Geopolitica
Il Parlamento lettone fa separare da Mosca la chiesa ortodossa del Paese
Abbiamo più volte affrontato il tema degli attacchi alla Chiesa Ortodossa che alcune Nazioni stanno portando avanti in corrispondenza con le politiche antirusse adottate da gran parte dell’Occidente collettivo.
Particolarmente, abbiamo trattato della difficile situazione della Chiesa Ortodossa Ucraina, pressata dal governo e dai gruppi nazionalisti, e della sua controversa e misteriosa dichiarazione d’indipendenza del 27 maggio scorso.
Questo genere di attacchi sta avvenendo pure in altri Paesi dell’ex Unione Sovietica oggi entrati a far parte del blocco occidentale, come per esempio i Paesi Baltici, le cui Chiese locali sono soggetti ecclesiastici autonomi facenti parte del Patriarcato di Mosca (ossia, godono di un’ampia forma di autogoverno per quanto concerne le questioni ecclesiastiche interne, mentre commemorano il Patriarca di Mosca nei servizi liturgici e ricevono il crisma da lui consacrato).
Per esempio, il primo ministro lituano Ingrida Šymonitė ha dichiarato che il governo è disposto ad «aiutare» la Chiesa locale a trasferirsi sotto la giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli.
Similmente, il partito democristiano Isamaa (membro del PPE) ha recentemente fatto un pubblico appello a trasferire le proprietà della Chiesa Ortodossa Estone al Patriarcato di Costantinopoli, senza trovare per il momento sponda nel governo.
Occorre ricordare che nel 1996 Costantinopoli aveva ripreso le attività di una propria dipendenza ecclesiastica in Estonia, già creata illegittimamente nel 1923 dal patriarca Melezio IV usurpando il territorio canonico della Chiesa Russa, e tuttora esiste una «Chiesa Ortodossa Apostolica Estone», con circa 20.000 fedeli, obbediente a Istanbul, contro l’ufficiale Chiesa Ortodossa Estone sotto il Patriarcato di Mosca, che conta all’incirca 200.000 fedeli.
Come si può notare, tutte le campagne anti-russe e anti-ortodosse, nei paesi baltici come in Ucraina, hanno per sponda il Patriarcato di Costantinopoli, notorio sostenitore della politica estera americana (dalla quale sarebbe ampiamente finanziato), che a sua volta trae vantaggio nei suoi eretici tentativi di presentarsi come il centro e il capo dell’Ortodossia.
Recentemente un fatto simile è accaduto pure in Lettonia, altro paese baltico che in questi tempi brilla per la propria russofobia, benché oltre un quarto della sua popolazione sia di origine russa (è girata in internet nei giorni scorsi la foto di un cartello appeso in un autobus urbano di Riga, che invitava i «russofoni» a sedersi in fondo al mezzo).
L’8 settembre il Sejmas (parlamento lettone) ha approvato una risoluzione con cui si obbliga la Chiesa Ortodossa Lettone a divenire autocefala e a rompere ogni legame con il Patriarcato di Mosca. Il presidente Egils Levits ha dichiarato che la separazione era necessaria «per una questione di sicurezza nazionale».
Due giorni dopo, il metropolita Alessandro di Riga e di tutta la Lettonia ha dichiarato che la decisione del Sejmas riguarda solo lo status giuridico della Chiesa, e non ha alcun risvolto spirituale: da Mosca l’arciprete Nicola Balashov, consigliere del Patriarca, aveva infatti ovviamente criticato quest’assurda decisione, precisando come l’autocefalia sia un fatto ecclesiastico che solo la Chiesa può stabilire e su cui nessun parlamento ha poteri giurisdizionali.
A quanto si apprende, tuttavia, il ministro della giustizia lettone Jānis Bordāns avrebbe inviato una lettera al Patriarca Cirillo di Mosca, chiedendogli di proclamare una bolla ufficiale di concessione dell’autocefalia alla Chiesa Lettone. In questo modo le procedure canoniche sarebbero almeno rispettate, ma si tratta comunque di una gravissima ingerenza dello Stato negli affari della Chiesa, corollario delle molte follie di questi ultimi mesi che, a quanto pare, non risparmiano nemmeno la libertà religiosa dei popoli.
Ma, accanto a tutto ciò, chi trama nell’ombra è sempre Costantinopoli, che – come in Ucraina – potrebbe mettersi in mezzo con un proprio anticanonico tomos d’autocefalia.
