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Ucraina e media occidentali, come ti sciacquo il nazi

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Durante l’ultima settimana di marzo, diversi importanti media occidentali hanno pubblicato articoli sul Battaglione Azov dell’Ucraina, cercando di nascondere quasi un decennio di articoli  precedenti che identificavano chiaramente le simpatie e l’etica nazista del gruppo ora divenuto reggimento inserito nelle Forze Armate Ucraine.

 

Si è trattato di sforzo sincrono,  con pezzi usciti in USA, Germania, Regno Unito  e ovviamente in Italia, dove si era già impegnati da settimane a cantare le gesta dei portatori della svastica, la cui ideologia neonazista è stata apertamente, pateticamente negata dai grandi nomi della TV, mentre sparivano misteriosamente alcuni articoli del 2014 sulla componente nazista di Maidan.

 

Tale sforzo era concertato per trasformare Azov in eroico difensori dell’Ucraina (raffinato pure: i pennivendoli ci hanno raccontato che leggono Kant!) contro i presunti «veri» fascisti, che sarebbero ovviamente i russi, con Putin nel ruolo del nuovo Hitler.

 

Il 27 marzo è stato messo in circolazione un video di dieci minuti, dall’emittente statale britannica BBC in cui il presentatore Ros Atkins ha cercato di sfatare le  «falsità» russe  sui nazisti in Ucraina. L’argomento è il solito: come può l’Ucraina essere  «tenuta in ostaggio»  dai nazisti quando il suo presidente, Volodymyr Zelensky, è ebreo, sostiene Atkins, indicando il suo 73% dei voti, alle ultime elezioni, e dichiarando trionfante che  «nessun gruppo di estrema destra ha alcun potere politico formale in Ucraina».

 

Ovviamente, la BBC ignora – o meglio, finge di ignorare – il tema del «giudeobanderismo», ossia la collusione delle forze neonaziste con l’oligarcato ucraino, come nel caso di Igor Kolojskij, già governatore dell’oblast’ di Dnipro e oligarca di religione ebraica chegiudeobanderismo di estrema destra, oltre che la carriera televisiva e poi politica di Zelens’kyj, la cui serie Servo del popolo, bovinamente ora riproposta alla massima vaccina italiota dalla TV di Cairo, andò in onda proprio sul canale di Kolomjskij 1+1.

 

Tuttavia, ci colpisce, nel discorso della BBC, l’espressione «potere formale», che assomiglia tanto ad una excusatio non petita.

 

Come nota RT, una volta che a sciacquare i nazi è partita la BBC, il resto è seguito.

 

Due giorni dopo, il 29 marzo, il  Financial Times ha pubblicato un articolo che descriveva Azov come  «la chiave dello sforzo di resistenza nazionale» , pur riconoscendo che Azov è stato creato nel 2014  «da volontari con tendenze politiche nazionaliste e spesso di estrema destra»,  il FT si scrollava di dosso i suoi legami nazisti.

 

Quindi, i simboli nazisti usati dall’unità venivano descritti come «ora rivendicati come simboli pagani da alcuni membri del battaglione». Come riportato da Renovatio 21, Azov contiene molti entusiastici cultori del neopaganesimo paleoslavo, detto anche rodnoverismo, al punto che il battaglione aveva eretto a Mariupol’ un tempio del dio del tuono slavo Perun.

 

Nel paganesimo rodnoverico abbondano forme piuttosto simili alle svastiche, chiamate kolovrat.

 

Tuttavia, negare che Azov non faccia uso di simboli letteralmente appartenuti al nazismo è una menzogna evidente.

 

Il simbolo del «Sole Nero» (noto anche come Sonnenrad) risale a un mosaico commissionato negli anni ’30 dal capo delle SS Heinrich Himmler, mentre la runa Wolfsangel sovrapposta – vista nella storia della Germania, mica in Ucraina – è stata utilizzata da diversi reggimenti della Wehrmacht e delle SS , così come dai nazisti olandesi, durante la seconda guerra mondiale.

 

Il Financial Times va oltre. Il giornale economico arriva a dire che Stepan Bandera – il famigerato nazionalista ucraino che cercò di collaborare con la Germania nazista (con alterna fortuna) e che supervisionò l’omicidio di massa di polacchi e russi –  era «un leader nazionalista che si è opposto agli sforzi nazisti e sovietici per impedire l’indipendenza dell’Ucraina».

