.
Aiuta Renovatio 21
Don Ricossa mi ricorda, con tanto di documentazione, «che Cardini è stato membro del comitato scientifico della rivista massonica Ars Regia; che Cardini ha ricevuto e accettato un’onorificenza dal Grand’Oriente d’Italia; che Cardini ha scritto la prefazione ad un libro sui Templari del figlio dell’allora Gran Maestro della Massoneria Raffi, con i proventi del libro che vanno all’opera massonica degli Asili notturni; che Cardini ha partecipato a un convegno della Gran Loggia d’Italia, obbedienza di piazza del Gesù; che Cardini si riconosce nella Leggenda medioevale dei tre anelli, ripresa dal massone Lessing, e nell’idea di cristiani, ebrei e musulmani “fratelli in Abramo”; che per Cardini ha ragione Gad Lerner nel dire che Gesù Cristo non è cristiano ma ebreo, essendo il Cristianesimo una invenzione di Saulo di Tarso; che per Cardini non è neppure storicamente certo che Gesù Cristo sia esistito; che per Cardini il film su Ipazia, martire pagana vittima dei cristiani, è storicamente ineccepibile, e che d’altronde il Cristianesimo si è imposto con la violenza ben più che l’Islam. Per cui non stupiamoci se le preferenze di Cardini vadano a preti come don Gallo: “posso attestare che pochi come lui nella storia del cristianesimo sono stati altrettanto fedeli al messaggio del Cristo e alla missione della Chiesa nel mondo”».
«Quando ero vice presidente del CNR — mi dice Roberto de Mattei — organizzai a Roma un seminario internazionale sulle Crociate, ma ritenni di non invitare il professor Cardini, perché il suo è un lavoro di decostruzione dell’idea di Crociata, incompatibile con i risultati della più recente e accreditata letteratura scientifica. Cardini mi telefonò furioso e lo giudicai una mancanza di stile».
Lo stesso lavoro demolitorio e desacralizzante il Cardini lo porta su Ambrogio.
L’episodio che dà l’avvio all’elezione di Ambrogio all’episcopato, e cioè il bambino che urla in Chiesa «Ambrogio Vescovo!» trascinando con sé tutta Milano, è per Cardini una «messinscena», un «ben architettato episodio di organizzazione del consenso», un evento da spin doctor in cui la «spontaneità popolare è accuratamente pilotata».
Tuttavia è la sottomissione di Teodosio che infastidisce di più il professore, «l’Augusto, da principe aureolato di autorità sacrale qual era sempre stato, da vicario del Cristo in terra, era sceso al livello di un semplice fedele, pronto ad umiliarsi per ricevere il perdono».
Il famoso episodio in cui il vescovo Ambrogio piega l’Imperatore inducendolo alla penitenza rappresenta per l’autore qualcosa di intollerabile, perché emblema perfetto di un «progetto di delegittimazione totale e irreversibile dei ceti diversi da quello cristiano niceno in tutto l’impero».
In breve, quel che il Cardini non può sopportare è il primato della Chiesa sul mondo. Teodosio costretto alla penitenza dal vescovo Ambrogio per la strage di Tessalonica (Salonicco, in Grecia…) è per il vecchio studioso la base «di un lungo e complesso itinerario che in vario modo, attraverso l’agostinismo politico, la riforma della Chiesa dell’XI secolo e il monarchismo pontificio» ha delineato quella Tradizione «che in ambito cattolico — una volta battute le eresie e isolati come eretici o comunque pericolosi molti movimenti “non conformisti” medievali — solo il conciliarismo quattrocentesco, in una certa misura il Vaticano II e, oggi, le scelte innovatrici di Papa Francesco, hanno teso in qualche modo a limitare e a correggere».
Comprendete? Papa Francesco — in effetti, il Papa più sottomesso all’Impero, l’Impero del Male — come antidoto ai danni provocati da Ambrogio.
La Chiesa non deve demandare al potere la penitenza se questo commette ingiuste stragi: capite l’attualità di questa richiesta?
