Connettiti con Renovato 21

Economia

Deutsche Bank: gli USA sono destinati alla recessione

Pubblicato

il

La Federal Reserve ha interrotto la sua marcia verso tassi di interesse più elevati sulla scia di un rapporto che mostra il tasso di inflazione più basso in oltre due anni, ma gli economisti hanno avvertito che probabilmente si trattava solo di una pausa, poiché molti segnali indicano che l’inflazione in alcuni settori rimane un grande problema.

 

Mentre il rapporto di mercoledì della Fed ha fornito previsioni più elevate per la crescita economica nel resto del 2023, ha comunque lasciato quasi intatte le sue previsioni per l’ulteriore futuro. Gli economisti si sono divisi sulla questione del percorso dell’economia americana, viste le sue insolite caratteristiche di alta inflazione e bassa disoccupazione, ma per Deutsche Bank, una delle più grandi entità finanziarie del mondo, non c’è dubbio: gli Stati Uniti sono destinati alla recessione.

 

«Gli Stati Uniti si stanno dirigendo verso il loro primo vero ciclo di boom-bust guidato dalla politica in almeno quattro decenni», ha affermato David Folkerts-Landau, capo economista di Deutsche Bank, in un rapporto minacciosamente intitolato «The Clock is Ticking», cioè l’«orologio ticchetta».

 

«L’inflazione che vediamo è stata indotta in gran parte dalla politica fiscale e monetaria espansiva e dagli aggressivi aumenti dei tassi necessari per domarli che ora si sono concretizzati. Evitare un atterraggio duro sarebbe storicamente senza precedenti».

 

Secondo la banca, una «moderata recessione» dovrebbe colpire all’inizio del 2024, portando a una contrazione economica dello 0,4% quell’anno.

 

Più immediatamente, Deutsche si aspetta che la Federal Reserve riprenda i suoi aumenti dei tassi il mese prossimo, dopo aver rifiutato di farlo all’inizio di questa settimana.

 

«Sebbene siano stati compiuti alcuni progressi per portare il mercato del lavoro in un migliore equilibrio e ridurre l’inflazione, entrambi rimangono lontani dagli obiettivi della Fed», ha affermato, unendosi a una posizione ampiamente condivisa da altri economisti.

 

Entro ottobre 2023, Deutsche prevede che la spesa dei consumatori sarà notevolmente rallentata man mano che i risparmi in eccesso si esauriranno, ed entro la fine dell’anno prevede che la disoccupazione supererà il 4% rispetto al suo tasso attuale del 3,7%.

 

All’inizio del 2024, si prevede che il tasso di disoccupazione raggiungerà il 4,5%.

 

Dopo la recessione, Deutsche prevede che la Fed ridurrà rapidamente i tassi di interesse con la stessa intensità con cui li ha alzati, a partire da marzo 2024.

 

Tuttavia, le cose potrebbero andare anche peggio se il conflitto in Ucraina si intensificasse ulteriormente o se nei prossimi mesi scoppiasse un conflitto tra Stati Uniti e Cina.

 

«Un altro rischio è un forte evento El Niño che porti a nuove pressioni inflazionistiche dovute all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari», afferma il rapporto della banca.

 

Detto questo, Deutsche ha affermato che l’investimento nell’intelligenza artificiale potrebbe diventare un importante motore economico nei prossimi anni, ma che ci vorranno alcuni anni prima che quella tecnologia maturi abbastanza da essere di beneficio economico.

 

«Date le scarse prospettive cicliche, la bassa produttività e il calo demografico, abbiamo un disperato bisogno di una nuova fonte di crescita», afferma il rapporto.

 

Come riportato da Renovatio 21, un rapporto di Deutsche Bank dell’ultimo mese ha parlato di una «imminente ondata di default». L’anno scorso aveva previsto una contrazione del 3% in Europa.

 

Tre mesi fa il titolo della stessa Deutsche era crollato facendo pensare ad un collasso della banca tedesca, che seguiva il caos bancario internazionale che aveva portato al crollo di Credit Suisse e alla sua fusione con UBS.

 

Aveva destato scalpore quando emerse che Deutsche Bank stava prevedendo l’uso del legno come combustibile per l’inverno 2022.

 

 

 

 

Immagine di Kidfly182 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)

 

 

 

Continua a leggere

Economia

Orban: il conflitto in Ucraina sta uccidendo l’economia dell’UE

Pubblicato

il

Da

L’Unione Europea deve perseguire una via diplomatica per risolvere il conflitto ucraino, poiché il protrarsi degli stanziamenti a Kiev sta erodendo l’economia del blocco, ha dichiarato il premier ungherese Viktor Orban.

