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Politica

Robert Kennedy candidato presidente USA contro il colpo di Stato globale

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Robert Francis Kennedy ha depositato la documentazione per candidarsi alla Presidenza degli Stati Uniti nel 2024. Lo ha annunciato il diretto interessato, il 5 aprile, cui è seguita un’intervista molto interessante su The Epoch Times.

 

Dopo suo zio, John Fitzgerald Kennedy, che fu uno dei più celebri Presidenti degli Stati Uniti della storia, assassinato 60 anni fa a Dallas, in un attentato che è ancora oggi un mistero pressoché insolubile, e dopo suo padre, Robert Kennedy, detto Bob, Ministro della Giustizia che mise fine alla vergogna della segregazione razziale verso i neri che vigeva ancora dopo un secolo dalla fine della Guerra di Secessione, e anch’egli assassinato nel 1968 mentre aveva iniziato la campagna elettorale per la presidenza, un altro Kennedy tenta di arrivare al vertice della superpotenza americana, ed è la sfida più difficile.

 

Suo padre e suo zio, infatti avevano avuto l’appoggio del Partito Democratico di cui erano esponenti di rilievo, anche se a causa della loro fede cattolica – erano di origine irlandese – avevano incontrato parecchi ostacoli da parte dell’America bigotta e protestante. Ora Robert Junior, che non è un esponente politico, ma un avvocato e il Presidente di una associazione chiamata Children’s Health Defense (Difesa della salute dei bambini) va a sfidare in primo luogo lo stesso presidente democratico Biden, e l’intero Establishment politico.

 

I media italiani lo presentano da tempo come una sorta di guru dei no-vax, un negazionista, un complottista, alla guida di gruppi di estrema destra. Robert Kennedy, sfogliando la stampa, viene descritto come uno di quelli che credono che coi vaccini vengano inoculati dei microchip, e si è pure insinuato che sia antisemita. Insomma: una vera valanga di fango.

 

Perché Kennedy ha deciso di affrontare questa sfida, con tutti i pericoli che comporta? Quest’uomo è cresciuto avendo negli occhi le immagini di suo padre riverso in una pozza di sangue, suo zio colpito a morte a Dallas sulla sua auto scoperta. E ora è certamente consapevole che corre gli stessi rischi, andando a sfidare il Deep State in uno dei momenti più drammatici della storia recente, con l’ombra della guerra nucleare che il suo Paese potrebbe scatenare, e l’ombra lunga delle non meno pericolose minacce pandemiche.

 

Nella dichiarazione con cui ha annunciato la sua candidatura, Kennedy ha esordito con un attacco alla politica del suo Paese: «e mentre i democratici combattono contro i repubblicani, le élite stanno spaccando la nostra classe media, avvelenando i nostri figli e mercificando i nostri paesaggi».

 

«Robert F. Kennedy, Jr. – si legge sulla pagina della sua campagna – ha lottato contro l’avidità delle aziende e la corruzione del governo per proteggere i nostri figli, la nostra salute, i nostri mezzi di sussistenza, il nostro ambiente e, soprattutto, la nostra libertà».

 

Si legge inoltre che «con integrità, coraggio e abnegazione, ha guidato gli americani in una lotta nobilitante per ripristinare il nostro Paese come nazione esemplare e per porre fine alla polarizzazione tossica che ci divide e arricchisce le élite».

 

Pur essendo un democratico, Kennedy è noto per la sua opposizione a molte politiche dell’attuale amministrazione, in particolare a quelle relative al COVID-19. Ha fondato l’associazione Children Health Defense, organizzazione no-profit dedicata alla risoluzione delle «condizioni di salute croniche causate da esposizioni ambientali», e ha parlato dei danni associati ai vaccini COVID.

 

Quelli che sono gli intenti della sua candidatura li aveva già anticipati da tempo. Resta memorabile in chi lo ascoltò nel novembre del 2021 all’Arco della Pace di Milano quello che disse sulla Pandemia, una narrazione decisamente controcorrente.

 

Kennedy affermò che in soli venti mesi, in America e in tutto il mondo, era stato realizzato un colpo di Stato globale, che aveva tolto alle persone tutti i diritti, dalla proprietà privata al diritto di lavorare, non un solo diritto e non solo in America. Un colpo di stato globale con cui erano stati tolti diritti che non saranno più ridati, se noi non li pretenderemo.

