Geopolitica
Nel 2022 in 75mila in Israele con la «legge del ritorno» dall’area ex sovietica
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Boom di immigrati di matrice ebraica da Ucraina, Russia e Bielorussa come conseguenza della guerra. Adottate dal governo israeliano procedure per rendere più rapide le procedure. Ma ultra-ortodossi e sionisti religiosi ora premono per una stretta per chiudere le porte a chi non professa davvero l’ebraismo.
Secondo i dati ufficiali del governo, il «rimpatrio» in Israele di persone di radice ebraica da Russia, Ucraina e Bielorussia è arrivato nel 2022 a circa 75 mila persone, con numeri che variano a seconda delle agenzie che si occupano della questione. Questo è stato possibile grazie al programma di «rimpatrio d’emergenza», introdotto subito dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina, che ha semplificato le procedure della «legge sul ritorno» permettendo di arrivare nel Paese con ingressi turistici, senza l’abituale richiesta ufficiale dei consolati del luogo di partenza.
In questo modo è stato possibile ottenere la cittadinanza israeliana nel giro di tre giorni, ma l’enorme flusso di arrivi ha comunque rallentato le pratiche, e già dall’autunno l’attesa del passaporto richiedeva diverse settimane.
Dal 15 aprile di quest’anno il programma è stato chiuso ai cittadini provenienti da Russia e Bielorussia, ma continua ad essere attivo per gli ucraini; i russi e bielorussi giunti prima di quella data devono riuscire a ottenere i documenti entro il 15 giugno. Gli altri dovranno seguire il normale iter, risalente ancora al 1950.
La legge sul rimpatrio era stata integrata nel 1970, con liste di categorie di stranieri aventi il diritto di essere accolti in Israele per i loro legami con la diaspora ebraica nel mondo, a cui si attribuisce il «rimpatrio», e non la semplice naturalizzazione di un immigrato straniero. I rimpatriati non sono tenuti a vivere alcuni anni nel Paese come gli altri immigrati, ma possono andare dove vogliono, una volta ottenuto il passaporto.
Negli anni Settanta questo aveva permesso un grande esodo di persone più o meno attribuibili alla diaspora ebraica dall’Unione Sovietica, anche perché l’ateismo non era un’obiezione al rimpatrio, a differenza dell’assunzione di una diversa religione, soprattutto cristianesimo e islam.
L’assistenza anche economica per il rimpatrio nei Paesi ex-sovietici è tradizionalmente affidata all’«Agenzia ebraica per Israele», altrimenti nota come Sokhnut. Nel 2022 il ministero russo della giustizia aveva chiesto la chiusura della Sokhnut in Russia, sottoposta a forti pressioni e continue verifiche, e il lavoro è stato trasferito ad un’altra agenzia, la Marom, molto legata alla Sokhnut.
In alternativa vi era appunto il viaggio turistico da trasformare in rimpatrio, considerando che russi e bielorussi godono del diritto di rimanere in Israele per tre mesi senza alcun visto, per poi presentare richiesta da risolvere entro sei mesi.
Questi cambi di procedure nell’anno della guerra si sono intrecciati anche con i cambiamenti legati alle elezioni anticipate in Israele, che hanno riportato Beniamin Netanyahu alla guida del Paese, in una coalizione con gli ultra-ortodossi e i sionisti religiosi, che hanno ottenuto più voti di tutte le consultazioni precedenti.
Questo ha influito anche sulla questione del rimpatrio, dove i gruppi più radicali lamentano che le aperture «hanno portato a un diluvio di goyim [infedeli] in Israele», come ha detto uno dei loro leader, Avi Maoz, capo del partito Noam.
Gli ebrei ortodossi chiedono che la cittadinanza venga rilasciata soltanto ai discendenti di madre ebrea, che professano apertamente la religione giudaica. A questo si aggiunge il «divieto ai nipoti», evitando discendenze miste e non strettamente ebraiche. Da qui il divieto a russi e bielorussi, mantenendo la finestra per gli ucraini, in questo modo accordandosi con le posizioni occidentali riguardo alla guerra, su cui pure in Israele sussistono varie ambiguità.
