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Bioetica

“Geno-economia”: Il razzismo genomico è qui

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Renovatio 21 pubblica la traduzione di un articolo del NYT sull’avvento della nuova disciplina della «genoconomia», ossia lo studio degli effetti economici corrispondenti al corredo genetico degli individui: i geni, in pratica, possono predire se sarai ricco o sarai povero, già da quando sei un embrione... Nonostante le molte maschere, nonostante si sia agli albori, è impossibile non vederlo: razzismo genomico è già qui. La società divisa in classi genetiche – e geneticamente modificate – è prossima ad avverarsi. Un’umanità costituita in toto da Designer Babies (cioè, esseri umani creati con la bioingegneria) è ben avviata.

 

 

Nel 1999, un trio di economisti spuntati da una conferenza all’Università della California, Los Angeles, strizzando gli occhi sotto il sole poco familiare, iniziarono una lenta camminata attraverso le colline che danno sulla città. I tre – Daniel Benjamin, un tirocinante economista, l’economista di Harvard Edward Glaeser e David Laibson – erano sbigottiti. Avevano appena saputo di un nuovo campo, la neuroeconomia, che applica l’analisi economica alla scienza del cervello, nel tentativo di comprendere le scelte umane. Facevano due passi attraverso la tassonomia di coloro che facevano jogging e quelli che passeggiavano con i cani a Los Angeles, parlando tutto il tempo di come la gente diventa quello che è. Benjamin ricorda di essersi sentito proprio fuori luogo. «Ognuno era così bello», dice.

 

L’economista per tutta la camminata discusse di cos’altro potessero misurare attraverso una tale varietà di esseri umani. Al calar del sole, la conversazionegiunse proprio sui mattoni della vita. «Se gli economisti stanno studiando il cervello – chiese Laibson –cosa ne dite di studiare i geni?».

«Il mondo nel quale possiamo predire ogni tipo di cosa sul futuro basandoci sui campioni di saliva – tratti della personalità, capacità cognitive, i risultati della vita – avverrà nei prossimi cinque anni»

 

A quel tempo, il metodo standard per collegare i geni ai risultati umani era cercare relazioni tra gruppi specifici di DNA e condizioni specifiche nella vita delle persone che condividevano quei geni. B.R.C.A. (Breast Related Cancer Antigens, NdT), la sequenza genetica forse più conosciuta nella scienza medica, è associata ad un alto rischio di cancro al seno.

 

La sequenza A.P.O.E. (Apolipoproteina E, NdT) sembra avere relazione con le proprie possibilità di sviluppare la malattia di Alzheimer. «Abbiamo pensato che avremmo trovato pochi geni candidati che erano geni critici per il controllo dell’impulso o del rischio o della capacità cognitiva», dice Benjamin. Ma quando Benjamin, Glaeser e Laibson iniziarono a scrivere ai detentori di database di DNA, chiedendo di mettersi in società con loro, trovarono che i genetisti erano riluttanti all’unire le forze. E far corrispondere il DNA con  gil successo sociale, come i risultati scolastici o la ricchezza, non solo era discutibile da un punto di vista etico, ma quasi impossibile.

 

Questo fino a prima che il Human Genome Project avesse sequenziato completamente il DNA umano, quindi non c’erano abbastanza dati per collegarlo ai risultati biologici più semplici, e ancor meno, agli economisti, piace studiare i risultati comportamentali più sottili.

 

Oggi, Glaeser è meglio conosciuto per il suo studio sulle città. Il lavoro di Laibson è per la maggior parte focalizzato sull’economia comportamentale. Ma Benjamin ha continuato ad occuparsi di  geni, e  nel 2007, poiché  i dati sul genoma divennero meno costosi e più numerosi, emerse un nuovo metodo per associare i geni ai risultati: studi di associazione sull’intero genoma (G.W.A.S.). Con il metodo geni-candidati, fondamentalmente dovevi indovinare quali geni potessero essere coinvolti, e di solito sbagliavi. «Con G.W.A.S. guardi all’intero genoma e lasci che i dati ti dicano dove c’è una variazione», dice Benjamin.