 

Kennedy spiegò che lo strumento chiave per imporre il colpo di Stato era il lasciapassare di regime. «A cosa serve realmente il green pass? È il mezzo utilizzato per togliere i diritti. Non è una misura sanitaria, è un mezzo di controllo totalitario dei movimenti, delle transazioni finanziarie, è uno strumento di sorveglianza. È la stessa idea che fu utilizzata in Germania nel 1937 per controllare le persone, e in seguito in Sud Africa ai tempi dell’Apartheid per controllare la popolazione nera. Se il green pass è uno strumento sanitario, perché non viene emesso dal ministero della Sanità? Viene infatti emesso dal ministero delle Finanze. Questo è il modo per controllare le vite delle persone. Quando avete questo green pass ogni aspetto della vostra vita è controllato… E così usano questo Green Pass e dicono che serve per assicurarsi che tutti si facciano il vaccino. Dicono che ferma il contagio, ma così non è, dicono che ferma la pandemia, ma così non è. A cosa serve quindi vaccinarci tutti, se non funziona?».

 

Kennedy ha poi rivelato alcuni scenari impressionanti: «Quanti di voi conoscono l’Evento 201?» chiese alla folla milanese. «Se non ne avete mai sentito parlare dovete vederlo su YouTube». Si tratta di una simulazione di una pandemia da Coronavirus tenuta a New York nel 2019, poco prima che da Wuhan iniziasse la pandemia. Gli organizzatori dell’evento furono tre personaggi molto famosi: Bill Gates, George Gale, e Avril Haines, ex deputy director della CIA.

 

Sentire pronunciare la parola CIA da un Kennedy fa decisamente un certo effetto. Ma perché la CIA è stata la protagonista di un evento di sanità pubblica? Quello che è certo è che Avril Haines è diventata un anno dopo, con Biden, la dirigente della National Security Agency.

 

Kennedy ha dunque ricordato che la CIA non è un’agenzia che si occupa di sanità pubblica: “«la CIA si occupa di colpi di stato. Dal 1947 al 2000 la CIA è stata coinvolta in 73 colpi di stato in diversi Paesi in tutto il mondo. In tutti questi colpi di Stato non si è mai parlato di salute pubblica, misure preventive riguardo alle malattie, e di come potesse essere evitata tramite alimenti e uno stile di vita sano».

 

La verità, ha detto Kennedy, è che si è voluto utilizzare la pandemia come pretesto per esercitare un totalitarismo e ridurre drasticamente i diritti democratici: «nell’ ottobre 2019 nel corso dell’Evento 201 si sperimentarono i lockdown, e le strategie per togliere i diritti alle persone. Kennedy ha detto di aver studiato accuratamente “201”, scoprendo che non era un singolo evento, ma che ne furono molti altri. I registi erano Anthony Fauci, Bill Gates e alti dirigenti della CIA. La CIA scriveva il copione e loro lo mettevano in atto».

 

Sul ruolo della CIA il candidato presidente è tornato a parlare nei giorni scorsi. Secondo Kennedy, la Central Intelligence Agency (CIA) è diventata «un governo all’interno del nostro governo» e un «tumore» per il sistema americano, e ha proposto di sistemare l’agenzia implementando un organo di controllo separato su di essa.

 

Egli sostiene che l’agenzia di intelligence ha usato tecniche di «controllo mentale» come la «deprivazione sensoriale, le tecniche di tortura, la paura e la propaganda, [e] i messaggi autoritari per influenzare le persone in tutto il mondo».

 

Egli ha affermato che la CIA è stata coinvolta in colpi di Stato o tentativi di colpo di Stato contro un terzo delle nazioni della Terra. «La maggior parte di esse erano democrazie». Ha suggerito che un modo per riformare l’agenzia sarebbe quello di implementare un organo di supervisione: «mio padre voleva sistemare la CIA. Quando si è candidato, la sua intenzione era quella di riportare la CIA a quello che doveva essere, cioè un’agenzia di spionaggio, che significa raccogliere informazioni, fare analisi e fornire quelle informazioni all’esecutivo».

