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Un discorso del 2023 fa luce sulla strana posizione di Leone XIV in difesa della vita

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Mentre tutti gli osservatori a Roma si chiedono chi sia veramente Leone XIV, il vaticanista Sandro Magister ha pubblicato un articolo sul suo sito web Settimo Cielo il 14 ottobre 2025. Questo articolo è apparso originariamente sulla rivista bimestrale dei Padri Dehoniani, Il Regno.

 

Questo articolo è la trascrizione di un discorso pronunciato in spagnolo dal Cardinale Robert Francis Prevost il 14 ottobre 2023 a Chiclayo, in Perù, il giorno in cui ha ricevuto la laurea honoris causa dall’Università Cattolica di Santo Toribio de Mogrovejo. Sandro Magister sottolinea opportunamente che questo discorso, pronunciato due anni prima, contiene affermazioni che Leone XIV ha ripetuto di recente in termini quasi identici.

 

Così, Il 30 settembre scorso il papa – incalzato dai giornalisti come avviene ormai ogni martedì sera quando fa ritorno da Castel Gandolfo a Roma – era stato interpellato sul premio che il cardinale di Chicago Blase Cupich si apprestava a conferire al senatore democratico Dick Durbin, molto impegnato a favore degli immigrati ma anche attivamente «pro-choice» in materia di aborto.

 

«Leone ha risposto che è importante guardare non solo “al lavoro complessivo che un senatore ha svolto”, ma anche “a molte questioni che sono legate all’insegnamento della Chiesa”. E aveva così proseguito : “Chi dice di essere contrario all’aborto ma è favorevole alla pena di morte non è veramente pro-vita. […] Chi dice di essere contrario all’aborto ma è d’accordo con il trattamento disumano riservato agli immigrati negli Stati Uniti, non so se sia pro-vita'”».

 

L’esperto vaticanista traccia un parallelo con il discorso del 2023: «ebbene, sono proprio queste le affermazioni che si ritrovano nel discorso dell’allora cardinale Prevost nell’università di Chiclayo: «un cattolico non può dichiararsi “a favore della vita” solo perché ha una posizione contraria all’aborto, e affermare allo stesso tempo di essere a favore della pena di morte” (…)».

 

«Coloro che difendono il diritto alla vita dei più vulnerabili devono essere altrettanto visibili nel sostenere la qualità della vita dei più deboli tra noi : anziani, bambini, affamati, senzatetto e migranti senza documenti».

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Due pensatori progressisti

Sandro Magister passa poi a esaminare la struttura del discorso [peruviano] nella sua interezza, che è molto istruttiva riguardo alla visione di Papa Leone XIV: «Fin dall’esordio, Prevost dice di “condividere”, riguardo a ‘un’etica coerente della vita’, le riflessioni di due cardinali arcivescovi di Chicago, la sua città natale: Joseph Bernardin (1928 – 1996) e Blase Cupich».

 

L’esperto vaticanista offre alcuni dettagli utili: «di Bernardin, che fu per più di un decennio il faro della corrente progressista dell’episcopato degli Stati Uniti, Prevost ricorda il discorso tenuto nel 1983 alla Fordham University di New York, che “segnò una direzione molto importante nel suo ministero e presentò una nuova maniera” di rispondere, da parte della Chiesa, alle “questioni relative al valore della vita umana”».

 

«La visione che Bernardin esplicitò in quel discorso, a giudizio di Prevost, “traccia un cammino per la realtà ecclesiale che ci può servire anche al giorno d’oggi” e forse “ora come non mai”». Aggiunge: «Tale visione esige una piena “coerenza” nell’etica della vita, di cui è simbolo la “seamless garment“, la tunica senza cuciture, tutta d’un pezzo, che indossava Gesù».

 

«Questo perché l’aborto, la guerra, la povertà, l’eutanasia, la pena capitale condividono un’identità comune: tutti si fondano sulla negazione del diritto alla vita», che invece deve essere tutelato non solo alla nascita ma in tutti i suoi momenti. E a queste ‘potremmo aggiungere altre questioni, come gli effetti dell’intelligenza artificiale, il traffico di esseri umani, i diritti dei migranti».