 

Il 29 marzo entra in campo la CNN: Azov ha una «storia di tendenze neonaziste, che non sono state del tutto estinte dalla sua integrazione nell’esercito ucraino», ma è «una forza combattente efficace». L’ala politica di Azov ha ottenuto appena il 2,15% dei voti nel 2019. E ricordiamoci sempre, mi raccomando, che Zelens’kyj è ebreo, e mai difenderebbe quindi uomini con simboli nazisti.

 

RT nota che la CNN menzionano il fondatore dell’Azov Andryj Biletsky, il quale un tempo avrebbe affermato di voler «guidare le razze bianche del mondo in una crociata finale». L’emittente russa nota tuttavia che la CNN ha tralasciato la parte che dice che tale crociata sarebbe  «contro gli Untermenschen guidati dai semiti».

 

Poi la CNN cita l’Azov che nega che l’abbia mai detto, e comunque «non hanno nulla a che fare con le sue attività politiche e il partito dei Cropi Nazionale»,  anche se la stessa CNN lo descrive come  «l’ala politica» di Azov.

 

La CNN si perita quindi di far saltar fuori una citazione del 2019 di Arsen Avakov (ministro della polizia nel governo post-Maidan) in cui afferma che le accuse di nazisteria sono «un tentativo deliberato di screditare» lo Azov e l’esercito ucraino tutto. Si tratta di quello stesso Avakov che il rabbino capo dell’Ucraina, Yaakov Bleich,  ha criticato nel novembre 2014, dicendo «continuava «a nominare persone di dubbia reputazione e ideologie contaminate dal fascismo e dall’estremismo di destra».

 

Una menzione la merita il giornale londinese Telegraph, che canta le gesta degli azoviti con prosa febbrile:

 

«Mentre la maggior parte delle forze armate ucraine è stata silenziosamente impegnata nella routine di un estenuante tiro alla fune con la Russia, un battaglione è stato impegnato a pubblicare video e immagini accattivanti che strombazzavano i propri successi. In una fotografia pubblicata questa settimana, un uomo corpulento in uniforme blu scuro giace privo di sensi sul terreno innevato, il fianco destro incrostato di sangue: “Azov ha eliminato un generale maggiore! E della tua spada vivrai!” si legge nella didascalia»

 

Il Telegraph denuncia «l’obiettivo di lunga data dei tentativi di propaganda del Cremlino di diffamare tutti gli ucraini come neonazisti» elogiando «la ben oliata macchina di pubbliche relazioni ben oliata che ha prodotto i video di guerra probabilmente della migliore qualità dell’Ucraina con i droni delle telecamere che catturano perfettamente gli attacchi mentre accadono in tempo reale. Le forze armate ucraine hanno felicemente utilizzato i video di Azov come prova visiva dei contrattacchi del Paese contro l’esercito invasore».

 

Nel pezzo, il fondatore di Azov Andriy Biletsky è descritto come «una figura politica ultranazionalista che aveva avuto problemi con la legge ed è stata coinvolta in vari gruppi che giocavano con i simboli nazisti». Viene quindi mostrata l’immagine di una svastica sul muro di un ufficio Azov a Mariupol, che ammettono sia occupato dai nazisti.

 

Si aggiunge, dulcis in fundo, che «i combattenti Azov nell’est si sono felicemente rimboccati le maniche per mostrare i tatuaggi nazisti ai corrispondenti stranieri».

 

E via: nazishaqquati al volo nonostante i tattoo indelebili.

 

C’è poi il caso Times di Londra  che il 30 marzo manda in stampa un articolo che si apre con l’emozionante descrizione del funerale di un soldato Azov ucciso nei combattimenti fuori Kiev.

 

«Anche loro respingono l'[accusa di far uso di] iconografia nazista come forse radicata nella “fede pagana originale” dell’Ucraina  ,  sebbene ammettano  «il marchio di fabbrica di Azov. il Wolfsangel, era usato anche dalla Germania nazista».

 

«Siamo patrioti ma non nazisti»,  è il virgolettato messo in bocca ad un miliziano. Il Times cita infine un comandante Azov a Mariupol’, che accusa i russi di essere «i veri nazisti del 21° secolo». Una grande fantasia, un concetto non ripetuto da nessun altra parte.

 

Il lavaggio degli ucronazisti contrasta assai con la copertura che di Azov davano le testate occidentali prima del 2022. Nel gennaio 2021, la rivista Time li definiva una milizia che aveva «addestrato e ispirato suprematisti bianchi di tutto il mondo».