 

Hanno sperimentato più volte come usare la pandemia per imporre controlli totalitari che cancellassero principi democratici in tutto il pianeta. E non basta: per Kennedy tutto ciò era cominciato molti anni prima, addirittura nel 1967 – un anno prima che assassinassero suo padre – quando venne svolto un esperimento sociale in cui emerse che se un’autorità sanitaria diceva di fare qualcosa che violasse il volere di un individuo, il 67% delle persone si sarebbero rese disponibili ad andare oltre e accettare quello che gli veniva detto di fare.

 

Il 67% delle persone impaurito va come sotto ipnosi e obbedisce a ciò che l’autorità gli impone, mentre il 33%. La nostra missione oggi, secondo Kennedy, è di cercare di andare da quel 67% e dire loro che combatteremo anche per la loro libertà, finché anche loro non saranno in grado di combattere da sé. «Dir loro che devono imparare ad amare la loro libertà più della loro paura dei germi».

 

Nella sua intervista con American Thought Leaders, Kennedy ha detto che l’America non è più una democrazia e che le sue elezioni sono controllate da ricchi donatori. «È più un’oligarchia o una plutocrazia che risponde solo alle esigenze dei ricchi e delle aziende, che pagano i costi elettorali delle lobby dei politici, che poi diventano i loro servi a Capitol Hill».

 

Se il denaro non viene tolto dalle elezioni, ha detto Kennedy, l’America è una «corporazione». Quando ricorda la sua infanzia dice: «sapevamo che ciò che vedevamo ogni giorno faceva parte della storia del nostro Paese. I miei genitori ci parlavano ogni giorno di storia, letteratura e valori».

 

È molto probabile che gli scenari descritti da Kennedy verranno ulteriormente a tradursi in strategie di politiche economiche, sanitarie e militari, che avrà come conseguenza uno stato di guerra permanente, uno sconvolgimento della vita di milioni di persone, costrette a vivere con sempre minori libertà, in un clima di terrore e insicurezza che deve continuare.

 

La sfida di Kennedy è di fermare dal suo interno il Male americano.

 

 

Paolo Gulisano

 

 

 

Articolo previamente apparso su Ricognizioni.

 

 

 

Immagine Pixabay

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Politica

Sarkozy sarà messo in cella di isolamento

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L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy, riconosciuto colpevole di associazione a delinquere per ottenere fondi illeciti per la sua campagna elettorale del 2007, sconterà la pena in isolamento, secondo quanto riportato dall’AFP.

 

Il 25 settembre, un tribunale parigino ha condannato Sarkozy, 70 anni, a cinque anni di carcere per un complotto del 2005 volto a ottenere finanziamenti segreti dal leader libico Muammar Gheddafi. Il tribunale ha stabilito che, in cambio dei fondi, Sarkozy si sarebbe impegnato a migliorare la reputazione internazionale della Libia. Il giudice, sottolineando la «gravità eccezionale» del crimine, ha disposto l’incarcerazione immediata, anche in caso di appello.

 

Presidente della Francia dal 2007 al 2012, Sarkozy è il primo ex capo di Stato di un Paese membro dell’UE a essere incarcerato. La sua detenzione inizierà martedì.

 

Domenica, l’AFP ha riferito fonti del carcere parigino di La Santé, secondo cui Sarkozy sarà probabilmente confinato in una cella di nove metri quadrati nell’ala di isolamento, per limitare i contatti con altri detenuti.

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Sarkozy ha definito il verdetto un’«ingiustizia», ribadendo la propria innocenza. I suoi legali hanno presentato ricorso e intendono richiedere la conversione della pena in arresti domiciliari una volta iniziata la detenzione.

 

L’inchiesta è partita nel 2013, dopo le dichiarazioni del 2011 di Saif al-Islam, figlio di Gheddafi, secondo cui il padre avrebbe versato circa 50 milioni di euro (54,3 milioni di dollari) per la campagna di Sarkozy.

 

Sarkozy ha avuto un ruolo chiave nell’intervento NATO che ha portato alla caduta e all’uccisione di Gheddafi nell’ottobre 2011 da parte di gruppi armati antigovernativi.

 

In precedenza, l’ex presidente era stato condannato in due casi separati per corruzione, traffico di influenze e finanziamento illecito di campagne elettorali, scontando in entrambi i casi gli arresti domiciliari.

 

Sarkozy è stato privato pure della Legion d’Onore, la più alta onorificenza statale di Francia. Nelle accuse era finita, ad un certo punto, anche la moglie Carla Bruni.