 

Più avanti, Sandro Magister osserva: «la lezione di Bernardin non tramontò con la sua scomparsa, disse Prevost. E citò come prova un discorso tenuto pochi giorni prima dall’attuale arcivescovo di Chicago, il cardinale Blase Cupich, di nuovo alla Fordham University di New York, in cui “ha sviluppato alcune delle stesse idee” del suo predecessore».

 

«Cupich, insediato a Chicago da papa Francesco nel 2014, è anche lui campione negli Stati Uniti del cattolicesimo di marca “liberal”. Ed è curioso che Prevost, nel suo discorso a Chiclayo, non abbia fatto parola dell’altro cardinale che ha retto l’arcidiocesi di Chicago dopo Bernardin e prima di Cupich, Francis George (1937 – 2015) che invece è stato alla testa della ben più corposa corrente conservatrice, oltre che presidente della conferenza episcopale dal 2007 al 2010».

 

«Alla “seamless garment” di Bernardin, George amava anteporre nell’etica della vita i “principi non negoziabili” di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ma senza rigida intransigenza, come prova il “giudizio prudenziale” con cui egli non escludeva “a priori” dalla comunione eucaristica i politici cattolici pro aborto».

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L’obiettivo di Leone XIV: l’unità attraverso «l’ascolto» e la «comprensione reciproca»

Il vaticanista fa notare: «sta di fatto che Prevost non ha mai fatto parola dei “principi non negoziabili”, né in quel suo discorso a Chiclayo né dopo la sua elezione a papa. Questo perché è suo obiettivo ormai evidente guidare la Chiesa in un cammino il più possibile concorde, fatto di reciproco ascolto e comprensione, che smussi e avvicini le opposte intransigenze».

 

«Nel concludere il suo discorso a Chiclayo, Prevost così descrisse tale cammino: “una delle maggiori sfide che abbiamo davanti è individuare il modo migliore per insegnare e promuovere proprio un modo di pensare che cerca di unire gli sforzi all’interno della Chiesa, della politica e di tutti i settori della società, lavorando in armonia per costruire una società in cui il valore di ogni vita umana sia rispettato e protetto”».

 

«Anche qui con parole molto simili a quelle dette da lui ai giornalisti lo scorso 30 settembre, a Castel Gandolfo: “Sono questioni molto complesse. Non so se qualcuno possieda tutta la verità su di esse, ma chiederei, prima di tutto, che ci sia un maggiore rispetto reciproco e che si cerchi insieme, sia come esseri umani – in quel caso come cittadini americani o cittadini dello Stato dell’Illinois – sia come cattolici, di dire: dobbiamo davvero guardare da vicino a tutte queste questioni etiche e trovare la via da seguire come Chiesa. L’insegnamento della Chiesa su ciascuna di queste questioni è molto chiaro”»

 

Nota: L’insegnamento è chiaro. Chi lo segue è nella verità; non deve chiedersi se possiede personalmente la verità, ma se aderisce oggettivamente alla verità.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine di Catholic Church England and Wales via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)

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Gaza, la Messa di Natale è tornata

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La comunità cattolica di Gaza ha celebrato la sua prima funzione natalizia dall’inizio della guerra tra Hamas e Israele, due anni fa, riunendosi per la celebrazione natalizia nel contesto di un cessate il fuoco che ha interrotto le principali operazioni di combattimento nell’enclave.   La funzione si è svolta presso la chiesa della Sacra Famiglia, l’unica parrocchia cattolica di Gaza, ripetutamente bombardata durante il conflitto mentre fungeva da rifugio per le famiglie sfollate. Le celebrazioni si sono svolte esclusivamente all’interno della chiesa, dove, oltre alle preghiere, è stato decorato un albero di Natale e sono stati intonati canti natalizi.      

