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Vescovo svizzero: papa Francesco sta minando l’insegnamento della Chiesa con pretesti «democratici»

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Renovatio 21 pubblica un testo di monsignor Marian Eleganti pubblicato da LifeSiteNews. Monsignor eleganti è stato vescovo ausiliare della diocesi di Coira, in Isvizzera dal 2009 al 2021, anno in cui papa Bergoglio ha accettato le sue dimissioni

 

Diventa sempre più chiaro (cfr le ultime dichiarazioni del cardinale Fernández su Facebook e la sua risposta ai dubia del cardinale Duka) in cosa consista realmente il concetto di «sinodalità» recentemente diffuso: la dissoluzione dell’autorità ecclesiastica indipendente, gerarchica in termini della dottrina e del governo. La gerarchia ecclesiastica deve essere livellata nel suo esercizio a processi democratici, cioè sinodali (cfr. anglicanesimo).

 

L’autorità esiste allora solo nella forma di una decisione democratica e maggioritaria, che, per quanto riguarda la posizione dottrinale, deve essere approvata dall’autorità ecclesiastica secondo un voto maggioritario (forum externum) o nella forma di un’assoluzione sacramentale, che non può essere negata dai confessori secondo la decisione della coscienza del penitente (forum internum) ma non del sacerdote come giudice autorevole nelle questioni morali concrete.

 

La decisione finale allora non è più la decisione autorevole e autonoma del vescovo o del sacerdote (nonostante l’eventuale e consigliata consultazione), ma il voto maggioritario (partecipazione) da un lato e la decisione di coscienza del penitente che chiede l’assoluzione dall’altro. Il potere vincolante e redentore dell’autorità ecclesiastica consisterebbe allora essenzialmente solo nell’esecuzione di tali decisioni – non prese da lei stessa, tutt’al più tollerate da essa – che siano prese dalla maggioranza o dalla coscienza individuale.

 

Tutto ciò si giustifica con il postulato di evitare gli abusi di potere (clericalismo), che ovviamente si vedono solo da parte dell’autorità ecclesiastica! Anche questo è un punto cieco.

 

Le stesse azioni dell’attuale Papa si distinguono nettamente nel loro esercizio autocratico senza precedenti, che non si ferma davanti a nulla e si discosta da questo nuovo stile sinodale in tutti gli ambiti (insegnamento, governo, gestione del personale, giurisdizione). Sì, lo contraddice fondamentalmente, senza che se ne accorga nessuno di coloro che costantemente spacciano la «sinodalità» come una nuova formula magica promuovendola in ogni occasione in riferimento al cosiddetto “nuovo magistero (ma non all’esempio) di Francesco».

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Gesù, tuttavia, ha affidato il potere di legare e sciogliere (autorità sacramentale, autorità di governo e di insegnamento) esclusivamente agli apostoli, che a loro volta lo hanno affidato ai loro successori, i vescovi. Il Concilio Vaticano II, quindi, ha mantenuto la struttura gerarchica del Popolo di Dio stabilita da Gesù e ha collocato l’episcopato nell’apposita via di mezzo (sub Petro et cum Petro) tra l’assolutismo papale (cfr Concilio Vaticano I) e la partecipazione dei laici (Vaticano II).

 

Tuttavia non ha abolito la differenza essenziale e non graduale tra il sacerdozio ministeriale (ordinazione) e il sacerdozio comune (battesimo), ma l’ha piuttosto sottolineata. Ed è proprio questa differenza che la nuova sinodalità dell’attuale disegno non vuole rispettare, motivo per cui l’Oriente cristiano non vede alcuna comparabilità di tale sinodalità (come quella attuale di Roma) con la propria tradizione e prassi risalente ai tempi apostolici (nei sinodi esiste un’assemblea esclusiva di vescovi che esercitano la loro autorità in modo vincolante).

 

Ora però la piramide (gerarchia) non solo viene capovolta, cosa che il Papa desidera ma non fa, ma viene polverizzata in modo assolutamente democratico. Ne è esente l’autorità papale, assoluta, che alla fine può comunque fare dei voti sinodali (autorevolmente e autonomamente) ciò che ha voluto fin dall’inizio (insieme ad altri che senza di essa non potrebbero imporlo).