 

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Immagine di UMP via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0

 

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Politica

Netanyahu intende candidarsi per un altro mandato

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Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano con il mandato più lungo, ha annunciato che si candiderà nuovamente alle elezioni parlamentari di novembre 2026. Durante il suo recente incarico, ha affrontato critiche e apprezzamenti per la controversa riforma giudiziaria, la gestione della crisi degli ostaggi di Hamas e la guerra a Gaza.   In un’intervista rilasciata sabato a Channel 14, Netanyahu ha confermato la sua intenzione di correre per un nuovo mandato, dichiarandosi fiducioso nella vittoria. Leader del partito di destra Likud, ha guidato il governo dal 1996 al 1999 e dal 2009 al 2021, tornando al potere nel dicembre 2022 dopo il collasso della coalizione di governo.   Netanyahu ha rivendicato di essere «l’unico in grado di garantire la sicurezza di Israele», sottolineando i suoi legami con il presidente USA Donald Trump. Ha adottato una linea dura contro Hamas e ha condotto una guerra aerea di 12 giorni contro l’Iran a giugno.

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Attualmente sotto processo per tre accuse di corruzione, dalle quali si difende negando ogni addebito, Netanyahu ha anche promosso una riforma per limitare i poteri della Corte Suprema, suscitando proteste di massa.   Come noto, le proteste contro Netanyahu, che si sospettava fossero organizzate con spinte dei servizi e pure dell’amministrazione Biden erano arrivate persino a circondare casa sua, sono immediatamente cessate dopo il 7 ottobre. Tuttavia, altre proteste si sono susseguite a partire dai famigliari degli ostaggi, la gestione dei quali da parte del governo USA è stata duramente criticata.   Come riportato da Renovatio 21, ad un evento di piazza per il rilascio degli ostaggi la folla ha fischiato il nome di Netanyahu inneggiando poi a Donald Trump.   Un recente sondaggio di Channel 12 indica che, se le elezioni si tenessero oggi, il Likud conquisterebbe 72 seggi, confermandosi il partito più forte nella Knesset. La sua popolarità è cresciuta dopo il cessate il fuoco con Hamas, mediato a livello internazionale, e il rilascio degli ostaggi.  

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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I vaccini, l’euro, l’OMS e le proteste pro-Palestina. Renovatio 21 intervista il senatore Borghi

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Renovatio 21 aveva intervistato più volte l’anno scorso il senatore della Lega Nord Claudio Borghi Aquilini, che aveva all’epoca presentato un emendamento contro l’obbligo vaccinale per i bambini – emendamento poi respinto perché giudicato inammissibile. Abbiamo seguito il senatore Borghi nella battaglia contro l’OMS condotta assieme all’onorevole Bagnai. Siamo tornati a sentirlo per parlare a tutto campo delle battaglie sui sieri, del COVID con i suoi strascichi partitici, della politica sanitaria dell’establishment, del disastro dell’euro e di tanto altro, compreso il caso delle forze politiche che ora strepitano per la Palestina ma per i diritti costituzionali violati con greenpass e vaccini non hanno detto una parola, anzi.

 

Senatore Borghi, l’ultima volta ci eravamo lasciati che la Commissione COVID stava per partire. Ad oggi, che sono passati diversi mesi, che giudizio può dare del suo operato?

Innanzitutto, se non mi ricordo male, quando c’eravamo visti l’altra volta, circolavano le voci più disparate dove si gridava all’allarme perché si pensava dessero la presidenza della Commissione a un fan delle iniezioni, ma fortunatamente le cose non sono andate così. Il presidente è Lisei che guida la discussione in modo non semplice, perché molto banalmente le opposizioni non vogliono far funzionare questa commissione.

 

Basta vedere i video per capire che, soprattutto il Movimento 5 stelle, fa di tutto per evitare di parlare di qualsiasi cosa. Sono distruttivi, perché evidentemente hanno paura che qualche responsabilità del loro beneamato presidente Conte salti fuori. 

 

Lei poco tempo fa si è speso per cercare di cambiare la legge Lorenzin, che riguarda gli obblighi vaccinali ai bambini, ma nella maggioranza di governo non c’è stata una coesione forte che l’ha appoggiata.