Abbiamo già rimarcato di come Istanbul abbia posto i propri artigli sull’Estonia, ma giova ricordare come simili fatti non siano estranei neppure alla Lettonia.
Nel 1934, dopo l’assassinio dell’Arcivescovo Giovanni di Riga, Costantinopoli occupò il territorio canonico russo, fondando una «Chiesa Lettone» sotto propria giurisdizione; benché nel corso dei decenni successivi l’ordine canonico sia stato ristabilito e la Chiesa Lettone sia tornata sotto la giurisdizione moscovita, esiste tutt’oggi un microscopico soggetto ecclesiastico autoproclamatosi ortodosso che dice di rispondere a Costantinopoli: nato come branca di un movimento para-canonico di chiese nazionali sorte nei territorî ex-sovietici dopo il crollo dell’Unione, nel 2011 questi ha da sé deciso di considerarsi parte del Patriarcato di Costantinopoli, ricevendo approvazione da Istanbul.
Benché, secondo le statistiche più recenti, questa compagine conti appena 220 fedeli, contro gli oltre 350.000 della Chiesa canonica, potrebbe probabilmente rappresentare una testa di ponte per ulteriori anticanoniche aggressioni da parte di Bartolomeo.
Nota statistica: va così a complicarsi ulteriormente la situazione canonica delle Chiese autocefale ortodosse.
Esistono in totale 17 Chiese che si ritengono a vario titolo autocefale e che sono variamente riconosciute: i casi più significativi sono la Chiesa Ortodossa Ucraina (UOC), autoproclamatasi autocefala il 27 maggio, non riconosciuta da nessuno (mentre altre quattro chiese locali riconoscono una fantomatica «Chiesa Ortodossa dell’Ucraina» (OCU), priva di successione apostolica), la Chiesa Ortodossa Macedone (riconosciuta ufficialmente da Mosca e da Belgrado, per gli altri considerata chiesa autonoma del Patriarcato di Serbia), la Chiesa Ortodossa d’America e Canada (riconosciuta ufficialmente da Mosca, per gli altri considerata chiesa autonoma del Patriarcato di Mosca); vi sono poi le Chiese di Costantinopoli, Alessandria, Grecia e Cipro, che al momento sono considerate fuori dalla comunione ortodossa dalla Chiesa Russa e dalla Chiesa Ucraina canonica (UOC), in quanto hanno riconosciuto la succitata OCU.
A questi si aggiunge la Chiesa Lettone, attualmente non riconosciuta come autocefala da nessuno se non dalla Costituzione del proprio Paese; essa verrebbe a costituire la chiesa autocefala più piccola, con appena due eparchie (la metropolia primaziale di Riga e la diocesi di Daugavpils, più il vescovo vicario di Jelgava).
Nicolò Ghigi
Immagine di sliseshow bob via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)
Economia
La Turchia sospende ogni commercio con Israele
Il governo turco ha sospeso tutti gli scambi con Israele in risposta alla guerra di Gaza, ha dichiarato il Ministero del Commercio di Ankara in una dichiarazione pubblicata giovedì sui social media.
La Turchia è stato uno dei critici più feroci di Israele da quando è scoppiato il conflitto con Hamas in ottobre. La sospensione di tutte le operazioni di esportazione e importazione è stata introdotta in risposta all’«aggressione dello Stato ebraico contro la Palestina in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani», si legge nella dichiarazione.
Ankara attuerà rigorosamente le nuove misure finché Israele non consentirà un flusso ininterrotto e sufficiente di aiuti umanitari a Gaza, aggiunge il documento.
Israele è stato accusato dalle Nazioni Unite e dai gruppi per i diritti umani di ostacolare la consegna degli aiuti nell’enclave. I funzionari turchi si coordineranno con l’Autorità Palestinese per garantire che i palestinesi non siano colpiti dalla sospensione del commercio, ha affermato il ministero.
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La sospensione totale fa seguito alle restrizioni imposte il mese scorso da Ankara sulle esportazioni verso Israele di 54 categorie di prodotti tra cui materiali da costruzione, macchinari e vari prodotti chimici. La Turchia aveva precedentemente smesso di inviare a Israele qualsiasi merce che potesse essere utilizzata per scopi militari.
Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso il governo turco ha imposto restrizioni alle esportazioni verso Israele per 54 categorie di prodotti.