 

I sondaggi servono quindi principalmente a ottenere l’auspicata e più ampia accettazione. Secondo me questi sono i fatti. Si tratta di quest’ultima: la pratica è, del resto, al di sopra dell’idea, secondo il cosiddetto «Magistero di Francesco» (io conosco solo quello della Chiesa).

 

I processi sono irreversibili, ma solo se non si tiene conto del Signore. Hanno lo scopo di liberare la Chiesa dai suoi vecchi errori (rigidità, dogmatismo e clericalismo).

 

In altre parole: finalmente, sotto questo pontificato, si possono occupare quegli spazi che da tempo (almeno dagli anni ’60, se non di più) si guardano avidamente in contrasto con la propria affermazione di non aver mai aspirato a questo (per innescare processi, per non volersi appropriare di spazi). Chi si oppone o è contrario parla troppo poco con lo Spirito.

 

E poiché nel 2023 non si riuscirà ancora a raggiungere questo obiettivo con un nuovo tentativo, ne sarà necessario un altro nel 2024.

 

Marian Eleganti

vescovo

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La storia epica della cristianità in Giappone: una mostra

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Dal 15 marzo al 13 luglio 2024, le Missioni Estere di Parigi (MEP) organizzano una mostra dal titolo: «Da Samurai a Manga: l’epica cristiana in Giappone». Un’occasione per scoprire questo capitolo delle missioni cattoliche e per conoscere meglio le Missioni Estere di Parigi. Questo articolo riassume la presentazione fatta sul suo sito web.   La storia dell’evangelizzazione del Giappone presenta inizialmente due aspetti: a volte una rapida espansione, a volte una serie di battute d’arresto e disastri sfociati in tragedie.  

Il «secolo cristiano»

San Francesco Saverio sbarcò in Giappone a Kagoshima (Satsuma) nel 1549, durante i primi tentativi di unificazione del Paese. L’espansione del cattolicesimo fu notevole e portò alla conversione di numerosi governatori (daimyo). Grazie al permesso di evangelizzare, i missionari gesuiti aumentarono gradualmente il numero dei battezzati.   Il gesuita Alessandro Valignano arrivò nel 1579 come visitatore delle missioni. Nel 1582 organizza la prima ambasciata in Europa, che incontra papa Gregorio XIII nel 1585. Ma una prima messa al bando del cristianesimo fu imposta dallo shogun Toyotomi Hideyoshi nel 1587 con l’esilio dei missionari. Il 5 febbraio 1597 furono crocifissi a Nagasaki 26 martiri.

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Segretezza

A partire dal 1614 gli shogun cercarono di eliminare il cattolicesimo: a partire da questa data ogni famiglia doveva essere registrata presso un tempio buddista. Poi, a partire dal 1619, nelle città e nei villaggi di tutto il Paese furono affissi cartelli che ricordavano la messa al bando del cristianesimo, offrendo cospicue ricompense per la denuncia dei cristiani.   Scene di martirio furono testimoniate a Kyoto nel 1619, a Nagasaki nel 1622 e a Edo (Tokyo) nel 1623. La tortura sistematica apparve intorno al 1630 per promuovere l’apostasia. Fu in questo contesto che nel 1613 il daimyo di Sendai inviò un’ambasciata presso il viceré del Messico per ottenere l’apertura di una via commerciale transpacifica. In cambio, la religione cristiana sarebbe tollerata.   L’ambasciata fu affidata al samurai Hasekura Tsunenaga, accompagnato dal francescano spagnolo Luis Sotelo. Il viceré inviò messaggeri al re di Spagna, Filippo III. Il re inviò infine gli ambasciatori a papa Paolo V, che li ricevette nel novembre 1615. Ma Paolo V restituì la decisione finale al monarca spagnolo, che rifiutò di rivedere gli inviati del daimyo di Sendai.   Il fallimento dell’ambasciata provocò la messa al bando del cristianesimo e la caccia ai cristiani. Riuscito a tornare segretamente in Giappone, Luis Sotelo fu bruciato vivo a Tokyo nel 1623. Iniziava il periodo delle grandi persecuzioni. La popolazione cristiana, stimata in 650.000 persone, fu decimata. Furono inflitte terribili torture.   La ribellione di Shimabara (1637-1638), organizzata dai contadini cristiani sotto lo shogunato Tokugawa, fu repressa ferocemente, con l’appoggio della marina olandese, che sparò con i suoi cannoni sul castello di Hara, dove si erano rifugiati i ribelli, per sostenere la rivolta. truppe lealiste. Il massacro di 30.000 cristiani durò tre giorni.