 

«Azov è molto più di una milizia. Ha il suo partito politico; due case editrici; campi estivi per bambini; e una forza di vigilanza nota come Milizia Nazionale, che pattuglia le strade delle città ucraine insieme alla polizia»,  ​​afferma l’articolo del Time magazine, rilevando che  «ha anche un’ala militare con almeno due basi di addestramento e un vasto arsenale di armi, da droni e veicoli corazzati a pezzi di artiglieria».

 

Vediamo quindi parafrasate anche le parole del  «capo della sensibilizzazione internazionale» (sic) azovita, che durante un tour del 2019 alla Casa cosacca avrebbe detto che la missione del gruppo era quella di  «formare una coalizione di gruppi di estrema destra in tutto il mondo occidentale, con il massimo obiettivo di prendere il potere in tutta Europa».

 

Sempre Time scrive del passato del Biletskyj, soprannominato Bely Vozhd, cioè «Sovrano Bianco»: «la polizia ucraina trattava da tempo la sua organizzazione, Patriot of Ukraine, come un gruppo terroristico neonazista» afferma l’antica e prestigiosa rivista di Nuova York, dicendo che il loro «manifesto sembrava attingere  la sua narrativa direttamente dall’ideologia nazista».

 

«Persino Bellingcat, un “collettivo di intelligence open source”  che apparentemente funge da canale per l’agenda dell’intelligence britannica, ha sollevato bandiere rosse su Azov» ricorda RT.

 

Nell’ottobre 2019, Bellingcat si lamenta di come i militanti abbiano spinto Zelens’kyj – che, come riportato da Renovatio 21, potrebbe essere in questo stesso momento politicamente, fisicamente e psicologicamente ostaggio di formazioni neonaziste –  a non ritirarsi dal Donbass come richiesto dagli accordi di Minsk. Il lettore nostro ricorderà le parole di uno dei capi dell’estrema destra, ora inabissatosi nell’apparato del potere statale e militare di Kiev, al momento dell’elezione di Zelens’kyj: «Zelen’kyj ha detto nel suo discorso inaugurale che era pronto a perdere ascolti, popolarità, posizione… No, perderà la vita. Sarà appeso a qualche albero del Khreshchatyk, se tradirà l’Ucraina e quelle persone che sono morte durante la Rivoluzione e la Guerra».

 

 

Bellingcat va oltre, e ci aiuta a spiegare quella storia del «potere formale» tirata fuori dalla BBC. Sebbene i  «gruppi di estrema destra» abbiano  «un appoggio popolare trascurabile e un potere elettorale praticamente inesistente», essi «continuano ad avere successo integrandosi nella politica e nella società ucraine». Bingo: qualcuno ci è arrivato. Ci hanno venduto la palla del fatto che, non avendo più nemmeno un seggio a differenza di quelli conquistati nel 2019, le formazioni dell’ultradestra ucraina non hanno potere; ci hanno quindi venduto la seconda palla: una volte entrati nell’esercito, gli elementi neonazi dei battaglioni sono stati purgati.

 

Potrebbe essere vero piuttosto il contrario: i capi neonazisti non hanno più bisogno dei (pochi) seggi ottenibili alla Rada, il Parlamento di Kiev, perché essi sono riusciti ad inserirsi ad un livello più decisivo, cioè nello Stato profondo ucraino – quello che, giocoforza, risponde al Deep State di Washington. E per quanto riguarda l’esercito, possiamo pensare che, al contrario, gli elementi nazisti possono aver contaminato le Forze Armate, garantendo peraltro una radicalizzazione ideologica invitante quando capita di dover andare al fronte.

 

Abbiamo già visto questo giuochino: terroristi, zeloti radicali, nemici del popolo, reietti della Storia… improvvisamente divengono guerriglieri per bene cui dare tutto il nostro supporto.

 

«Questa non è esattamente la prima volta che i media corporativi e statali in Occidente si nascondono dietro un gruppo che fino a poco tempo fa avevano descritto – correttamente – come estremista» scrive RT. «Ad esempio, proprio l’anno scorso, la televisione pubblica statunitense ha cercato di  nascondere  la realtà degli affiliati di Al-Qaeda in Siria –il Fronte Al-Nusra, in seguito ribrandizzato comodamente Hayat Tahrir al-Sham, dimodoché è stato possibile definirla sui giornali e nei corridoi del potere americano «ribelli moderati». Non islamisti, non takfiri, non jihadisti, non terroristi: ma no, sono «ribelli moderati», così come i neonazisti sono divenuti combattenti per la libertà.