In risposta alle ultime restrizioni, il ministero degli Esteri israeliano ha accusato la leadership turca di «ignorare gli accordi commerciali internazionali». Giovedì il ministro degli Esteri Israel Katz ha scritto su X che «bloccando i porti per le importazioni e le esportazioni israeliane», il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si stava comportando come un «dittatore». Israele cercherà di «creare alternative» per il commercio con la Turchia, concentrandosi sulla «produzione locale e sulle importazioni da altri Paesi», ha aggiunto il Katz.
.@RTErdogan is breaking agreements by blocking ports for Israeli imports and exports. This is how a dictator behaves, disregarding the interests of the Turkish people and businessmen, and ignoring international trade agreements. I have instructed the Director General of the…
— ישראל כ”ץ Israel Katz (@Israel_katz) May 2, 2024
Come riportato da Renovatio 21 il leader turco ha effettuato in questi mesi molteplici attacchi con «reductio ad Hitlerum» dei vertici israeliani, paragonando più volte il primo ministro Beniamino Netanyahu ad Adolfo Hitler e ha condannato l’operazione militare a Gaza, arrivando a dichiarare che Israele è uno «Stato terrorista» che sta commettendo un «genocidio» a Gaza, apostrofando il Netanyahu come «il macellaio di Gaza».
Il presidente lo scorso novembre aveva accusato lo Stato Ebraico di «crimini di guerra» per poi attaccare l’intero mondo Occidentale (di cui Erdogan sarebbe di fatto parte, essendo la Turchia aderente alla NATO e aspirante alla UE) a Gaza «ha fallito ancora una volta la prova dell’umanità».
Un ulteriore nodo arrivato al pettine di Erdogan è quello relativo alle bombe atomiche dello Stato Ebraico. Parlando ai giornalisti durante il suo volo di ritorno dalla Germania, il vertice dello Stato turco ha osservato che Israele è tra i pochi Paesi che non hanno aderito al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968.
Il mese scorso Erdogan ha accusato lo Stato Ebraico di aver superato il leader nazista uccidendo 14.000 bambini a Gaza.
Israele, nel frattempo, ha affermato che il presidente turco è tra i peggiori antisemiti della storia, a causa della sua posizione sul conflitto e del suo sostegno a Hamas.
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Immagine di Haim Zach / Government Press Office of Israel via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Cina
Ancora un governo filo-cinese alle Isole Salomone: Pechino mantiene la presa sul Pacifico
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Geopolitica
Trump non esclude il taglio degli aiuti a Israele, attacca Netanyahu e rivela dettagli sull’assassinio di Soleimani
L’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha rifiutato di escludere il ritiro degli aiuti militari a Israele per forzare la fine della guerra a Gaza se verrà rieletto. Un tempo strenuo difensore del primo ministro Benjamin Netanyahu, Trump ha sostenuto che il leader israeliano e il suo esercito hanno «pasticciato» la guerra con Hamas.
In un’intervista con la rivista Time pubblicata questa settimana, il candidato alla Casa Bianca ha confermato la sua insistenza del mese scorso sul fatto che Israele dovrebbe «porre fine alla guerra» prima di perdere ulteriore sostegno internazionale.
«Penso che Israele abbia fatto molto male una cosa: le pubbliche relazioni», ha detto Trump al quotidiano, aggiungendo che secondo lui l’esercito israeliano non dovrebbe «inviare ogni notte immagini di edifici che crollano e vengono bombardati».
Alla domanda se escluderebbe di negare o applicare condizioni agli aiuti militari statunitensi a Israele per portare la guerra a una conclusione, Trump ha risposto «no», prima di lanciarsi in una feroce critica a Netanyahu.
«Ho avuto una brutta esperienza con Bibi», ha detto, riferendosi a Netanyahu con il suo soprannome. Trump ha ricordato come Netanyahu avrebbe promesso di prendere parte all’attacco aereo statunitense che ha ucciso il comandante militare iraniano Qassem Soleimani nel gennaio 2020, prima di ritirarsi all’ultimo minuto.
«È stato qualcosa che non ho mai dimenticato», ha detto Trump al Time, aggiungendo che l’incidente «mi ha mostrato qualcosa».
Come riportato da Renovatio 21, secondo rivelazioni dello scorso anno dell’ex capo dell’Intelligence israeliana, sarebbe stato lo Stato Ebraico a convincere la Casa Bianca ad uccidere il generale iraniano.