 

Una volta che G.W.A.S. mostra effetti genetici attraverso un gruppo, può essere assegnato un «punteggio poligenico» agli individui, riassumendo i modelli genetici che sono in correlazione con i risultati trovati nel gruppo. Benché nessun marker genetico potrebbe predire qualcosa, questo punteggio combinato basato sull’intero genoma, può essere un previsore di ogni genere di cose. Ed ecco perché è così utile: la gente fuori da quel campione può poi avere il proprio DNA testato , e gli viene assegnato il suo proprio punteggio poligenico, e la previsione tende a proseguire oltre. Questo, ha compreso Benjamin, era il tipo di strumento statistico che potrebbe  usare un economista.

Una volta che G.W.A.S. mostra effetti genetici attraverso un gruppo, può essere assegnato un «punteggio poligenico» agli individui

 

I primi scienziati che unirono G.W.A.S. e i punteggi poligenici, li usarono per trovare associazioni con le previsioni mediche. Uno studio del 2009 usò punteggi poligenici per valutare i rischi genetici della schizofrenia. Ulteriori studi crearono punteggi poligenici per tutto, dalla sclerosi multipla all’altezza. I risultati non sono individualmente predittivi, e le associazioni sono statisticamente basse, ma per i genetisti, sono uno strumento potente per studiare le possibilità mediche attraverso un ampio gruppo.

 

Ad ogni modo, come economista, Benjamin non era interessato ai risultati medici. Egli voleva vedere se i nostri geni prevedono degli esiti sociali.

 

Nel 2011 Benjamin, con una sovvenzione della National Science Foundation, lanciò il Social Science Genetic Association Consortium, uno sforzo senza precedenti di riunire database genetici sconosciuti, in un enorme campione che poteva essere studiato da ricercatori esterni al mondo della scienza genetica. Nel luglio 2018, Benjamin e quattro coautori senior, estraendo da quel database, pubblicarono uno studio epocale su Nature Genetics. Più di 80 coautori da più di 50 istituzioni, inclusa la compagnia privata 23andMe (una compagia che genotipizza gli esseri umani, NdT), si riunirono e studiarono il DNA si oltre 1,1 milioni di persone. Fu il più ampio studio sulla genetica mai pubblicato, e il soggetto non era l’altezza o la malattia cardiaca, ma fin dove arriviamo con la formazione scolastica.

 

I ricercatori assegnarono ad ogni partecipante un punteggio poligenico basato in quale ampiezza le variazioni genetiche  erano correlate con ciò che è chiamato «conseguimento istruttivo». (Lo scelsero perché i moduli di ammissione agli uffici medici tendono a chiedere al paziente quale livello d’istruzione hanno completato). Il potere predittivo del punteggio poligenico era molto basso – predice più accuratamente che il livello di guadagno dei genitori, ma non accuratamente quanto il livello d’istruzione raggiunto dai propri genitori – ed è inutile per fare previsioni individuali. Come altri G.W.A.S., questo rivela dei modelli ma non li spiega.

 

E con un set di dati così grande, i modelli forniscono un sacco d’informazioni. Gli autori hanno calcolato, per esempio, che quelli nel primo quinto del punteggio poligenico avevano 57% di probabilità di ottenere una laurea di quattro anni, mentre quelli nell’ultimo quinto avevano una probabilità del 12%. E con quella correlazione, scrissero gli autori, i punteggi poligenici possono migliorare l’accuratezza di altri studi sull’istruzione.

 

Per 19 anni, Benjamin e i suoi colleghi ne cercarono i principi fondamentali. Adesso, dicono, li hanno trovati. I geni con i quali sei nato viaggiano nella vita ad uno livello intermedio tra biologia ed esperienza sociale – razzismo, pubertà, malattia, incidenti industriali, molestie sessuali, povertà, divorzio – che sembrano tanto complicati quanto non misurabili. Ma i loro studi, parte di un campo ora chiamato «geno-economia», affermano di misurare, in parte, il grado in cui i nostri geni determinano chi diventiamo. Com’è possibile? E in un’epoca di drammatica divisione politica, compagnie predatrici e disuguaglianza sistemica, davvero dovremmo mappare la genetica per i raggiungimenti sociali?

In un’epoca di drammatica divisione politica, compagnie predatrici e disuguaglianza sistemica, davvero dovremmo mappare la genetica per i raggiungimenti sociali?