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Il cristianesimo emerge dall’ombra

Nel XIX secolo la Francia voleva recuperare il tempo perduto nella corsa per l’Asia. La Santa Sede non aveva rinunciato a rifondare una missione in Giappone. Infine, le Missioni Estere di Parigi aspiravano a riconquistare il prestigioso campo missionario del Giappone. Il primo trattato franco-giapponese fu firmato nel 1858, ma la presenza dei ministri religiosi era consentita solo agli occidentali; il cristianesimo rimase proibito ai giapponesi. I missionari si stabilirono in concessioni riservate agli stranieri a Hakodate, Kanagawa e Nagasaki.   Il 17 marzo 1865 un gruppo di giapponesi si presentò come cristiano a padre Bernard Petitjean (1829-1884) delle Missioni Estere di Parigi, che si erano stabilite a Nagasaki e vi avevano costruito una chiesa, consacrata nel 1865. I missionari scoprirono organizzazione, riti ed elementi dottrinali trasmessi segretamente per 250 anni, senza sacerdoti e con pochissimi scritti. Ma la persecuzione, con arresti ed esecuzioni, era ancora in corso, soprattutto nel 1856 a Urakami, vicino a Nagasaki.   La persecuzione più lunga e più dura ebbe luogo tra il 1867 e il 1873, anni che videro il crollo del regime Tokugawa e la restaurazione del regime imperiale. Il regime instauratosi con il periodo Meiji (1868) portò avanti un’opera trasformativa: la modernizzazione delle strutture politiche ed economiche. Ma nei confronti dei cristiani è stata adottata una linea dura.   Fu promossa una teocrazia imperiale fondata sullo shintoismo. I leader erano a disagio riguardo alle vere intenzioni degli occidentali e il sentimento anticristiano era al suo culmine. La nomina di padre Petitjean come vescovo nel 1866 scatenò la persecuzione: nel 1868 si decise di deportare i cristiani di Urakami in 60 diversi feudi in tutto il Giappone.   Nel 1872 iniziò una distensione: la politica anticristiana fu finalmente sepolta. I cartelli che vietavano il cristianesimo, in vigore dal XVII secolo, furono rimossi nel febbraio 1873. I cristiani di Urakami poterono tornare a casa e fu loro concessa la libertà religiosa.  

Libertà sotto sorveglianza

Le missioni itineranti venivano organizzate grazie ad una certa libertà di movimento. Il passaporto interno, limitando la permanenza nello stesso luogo a tre giorni, spingeva i missionari a percorrere vaste regioni. Dal punto di vista politico, emerse uno Stato shintoista, nazionalista e guidato dall’imperatore: prese le distanze dal buddismo e rimase diffidente nei confronti del cristianesimo o addirittura ostile ad esso.   La prima Costituzione del Giappone, nel 1889, concedeva la libertà religiosa, anche se molto limitata. Alla fine era solo ciò che il governo aveva effettivamente consentito dal 1873. Ciò consentiva la creazione di diocesi e l’istituzione della Chiesa al di fuori delle enclavi in ​​cui era stata relegata. Le Missioni Estere di Parigi chiesero quindi alle suore di prendersi cura di orfanotrofi, scuole e dispensari.

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Altre congregazioni si ristabilirono sul suolo giapponese: domenicani, francescani e gesuiti, che erano stati espulsi due secoli e mezzo prima. Ma con il Rescritto Imperiale del 30 ottobre 1890 la fedeltà all’Imperatore divenne fondamentale. Si riteneva che ciò presentasse l’urgente necessità di formare un clero autoctono nel caso in cui i missionari fossero stati nuovamente scacciati.   L’aumento della potenza militare dell’arcipelago – le vittorie contro Cina, Taiwan e Russia, l’annessione della Corea, l’invasione della Manciuria – spinsero il regime verso l’esercito. La Chiesa si adattò al Giappone e si raggiunse un accordo sulla questione dei riti dovuti all’Imperatore. Con la seconda guerra mondiale la situazione degli stranieri all’interno della Chiesa in Giappone divenne sempre più difficile.   Dopo la sconfitta, la Costituzione del 1946, ancora in vigore, consentiva la totale libertà del cattolicesimo.  