 

Qualcosa va scritto anche riguardo alla stampa del Paese più simbolicamente interessato dal cortocircuito neonazista: la Germania.

 

Il sito di notizie in lingua inglese dell’emittente pubblica Deutsche Welle ha pubblicato un articolo sulla Brigata Azov dove si sostiene che mentre le organizzazioni naziste sono fuorilegge in Germania, in Ucraina un tale legge non c’è. DW sente tale Andreas Umland dello Stockholm Center for Eastern European Studies, il quale ammette che le associazioni formate dalla destra in Ucraina sarebbero state descritte come gruppi neonazisti organizzati in Germania.

 

Lo specialista nota che l’Azov ha attirato subito l’attenzione utilizzando il simbolo nazista Wolfsangel come emblema. «Il Wolfsangel ha connotazioni di estrema destra, è un simbolo pagano usato anche dalle SS», assicura. «Ma non è considerato un simbolo fascista dalla popolazione in Ucraina».

 

«Normalmente, consideriamo pericoloso l’estremismo di destra, qualcosa che può portare alla guerra», dice l’esperto svedese, ma in Ucraina è il contrario, assicura.

 

Difficile racapezzarsi.

 

Niente, tuttavia, in confronto a quello che stiamo vedendo in Italia: il Paese dell’ANPI, dell’antifascismo perenne, della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana, dei senatori a vita passati per i lager etc.

 

Il Paese della legge Mancino ora sta fornendo armi a quell’esercito pieno di svastiche e simboletti da mistica del III Reich, nei tatuaggi, nelle mostrine, nelle bandiere. Qualcuno, in realtà si è domandato anche da noi se queste armi non finiscano, per caso, ai neonazisti – ma viene subissato di pernacchie e storielle (la svastica è un antico simbolo indiano…). Di certo, sappiamo che molte della armi che il nostro governo sta mandando non finiscono ai Foreign Fighter, che come abbiamo visto lamentano di essere mandati al fronte praticamente disarmati o con un fucile e dieci colpi in caricatore.

 

Altro che: alla denazificazione virtuale dei giornali di tutto il mondo che stanno dicendo che in Ucraina nessuno è nazista, corrisponde una nazificazione materiale.

 

Armare i nazisti…? A breve sarà il 25 aprile. L’anno passato e il precedente abbiamo riso a quelli che ci parlavano di liberazione mentre eravamo costretti a casa dal lockdown.

 

Quest’anno siamo andati molto più in là: l’umorismo nero di chi magari ci vuole raccontare che la resistenza, in Ucraina, la fanno gli uomini con la svastica.

 

Viviamo tempi incredibili. Non sempre divertentissimi.

 

 

 

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Geopolitica

Le truppe americane lasceranno il Ciad

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Pochi giorni dopo l’annuncio da parte dell’amministrazione americana che più di 1.000 militari americani avrebbero lasciato il Niger, Paese dell’Africa occidentale nei prossimi mesi, il Pentagono ha annunciato che ritirerà le sue 75 forze per le operazioni speciali dal vicino Ciad, già la prossima settimana. Lo riporta il New York Times.

 

La decisione di ritirare circa 75 membri del personale delle forze speciali dell’esercito che lavorano a Ndjamena, la capitale del Ciad, arriva pochi giorni dopo che l’amministrazione Biden aveva dichiarato che avrebbe ritirato più di 1.000 militari statunitensi dal Niger nei prossimi mesi.

 

Il Pentagono è costretto a ritirare le truppe in risposta alle richieste dei governi africani di rinegoziare le regole e le condizioni in cui il personale militare statunitense può operare.

 

Entrambi i paesi vogliono condizioni che favoriscano meglio i loro interessi, dicono gli analisti. La decisione di ritirarsi dal Niger è definitiva, ma i funzionari statunitensi hanno affermato di sperare di riprendere i colloqui sulla cooperazione in materia di sicurezza dopo le elezioni in Ciad del 6 maggio.

 

«La partenza dei consiglieri militari statunitensi in entrambi i paesi avviene nel momento in cui il Niger, così come il Mali e il Burkina Faso, si stanno allontanando da anni di cooperazione con gli Stati Uniti e stanno formando partenariati con la Russia – o almeno esplorando legami di sicurezza più stretti con Mosca» scrive il giornale neoeboraceno.

