Geopolitica
India, le cause profonde del conflitto in Manipur
Le cause degli attuali scontri nel Manipur, nel nord-est dell’India, sono legate alla storia della regione: identità etnica, disponibilità di armi, afflusso di profughi dal Myanmar, traffico di droga e ruolo delle donne. Questo non è solo un conflitto religioso ed è difficile immaginare una stabile soluzione pacifica in questo momento.
Il luogo di sepoltura delle persone uccise negli ultimi mesi è diventato una fonte di tensione che ha portato a nuove violenze tra le comunità Kuki e Meitei. Per la sepoltura dei corpi è stato proposto un terreno in una «zona cuscinetto». L’Alta Corte del Manipur ha chiesto la rigida separazione geografica garantita dalla presenza dell’esercito indiano.
Le violenze interetniche scoppiate il 3 maggio 2023 dopo la proposta di includere i Meitei tra le tribù in India che, secondo i programmi governativi, hanno diritto a sussidi e quote nell’istruzione e nella pubblica amministrazione in quanto popolazioni svantaggiate.
Descritto come un conflitto interreligioso – i Kuki sono prevalentemente cristiani e i Meitei prevalentemente indù – si tratta in realtà di uno scontro in cui si intrecciano diversi elementi: identità etnica, disponibilità di armi, afflusso di profughi dal Myanmar, traffico di droga e il ruolo importante giocato dalle donne negli scontri, svelato dopo la messa in onda di un video del 4 maggio.
Una prima ragione storica
La situazione attuale ha le sue origini nella divisione amministrativa del Manipur durante e dopo il periodo coloniale britannico, spiega il giornalista Samrat Choudhury, autore del libro Northeast India. «Gli inglesi esercitavano un controllo indiretto su parti dell’India perché il paese era diviso in stati principeschi, tra cui il Manipur».
«Durante la colonizzazione, era guidato dal maharaja Bodhchandra Singh, responsabile della difesa e delle relazioni estere», spiega l’esperto. «Al momento dell’indipendenza, nel 1947, il re aveva dapprima firmato un accordo per mantenere l’autonomia del regno, ma, convocato a Delhi, il suo principato fu fuso con il resto del territorio indiano».
Il Manipur è diventato uno Stato solo nel 1972. Successivamente, l’India nord-orientale ha vissuto un corso storico diverso dal resto del Paese: «negli anni ’50 sono scoppiati disordini politici. Sono state fatte concessioni, ma le frange estremiste avevano perso la fiducia nel governo indiano e hanno dato vita a gruppi armati».
Questi gruppi, spesso di ispirazione maoista, hanno afflitto lo stato nord-orientale con la loro insurrezione fino all’inizio degli anni 2000, ha detto Choudhury. Ci fu una lunga militarizzazione, con la presenza costante dell’esercito indiano, che impose la legge marziale e il coprifuoco.
Una ragione geografica
Il Manipur è diviso tra le regioni collinari del sud – dove i Kuki e i Naga hanno sempre vissuto – e la valle, occupata dai Meitei, che rappresentano oltre il 50% della popolazione. Oggi i Meitei affermano di essere gli unici veri eredi dello stato principesco, e attaccano i Kuki accusandoli di essere «migranti clandestini» o «trafficanti di droga».
La migrazione dal Myanmar, dove da più di due anni infuria un brutale conflitto, ha complicato la situazione, in quanto i profughi – per lo più di etnia Chin – sono etnicamente simili ai Kuki. «È per questo che ci sono state delle tensioni dal 2021», aggiunge Samrat Choudhury.
Le accuse secondo cui i Kuki sarebbero coinvolti nel traffico di droga sono in gran parte infondate: «tutti i gruppi etnici sono coinvolti nel traffico di droga, il denaro non ha comunità», sottolinea. «I maggiori narcotrafficanti sono concentrati nei centri urbani. I politici o la polizia sono spesso coinvolti nella gestione del traffico».
Un motivo religioso
«Nelle comunità Kuki e Meitei ci sono molti cristiani», anche se gli indù sono prevalentemente Meitei, ha detto Choudhury. La violenza è scoppiata su una questione comunitaria – l’allocazione delle risorse da parte dello Stato – ha commentato Choudhury, paragonando la situazione alle comunità ispaniche o afroamericane negli Stati Uniti.