La Chiesa in Giappone dal 1945 ad oggi

Secondo le statistiche del 2023, i cattolici sono 431.100, tra cui 6.200 seminaristi, sacerdoti e religiosi, che costituiscono lo 0,34% della popolazione giapponese. Ma questo numero tiene conto solo dei cattolici «registrati», un sistema ereditato dal tempo della persecuzione. Tra i migranti – soprattutto persone provenienti dall’America Latina, dalle Filippine e dal Vietnam – la popolazione cattolica è stimata all’1%.   Tuttavia, la Chiesa ha molte istituzioni – ospedali, scuole, centri assistenziali e persino università – che danno al cattolicesimo una presenza significativa nella società giapponese.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.  

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«Scie di uomini malvagi e spietati avvelenano l’aria che respiriamo». Omelia di mons. Viganò nell’Ascensione del Signore

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Renovatio 21 pubblica l’omelia di monsignor Carlo Maria Viganò del 9 maggio 2024, Ascensione di Nostro Signore.

 

 

 

Et inimici domini domestici ejus.
E i famigliari del padrone saranno i suoi nemici.

Mt 10, 36

 

Troppo spesso guardiamo a questo mondo con l’atteggiamento e le speranze di chi lo ritiene un luogo di permanenza e non di passaggio verso la meta celeste, mentre sappiamo che il nostro pellegrinaggio su questa terra ha come destinazione ineluttabile l’eternità: un’eternità di beatitudine nella gloria del Paradiso o un’eternità di dannazione nella disperazione delle fiamme dell’Inferno.

 

E per questa nostra inclinazione al voler credere in un illusorio Hic manebimus optime consideriamo l’Ascensione di Nostro Signore quasi come un fatto anomalo, un abbandono da parte del Salvatore che ci lascia soli dopo nemmeno quaranta giorni dalla Sua Resurrezione.

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La fiamma del Cero pasquale che al canto del Vangelo viene spenta – a significare proprio il ritorno del Figlio Incarnato alla destra del Padre – ci sembra per così dire in contraddizione con quanto pochi giorni fa, per le Rogazioni, chiedevamo alla Maestà divina: di concedere, conservare e benedire i frutti della terra, di risparmiarci dal flagello del terremoto, di allontanare la folgore e la tempesta, la peste, la carestia, la guerra.

 

È difficile – dobbiamo riconoscerlo – riuscire ad essere di passaggio in un luogo che vorremmo felice e prospero, fertile e generoso, sereno e privo di conflitti. Ancor più difficile quando alzando gli occhi al cielo spesso lo vediamo solcato di scie con cui uomini malvagi e spietati avvelenano l’aria che respiriamo, inquinano i campi e le fonti, fanno marcire o seccare i raccolti, giungono addirittura ad offuscare la luce del sole.

 

L’inimicus homo non sparge solo la zizzania dove cresce il grano: egli vuole che la zizzania sia seminata e coltivata, e che sia il grano ad essere estirpato e gettato nel fuoco; che il vizio trionfi e la virtù sia calpestata; che la morte e la malattia siano celebrate, e la vita – anche nel sacrario del ventre materno o nell’innocenza dei bambini e dei deboli – sia colpita, sfregiata, amputata, manomessa.

 

Noi rimaniamo increduli e sconvolti dinnanzi a questo sovvertimento, perché non vogliamo accettare l’idea che alla natura ostile dopo la nostra caduta si sia ora aggiunta l’insidia ulteriore dell’homo iniquus et dolosus, che quella natura manipola, replica, imita in grotteschi surrogati artificiali, in cibi transgenici, in imitazioni senz’anima della Creazione, per l’odio che Satana nutre nei confronti del Creatore di tanta perfezione gratuita.

