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«Squilibrati mentali», «mondani settari» col «fascino per l’occulto»: nuova caterva di accuse ed insulti di Bergoglio contro i fedeli della Messa antica

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Nuova carica di insulti di Bergoglio contro i cattolici rimasti fedeli alla Santa Messa in tridentina, cioè la cosiddetta «Messa in latino», cioè la Messa di sempre – cioè l’unico vero rito della Chiesa cattolica nei secoli.

Il Bergoglio si è scagliato contro i devoti della Santa Messa essa tradizionale, accusandoli di praticare «indietrismo», «mondanità settaria» e perfino «fascino per l’occulto», nel suo recente, ennesimo libro di memorie, Spera, pubblicato ieri, con in copertina un primo piano orridamente photoshoppato del personaggio. Scritto in collaborazione con il giornalista italiano Carlo Musso nell’arco di diversi anni, il libro era originariamente previsto che venisse pubblicato solo post-mortem, ma il Francesco ha deciso di pubblicarlo durante questo Anno Giubilare della Speranza.

 

Le accuse e le offese ai fedeli e sacerdoti tradizionalisti appaiono, per una volta, pure molto argomentate, con allusioni ad esempi specifici e illazioni davvero inquietanti.

 

«È sociologicamente interessante il fenomeno del tradizionalismo, questo “indietrismo” che in ogni secolo regolarmente ritorna, questo riferimento a una presunta età perfetta che è però ogni volta un’altra», scrive Bergoglio, facendo capire, dai termini usati, di ritenere la fedeltà alla Santa Messa vetus ordo come un’aberrazione, un «fenomeno sociologico», una deviazione da guardare con curiosità, più che con rispetto – come si trattasse, sembra dire, di qualcosa di transeunte.

 

Per Bergoglio, comprendiamo, la Messa di sempre è un fenomeno transitorio, che prima o poi sarà chiuso per sempre, una difformità che sarà cancellata.

 

«Ora è stato sancito che la possibilità di celebrare secondo il messale preconciliare, in latino, debba essere espressamente autorizzata dal Dicastero per il culto, che la concederà solo in casi particolari», ha affermato Francesco, facendo pensare ad un riferimento Traditionis Custodes del 2021, il documento con cui di fatto seppelliva una volta per tutte le aperture alla Messa tradizionale operate da Benedetto XVI con il motu proprio Summorum Pontificum.

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«Perché non è sano che la liturgia si faccia ideologia» scrive ancora l’occupante del Soglio, che così tenta di spiegare il motivo per cui sono state introdotte restrizioni così radicali alla liturgia antica. Come un rito millenario sia per il gesuita «un’ideologia» non è subito chiaro a chi non conosce (o non riconosce) il processo in atto di demolizione della Chiesa dal suo interno, come prefigurato e programmato già a inizio Ottocento da grandi capi massonici come Nubius (cfr. il libro Il problema dell’ora presente di monsignor Delassus).

 

L’argentino ne ha ancora: «è curioso questo fascino per ciò che non si comprende, che appare un po’ occulto, e che a volte sembra interessare anche le generazioni più giovani».

 

La parola usata nel testo italiano è proprio questa: «occulto». Capiamo bene come può suonare: l’accusa di occultismo, per chiunque ami la Messa antica, è dietro l’angolo. Tale condanna viene, ricordiamo, dal papa che ha presenziato a rituali occultistico-pagani, come quelli che lo hanno visto coinvolto in mondovisione in Canada, che ha dato il via alla messa maya (che discende da un mondo fatto di dei crudeli e di sacrifici umani), che ha intronato la Pachamama in Vaticano.

 

Il vegliardo di Buenos Aires ha quindi usato un vecchio argomento contro i devoti della «Messa in Latino», dicendo che essi sarebbero interessati esclusivamente all’aspetto esteriore piuttosto che al contenuto della liturgia o alla pratica della devozione: «spesso questa rigidità si accompagna alle sartorie ricercate e costose, ai pizzi, ai merletti, ai rocchetti. Non gusto della tradizione, ma ostentazione di clericalismo, che poi altro non è che la versione ecclesiale dell’individualismo. Non ritorno al sacro, tutt’altro, ma mondanità settaria». È un peccato che il papa che pronunzia la parola «frociaggine» non riesca a mettere in relazione la passione che per pizzi e merletti che alligna tra i catto-sodomisti, che, come abbiamo scritto, si sospetta abbondino assai tra gli altissimi collaboratori del Sacro Palazzo.