 

La lista degli autori sugli studi di Benjamin è come un incidente d’autobus: sociologi ed economisti mischiati con epidemiologi, psichiatri e genetisti. Ma Dalton Conley, un docente di sociologia a Princeton, forse è la mescolanza più complicata di tutti, sia come persona che professionalmente.

 

«Sono cresciuto come un giovane bianco in un’ampio quartiere Afroamericano e Latino pieno di case popolari», dice Conley. «I miei genitori erano artisti di sinistra. Ad un certo punto mentirono sul nostro indirizzo per spostarmi ad una scuola superiore privata a Greenwich Village, così dovetti viaggiare ogni giorno attraverso il paesaggio socioeconomico». Nella memoria della sua infanzia, Honky, Conley scrive che quasi subito capisce che «sarò trattato in un determinato modo a seconda del colore della mia pelle». Il potere sociale di certi geni era a lui ovvio, scrive, perché «alcuni giovani ricevevano un trattamento speciale  per essere più alti o più pesanti di tutti gli altri, ma essere più bianco di tutti era una cosa totalmente diversa».

 

Conley descrive i suoi iniziali studi accademici come «sociologia di sinistra». La sua tesi di Dottorato di ricerca fu sul divario tra l’agiatezza dei neri e dei bianchi e dedicò la sua carriera iniziale allo studio sulla trasmissione della salute e del benessere tra genitori e figli.

 

Alla New York University, Conley continuava ad essere in disaccordo con i genetisti, discutendo che il loro metodo era pericolosamente naive. Gli sembrava implausibile che studiare solo dei gemelli – la regola suprema della ricerca genetica – fosse abbastanza per insegnarci la differenza tra natura e educazione.  Ma nel tempo, decise che non era abbastanza per discutere. Conley è un accademico, e persino all’interno di quel gruppo tormentato, è una specie di masochista.

 

A quel tempo era un docente di ruolo, uno di quelli che la maggior parte vede come la fase finale di una carriera accademica, tuttavia decise di ritornare e di tirar fuori un altro Dottorato di ricerca, questa volta in genetica. Entrò nel suo programma credendo che il nostro contesto sociale è, in gran parte, la causa dei nostri risultati, e che la biologia, di solito, è la variabile dipendente. Entro la fine del suo tempo, dice, nella sua mente, la freccia causale si era girata di molto nell’altra direzione: «Provai a mostrare, per una gamma di risultati, che i modelli genetici stavano enfatizzando troppo l’impatto della genetica a causa della loro ipotesi assurda – sospira – ma finii per dimostrare che erano giusti».

«Provai a mostrare, per una gamma di risultati, che i modelli genetici stavano enfatizzando troppo l’impatto della genetica a causa della loro ipotesi assurda – sospira – ma finii per dimostrare che erano giusti»

 

Adesso dice che è convinto che i benefici dello studio sui punteggi poligenici valgono il rischio. «Ho ancora un certo fastidio su cosa può essere fatto con questa ricerca, come ciò, politicamente, può essere esplosivo – dice –ma come uno che vuole scavare nel comportamento umano, non penso che possiamo più ignorarlo».

 

Benjamin e i suoi coautori inclusero un lungo documento con F.A.Q. (domande più frequentemente chieste, NdT) che spiegava accuratamente i limiti delle loro scoperte, non ultimo che non avrebbero dovuto essere usati per creare una sorta di prassi educativa incompleta basata sulla genetica. E gli autori coi quali parlai, dicono apertamente dei rischi che il loro lavoro verrà male interpretato o impropriamente usato, ma parlano anche di un desiderio di utilizzare i punteggi poligenici per trovare dei gap sociali predeterminati geneticamente e compensarli attraverso altri mezzi. È un tema che ho sentito spesso nei circoli accademici: se misuriamo uno spazio  nella società, lo possiamo chiudere. (In un libro del 2017, The Genome Factor, Conley e il suo coautore Jason Fletcher, propongono persino l’idea che la genetica può, un giorno, essere usata per costruire non solo la medicina personalizzata, ma prassi personalizzate che tengono in conto i genotipi che influenzano se tu ed io siamo recettivi a certi metodi d’istruzione, punizione o terapia).