 

Il Signore si alza da questa valle di lacrime, ascende al cielo in jubilatione et in voce tubæ, quasi le schiere angeliche fossero felici di veder tornare il Figlio di Dio nel luogo d’origine, in quella dimensione eterna e immutabile in cui la Santissima Trinità è l’unico principio e fine degli spiriti eletti. Ma vi ascende dopo esser anch’Egli disceso propter nos homines et propter nostram salutem, incarnandoSi nel seno virginale di Maria Santissima, assumendo natura e carne umana, affrontando la Passione e la Morte su quella Croce che Lo ha elevato quale Pontifex futurorum bonorum (Ebr 9, 11), Sommo Sacerdote dei beni futuri, a metà strada proprio tra la terra e il cielo, a creare un mistico ponte tra noi e Dio.

 

E quell’umanità assunta da Nostro Signore nell’Incarnazione viene portata come insegna di trionfo del Victor Rex al cospetto dell’Eterno Padre, ed è per questo che il Suo Corpo santissimo porta ancora splendenti le Piaghe della Redenzione.

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Questo deve farci comprendere due concetti estremamente importanti.

 

Il primo: il senso della nostra vita terrena, che è pellegrinaggio verso l’eternità, esilio che speriamo con la Grazia di Dio essere temporaneo, prima di tornare alla vera Patria. E con questa persuasione, dobbiamo anche capire che i beni di questa terra – le ricchezze, il successo, il potere, i piaceri – sono zavorra della quale è indispensabile liberarci se vogliamo essere capaci di ascendere verso l’alto, di librarci in volo come la biblica aquila vola verso il Sole divino.

 

Il secondo: la necessità di fare tesoro di questo esilio, di questo peregrinare nel deserto verso la terra promessa, usando i doni e facendo fruttare i talenti che il Signore ci ha donato non per rendere più confortevole e duratura la lontananza dal Cielo, ma per accumulare quei tesori spirituali che né tignola né ruggine consumano, e che i ladri non scassinano e non rubano (Mt 6, 20).

 

Ciò non significa disprezzare la vita che la Provvidenza ci ha dato, ma piuttosto usarla per lo scopo che essa ha: la gloria di Dio, da ottenere mediante la nostra e altrui santificazione nell’obbedienza alla Sua volontà: fiat voluntas tua – recitiamo nel Padre Nostro – sicut in cœlo et in terra, ossia nella prospettiva dell’eternità che ci attende, e nella temporalità del passare dei giorni.

 

Così, mentre l’armonia divina del cosmo scandisce i giorni e le stagioni in cui si dipanano gli anni della nostra vita terrena – e per questo invochiamo dal Cielo le benedizioni sui nostri raccolti – nell’ordine soprannaturale abbiamo i ritmi cadenzati della Liturgia, che ci permettono di contemplare i divini Misteri e di godere di uno sprazzo di quell’eternità nella quale l’Agnello Immacolato celebra la Liturgia celeste, circondato dalle schiere degli Angeli e dei Santi.

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Oggi la nostra anima è chiamata a guardare il Signore che ci precede in Paradiso. Domani, risorti nel corpo e condotti al Giudizio, Lo vedremo tornare nella gloria: Hic Jesus, qui assumptus est a vobis in cœlum, sic veniet quemadmodum vidistis eum ascendentem in cœlum (At 1, 11): Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto in cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo, dicono i due Angeli ai Discepoli.

 

E sarà un ritorno in cui il tempo, come lo conosciamo, cesserà di essere ed entrerà nell’eternità divina proprio perché il consummatum est pronunciato dal Salvatore agonizzante sulla Croce quel Venerdì Santo di 1991 anni orsono varrà anche per il mondo e per l’umanità intera, giunti al termine della prova, dell’esilio, del pellegrinaggio terreno.

 

Il Cero pasquale rappresenta, come ci istruisce il Diacono nel solenne canto dell’Exsultet, il lumen Christi, Cristo vera Luce: come la colonna di fuoco che precedeva gli Ebrei nell’attraversare – sicco vestigio – il Mar Rosso, così Egli precede anche noi nel nostro passaggio in questo mondo, e nella fuga dai malvagi che ci inseguono.

 

Preghiamo di essere trovati degni di giungere in salvo, per non essere travolti dalle acque come i soldati del Faraone.

 

Che in questo esodo la Santissima Eucaristia sia nostro Viatico, e la Vergine Immacolata nostra Stella.