Una Chiesa assoggettata al potere (come quella che stiamo vedendo oggi) è per il toscano la condizione giusta per la sposa di Cristo: «il liberare e il mantener libero il clero dai controlli e dai condizionamenti di qualunque autorità terrena — ben al di là se non al contrario di quanto Gesù dichiara esplicitamente a Pilato — sarebbe stata condizione necessaria e sufficiente per salvarlo dalle tentazioni terrene», tuttavia «l’intera storia della Chiesa dimostra l’opposto»
Insomma, «forse senza di lui non avremmo avuto un conflitto tra mondo cattolico e modernità».
Tradotto: senza Ambrogio il cattolicesimo sarebbe naturaliter modernista.
Prendo questi virgolettati, che in me sortiscono l’effetto di amar ancora di più il mio Santo, da un articolone celebrativo che al libercolo in questione dedicò il Paolo Mieli sul primo quotidiano nazionale.
Una di quelle doppie paginate, sempre dense ed interessantissime a dire il vero, che una volta alla settimana consentono al pluri-ex-direttore del Corrierone di recensire qualche testo più o meno revisionista.
Il Mieli, a dire il vero, potrebbe aver qualche cavallo coinvolto nella corsa. Egli è figlio dell’ex agente del Psychological Warfare Branch dei servizi segreti britannici Ralph Merrill (all’anagrafe egiziana Renato Mieli) poi direttore dell’ANSA e de L’Unità finito però, poco dopo, ad esaltare l’ultraliberismo di Hayek e Von Mises (e per questo i fondi di Confindustria non gli sono mancati); soprattutto, possiamo dire che il Mieli Paolo è, come il padre, di origine ebraica.
Mai vorrei che vi fosse, in questo petardino editoriale contro Ambrogio, l’antico pregiudizio che vede il Santo come antisemita. Perché Ambrogio affrontò a testa alta l’Imperatore Teodosio anche un’altra volta.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Nel 388, a Callinicum (ora Raqqa, l’ex-capitale dell’ISIS), una sinagoga fu data alle fiamme. Il governatore romano locale, sostenuto da Teodosio, decise che a pagare la ricostruzione dovesse essere il vescovo locale, ritenuto sobillatore degli incendiari.
Ambrogio scrisse all’Imperatore il suo dissenso:
«Il luogo che ospita l’incredulità giudaica sarà ricostruito con le spoglie della Chiesa? (…) Questa iscrizione porranno i giudei sul frontone della loro sinagoga: Tempio dell’empietà ricostruito col bottino dei cristiani (…) Il popolo giudeo introdurrà questa solennità fra i suoi giorni festivi?»
Ambrogio aveva centrato già allora tutta la questione dell’incompatibilità tra Stato e Chiesa quando per lettera chiese a Teodosio: «che cosa dunque è più importante, l’idea di disciplina [cioè, del mantenimento dell’ordine pubblico, ndr] o il motivo della religione?».
È la medesima domande che si pose Andreotti quando capì che se non votava la legge sul libero aborto in Italia il suo governo sarebbe caduto. Sappiamo come si rispose. Lo sanno anche i 6 milioni di bambini ammazzati da quella legge, più aggiungiamo magari qualche milionata di vittime della conseguente pratica genocida della fecondazione assistita, che per ogni bambino sintetico nato ne ammazza almeno una ventina — quindi, altri milioni, molti di più, seguiranno.
Ambrogio, a differenza dei democristiani e dei loro patti con le potenze infernali, non faceva compromessi.
«Io dichiaro di aver dato alle fiamme la sinagoga — scrisse in un’altra epistola all’Imperatore — sì, sono stato io che ho dato l’incarico, perché non ci sia più nessun luogo dove Cristo venga negato».
Rileggete: «perché non ci sia più nessun luogo dove Cristo venga negato».
Anche a secoli di distanza, come pensate che lo possano perdonare ebrei, falsi cristiani, servi degli dèi della morte?
Iscriviti al canale Telegram ![]()
Tradidi quod et accepi
Voglio concludere.