 

La genetica può, un giorno, essere usata per costruire non solo la medicina personalizzata, ma prassi personalizzate che tengono in conto i genotipi che influenzano se tu ed io siamo recettivi a certi metodi d’istruzione, punizione o terapia

Ma Marcy Darnovsky, direttore esecutivo del Center for Genetics and Society, sostiene che degli accademici ben intenzionati, misurando questi gap sociali, in passato li hanno inavvertitamente fatti notare a quelli che vogliono sfruttarli, o persino allargarli. «L’idea di Alfred Binet era che avevamo intenzione di usare i suoi test intellettivi (Q.I.) per trovare giovani con necessità di luoghi particolari per l’apprendimento, così da poterli aiutare a migliorare – dice – a presto, l’applicazione dei test sul Q.I., divenne parte del movimento eugenico negli Stati Uniti. Queste cose hanno effetti reali. E proprio adesso stiamo discutendo sull’introdurre queste idee in un momento di crescente, sfacciata xenofobia e supremazia bianca».

 

Ancor oggi, mentre gli scienziati discutono l’etica di questa prima ricerca, il mercato libero è pronto a vendere qualsiasi cosa possa. L’apparente precisione della «genetica» è irresistibile, specialmente per coloro che affrontano la paurosa incertezza della malattia, invecchiamento o neogenitorialità. Quest’estate, mi si avvicinarono i rappresentanti di una clinica di riproduzione assistita, cercando di pubblicizzare un nuovo prodotto «la possibilità, da parte dei genitori, di scegliere il colore degli occhi dei figli». E subito fui al telefono con il dottor Reza Radjabi, fondatore e direttore generale alla Ferny, una clinica di riproduzione assistita a New York.

 

L’idea di Alfred Binet era che avevamo intenzione di usare i suoi test intellettivi (Q.I.) per trovare giovani con necessità di luoghi particolari per l’apprendimento, così da poterli aiutare a migliorare, ma presto, l’applicazione dei test sul Q.I., divenne parte del movimento eugenico negli Stati Uniti

Il dottor Radjabi dice che lui e i suoi colleghi hanno sviluppato un procedimento a due fasi, da offrire accanto ai più tradizionali servizi FIVET (fecondazione in laboratorio della cellula uovo, che viene poi trasferita nell’utero della donna una volta che l’embrione inizia il suo sviluppo, NdT).

 

Per prima cosa, con i campioni di sangue dei genitori, dirà loro quale colore degli occhi potrebbero generare. Questo screening costa 1.200 dollari. Poi, supponendo che la varietà necessaria sia presente, indicherà quale tra gli ovuli disponibili contiene la più alta possibilità di quale colore. Questa parte costerà 12.000 dollari. Quello che i genitori scelgono successivamente, mi ha ripetutamente assicurato, non dev’essere lui a deciderlo.

 

Ma l’allusione era evidente. «Avevamo una coppia dove lei aveva occhi azzurri meravigliosi , e lui, con occhi scuri, disse ‘Se abbiamo embrioni che hanno occhi azzurri vorrei saperlo», dice il dottor Radjabi. «Quasi tutti vogliono gli occhi azzurri o verdi». Dice che la sua clinica è attualmente sopraffatta da richieste per quella procedura, con più di 200 persone iscritte per il metodo.

 

Dice il dottor Radjabi: «quasi tutti vogliono gli occhi azzurri o verdi»

L’offerta del dottor Radjabi è parte di un campo più ampio conosciuto come diagnosi genetica preinpianto, o DGP, che è quasi totalmente non regolata. E nel 2009, The Wall Street Journal riportò che il business partner del dottor Radjabi, dottor Jaffrey Steinberg del Fertility Institute a Los Angeles, promise ai sui clienti FIVET l’opportunità di fare «una scelta  del genere sessuale, colore degli occhi, colore dei capelli e colore della pelle, insieme ad uno screening sulle potenziali malattie mortali». Il sito web di Steinberg non offre più l’opportunità di scegliere il colore della pelle del figlio, ma la pubblicità sulla scelta del genere sessuale è ben in vista.