 

E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

9 Maggio 2024
In Ascensione Domini

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Immagine: Benvenuto Tisi detto il Garofalo, Ascensione di Cristo (1510-1520), Galleria Nazionale d’Arte Antica, Roma. 

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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La conferenza episcopale UE sostiene l’allargamento della UE

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Il 19 aprile 2024 i membri della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE) hanno pubblicato una dichiarazione in cui chiedono di accelerare il processo di allargamento dell’Unione. Un testo dai toni progressisti, giudicato dai detrattori una posizione «fuori dal reale» a poche settimane dalle elezioni europee dove i partiti nazional-conservatori sono in ascesa.   «Al di là di una necessità geopolitica per la stabilità del nostro continente, consideriamo la prospettiva della futura adesione all’Unione Europea (UE) come un forte messaggio di speranza per i cittadini dei Paesi candidati e come una risposta al loro desiderio di vivere in pace e giustizia». La dichiarazione congiunta pubblicata dalla COMECE non dà realmente visibilità alla linea seguita dall’organismo incaricato dalla Chiesa di «dialogare» con le istituzioni europee.   Poco prima, i rappresentanti delle conferenze episcopali europee avevano tuttavia espresso la loro contrarietà all’inclusione di un cosiddetto «diritto» all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE, come deciso dai Parlamentari l’11 aprile scorso.

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In questa occasione i vescovi hanno ribadito il loro «no all’aborto e alle imposizioni ideologiche», chiedendo che «l’Unione europea rispetti le diverse culture e tradizioni degli Stati membri e le loro competenze nazionali». Ma come potrebbe crescere il «rispetto» per queste diverse culture se i ventisette Stati dell’Ue diventassero trentaquattro, o addirittura trentacinque?   Perché nella coda di candidati che la COMECE sembra richiamare, ci sono innanzitutto i sei Stati balcanici dell’ex Jugoslavia, candidati dal 2003. Poi altri tre Paesi che vogliono uscire dall’orbita russa dopo lo scoppio della guerra in Ucraina: quest’ultima in primis, ma anche la Moldavia e forse anche la Georgia.   A chi rimprovera «una forma di ingenuità» ai prelati europei, mons. Antoine Hérouard, primo vicepresidente della COMECE e arcivescovo di Digione, pretende di difendere «una posizione di ordine morale, che si inserisce nella prospettiva del progetto di Unità europea, perseguita dai padri fondatori». Padri fondatori, che, come Jean Monnet, hanno contribuito soprattutto a eludere un’idea sana di Europa instaurando il regno della tecnocrazia e dell’economia.   Nella stessa ottica, la dichiarazione del 19 aprile ricorda che «la Chiesa sostiene fortemente il processo volto a riunire i popoli e i Paesi d’Europa in una comunità che garantisca la pace, la libertà, la democrazia, lo stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e la prosperità».   Abbastanza deludente, quando sarebbe stato più opportuno ricordare la base comune delle radici cristiane dell’Europa da parte dei membri della Chiesa docente, senza la quale essa è solo una barca alla deriva.

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La ferocia del mondo e la proliferazione della violenza – in particolare quella che colpisce il diritto alla vita in tutte le sue forme – ci impongono di ripensare l’Unione in termini di sovranità e comunità di destino basata sul cristianesimo. Esso solo è capace di portare una disciplina collettiva: ma la Chiesa deve prima ricordarsi di far regnare Cristo nei cuori e nelle istituzioni, altrimenti diventa solo una ONG umanitaria.   La posizione della COMECE è anche un posizionamento politico piuttosto rischioso, poiché potrebbe essere interpretato come un sostegno alle liste progressiste che incoraggiano l’allargamento dell’UE nella campagna per le prossime elezioni europee del 9 giugno: liste verso le quali i cattolici praticanti non necessariamente sono simpatizzanti.   «L’Unione è un paradiso visto da altrove, ma la porta verso questo paradiso deve rimanere stretta», osservava nel luglio 2023 un rapporto parlamentare francese che esaminava la politica di allargamento dell’UE. Quanto basta per far riflettere la COMECE, che dovrebbe ricordare che, da cinquant’anni, spesso sono proprio coloro che si definiscono più «europei» a fare più male all’Europa.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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