 

«Mondano settario» è allora un nuovo insulto che si aggiunge alla lista, già lunghissima, prodotta da Bergoglio contro i fedeli cattolici, magari solo per la loro attenzione per i paramenti, o per l’amore per il canto gregoriano.

 

Apparentemente non pago dell’attacco brutale a molti membri della Chiesa, tra cui vari giovani laici e consacrati, il Francesco ha rincarato la dose, suggerendo che la devozione alla Messa tridentina rivelerebbe la possibilità di uno «squilibrio mentale», nientemeno. «A volte questi travestimenti celano squilibri, deviazioni affettive, difficoltà comportamentali, un disagio personale che può venire strumentalizzato» scrive l’uomo le cui sfuriate sono talvolta finite sui giornali.

 

Poi il Bergoglio procede a specificare vicende particolari.

 

«Su questo problema nei miei anni di pontificato sono dovuto intervenire in quattro casi, tre in Italia e uno in Paraguay: diocesi che accettavano seminaristi spesso già allontanati da altri seminari, e quando questo succede di solito c’è qualcosa che non va, qualcosa che porta a celare la propria personalità in contesti chiusi o settari».

 

«Quando questo accade, di solito c’è qualcosa che non va, qualcosa che porta le persone a nascondere la propria personalità in ambienti chiusi o settari».

 

Il gesuita quindi avanza con la descrizione di un caso di ostruzione, se non di «punizione» di giovani sacerdoti che volevano celebrare vetus ordo.

 

«Un cardinale statunitense mi ha raccontato che un giorno si sono presentati da lui due sacerdoti appena ordinati, per chiedere l’autorizzazione a celebrare la Messa in latino. “Voi conoscete il latino?” ha chiesto quel cardinale. “No, ma lo studieremo” han risposto i due giovani preti. «Allora fate così» ha detto il cardinale. «Prima di imparare il latino, osservate la vostra diocesi e guardate quanti migranti vietnamiti ci sono: studiate il vietnamita, allora, in primo luogo. Ma quando avrete imparato il vietnamita, considerate anche la moltitudine di parrocchiani di lingua ispanica e capirete che imparare lo spagnolo vi sarà molto utile per il vostro servizio. Dopo il vietnamita e lo spagnolo tornate pure da me, e parleremo del latino…”».

 

L’insolenza intollerabile di Bergoglio (e del suo cardinale americano, che potrebbe essere stato nella pattuglia dei suoi elettori al conclave 2013, e che ora potrebbe essere stato vagliato dal papa a seconda della sua fedeltà al diktat LGBT) nasconde non solo rabbia e ignoranza – è davvero necessario sapere a perfezione il latino per celebrare la Santa Messa? – ma un pensiero molto preciso in termini politici e geopolitici: l’immigrazionismo oltranzista e non assimilante.

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Cioè: Bergoglio preme perché gli immigrati tengano la loro lingua, non che imparino quella del Paese ospite. Si tratta di una particolare attitudine che, lungi dall’essere casuale, è codificata in alcune situazione dell’accoglienza cattolica, dove si predica, distorcendo certo pensiero missiologico come quello di monsignor Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905), che conservando la lingua di origine l’immigrato conserva la sua religione – solo che nelle recenti ondate migratorie la religione da preservare non è quasi mai quella cattolica, ma musulmana, animista, etc.

 

Riassumiamo la nuova perla pontificia: ci sono gli immigrati, quindi Messa in latino. Al massimo, pare voler dire, messa in vietnamita, arabo, swahili, bengalese, cingalese, pidgin nigeriano. Venga Babele, ma crepi il latino della Santa Messa.