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Le forze israeliane hanno colpito più volte con bombardamenti la Chiesa della Sacra Famiglia e altri siti religiosi a Gaza. A luglio, un carro armato israeliano ha esploso un colpo contro il complesso della chiesa, causando la morte di tre persone e il ferimento di altre dieci, incluso il sacerdote locale. Le IDF hanno qualificato l’episodio come accidentale, mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha presentato le sue scuse al papa, parlando di un incidente provocato da «munizioni vaganti».   «Stiamo ancora uscendo dalle conseguenze della guerra», ha dichiarato alla NBC il coordinatore della comunità George Anton, precisando che tutte le consuete attività festive, al di fuori della celebrazione religiosa, sono state annullate.   La comunità cristiana di Gaza si è drasticamente ridotta. I responsabili locali stimano che ne siano rimasti circa 1.000, contro i circa 3.000 del 2007.   Come riportato da Renovatio 21, ad agosto padre Gabriel Romanelli, parroco della parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza ha dichiarato che era «stato emesso un ordine di evacuazione per l’intero quartiere».   La strage della parrocchia di Gaza la scorsa estate provocò la dura reazione dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò.   «A quanti morti, a quanti feriti dovremo ancora assistere, prima che gli Stati Uniti d’America e l’intero Occidente si destino da questo asservimento a uno Stato che replica con maggior ferocia (e dopo esserne stato vittima) gli orrori del totalitarismo nazionalsocialista?» ha scritto il prelato lombardo su Twitter. «Nessun Presidente o primo ministro delle nazioni vassalle di Tel Aviv – in primis gli Stati Uniti d’America – oserà mai fiatare, essendo con ogni probabilità tenuto sotto ricatto dal Mossad e dai suoi emissari».  

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Le lacrime del ghiaccio che si scioglie

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Il 1° ottobre 2025, a Castel Gandolfo, Papa Leone XIV ha partecipato a una curiosa cerimonia su un tema insolito: Promuovere la speranza per la giustizia climatica. Sono stati discussi l’urgenza della «conversione ecologica» e l’obbligo di diventare «crociati per l’ambiente». Al termine, il papa ha benedetto un blocco di ghiaccio che si stava sciogliendo sul posto.

 

È stato rivelato che questo grande blocco di ghiaccio aveva 20.000 anni, che era stato prelevato dal fiordo di Nuup Kangerlua in Groenlandia, dove si stava sciogliendo dopo essersi staccato dalla calotta glaciale. Si stava sciogliendo, quasi come un pianto, perché è un pezzo di Madre Terra il cui grido pietoso dobbiamo ascoltare, come ha chiesto Papa Francesco.

 

Questo blocco gocciolava, il che dimostrava che non era rimasto ghiaccio; languiva, un chiaro segno di sofferenza. Dopo il grido della Terra, le lacrime dell’iceberg della Groenlandia…

 

E ad accompagnare questa commovente cerimonia, c’era la canzone del gruppo Gen Verde, composto da 19 donne provenienti da 14 Paesi: «I’ve Got Hope», che ripeteva (spesso una ripetizione frenetica maschera una mancanza di ispirazione poetica): «Perché ho speranza, speranza. Oh, oh, ho speranza. È una luce che non si spegnerà mai. Ho speranza, speranza. Oh, oh, ho speranza. Non mi arrenderò, non abbandonerò la lotta».

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E allora cosa ci faceva Leone XIV su questo palco, davanti a questo blocco gocciolante? Non ci sono altre priorità, altre questioni urgenti? Dal Concilio, la pratica religiosa si è sciolta come neve al sole, la dottrina si è liquefatta, la moralità si è dissolta… Le famiglie divise e allargate si stanno disintegrando, le vocazioni stanno crollando… E tuttavia benediciamo un grande blocco di ghiaccio!

 

Forse perché simboleggia una Chiesa postconciliare che si sta sciogliendo: dottrina liquida, morale fluida, seminari vuoti…

 

Se Roma ascoltasse meno il «grido della Terra» e più il «grido delle anime», sentiremmo: «Basta con “giustizia climatica”, “conversione ecologica”, “crociati ambientalisti”! Basta con questa meteorologia conciliare che, da 60 anni, pretende di scrutare i “segni dei tempi”, quando in realtà cerca principalmente la direzione del vento per seguirlo obbedientemente! Basta con queste banderuole!»