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L’imminente partenza dei consiglieri militari statunitensi dal Ciad, una vasta nazione desertica al crocevia del continente, è stata provocata da una lettera del governo ciadiano di questo mese che gli Stati Uniti hanno visto come una minaccia di porre fine a un importante accordo di sicurezza con Washington.

 

La lettera è stata inviata all’addetto alla difesa americano e non ordinava direttamente alle forze armate statunitensi di lasciare il Ciad, ma individuava una task force per le operazioni speciali che opera da una base militare ciadiana nella capitale e funge da importante hub per il coordinamento delle operazioni militari statunitensi. missioni di addestramento e consulenza militare nella regione.

 

Circa 75 berretti verdi del 20° gruppo delle forze speciali, un’unità della Guardia nazionale dell’Alabama, prestano servizio nella task force. Altro personale militare americano lavora nell’ambasciata o in diversi incarichi di consulenza e non è influenzato dalla decisione di ritirarsi, hanno detto i funzionari.

 

La lettera ha colto di sorpresa e perplessi diplomatici e ufficiali militari americani. È stata inviata dal capo dello staff aereo del Ciad, Idriss Amine; digitato in francese, una delle lingue ufficiali del Ciad; e scritto sulla carta intestata ufficiale del generale Amine. Non è stata inviata attraverso i canali diplomatici ufficiali, hanno detto, che sarebbe il metodo tipico per gestire tali questioni.

 

Attuali ed ex funzionari statunitensi hanno affermato che la lettera,potrebbe essere una tattica negoziale da parte di alcuni membri delle forze armate e del governo per fare pressione su Washington affinché raggiunga un accordo più favorevole prima delle elezioni di maggio.

 

Mentre la Francia, l’ex potenza coloniale della regione, ha una presenza militare molto più ampia in Ciad, anche gli Stati Uniti hanno fatto affidamento sul Paese come partner fidato per la sicurezza.

 

La guardia presidenziale del Ciad è una delle meglio addestrate ed equipaggiate nella fascia semiarida dell’Africa conosciuta come Sahel.

 

Il Paese ha ospitato esercitazioni militari condotte dagli Stati Uniti. Funzionari dell’Africa Command del Pentagono affermano che il Ciad è stato un partner importante nello sforzo che ha coinvolto diversi paesi nel bacino del Lago Ciad per combattere Boko Haram.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

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Geopolitica

Missili Hezbollah contro basi israeliane

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Hezbollah ha preso di mira diverse installazioni militari israeliane, inclusa una base critica di sorveglianza aerea sul Monte Meron, con una raffica di razzi e droni sabato, dopo che una serie di attacchi aerei israeliani avevano colpito il Libano meridionale all’inizio della giornata.   Decine di missili hanno colpito il Monte Meron, la vetta più alta del territorio israeliano al di fuori delle alture di Golan, nella tarda notte di sabato, secondo i video che circolano online. I quotidiani Times of Israel e Jerusalem Post scrivono tuttavia che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno affermato che tutti i razzi sono stati «intercettati o caduti in aree aperte», senza che siano stati segnalati danni o vittime.   Il gruppo militante sciita libanese ha rivendicato l’attacco, affermando in una dichiarazione all’inizio di domenica che «in risposta agli attacchi del nemico israeliano contro i villaggi meridionali e le case civili» ha preso di mira «l’insediamento di Meron e gli insediamenti circostanti con dozzine di razzi Katyusha».   Il gruppo paramilitare islamico ha affermato di aver anche «lanciato un attacco complesso utilizzando droni esplosivi e missili guidati contro il quartier generale del comando militare di Al Manara e un raduno di forze del 51° battaglione della Brigata Golani», sabato scorso. L’IDF ha affermato di aver intercettato i proiettili in arrivo e di «aver colpito le fonti di fuoco» nell’area di confine libanese.     Ieri l’aeronautica israeliana ha condotto una serie di attacchi aerei nei villaggi di Al-Quzah, Markaba e Sarbin, nel Libano meridionale, presumibilmente prendendo di mira le «infrastrutture terroristiche e militari» di Hezbollah. Venerdì l’IDF ha colpito anche diverse strutture a Kfarkela e Kfarchouba.   Secondo quanto riferito, gli attacchi israeliani hanno ucciso almeno tre persone, tra cui due combattenti di Hezbollah. I media libanesi hanno riferito che altre 11 persone, tra cui cittadini siriani, sono rimaste ferite negli attacchi.   Il gruppo armato sciita ha ripetutamente bombardato il suo vicino meridionale da quando è scoppiato il conflitto militare tra Israele e Hamas lo scorso ottobre. Anche la fondamentale base israeliana di sorveglianza aerea sul Monte Meron è stata attaccata in diverse occasioni. Hezbollah aveva precedentemente descritto la base come «l’unico centro amministrativo, di monitoraggio e di controllo aereo nel nord dell’entità usurpatrice [Israele]», senza il quale Israele non ha «alcuna alternativa praticabile».