 

È «semplicemente assurdo» destinare ulteriori risorse all’Ucraina dopo che l’UE ha già «sperperato» 185 miliardi di euro per sorreggere l’esecutivo di Volodymyr Zelens’kyj dall’acutizzazione dello scontro tra Mosca e Kiev nel febbraio 2022, ha affermato Orban al giornalista tedesco Mathias Döpfner nel suo podcast MDMEETS domenica.

 

«Il nocciolo della questione è che questa guerra sta strangolando economicamente l’UE… Stiamo sovvenzionando un Paese [l’Ucraina, ndr] privo di chance di prevalere nel conflitto, mentre imperversa un elevato tasso di corruzione e non disponiamo di fondi per rivitalizzare l’economia dell’UE, che patisce gravemente la scarsa competitività», ha proseguito.

 

I vertici delle nazioni del blocco «si ingannano del tutto» persistendo nel conflitto nella vana aspettativa che «le dinamiche al fronte migliorino e si creino condizioni più propizie per i colloqui», ha insistito il capo del governo. «Le circostanze e il timing favoriscono i russi più di noi», ha chiosato.

Sostieni Renovatio 21

Orban, il cui esecutivo è tra i pochi nell’UE ad aver negato aiuti militari a Kiev, ha rinnovato l’invito al blocco a intraprendere un dialogo con la Russia.

 

Una pace potrebbe essere «a portata di mano» se Bruxelles si allineasse agli sforzi del presidente statunitense Donald Trump per interrompere le ostilità tra Mosca e Kiev, ha ipotizzato.

 

«Apriamo un canale di dialogo autonomo con la Russia… Consentiamo agli americani di trattare con i russi, quindi anche gli europei dovrebbero negoziare con Mosca e verificare se possiamo armonizzare le posizioni americana ed europea», ha suggerito l’Orban.

 

Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso Orban ha dichiarato che Bruxelles vuole la guerra per imporre un debito comune e prendersi ancor più potere.

 

«Bruxelles vuole la guerra per imporre un debito comune e acquisire più potere, privando di competenze gli Stati membri» ha scritto il premier magiaro su X. «L’industria bellica vuole la guerra per profitto. Nel frattempo, potenti lobby vogliono sfruttare la guerra per espandere la propria influenza. Alla fine, ognuno cerca di cucinare il proprio pasto su questo fuoco».

 

Aiuta Renovatio 21

Come riportato da Renovatio 21, Orban in questi mesi sta aumentando i suoi allarmi. Poche ore fa aveva parlato dei leader UE «che vogliono andare in guerra» contro Mosca, promettendo di combattere i «burocrati guerrafondai» di Bruxelles.

 

Orban crede altresì che l’Europa potrebbe essere diretta verso il collasso, schiacciata dal piano di bilancio UE.

 

Il ministro degli Esteri magiaro Pietro Szijjarto ha dichiarato ad agosto che l’Unione Europea sta tentando di rovesciare i governi di Ungheria, Slovacchia e Serbia perché danno priorità agli interessi nazionali rispetto all’allineamento con Bruxelles.

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata secondo indicazioni

Continua a leggere

Economia

Funzionari americani al lavoro per monopolizzare il mercato energetico dell’UE

Pubblicato

il

Da

Gli Stati Uniti stanno agendo per espellere l’energia russa dal mercato dell’Unione Europea, collocandosi strategicamente per riempire il vuoto creatosi, ha indicato venerdì il Financial Times.   Sempre secondo il quotidiano, Washington ha ostacolato di proposito un’offerta del gruppo svedese Gunvor per rilevare le attività estere del gigante petrolifero russo Lukoil.   Gunvor ha abbandonato la propria proposta da 22 miliardi di dollari dopo che i funzionari americani hanno accusato l’azienda di fungere da «burattino del Cremlino». All’inizio di novembre, il Tesoro statunitense aveva ammonito in un post su X che la società «non avrebbe mai ottenuto la licenza per operare e generare profitti» qualora avesse proseguito nell’affare.   La potenziale cessione è venuta alla luce in seguito all’imposizione di nuove sanzioni da parte del presidente Donald Trump su Lukoil e su un altro colosso petrolifero russo, Rosneft, spingendo la prima a individuare potenziali compratori per le sue quote all’estero.   L’offerta è stata resa nota mentre «funzionari statunitensi compivano visite in Europa nell’ambito di iniziative per promuovere l’energia americana ed eliminare ‘ogni ultima molecola’ di gas russo dal continente», ha scritto il *Financial Times*. La scelta di bloccare l’intesa è giunta «dai vertici del Tesoro», ha riferito il giornale, citando due fonti informate sui fatti.