 

Quei prodotti sono sviluppati su meccanismi genetici ben conosciuti. Ma se ognuno di noi inizia a ricevere dei punteggi poligenici per tratti sociali e comportamentali, cosa farà con quelli il mondo lucrativo? John Hancock, uno degli assicuratori più vecchi della nazione, ha annunciato recentemente che creerà delle polizze scontate per le persone che indossano dispositivi atti a monitorare la loro salute e la buona forma fisica. Il Genetic Information Nondiscrimination Act ( Legge sulla non discriminazione in base a informazioni genetiche), detta GINA, rende illegale per le compagnie assicurative, la discriminazione sulla base dei geni, ma le previsioni del livello di gruppo, come i punteggi poligenici lo rendono possibile, potrebbero creare una via d’uscita per entrambi GINA e le protezioni per condizioni preesistenti dell’Affordable Care Act (Legge soprannominata Obamacare, NdT). La tecnologia muove semplicemente più veloce di quanto lo possano fare le norme.

 

Il Fertility Institute a Los Angeles promette ai sui clienti di fecondazione in provetta l’opportunità di fare «una scelta  del genere sessuale, colore degli occhi, colore dei capelli e colore della pelle, insieme ad uno screening sulle potenziali malattie mortali»

E l’unica scelta di genitori responsabili saranno le opportunità preselettive della FIVET, che lo renderanno un irresistibile mezzo per creare il miglior bambino possibile? Chi sono io per negare qualsiasi vantaggio immaginabile, per quanto  statisticamente insignificante? Se il DNA può dire a me e a mia moglie quali dei suoi embrioni ha il più alto punteggio poligenico, non ci interessa se il miglioramento è 10, 5 o 1%. Quel bambino avrà una migliore possibilità di successo. Dottore, noi ne abbiamo discusso. Scegliamo quello.

 

La scienza dev’essere lenta se vuole meritare tale nome: svolgi la ricerca, riunisci i risultati, pubblicali, aspetta che gli altri tentino di fare la stessa cosa, aspetta abbastanza per sapere se hanno trovato quello che hai trovato tu. Ma il business è veloce. E più la sua velocità aumenta costantemente, più sfrutta gli incrementali e mai replicati risultati scientifici, e da quello crea prodotti, marchi, intere industrie, prima che sia stabilita qualsiasi cosa che si avvicini alla verità scientifica, e molto prima che la società possa discutere sulle sue implicazioni.

 

I genoeconomisti sembrano sicuri che i geni umani abbiano un’influenza misurabile sugli esiti umani. Ma pubblicizzare qualsiasi potere predittivo che giace nei nostri geni corre il rischio di indurci a credere che il controllo dei nostri geni significa controllo del nostro futuro. Sono ostinati sul fatto che i loro motivi prevengono le implicazioni distopiche del lavoro, combattendo la disinformazione e le prassi fuorvianti. «Il mondo nel quale possiamo predire ogni tipo di cosa sul futuro basandoci sui campioni di saliva – tratti della personalità, capacità cognitive, i risultati della vita – avverrà nei prossimi cinque anni», dice Benjamin. «Ora è  tempo di prepararsi per questo».

 

Pubblicizzare qualsiasi potere predittivo che giace nei nostri geni corre il rischio di indurci a credere che il controllo dei nostri geni significa controllo del nostro futuro

Ciononostante, gli stessi ricercatori riconoscono che è difficile pensare lucidamente a se stessi quando si è sottoposti a questo nuovo strumento. Benjamin, Conley e molti altri coinvolti nello studio, procedettero ed ebbero il loro proprio punteggio poligenico misurato . Principalmete fu per divertimento, e nessuno fu scontento del proprio risultato. «Ma nel momento in cui lo feci, mi pentii di averlo fatto», dice Conley. «E’ una trappola cognitiva. Mi sono reso conto immediatamente che ad un livello individuale, non predice nulla, ma è nella natura umana voler sapere di più su se stessi. Non so… – s’interrompe per parecchi secondi –La gente analizza le differenze insignificanti”.

 

Benjamin è meno combattuto. «Non mi pento di averlo fatto – dice –ma sono un economista. Quindi sono abituato a pensare sempre che è meglio aver maggiore informazione».

 

 

 

 

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Bioetica

La Bioetica torna a parlare delle atrocità di Gaza

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.