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Hamas deporrà le armi se uno Stato di Palestina verrà riconosciuto in una soluzione a due Stati

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Il funzionario di Hamas Khalil al-Hayya ha dichiarato il 24 aprile che Hamas deporrà le armi se ci fosse uno Stato palestinese in una soluzione a due Stati al conflitto.

 

In un’intervista di ieri con l’agenzia Associated Press, al-Hayya ha detto che sono disposti ad accettare una tregua di cinque anni o più con Israele e che Hamas si convertirebbe in un partito politico, se si creasse uno Stato palestinese indipendente «in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e vi fosse un ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali».

 

Al-Hayya è considerato un funzionario di alto rango di Hamas e ha rappresentato Hamas nei negoziati per il cessate il fuoco e lo scambio di ostaggi.

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Nonostante l’importanza di una simile concessione da parte di Hamas, si ritiene improbabile che Israele prenda in considerazione uno scenario del genere, almeno sotto l’attuale governo del primo ministro Benajmin Netanyahu.

 

Al-Hayya ha dichiarato ad AP che Hamas vuole unirsi all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, guidata dalla fazione rivale di Fatah, per formare un governo unificato per Gaza e la Cisgiordania, spiegando che Hamas accetterebbe «uno Stato palestinese pienamente sovrano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e il ritorno dei profughi palestinesi in conformità con le risoluzioni internazionali», lungo i confini di Israele pre-1967.

 

L’ala militare del gruppo, quindi si scioglierebbe.

 

«Tutte le esperienze delle persone che hanno combattuto contro gli occupanti, quando sono diventate indipendenti e hanno ottenuto i loro diritti e il loro Stato, cosa hanno fatto queste forze? Si sono trasformati in partiti politici e le loro forze combattenti in difesa si sono trasformate nell’esercito nazionale».

 

Il funzionario di Hamas ha anche detto che un’offensiva a Rafah non riuscirebbe a distruggere Hamas, sottolineando che le forze israeliane «non hanno distrutto più del 20% delle capacità [di Hamas], né umane né sul campo. Se non riescono a sconfiggere [Hamas], qual è la soluzione? La soluzione è andare al consenso».

 

Per il resto ha confermato che Hamas non si tirerà indietro rispetto alle sue richieste di cessate il fuoco permanente e di ritiro completo delle truppe israeliane.

 

«Se non abbiamo la certezza che la guerra finirà, perché dovrei consegnare i prigionieri?» ha detto il leader di Hamas riguardo ai restanti ostaggi nelle mani degli islamisti palestinesi.

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«Rifiutiamo categoricamente qualsiasi presenza non palestinese a Gaza, sia in mare che via terra, e tratteremo qualsiasi forza militare presente in questi luoghi, israeliana o meno… come una potenza occupante», ha continuato

 

Hamas e l’OLP hanno discusso in varie capitali, tra cui Mosca, nel tentativo di raggiungere l’unità, scrive EIRN. Non è noto quale sia lo stato di questi colloqui.

 

L’intervista di AP è stata registrata a Istanbul, dove Al-Hayya e altri leader di Hamas si sono uniti al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, che ha incontrato il presidente turco Recep Tayyip Erdogan il 20 aprile. Non c’è stata alcuna reazione immediata da parte di Israele o dell’autore palestinese.

 

Nel mondo alcune voci filo-israeliane hanno detto che le parole del funzionario di Hamas sarebbero un bluff.

 

Come riportato da Renovatio 21, in molti negli ultimi mesi hanno ricordato che ai suoi inizi Hamas è stata protetta e nutrita da Israele e in particolare da Netanyahu proprio come antidoto alla prospettiva della soluzione a due Stati.

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Immagine di Al Jazeera English via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

 

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