 

L’avversione di Bergoglio verso la Messa tradizionale è, come può vedere il lettore, invincibile, ammantate con le solite parole vuote che conosciamo della chiesa conciliare, con i suoi idoli sociologici da quattro soldi.

 

«La liturgia non può essere rito fine a se stesso, avulso dalla pastorale» conclude il Giorgio Mario. «Né esercizio di uno spiritualismo astratto, avvolto in un fumoso senso del mistero. La liturgia è incontro, ed è ripartenza verso gli altri».

 

Quindi arriva un atto di fede pontificale nel Progressismo.

 

«I cristiani non sono quelli che tornano indietro. Il flusso della storia e della grazia va dal basso verso l’alto come la linfa di un albero che dà frutto. Senza questo flusso ci si mummifica e andando indietro non si conserva la vita, mai. Se non procede, se non si muove, la vita, quella vegetale, quella animale, quella umana, muore. Camminare vuol dire cambiare, affrontare scenari nuovi, accettare sfide nuove».

 

Si tratta di una chiarissima professione di fede non nell’Essere, ma nel divenire, di sapore perfino panpsichista – la vita, prima che umana, è vegetale e animale, e si evolve. Di qui a Carlo Darwin, capite che si mette un secondo, e il tizio non avrebbe problemi a ripeterlo.

 

Quindi, un bizzarro riferimento all’arte, con piena giustificazione delle distorsioni dell’arte moderna: «la comprensione dell’uomo muta col tempo, e anche il modo di percepire ed esprimere se stesso muta: una cosa è l’umanità che si esprime scolpendo la Nike di Samotracia, un’altra quella del Caravaggio, un’altra ancora quella di Chagall e poi di Dalí. E così anche la coscienza degli uomini si approfondisce».

 

Per Bergoglio l’arte è essenzialmente quello che dicono gli odierni libri di storia e i galleristi con le case d’aste. Non gli viene in mente neanche per un secondo che Caravaggio, per motivi artistici ed extra-artistici, mai potrà stare sullo stesso piano del disegnatore di gatti e violini Chagall. Seduto sopra il più immenso deposito di beni artistici generati nei secoli, non gli viene in mente che l’arte ora è degenerata – perché incapace, forse, di discernere la cifra spirituale dell’opera artistica.

 

Quindi, la stoccata ulteriore alla tradizione, a cui va sostituito puntualmente il progresso.

 

«La tradizione è andare avanti. La Chiesa non può essere la congrega “dei bei tempi andati”, che, come ci rammenta un pensatore francese, Michel Serres, sono certamente andati e non erano necessariamente così belli in ogni loro aspetto. La nostra responsabilità è camminare il nostro tempo, continuare a crescere nell’arte di coglierne le esigenze e di provvedervi con la creatività dello Spirito, che sempre è discernimento in azione».

 

Impossibile, quindi, che l’argentino non suggellasse l’uccisione del cattolicesimo tradizionale con la citazione del Concilio Vaticano II, verità rivelata ma, attenzione, non ancora del tutto: altro probabilmente deve ancora saltare fuori, molto deve essere ricavato, in attesa del prossimo Concilio, che arriva a nominare.

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«Per molti versi, si può affermare che l’ultimo Concilio ecumenico non è stato ancora interamente compreso, vissuto e applicato. Siamo in cammino, e dobbiamo recuperare strada. Quando qualcuno mi chiede se i tempi sono maturi per un nuovo Concilio, un Vaticano III, rispondo che non solo non lo sono, ma ancora dobbiamo compiutamente attuare il Vaticano II. E pure spazzare via ancora più a fondo la cultura di corte, in Curia e ovunque. La Chiesa non è una corte, non è luogo per cordate, favoritismi, manovre, non è l’ultima corte europea di una monarchia assoluta. Con il Vaticano II, la Chiesa è segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano».

 

Il Concilio è divinizzato e umanizzato al contempo: atto metafisico che mette insieme l’intera umanità – in sostituzione, forse, del sacrificio di Cristo?

 

Tuttavia, è improbabile che i suoi commenti suscitino particolare gioia o speranza tra il numero in costante crescita – e in gran parte giovane – di cattolici devoti alla messa latina per la sua sostanza.