Sostieni Renovatio 21

In seguito, Washington ha emesso una licenza generale che autorizza altri contendenti a rilevare le attività internazionali di Lukoil, come indicato dal Financial Times. Una società di private equity americana, Carlyle, ha manifestato interesse questa settimana, secondo il rapporto.   Venerdì Lukoil ha confermato soltanto di essere impegnata in «trattative in corso per la vendita delle sue attività internazionali con vari potenziali acquirenti», senza tuttavia specificarne i nomi.   I rappresentanti statunitensi hanno espresso esplicitamente la volontà di rimpiazzare la Russia nel mercato energetico dell’UE. A settembre il segretario all’Energia Chris Wright ha dichiarato che gli USA erano preparati «a sostituire tutto il gas russo diretto in Europa e tutti i derivati raffinati russi dal petrolio».   Il Cremlino ha deplorato le sanzioni qualificandole come un «passo ostile», ma ha ribadito l’intenzione di perseguire «rapporti positivi con tutti i Paesi, inclusi gli Stati Uniti».   Le misure restrittive su Lukoil stanno già impattando sull’Europa. All’inizio di novembre, la Bulgaria ha tagliato le esportazioni di carburante verso gli altri Stati UE per timori legati agli approvvigionamenti. Lukoil controlla la principale raffineria del Paese, oltre 200 stazioni di servizio e una vasta rete di trasporto di combustibili.     Come riportato da Renovatio 21gli USA dopo l’inizio del conflitto ucraino la distruzione del Nord Stream ora il principale fornitore di gas dell’Europa, venduto ad un prezzo follemente più alto di quello russo, perché, invece che con il gasdotto, ce lo fa arrivare via nave, quindi con costi e tempi aggiuntivi, più tutta la questione della rigassificazione, che ha costretto l’Italia, che non ha un numero adeguato di strutture di questo tipo, ad acquistare navi rigassificatrici galleggianti come la Golar Tundra giunta a Piombino.   Nel frattempo, per effetto delle sanzioni, Mosca ha aperto nuovi canali di distribuzione del gas, iniziando a distribuire la risorsa anche in Paesi come il Pakistan e programmando nuove rotte, come in Turchia, dove si vuole costruire un hub gasiero. Gasdotti di nuovo tipo sono stati invece finalizzati in Cina.    

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
 
Continua a leggere

Economia

La situazione industriale in Italia. Intervista al prof. Pagliaro

Pubblicato

il

Da

Ad agosto, l’Italia ha registrato l’ennesimo calo della produzione industriale, perdendo quasi il 3% sul corrispondente mese di agosto del 2024. I sindacati parlano apertamente di «più grande crisi produttiva dal dopoguerra». I dazi imposti dagli USA hanno fatto crollare l’export italiano di oltre il 21% solo ad agosto. E ancora peggio a settembre e ad ottobre, facendo crollare l’export, che era l’unica cosa che ancora reggeva dell’economia italiana a fronte di una domanda interna che ormai decresce persino per i consumi alimentari, i quali a settembre, pur aumentando in valore a causa dell’inflazione, si sono ridotti dell’1,8%: un valore enorme per il consumo più anelastico di tutti, quello alimentare.

 

Siamo quindi tornati a sentire il professor Mario Pagliaro per un aggiornamento sulla questione. Lo scienziato italiano da tempo sostiene come la rifondazione dell’IRI sia un’ineludibile necessità. «Il cambiamento è già iniziato», ci aveva detto a marzo.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Dobbiamo ricordare ancora una vola che Lei è stato fra i primi a parlare del ritorno dello Stato dell’economia, e certamente il primo a darne conto pubblicamente mettendo in evidenza l’insieme dei nuovi investimenti industriali condotti dallo Stato, tramite la Cassa Depositi e Prestiti e altri veicoli di investimento. Ce ne sono stati di ulteriori?

Certo. Nel settore energetico Italgas ha acquisito e incorporato 2i Rete Gas divenendo il primo operatore della distribuzione del gas in Europa. In quello commerciale, la società del Tesoro Invitalia ha investito 10 milioni per acquisire una quota significativa del capitale di Coin. Non molti sanno lo Stato nel 2020 ha costituito il Fondo Salvaguardia Imprese, affidandone la gestione ad Invitalia, con cui acquisisce partecipazioni di minoranza nel capitale di imprese in difficoltà per rilanciarle e salvaguardare l’occupazione.