No.

 

Come mai?

Essendo un tema dove è facile essere attaccati in modo violento, bisognerebbe avere un po’ di coraggio. E non tutti ce l’hanno questo coraggio. Io temo che sia anche una questione, purtroppo, di età. Al Senato di gente con bambini piccoli ce n’è poca e quindi secondo me non la capiscono la questione, non pensano che sia un’urgenza. Mentre invece soltanto chi in questo momento ha un figlio piccolo capisce la violenza di questa imposizione. Io faccio fatica a farla capire. Ci sono delle persone che sono assolutamente dalla mia parte, anche all’interno di Fratelli d’Italia, ma non è semplicissimo.

 

Il punto però è molto semplice: se Fratelli d’Italia si convincesse a dire «sì» ci sarebbe la maggioranza e questa legge la togliamo domani, altrimenti no perché il Movimento 5 stelle ha fatto il voltafaccia più terribile, però posso contare forse sull’astensione di qualcuno e quindi mi andrebbe bene. Il PD neanche a parlarne perché la Lorenzin è una loro senatrice, e Forza Italia è un gruppo scelto dalla Ronzulli quindi sappiamo benissimo come la pensa.

 

L’unico modo per poterla cambiare è se Fratelli d’Italia si decide. Ci sto lavorando.

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Dagli Stati Uniti arrivano notizie su questa tematica abbastanza confortanti. Kennedy sta muovendo le acque sul tema dei vaccini e le possibili correlazioni con l’autismo. Lo abbiamo visto da poco intervenire insieme al presidente Trump su questo argomento. In Italia quando è che si potrà avere un dibattito aperto, sano, costruttivo e corretto su queste tematiche? Ad oggi non ne vediamo.

Non può esserci per un motivo semplice: se il medico diceva una cosa contraria a quella che era «la canzone che tutti dovevano cantare» veniva radiato. Dato che non tutti hanno l’animo dell’eroe, giustamente, dicono: «Ma chi me lo fa fare?». Privatamente le cose le dicono, ma pubblicamente no.

 

È più o meno la situazione analoga a quella che avevo trovato io all’inizio quando parlavo dell’euro e lo racconto nel mio libro che ho appena presentato, Vent’anni di sovranismo. Dall’euro a Trump, al tempo molti professori non si sbilanciavano sul tema. Così come con la moneta dopo un po’ di tempo e un po’ di insistenza ci si arriva e ci si arriverà anche lì.

 

I verbali del CTS che sono venuti fuori parlano abbastanza chiaro. Alcune scelte, in quel periodo così controverso e difficile, sono state dettate dalla politica che all’epoca si trincerava dietro la scienza. Perché la stampa mainstream, a parte qualche rara eccezione, nonostante l’evidenza di questi fatti sottace perlopiù questa vicenda?

Perché sanno perfettamente che se tu ne parli allora si accende il dibattito e la maniera migliore per andare contro un’idea che viene vista come pericolosa è ignorarla totalmente. Anche le cose incredibili che sono venute fuori dai verbali e dai video del CTS sono stati tutti silenziati. Purtroppo in commissione non ne possiamo ancora parlare perché è stato scelto un criterio cronologico: prima bisogna concludere il discorso delle mascherine per poi dopo parlare dei vaccini. Ma non vedo l’ora che si arrivi a parlarne perché a quel punto, forse, l’omertà si riesce a rompere. 

 

Recentemente il ministro Schillaci ha nominato trenta esperti per il NITAG, ma poco dopo le nomine due medici di questa commissione vengono etichettati come no-vax, che sono il dottor Serravalle e il professor Bellavite. Viste le pressioni della stampa il ministro, dopo pochi giorni, decide di sciogliere questo organo di consulenza. In questa situazione la politica ha giocato il suo ruolo. Il suo partito come si pone di fronte a questo scivolone del ministro? 

Noi in quanto unico partito che non ha mai votato la Lorenzin è ovvio che dal nostro punto di vista andava benissimo, infatti pubblicamente anche Salvini ha detto che non bisogna mettere censure alla scienza e quindi due persone stimatissime come il professor Bellavite e il dottor Serravalle non si capisce per quale motivo non debbano avere titolo a rimanere lì.