 

C’è, chiaramente, da vergognarsi di aver letto cose del genere dalla penna di un papa, o dei suoi ghost writer. In verità, dovrebbe vergognarsi proprio lui, e i fedeli dovrebbero chiedergli di farlo, assieme alla richiesta di pentimento e di conversione.

 

Con ogni evidenza, il Bergoglio odia la tradizione, quindi odia la Chiesa stessa, fondata da Cristo e tramandata – Tradidi quod et accepi – al costo del sangue dei martiri nel corso di millenni.

 

Nonostante tutto, non usciamo scorati dalla lettura di queste parole. Perché, anzi, la chiarezza dell’avversione papale per la vera Chiesa, la vera Messa, il vero Dio, la Verità è sempre più slatentizzata, messa nera su bianco. Di questo, siate grati a Bergoglio.

 

Non sappiamo spiegare perché, ma in noi alberga negli ultimi tempi una certa speranza: questo papato malvagio sta per finire. E non credendo nella tradizione – cioè, nella continuazione in custodia del Vero – nemmeno i cardinali perversi che occuperanno il prossimo Conclave potranno fermare il processo di rigenerazione della Chiesa che si prepara, quello sì, dalle radici celesti sino alle foglie terrestri.

 

Stai a vedere, Bergoglio. Gli «squilibrati» hanno appena iniziato a riportare l’equilibrio.

 

Roberto Dal Bosco

 

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Immagine generata artificialmente e rilavorata.

 

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Papa Leone denuncia «l’antisemitismo» in una telefonata con il presidente israeliano dopo il massacro di ebrei in Australia

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Papa Leone XIV ha condannato l’antisemitismo nel corso di una telefonata con il presidente israeliano Isaac Herzog, in seguito all’attentato di Sydney.   Il 15 dicembre 2025, Papa Leone ha ricevuto in Vaticano una chiamata dal presidente di Israele, Isaac Herzog, in vista delle prossime festività natalizie e della celebrazione ebraica di Hanukkah. Durante il colloquio, il Pontefice ha affrontato il tema dell’antisemitismo alla luce dell’attacco terroristico avvenuto domenica a Bondi Beach, a Sydney.   «Durante il colloquio, alla luce del recente attentato terroristico a Sydney, il Santo Padre ha ribadito la ferma condanna della Chiesa Cattolica verso ogni forma di antisemitismo, che in tutto il mondo continua a seminare paura nelle comunità ebraiche e nell’intera società», riporta il comunicato emesso dalla Sala Stampa della Santa Sede.   Secondo quanto riferito dal Vaticano, la conversazione telefonica si è svolta in un’atmosfera cordiale. Papa Leone XIV ha incoraggiato la continuazione dei processi di pace in corso in Medio Oriente e ha sottolineato la necessità di intensificare e perseverare negli sforzi umanitari, specialmente considerando la situazione nella Striscia di Gaza, dove, a seguito del conflitto, persistono gravi problemi legati alla fame, al freddo e alle condizioni meteorologiche avverse.

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La telefonata segue le dichiarazioni pubbliche già espresse dal Pontefice immediatamente dopo l’attentato di Sydney. Durante l’udienza di lunedì 15 dicembre, il Papa ha manifestato vicinanza alla comunità ebraica e dolore per le vittime e i feriti, affermando: «Basta con queste forme di violenza antisemita! Dobbiamo eliminare l’odio dai nostri cuori».   Lo stesso giorno, in un telegramma inviato all’arcivescovo di Sydney, Anthony Fisher, il Papa ha definito l’attacco un «atto di violenza insensato» e ha invitato coloro che sono tentati dalla violenza a «convertirsi e cercare la via della pace e della solidarietà».   Rapporti diretti tra Papa Leone XIV e il presidente Isaacco Herzog erano già stati instaurati nei mesi precedenti. Il 4 settembre, Herzog è stato ricevuto in udienza privata dal Papa: un incontro che, secondo le parole dello stesso presidente israeliano al termine della visita, ha costituito «un segnale molto importante» del valore delle relazioni tra la Santa Sede, lo Stato di Israele e il popolo ebraico.   Nel corso dei colloqui con il papa, il Segretario di Stato vaticano e il Segretario per i Rapporti con gli Stati, Herzog ha riferito di aver prioritariamente discusso la necessità di liberare gli ostaggi ancora trattenuti a Gaza dopo gli attacchi del 7 ottobre.   Le discussioni hanno riguardato anche gli aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza, gli sforzi israeliani per favorirne la distribuzione, la lotta comune contro l’antisemitismo, gli sviluppi generali in Medio Oriente e l’esigenza di un dialogo interreligioso più profondo.   Durante l’incontro, il presidente israeliano ha infine evidenziato l’importanza delle comunità cristiane in Israele e nella regione, ha ribadito l’impegno dello Stato ebraico a garantire la libertà di religione e di culto e la protezione delle comunità cristiane in Terra Santa, e ha rivolto un invito ufficiale al Pontefice a visitare Israele.  