Molto ci sarebbe da dire, come per esempio il mio disgusto per i ciellini (e il loro vescovoni trombati e infelici) che cianciano di «libertà religiosa» quando il Santo della loro capitale ne è stato il più acerrimo nemico, e su di essa — in ispecie contro i pagani — ha combattuto una guerra infuocata, e l’ha vinta.
Qualcuno mi accuserà: perché parli, sei uno storico? Un teologo? Un sapiente?
No, non lo sono. Sono un uomo ignorante, e l’unica storia che conosco davvero, riguardo Ambrogio, è quella che mi ha portato a lui. Sono solo una persona che riesce ancora a struggersi davanti alla devozione; qualcuno di così ottuso da stupirsi del fatto che esiste ancora; qualcuno di così scemo da credere che la devozione sia non solo necessaria, ma perfino «efficace».
Sono un peccatore: sono uno che ad Ambrogio chiede aiuto. Non ci ho scritto libri, non ho studiato a fondo la sua vita e le sue opere.
Una cosa però l’ho fatta.
Ho portato ad Ambrogio una ragazza, S., tedesca, come Ambrogio.
S. aveva un problema, non riusciva più ad entrare in chiesa senza avere un attacco di pianto. Il motivo, ho ipotizzato, era legato a delle vicende personali. La sua famiglia ha attraversato momenti bui, in parte irrisolti, in parte risolti, che hanno lasciato un segno sul suo spirito. In chiesa, mi ha poi spiegato, non riusciva ad entrare perché «non mi sentivo pura a sufficienza», anche se S. è una delle persone più pure che conosco a Milano.
Ho fatto fatica. Le prime volte, trascinarla era un vero esercizio di violenza psicologica. «Io vado dentro, devi proprio fare queste scene?». Seguivano occhi sgranati, afasie, imbarazzi paralizzanti, lacrime.
Ho iniziato così pian piano a portarla alla messa della domenica sera. Nella pratica, è vero che qualche volta è svenuta, subito soccorsa da fedeli circostanti. Ma ora è tutto alle spalle. Mi esprime, anche troppo spesso, la sua gratitudine per la mia ostinazione. È amica dei sacerdoti come degli altri fedeli, è assidua.
Si chiede spesso perché io abbia spinto tanto: il perché lo sa Ambrogio, io sono solo la nanometrica parte del suo circuito invisibile.
Qualche giorno fa, S. ha ricevuto finalmente la Cresima, che le mancava. Voleva che facessi da padrino, ma lontano come sono oggi dalla Chiesa conciliare, non per un secondo ho pensato che potessi essere io a sigillare la fine di questa minuscola storia ambrosiana.
Nonostante lo stato di aberrazione in cui versa la Chiesa, posso dire che questo è il mio microscopico contributo alla Tradizione: ho tramandato la devozione che ho ricevuto, ho mandato ad Ambrogio qualcuno, come vi ero stato mandato io.
Ho conservato, e tramandato, la devozione al cuore di Milano e della vera Cristianità.
Io difendo Ambrogio perché Ambrogio difende me.
Roberto Dal Bosco
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine: Anonimo lombardo (inizio XVII secolo), Statua di Sant’Ambrogio di Milano nel Museo del Duomo, Milano. Statua a guglia in marmo di Candoglia.
Immagine di Vassia Atanassova via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
-



Immigrazione2 settimane faLe ciabatte degli immigrati e l’anarco-tirannia
-



Bioetica2 settimane faMons. Viganò loda Alberto di Monaco, sovrano cattolico che non ha ratificato la legge sull’aborto
-



Cremazione2 settimane faDonna trovata viva nella bara a pochi istanti dalla cremazione
-



Morte cerebrale2 settimane faLe ridefinizioni della morte da parte dell’industria della donazione di organi minacciano le persone viventi
-



Vaccini2 settimane faUn nuovo sondaggio rivela che 1 adulto su 10 è rimasto vittima di un grave danno da vaccino COVID
-



Salute2 settimane faI malori della 48ª settimana 2025
-



Bioetica2 settimane faNuovo libro per bambini insegna ai bambini di 5 anni che l’aborto è un «superpotere»
-



Spirito1 settimana fa«Rimarrà solo la Chiesa Trionfante su Satana»: omelia di mons. Viganò