 

Questa cosa fa capire che ancora i tempi non sono maturi per un dibattito, perché se non ci può essere la voce dissenziente, non dico la maggioranza, ma una voce dissenziente, capite che non si va da nessuna parte. L’unica cosa che siamo riusciti a fare è che non è che venissero cacciati via solo loro due, bensì che venisse sciolto tutto in modo tale da azzerare tutto. Per quanto mi riguarda essendo una creatura dell’OMS possiamo anche evitare di ricostituirla. Viviamo anche senza il NITAG.

 

Visto che ha appena presentato il suo ultimo libro Vent’anni di sovranismo. Dall’euro a Trump, lei è stato uno dei primi a dare battaglia in maniera argomentata e seria sulle possibili criticità della moneta unica europea. Oggi l’euro è agonizzante oppure è destinato a rimanere come moneta unica, con questo assetto, ancora a lungo?

I problemi sono sempre lì sul tavolo. Adesso stanno colpendo altri paesi e in questo momento forse qualcuno si sta rendendo conto che le regole valgono per qualcuno e non per gli altri. La Francia si presenterà con il deficit del 6%. Se lo facessimo noi significa che avremmo in questa legge di bilancio novanta miliardi da spendere.

 

Capite che con tutti quei soldi farei le strade d’oro! A loro viene concesso e a noi no. E forse altre cose si svegliano così e fanno aprire qualche occhio. Tipo non ci sono i soldi per la sanità, ma per le armi sì. Sono tutte cose che noi avevamo evidenziato ai tempi della critica all’Euro, ma adesso forse qualcuno si sveglierà. 

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L’UE come è strutturata adesso può cambiare in favore dei popoli e abbracciare una politica in favore di Stati più sovrani oppure occorrerebbe rifondarla?

Più passa il tempo e più si rende conto di essere uno dei più grossi fallimenti della storia economica e politica. Peggiora, perché si sta arroccando sulle sue posizioni e ha paura di essere scalzata definitivamente e quindi appare un po’ come gli ultimi giorni dei regimi dittatoriali, quando si rinchiudono dentro nei bunker credendo di poter fare qualsiasi cosa. Sono momenti pericolosi perché a quel punto possono rischiare tutto e ci sono dei leader che palesemente tifano per la guerra pensando così di salvarsi dal punto di vista politico. La Von der Leyen probabilmente è analogamente su questo tipo di impostazione, c’è un pericolo molto grande, ma bisogna stare attenti e noi vigiliamo.

 

Prima a mo’ di battuta ha parlato di scioperi e flottilla pro-Palestina. Senza entrare nel merito della questione israelo-palestinese, mi sovviene una domanda. La protesta contro il green pass non è stata supportata da nessun partito politico importante. Questa protesta invece è stata abbracciata dalla politica che conta e ha organizzato manifestazioni e scioperi in maniera capillare. Per le proteste in era pandemica nessuno dei grandi partiti è sceso in piazza al fianco di chi protestava per non sottostare a dei diktat restrittivi quali la perdita del lavoro o l’obbligo vaccinale. 

È palese a tutti che c’è manifestazione e manifestazione, c’è raduno e raduno. A Pontida si trovano decine di migliaia di persone, ma non esistono, oppure si vanno a cercare i due con l’elmo per buttare tutto in burletta. Se c’è la festa dell’Unità dove ci sono dodici persone nelle prime file a sentire – che probabilmente sono gli stessi organizzatori – a sentire cosa dice Bersani, improvvisamente leggiamo titoloni sui giornali di acclamazione e ogni parola del discorso soppesata e discussa.

 

È così purtroppo. Noi abbiamo ceduto il controllo dell’informazione e prima che lo riprenderemo sarà molto lunga e non so se neanche se ce la faremo, perché non abbiamo neanche la cultura. Noi credo che ci vergogneremmo a fare quello che fanno loro e invece loro non si vergognano per niente e quindi dobbiamo andare avanti così. L’unica cosa che mi incoraggia è che la gente lo sa.

 

Quando vede una propaganda smaccata gli girano i coglioni. Oggi ad esempio se uno doveva andare al lavoro e si è trovato impossibilitato per lo sciopero della flottilla probabilmente la causa palestinese, pur magari meriterebbe attenzione, diventa un po’ meno importante.

 

Francesco Rondolini

 

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Immagine di GeoFede88 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine modificata

 

 

 

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