 

«Chi ha orecchi per intendere, intenda!» (Matteo 11, 15)

 

Don Alain Lorans

FSSPX

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Betlemme, il Natale rinasce timidamente

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Dopo due anni segnati dalla cancellazione delle celebrazioni pubbliche in solidarietà con la popolazione di Gaza, Betlemme torna a festeggiare il Natale alla fine del 2025. Il 6 dicembre 2025, Piazza della Mangiatoia è stata illuminata con l’accensione di un grande albero di Natale, un evento simbolico che segna il ritorno dei festeggiamenti nella città natale del Salvatore.   In Cisgiordania, il Natale 2023 e 2024 difficilmente saranno dimenticati: il comune di Betlemme ha scelto di annullare decorazioni pubbliche, concerti e sfilate tradizionali per esprimere il proprio dolore per la guerra iniziata dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e per la risposta israeliana a Gaza.   Bisogna dire che non c’era molto da festeggiare: si ritiene che più di 70.000 palestinesi abbiano perso la vita e l’economia locale sia crollata. La disoccupazione a Betlemme è salita dal 14% al 65%, le attività commerciali hanno chiuso e migliaia di residenti sono emigrati in cerca di lavoro. «Non avevamo voglia di festeggiare», ha spiegato all’epoca il comune, a maggioranza musulmana ma dipendente all’80% dal turismo cristiano.   Quest’anno, la fragile tregua osservata a Gaza e una lieve ripresa del turismo hanno permesso una ripresa misurata delle celebrazioni. Il sindaco della città natale di Cristo, Maher Nicola Canawati, ha sottolineato l’importanza di questo gesto: «vogliamo inviare un messaggio al mondo: i palestinesi amano la vita e aspirano a una soluzione pacifica».

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Durante l’accensione dell’albero di Natale, centinaia di persone, per lo più famiglie locali, si sono radunate, circondate da una massiccia presenza della polizia. Musica araba e canti natalizi hanno riempito di nuovo l’aria. Eppure, l’atmosfera è rimasta lontana dall’entusiasmo prebellico: pochi turisti stranieri, decorazioni più sobrie e una gioia contenuta.   Gli albergatori, tuttavia, stanno assistendo a una timida ripresa. Nel novembre 2025, le visite turistiche hanno raggiunto il livello più alto dall’inizio del conflitto e le prenotazioni alberghiere per Natale si stanno avvicinando al 70% di occupazione. John Juka, proprietario di un ristorante a conduzione familiare riaperto ad agosto, afferma: «non è ancora come prima della guerra, ma la vita sta tornando alla normalità. Le persone finalmente respirano di nuovo».   Menziona il ritorno dei turisti, che si sentono più sicuri grazie al cessate il fuoco. Per molti, queste celebrazioni rappresentano un «profondo sospiro di sollievo» dopo mesi di incertezza economica e restrizioni di viaggio.   Ma la realtà del conflitto rimane onnipresente. I frequenti posti di blocco presidiati dai soldati dell’IDF trasformano un viaggio da Ramallah a Betlemme – meno di 30 chilometri – in un’odissea di diverse ore. Secondo le Nazioni Unite, la violenza dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania ha raggiunto un livello record dal 2006. Issa Montas, un residente di 29 anni, esprime una frustrazione condivisa: «Le tensioni gettano un’ombra su tutto. Nessuno sembra avere il controllo della situazione».   La Messa di mezzanotte del 24 dicembre presso la Basilica della Natività sarà trasmessa in Piazza della Mangiatoia e sono attesi pellegrini, seppur in numero inferiore. Si prevede che le tradizionali sfilate degli scout palestinesi nelle loro colorate uniformi animeranno le strade nei prossimi giorni.   Il Patriarca latino di Gerusalemme, da parte sua, invita a pregare per una pace duratura, ricordando che Betlemme, luogo di nascita del «Principe della pace», deve incarnare più che mai questo messaggio.   In un contesto in cui la guerra ha segnato profondamente le menti, queste luci di Natale ci ricordano che anche nell’oscurità la speranza può rinascere.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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Immagine di Fjmustak via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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