Il governo di Delhi, guidato dal Bharatiya Janata Party, da cui proviene il primo ministro Narendra Modi, e che guida anche l’amministrazione del Manipur, non è intervenuto per porre fine agli scontri. «Difficile prevedere cosa potrebbe accadere ora: le etnie del Manipur sono presenti anche in altri Stati, e il conflitto potrebbe riesplodere con le stesse modalità in altre zone del Nord-Est dell’India».
Attualmente sono state dispiegate diverse forze di sicurezza, che si schierano con l’una o l’altra comunità e folle di donne impediscono all’esercito di intervenire. Le donne sono sempre state molto attive, al punto da organizzare rivolte armate. Oggi, l’organizzazione femminista Meira Paibis della comunità Meitei svolge un ruolo di primo piano.
Secondo alcuni, questa organizzazione incita gli uomini alla violenza contro le tribù Kuki. Ciò che è certo è che i recenti scontri hanno scosso il Manipur e sembra sempre più complicato tornare a una pacifica convivenza tra le comunità, cosa che sarà possibile solo con un grande intervento politico.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
Immagine di Jakfoto Productions via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
Geopolitica
Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»
Un’effigie raffigurante il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stata avvistata appesa a una gru edile nel Nord-Est della Turchia, suscitando forte indignazione in Israele.
Secondo la stampa turca, l’episodio si è verificato sabato in un cantiere nella città di Trebisonda, sul Mar Nero. L’iniziativa sarebbe stata organizzata da Kemal Saglam, docente di comunicazione visiva presso un’università locale. Saglam ha dichiarato ai media turchi che il gesto aveva un intento simbolico, volto a denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza.
Le immagini, diffuse viralmente e riportate anche dal quotidiano turco Yeni Safak, mostrano la figura sospesa alla gru, accompagnata da uno striscione con la scritta: «Pena di morte per Netanyahu».
Il ministero degli Esteri israeliano, tramite un post su X, ha condiviso un video dell’incidente, accusando un accademico turco di aver creato l’effigie «con il fiero sostegno di un’azienda statale». Il ministero ha condannato l’atto, sottolineando che «le autorità turche non hanno denunciato questo comportamento scandaloso».
Turkish academic creates model of hanged 🇮🇱PM Netanyahu, with a “Death Penalty” sign. Proudly aided by a state company.
Turkish authorities have not disavowed this disgraceful behavior.
In Erdoğan’s Turkey, hatred & antisemitism isn’t condemned. It’s celebrated. pic.twitter.com/19MALpzEEW
— Israel Foreign Ministry (@IsraelMFA) October 26, 2025
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Le autorità turche non hanno ancora fornito una risposta ufficiale.
I rapporti diplomatici tra Israele e Turchia sono tesi da anni e si sono ulteriormente deteriorati dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato Netanyahu di aver commesso un «genocidio» a Gaza.
La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
La Turchia ha avuto un ruolo attivo nei recenti negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, con diversi rapporti che indicano come l’influenza di Ankara su Hamas abbia facilitato il rilascio degli ostaggi nell’ambito del piano in 20 punti del presidente statunitense Donald Trump.
Venerdì, Erdogan ha dichiarato alla stampa che gli Stati Uniti dovrebbero intensificare le pressioni su Israele, anche attraverso sanzioni e divieti sulla vendita di armi, per garantire il rispetto degli impegni presi nel piano di Trump.
Domenica, Netanyahu ha annunciato che Israele deciderà quali forze straniere potranno partecipare alla missione internazionale proposta per Gaza, prevista dal piano di Trump per garantire il cessate il fuoco. La settimana precedente, aveva lasciato intendere che si sarebbe opposto a qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza turche a Gaza.
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Immagine screenshot da Twitter; modificata
Droga
Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela
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Geopolitica
Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco
Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.
Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.
Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.
HISTORIC PEACE BETWEEN THAILAND & CAMBODIA.
President Trump and Malaysia’s Prime Minister Anwar Ibrahim hosted the Prime Ministers of Thailand and Cambodia for the signing of the ‘Kuala Lumpur Peace Accords’—a historic peace declaration. pic.twitter.com/BZRJ2b2KLY
— The White House (@WhiteHouse) October 26, 2025
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Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.
Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.
Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.
Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.
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