Un punto di particolare discussione è ciò che in ebraico/russo viene chiamata la Darkonnaja Alija, il «rimpatrio per il passaporto», quando il ricevente usa il documento solo per andare altrove, soprattutto in Europa, dove con questo si può girare senza alcun visto.
Questa pratica non è affatto gradita dai cittadini residenti in Israele, visto che queste persone godono anche dei soldi pubblici offerti dalla «Cassa del rimpatriato», che dovrebbero aiutare ad adattarsi alla vita nel Paese, dove in realtà non intendono rimanere.
L’ondata di rimpatrio causata dalla guerra ucraina non sembra portare alcun vantaggio a Israele, ed è destinata a chiudersi entro quest’anno.
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Immagine di Peter Klein via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
Geopolitica
Orban come John Snow
Il principale negoziatore russo Kirill Dmitriev ha paragonato il primo ministro ungherese Vittorio Orban al personaggio di Jon Snow della serie Il Trono di Spade, raffigurandolo come l’unico baluardo a difesa del diritto europeo mentre l’UE procede al congelamento a tempo indeterminato degli asset sovrani russi.
In un post su X pubblicato venerdì, Dmitriev ha lodato lo Orban per aver «difeso il sistema legale e finanziario dell’UE dai folli burocrati guerrafondai dell’Unione», sostenendo che il leader ungherese stia lottando per «ridurre la migrazione, accrescere la competitività e ripristinare buonsenso, valori e pace».
Dmitriev ha allegato una sequenza tratta dalla celeberrima «Battaglia dei Bastardi», una delle scene più memorabili della fortunata serie. Il frammento mostra Jon Snow, isolato sul campo di battaglia, che estrae la spada mentre la cavalleria della Casa Bolton gli si avventa contro. Nella saga, i Boltoni sono noti per la loro crudeltà e spietatezza, mentre Snow è dipinto come un condottiero riluttante che antepone il dovere all’ambizione personale, spesso a caro prezzo.
Hungary PM Orbán as Jon Snow from Game of Thrones in defending the EU’s legal&financial system from crazy EU bureaucratic warmongers—fighting them to reduce migration, increase competitiveness, and restore sanity, values and peace. 🕊️
Help is coming as Russian CB sues Euroclear pic.twitter.com/jHyav6mk0f
— Kirill Dmitriev (@kadmitriev) December 12, 2025
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Venerdì, Orban – che in numerose occasioni ha criticato duramente le politiche conflittuali dell’UE nei confronti della Russia – ha accusato Bruxelles di «violentare il diritto europeo», riferendosi alla decisione che ha permesso all’Unione di bypassare il requisito dell’unanimità per prorogare le sanzioni sugli asset sovrani russi, valutati in circa 210 miliardi di euro. Mosca ha bollato il congelamento come «furto», minacciando azioni legali in caso di confisca da parte dell’UE.
In un altro post, Dmitriev ha attaccato il segretario generale della NATO Mark Rutte, paragonandolo al Re della Notte, il principale antagonista di Game of Thrones, che guida un esercito di non-morti ed è completamente privo di empatia.
Unmasked NATO’s Mark Rutte.
He does not have family or children. He wants war.
But peace will prevail. 🕊️ https://t.co/lDPBucIAkA pic.twitter.com/JjqVogOSWM
— Kirill Dmitriev (@kadmitriev) December 12, 2025
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Il paragone è arrivato in risposta alle dichiarazioni di Rutte, che ha accusato la Russia di «riportare la guerra in Europa» e ha invitato i membri della NATO a prepararsi a un conflitto su scala paragonabile a quelli affrontati dalle generazioni passate. Il Dmitriev ha quindi affermato che Rutte «non ha famiglia né figli» e «desidera la guerra», aggiungendo però che «alla fine prevarrà la pace».