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Immagine di Catholic Church England and Wales via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)
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Diocesi di Roma, Leone XIV riforma una decisione di Francesco

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Con un motu proprio firmato l’11 novembre 2025 e pubblicato poco dopo su L’Osservatore Romano, il Papa ha deciso di ripristinare l’unità del Settore Centro della Diocesi di Roma, annullando una controversa decisione presa sotto il suo predecessore, Papa Francesco.

 

Questo dovrebbe essere visto come la «fine dell’isteria» del controverso vice-governatore della Diocesi di Roma? Quel che è certo è che mons. Renato Tarantelli, prelato che deve molto al precedente pontificato, non deve essere stato molto soddisfatto del motu proprio Immota manet, firmato dal Romano Pontefice l’11 novembre, che ripristina l’unità del Settore Centrale della Diocesi di Roma.

 

Questo settore, composto dalle cinque prefetture numerate da I a V, era stato smantellato nell’ottobre 2024 dal pontefice argentino con un decreto intitolato La vera bellezza: una riforma presentata come «sinodale» ma criticata per la mancanza di consultazione. Secondo il sito web Silere Non Possumus, questa decisione si basava sulle idee di mons. Tarantelli, ex avvocato divenuto vescovo, accusato di aver influenzato Papa Francesco con una visione «ideologica» e «burocratica».

 

La vera bellezza, ricca di riferimenti alla misericordia, alla bellezza e persino alla letteratura russa, fu percepita dal clero romano come un esercizio stilistico slegato dalla realtà pastorale. Diluiva le cinque prefetture secondo i quattro punti cardinali, con il pretesto di rompere l’isolamento del centro storico di Roma. La realtà era meno in linea con la teoria: confusione amministrativa, catene di comando opache e difficoltà quotidiane per sacerdoti e fedeli.

 

Era urgente per il nuovo pontefice romano tornare alla realtà: «Stabilisco e decreto che le cinque Prefetture, dalla Prima alla Quinta, tornino a far parte di un unico settore, il Centro, che viene così nuovamente aggiunto agli altri quattro settori della Diocesi di Roma», ha scritto Leone XIV nel suo motu proprio, entrato immediatamente in vigore e registrato negli Acta Apostolicae Sedis. Questo provvedimento è stato accolto con un sospiro di sollievo dai sacerdoti della Città Eterna, secondo la stampa romana.

 

In breve, queste iniziative di Leone XIV mirano a stabilizzare la Chiesa post-Giubileo, unificando le strutture locali e centrali per una missione più efficace. Di fronte ai limiti imposti dalla tradizione, come nota Yahoo News, egli sta seguendo le orme di Francesco, correggendo gli eccessi e costruendo sul fondamento cristiano. Il tempo dirà se questa centralizzazione rafforzerà l’unità o creerà nuove tensioni, ma per ora Roma respira un’aria di rinnovamento amministrativo.

 

Immota manet fa parte di una serie di riforme amministrative più ampie intraprese dal nuovo papa per consolidare la governance vaticana e portare maggiore trasparenza, in particolare in ambito finanziario.