 

La guerra tra Israele e Hamas a Gaza sta creando tensioni all’interno della comunità bioetica. In un articolo sul blog canadese Impact Ethics, tre bioeticisti hanno chiesto alla loro professione di pronunciarsi contro la violenza e la sofferenza.

 

Fanno presente che alcune importanti associazioni mediche e di bioetica si sono rifiutate di commentare, pur avendo preso posizione nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina.

 

«Noi, come bioeticisti, rifiutiamo una posizione di silenzio perché crediamo nella responsabilità disciplinare di dimostrare coraggio morale e promuovere la giustizia».

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«L’American Public Health Association è la nostra unica grande organizzazione professionale negli Stati Uniti ad aver chiesto un cessate il fuoco umanitario a Gaza, attingendo alla sua politica del 2009 sul ruolo degli operatori sanitari, degli accademici e dei sostenitori della sanità pubblica in relazione ai conflitti armati e alla guerra».

 

«In netto contrasto, i delegati interni dell’American Medical Association (AMA) hanno votato contro  una risoluzione di novembre a sostegno di un cessate il fuoco a Gaza, citando che la questione non soddisfaceva i criteri di advocacy, urgenza o considerazione etica. L’American Society for Bioethics and Humanities è rimasta silenziosa, nonostante la sua forte politica sulla libertà accademica».

 

Concludono:

 

«Come possiamo definirci esperti di etica e testimoniare silenziosamente migliaia di morti civili, sanzioni crescenti, privazione di beni di prima necessità, crimini di guerra, rapimenti di ostaggi, aggressioni sessuali e disumanità? Cosa stiamo insegnando ai nostri studenti se non siamo disposti a riconoscere i nostri pregiudizi e a parlare apertamente?»

 

Michael Cook

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Bioetica

Polonia, l’aborto avanza in Parlamento

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Il 12 aprile 2024, i parlamentari polacchi hanno votato a favore di quattro progetti di legge volti a generalizzare l’accesso delle donne all’aborto nel paese. Fatto senza precedenti in quasi trent’anni, ma che non dovrebbe cambiare radicalmente la situazione a breve termine, perché una modifica della legge in questa direzione si scontrerebbe con il veto presidenziale del conservatore Andrzej Duda.   «Lo Stato deve fare tutto affinché l’aborto sia accessibile, legale, praticato in condizioni adeguate, senza pericoli». I commenti espressi l’11 aprile 2024 da Katarzyna Kotula non hanno mancato di offendere più di un cattolico polacco, poiché erano inimmaginabili anche un anno fa.   Tuttavia, è dalla piattaforma della Dieta – la camera bassa del parlamento polacco – che il ministro dell’Uguaglianza presenta il disegno di legge portato avanti dalla Coalizione Civica del primo ministro Donald Tusk, volto a liberalizzare l’accesso all’aborto fino a dodici settimane di gravidanza.   Per essere più precisi, quattro testi sono stati presentati da componenti della coalizione filoeuropea arrivata al potere in seguito alle elezioni del 15 ottobre 2023, dopo otto anni di governo del partito nazionalista Diritto e Giustizia (PiS).   La Sinistra Unita ha presentato i primi due progetti che prevedono, da un lato, la depenalizzazione dell’aborto assistito, e dall’altro la legalizzazione completa dell’aborto, senza ostacoli, fino alla dodicesima settimana di gravidanza.