Dmitriev, figura chiave negli sforzi per risolvere il conflitto in Ucraina, ha fatto eco alle critiche del ministro degli Esteri ungherese Pietro Szijjarto, che aveva accusato Rutte di «alimentare le tensioni belliche».
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Immagine screenshot da YouTube
Geopolitica
Orban: i funzionari dell’UE «violano la legge»
Today, the Brusselians are crossing the Rubicon. At noon, a written vote will take place that will cause irreparable damage to the Union.
The subject of the vote is the frozen Russian assets, on which the EU member states have so far voted every 6 months and adopted a unanimous… — Orbán Viktor (@PM_ViktorOrban) December 12, 2025
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Geopolitica
Trump fa pressione su Zelens’kyj affinché ceda terreni alla Russia
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sta esercitando forti pressioni su Volodymyr Zelens’kyj affinché accetti di cedere territori alla Russia per porre fine alla guerra tra Kiev e Mosca. Lo riporta il giornale tedesco Bild, citando fonti anonime.
Sabato il quotidiano ha scritto che la Casa Bianca sta «esercitando una pressione intensa sul leader ucraino per ottenere concessioni». Secondo l’articolo, Trump potrebbe «sfruttare la vulnerabilità interna di Zelens’kyj» causata da uno scandalo della corruzione miliardaria di Kiev.
Il mese scorso le agenzie anticorruzione ucraine, sostenute dall’Occidente, hanno reso noti i risultati preliminari di un’inchiesta su presunte tangenti per circa 100 milioni di dollari nel settore energetico, coinvolgendo figure vicine all’entourage del presidente. A seguito dello scandalo si sono dimessi la ministra dell’Energia Svetlana Grinchuk, il ministro della Giustizia German Galushchenko e il principale consigliere nonché stretto collaboratore di Zelens’kyj, Andrey Yermak.
La Bild sostiene che i negoziati di pace promossi dagli Stati Uniti si trovino nella fase più avanzata dall’inizio dell’escalation del conflitto in Ucraina, nel febbraio 2022. Trump starebbe cercando di chiudere un accordo tra Mosca e Kiev in tempi brevi, indicando il Natale come possibile scadenza.
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Kiev ha sempre escluso il riconoscimento delle ex regioni ucraine del Donbass come territorio russo. Le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk hanno aderito alla Federazione Russa in seguito ai referendum del 2022. Zelensky ha tuttavia ammesso che l’Ucraina potrebbe indire un referendum su eventuali concessioni territoriali.
Il consigliere presidenziale russo Yuri Ushakov ha replicato che il Donbass è territorio sovrano russo e che Mosca, prima o poi, riprenderà il controllo sulle aree ancora occupate dalle forze ucraine, aggiungendo che Zelens’kyj si è finora opposto al ritiro delle truppe dalla regione, nonostante questa richiesta figuri tra le proposte di pace avanzate da Washington.
Giovedì Trump ha dichiarato ai giornalisti alla Casa Bianca che «a parte il presidente Zelens’kyj, il suo popolo ha apprezzato il concetto dell’accordo di pace» da lui proposto il mese scorso. Il presidente americano ha precisato che il processo è «un po’ complicato perché si tratta di dividere il territorio in un certo modo».
Nel frattempo, le truppe russe proseguono la loro avanzata nel Donbass, avendo recentemente liberato la importante piazzaforte di Seversk.
In un’intervista rilasciata a Politico lunedì, Trump ha affermato che lo Zelens’kyj «dovrà rimboccarsi le maniche e cominciare ad accettare le cose».
Come riportato da Renovatio 21, negli ultimi giorni Trump ha esortato l’ex attore ucraino ad essere «realista», chiosando che «in Ucraina tutti tranne Zelens’kyj hanno apprezzato il mio piano». Lo stesso presidente americano, che si era detto «deluso» dalla mancata risposta di Kiev alla sua proposta di pace, aveva quindi esortato il presidente ucraino ad indire le elezioni.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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