 

Questo dovrebbe essere visto come un tentativo di frenare le riforme sregolate avviate sotto il precedente pontificato?

 

In ogni caso, i primi sei mesi del pontificato di Leone XIV non hanno rassicurato i progressisti, che prevedono un freno alla sinodalità e all’inclusività a loro care. Né hanno confortato i fedeli legati alla Chiesa e alla sua Tradizione, che a volte si sentono esiliati nel proprio Paese.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine: San Giovanni Laterano, interni.

Immagine di Antoine Taveneaux via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

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Gender

Papa Leone nomina il vescovo che ha celebrato la «Messa LGBT» con una drag queen

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Papa Leone XIV ha nominato un vescovo ausiliare di San Diego che ha celebrato una messa dell’orgoglio LGBT con la scritta «Tutti sono benvenuti» – durante la quale è stato permesso di parlare a un’attivista drag queen – come nuovo vescovo di Monterey, in California. Lo riporta LifeSite.   Il vescovo Ramon Bejarano ha celebrato la messa domenicale del 13 luglio, organizzata dal «Ministero LGBTQ» della parrocchia di St. John e con il pieno appoggio della diocesi di San Diego, guidata dal vescovo Michael Pham, una delle prime nomine episcopali di Papa Leone XIV.   «Mi scuso per il dolore e l’angoscia che io e la Chiesa abbiamo causato a molti di voi», avrebbe detto monsignor Bejarano in un sermone del 2024, durante la Messa di «Tutti benvenuti», nella stessa parrocchia. «Mi scuso per la stigmatizzazione e il trauma che abbiamo causato ad altri, perché abbiamo detto loro che non sono apprezzati e che non sono degni dell’amore di Dio. Ci sono molti altri là fuori che si sentono rifiutati e svalutati».   Il caso era già stato illustrato da Renovatio 21 lo scorso luglio.

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La parrocchia di St. John è anche nota per aver celebrato numerose Messe del «pride» nel corso degli anni, come quella del 2017 per commemorare il 20° anniversario del documento «Always Our Children» della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti del 1997, che sottolineava l’«importanza» che i genitori accettassero l’attrazione per lo stesso sesso nei loro figli. Anche Murray-Ramirez ha partecipato alla Messa del 2017.   Il Bejarano è stato anche tra i 68 vescovi americani che nel 2021 hanno firmato una lettera chiedendo alla Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti (USCCB) di porre fine alle discussioni sul divieto di ricevere la Santa Comunione all’allora presidente Joe Biden e ad altri politici cattolici pro-aborto.   La drag queen «Nicole» Murray-Ramirez , ex membro del consiglio direttivo del potente colosso della lobby LGBTQ+ Human Rights Campaign, ha ringraziato il vescovo Bejarano per il suo lavoro di «difesa» della «comunità LGBTQ».   Murray-Ramirez ha scritto ampiamente in un post su Facebook quanto sia stato un onore per lui parlare durante la messa e ha elogiato Bejarano.   «Il sermone del vescovo è stato molto potente e si è concentrato sul fatto che Dio ama TUTTI noi così come siamo», ha scritto Murray-Ramirez.   In base al racconto di Murray-Ramirez, sembra che Bejarano abbia omesso qualsiasi riferimento all’insegnamento della Chiesa sul «matrimonio» tra persone dello stesso sesso.   «Ho avuto l’onore di essere invitato a parlare ed è stato meraviglioso vedere e sentire la meritata e fragorosa ovazione che ha ricevuto il vescovo Bajarano quando l’ho sinceramente ringraziato a nome di tutti noi per aver difeso non solo la COMUNITÀ LGBTQ ma anche gli immigrati clandestini e i rifugiati», ha continuato Murray-Ramirez.   Le foto pubblicate da Murray-Ramirez durante la messa su Facebook mostrano la «drag queen» in posa per una foto e benedetta da Bejarano. Alla messa pro-LGBT ha partecipato anche il sindaco di San Diego, Todd Gloria, apertamente omosessuale e nominalmente cattolico, che ha posato per una foto con il vescovo.  

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Immagine screenshot da YouTube
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