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Netanayhu, ha detto The Donald, «è stato giustamente criticato per ciò che è accaduto il 7 ottobre», riferendosi all’attacco di Hamas contro Israele. «E penso che abbia avuto un profondo impatto su di lui, nonostante tutto. Perché la gente diceva che non sarebbe dovuto succedere».
Israele ha, proseguito «le attrezzature più sofisticate», ha continuato. «Tutto era lì per fermarlo. E molte persone lo sapevano, migliaia e migliaia di persone lo sapevano, ma Israele non lo sapeva, e penso che sia stato fortemente incolpato per questo».
Trump non è la prima persona ad affermare che l’esercito e il governo israeliani non hanno risposto agli avvertimenti di un imminente attacco di Hamas. Secondo quanto riportato dai media israeliani, diversi membri del personale militare e dell’Intelligence hanno cercato di avvertire i loro superiori che era in corso un attacco, mentre i funzionari egiziani hanno riferito all’Associated Press di aver trasmesso avvertimenti alle loro controparti israeliane nelle settimane precedenti il 7 ottobre.
Trump è stato uno stretto alleato di Netanyahu durante il suo mandato alla Casa Bianca e si è descritto come «il presidente degli Stati Uniti più filo-israeliano della storia». Ha imposto sanzioni all’Iran su richiesta di Netanyahu, ha spostato l’ambasciata americana in Israele a Gerusalemme ovest e ha mediato gli accordi di Abramo, che hanno visto Israele normalizzare le relazioni con il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti, il Marocco e il Sudan.
Alla domanda se potrebbe lavorare meglio con il principale rivale politico di Netanyahu, Benny Gantz, se dovesse tornare alla Casa Bianca dopo le elezioni presidenziali di novembre, Trump non ha dato una risposta diretta. Tuttavia, ha osservato che «Gantz è bravo» e che ci sono «alcune persone molto brave che ho conosciuto in Israele che potrebbero fare un buon lavoro».
Benjamin Netanyahu è stato sostenuto negli anni dalla famiglia del genero di Trump Jared Kushner, il cui padre – controverso immobiliarista ebreo ortodosso finito in galera per una squallida storia di ricatti perfino a famigliari – era uno dei primi finanziatori di Bibi, il quale, si dice, quando era a Nuova York dormisse nella cameretta del Jared.
Il personaggio si è fatto notare di recente per aver detto che «è un peccato» che l’Europa non accolta più profughi palestinesi in fuga da Gaza, per poi fare dichiarazioni entusiastiche sul valore delle proprietà immobiliari future sul lungomare della Striscia.
Il Jared – che è sospettato da molti di essere una «talpa» contro Donald, perfino nel caso del raid FBI a Mar-a-Lago – e la moglie, l’adorata figlia di Trump Ivanka, sarebbero stati lasciati fuori dalla nuova campagna per esplicita richiesta dell’ex presidente.
Trump, in uno degli ultimissimi atti della sua presidenza, diede la grazia al traditore (e spia israeliana) Jonathan Pollard, analista dell’Intelligence USA artefice di una delle più grandi falla di segreti militari della storia degli apparati statunitensi.
Nei primi giorni del 2021, agli sgoccioli della presenza di Trump alla Casa Bianca, Pollard arrivò in Israele, dove lo attendevano ali di folla a festeggiarlo come un eroe (per aver tradito il loro principale alleato: incomprensibile fino al grottesco, a pensarci), tramite un jet privato messo a disposizione dal controverso magnate dei casino di Las Vegas – e finanziatore di quasi tutto il Partito Repubblicano USA come del Likud israeliano – Sheldon Adelson, morto poche ore dopo.
Come riportato da Renovatio 21, Trump il mese scorso ha dichiarato che il comportamento di Israele a Gaza ha causato un danno enorme alla percezione dello Stato ebraico nel mondo, mettendoli «nei guai» e incoraggiando l’antisemitismo.
Attacchi pubblici di Trump a Netanyahu si sono registrati già a fine 2021, mossa che gli valse uno screzio con i fondamentalisti protestanti americani, cioè i cristiano-sionisti che sostengono Israele per la profezia apocalittica secondo cui gli ebrei, ricostruendo il Terzo Tempio, genereranno il loro messia che sarà l’anticristo dei cristiani, accelerando la venuta di Cristo.
Tale teologia escatologica è in azione anche in questi giorni, come visibile nel caso della giovenca rossa, e di altri animali da sacrificio che hanno tentato di trafugare sul Monte del Tempio di Gerusalemme.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
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