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Il terzo progetto viene dal partito politico del primo ministro Donald Tusk, e chiede anch’esso la legalizzazione fino alla dodicesima settimana, con diverse riserve rispetto al testo della Sinistra Unita.   Il quarto testo, presentato dalla Terza Via, un’alleanza del partito contadino conservatore PSL e del movimento cristiano-democratico Polonia 2050 del presidente della Dieta, Szymon Holownia, chiede il ritorno allo status quo in vigore tra il 1993 e il 2020. L’IVG era possibile in tre casi: malformazione del feto, pericolo per la vita o la salute della madre, stupro o incesto.   Il partito della Terza Via è anche favorevole all’indizione di un referendum su un’eventuale legalizzazione più ampia dell’aborto, un ricorso al voto popolare sorprendentemente criticato dalle organizzazioni femministe – che però hanno sulle labbra solo le parole di «democrazia» e «libertà» – e per una buona ragione.   Secondo un sondaggio effettuato poco prima del voto in Parlamento da IPSOS, la società polacca appare divisa sulla questione. Il 35% delle intervistate vuole avere accesso all’aborto fino alla dodicesima settimana di gravidanza; Il 21% è favorevole al ripristino di questo diritto in caso di malformazione fetale; Il 23% vuole un referendum e il 14% si ritiene soddisfatto dell’attuale stato della legislazione nel Paese. Una prova, se fosse necessaria, che la secolarizzazione avanza a passi da gigante sulle rive della Vistola.   Tuttavia, il campo progressista non rivendica la vittoria: «abbiamo motivi di soddisfazione, tuttavia molto moderati e cauti», ha dichiarato Donald Tusk dopo il voto alla Dieta del 12 aprile. Perché la liberalizzazione dell’aborto in Polonia non è per domani: resta da convocare la Commissione parlamentare speciale che dovrà essere incaricata di adottare un disegno di legge da sottoporre in seconda lettura.   Probabilmente il futuro testo dovrà essere corretto in senso meno liberale per conquistare la maggioranza del parlamento polacco e, se così fosse, il capo dello Stato potrebbe porre il veto. Andrzej Duda – affiliato al PiS – dovrebbe normalmente rimanere al potere fino al 2025: abbastanza per dare ai conservatori polacchi qualche mese di tregua per organizzare la difesa del diritto alla vita.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Bioetica

Bioeticiste contro la genitorialità genetica: «usare liberamente gli embrioni congelati»

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Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.

 

Alcuni bioeticisti mettono in dubbio l’importanza di una relazione genetica tra genitori e figli. Ciò che conta, sostengono, è un ambiente familiare favorevole, non i geni. 

 

Nel Journal of Medical Ethics, una bioeticista svedese, Daniela Cutas, e una collega norvegese, Anna Smajdor, affermano che la riproduzione assistita apre le porte a nuove relazioni tra generazioni. Ma, purtroppo, l’aspettativa è che le persone imitino una famiglia nucleare convenzionale e una struttura genitore-figlio. C’è pochissima varietà o creatività.

 

Ad esempio, dopo la donazione di sperma postumo, una madre o una nonna portano in grembo il bambino in modo da mantenere una relazione genetica. Ma perché la genitorialità genetica e quella sociale dovrebbero coincidere?

 

Cutas e Smajdor sono realiste. Nel mondo di oggi, è improbabile che le persone abbandonino il loro attaccamento alle relazioni genetiche. Nel frattempo, ciò che propongono è una maggiore creatività nell’uso degli embrioni fecondati in eccedenza. 

 

«Considerando la crescente prevalenza di infertilità in combinazione con una scarsità di gameti donati, qualcuno potrebbe, ad esempio, scegliere di utilizzare gli embrioni di propri zii. Oppure potrebbero desiderare di avere gli embrioni rimanenti dei loro fratelli. Se la preferenza delle persone ad avere una prole geneticamente imparentata è importante nei servizi di fertilità, allora ha importanza quale sia l’esatta relazione genetica?»

 

Esaminano più in dettaglio il caso di una donna i cui genitori hanno creato embrioni IVF. Se sono ancora disponibili, perché non dovrebbe dare alla luce i suoi fratelli? In un certo senso, questo potrebbe essere migliore di una relazione eterosessuale convenzionale:

 

«Innanzitutto perché gli embrioni sono già creati: non è necessario sottoporsi alla stimolazione ovarica per raccogliere e fecondare gli ovociti. In secondo luogo, le relazioni genitore-figlio sono piene di tensioni, alcune delle quali derivano da una lunga tradizione di non riconoscimento completo dello status morale dei bambini e di vederli come parte dei loro genitori in modo quasi proprietario».

 

Sembra un peccato sprecare tutti quegli embrioni congelati. Concludono con questo pensiero:

 

«In un mondo in cui i tassi di infertilità sono in aumento e i costi sociali, medici e sanitari dei trattamenti per la fertilità sono elevati, suggeriamo che ci siano motivi per ampliare le nostre prospettive su chi dovrebbe avere accesso ai materiali riproduttivi conservati».

 

Michael Cook

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

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