 

Nel settore industriale, a fine 2022 Invitalia era già entrata nel capitale sociale del produttore di treni passeggeri Firema ampliando ulteriormente nel 2024 il suo investimento con altri 17 milioni, quando ha anche contribuito a rilanciare lo storico stabilimento ex Ferrosud di Matera. La dotazione iniziale del Fondo era di 300 milioni di euro, ma è stata ulteriormente incrementata. È sufficiente visitare la pagina web del Fondo per vedere come lo Stato sia persino entrato nel capitale delle Terme di Chianciano. 

 

E Lei pensa che questo schema, che di fatto è esattamente ciò che fece l’IRI quando nacque nel 1933, sia estendibile ad esempio al settore automobilistico? 

Occorre chiedersi, piuttosto, cosa accadrà se lo Stato non interverrà ricreando l’industria automobilistica di Stato. La produzione automobilistica ha costituito il cuore dell’industria manifatturiera italiana dalla metà degli anni Trenta alla fine degli anni Novanta. Oggi, è al suo minimo storico. Nel 2025 la produzione di autoveicoli nei primi 6 mesi, è stata di sole 136.500 unità, in calo del 31,7% rispetto al già anemico dato di quasi 200mila veicoli prodotti nel primo semestre del 2024.

 

Quanti posti di lavoro e quante aziende subfornitrici è possibile mantenere con una produzione annua di 370mila autoveicoli? Erano le stesse domande che si ponevano Beneduce e Menichella quando suggerirono al governo di creare l’IRI.

 

In un quadro evidentemente difficile per l’economia italiana, Lei vede anche fatti positivi?

Certo. L’Italia è tornata a proiettarsi economicamente sul Vicino Oriente e sul Nord Africa. L’industria delle costruzioni italiana, che non casualmente vede lo Stato azionista dell’impresa più grande tramite la Cassa depositi e prestiti, è tornata a lavorare in molti Paesi del Vicino Oriente dove è apprezzata per le sue formidabili capacità. Enormi commesse sono state acquisite in Arabia Saudita. A settembre è stata inaugurata in Etiopia la Grand Ethiopian Renaissance Dam, ovvero la più grande diga ad uso idroelettrico mai realizzata in Africa: un’opera monumentale, interamente progettata e realizzata dall’industria italiana, con una capacità installata di oltre 5.000 MW: pari a quasi 5 centrali nucleari.

 

Ancora, pochi giorni fa a Tripoli Libia e l’Italia hanno firmato oggi il contratto per la realizzazione di un importante lotto dell’autostrada costiera libica, per un valore di circa 700 milioni di euro. A realizzare i lavori del lotto sarà un’altra grande azienda delle costruzioni italiana. Inutile forse sottolineare come tali progetti abbiano grandi ricadute in termini di sviluppo dei Paesi africani o mediorientali in questione, eliminando attraverso lo sviluppo economico le condizioni di sottosviluppo economico che portano all’emigrazione di massa verso l’Europa.

Iscriviti al canale Telegram

Ritiene che questo nuovo attivismo italiano nel Mediterraneo possa essere durevole?

Lo sarà certamente. Dai tempi di Roma, la ricchezza dell’Italia è dipesa dalla sua capacità di proiettarsi nel mare di cui è al centro proprio sull’Africa e sul Vicino Oriente.

 

Nel farlo, l’Italia portò in questi Paesi anche la sua civiltà, per la quale è amata ed apprezzata da quei popoli ancora oggi. Si tratta esattamente del progetto «Eurafrica» elaborato dai geniali geopolitici italiani della prima metà del Novecento, che poi sarà fatto proprio dai governi italiani succedutisi fino ai primi anni Novanta .

 

Nel farlo, l’Italia conoscerà una vera e propria rinascita economica e infrastrutturale. Infatti, sono finalmente in costruzione la nuova linea ferrata ad alta capacità fra Napoli e Bari, e quella fra Catania e Palermo, oltre a numerosi cantieri di strade e ferrovie già aperti in Calabria.

 

Ai giovani italiani che emigravano fino a pochi mesi fa oltre le Alpi, suggerisco di unirsi invece alle imprese italiane che si stanno proiettando verso il Vicino Oriente, il Nordafrica e il Corno d’Africa. Molte commesse sono già state acquisite, e molte altre lo saranno: non si tratta solo di grandi opportunità di lavoro e di crescita professionale. Ma di cooperazione per la pace e lo sviluppo comune con popolazioni giovani ed entusiaste: curandone la crescita con grandi lavori pubblici e un nuovo e molto più grande interscambio commerciale, l’Italia uscirà dalla depressione economica e dall’inverno demografico, e farà finalmente fiorire il proprio Mezzogiorno.

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di Axel Bührmann via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0

 

Continua a leggere

Più popolari