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Quale ordine internazionale?

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Pubblichiamo il testo dell’intervento di Thierry Meyssan alla conferenza «Amicizia con la Russia», organizzata il 4 novembre 2023 a Magdeburgo (Germania) dalla rivista Compact. Nel suo contributo Meyssan spiega la differenza fondamentale che, secondo lui, distingue le due concezioni dell’ordine mondiale che si scontrano, dal Donbass a Gaza: quella del blocco occidentale e quella cui fa riferimento il resto del mondo. Non si tratta d’imporre un ordine mondiale dominato da un’unica potenza (ordine unipolare) o da un gruppo di potenze (ordine multipolare), ma di decidere se deve essere rispettata la sovranità nazionale di ciascun Paese. Meyssan si basa sulla storia del Diritto internazionale, come lo concepirono lo zar Nicola II e il premio Nobel per la pace Léon Bourgeois.

 

Abbiamo visto i crimini di cui si è macchiata la NATO; perché allora dobbiamo avere fiducia nella Russia? Non corriamo forse il rischio di vedere quest’ultima comportarsi domani come si comporta oggi la NATO? Non soppianteremo una forma di schiavitù con un’altra?

 

Per rispondere a queste domande mi baserò sulla mia esperienza di consigliere di cinque capi di Stato. Ovunque i diplomatici russi mi hanno detto: Siete fuori strada: vi affrettate a spegnere un focolaio qui e nel frattempo ne scoppia un altro là. Il problema è più profondo e più vasto.

 

Per questo motivo vorrei illustrarvi la differenza tra l’ordine mondiale fondato su regole e quello basato sul Diritto internazionale. Non è la storia di uno sviluppo lineare, ma dello scontro tra due concezioni del mondo; una lotta che abbiamo il dovere di continuare.

 

Nel XVII secolo i Trattati di Vestfalia istituirono il principio della sovranità degli Stati. Tutti gli Stati hanno uguale peso e nessuno ha diritto di ingerirsi negli affari interni di ogni altro. Questi Trattati hanno retto per secoli sia le relazioni tra gli attuali Länder sia quelle tra gli Stati europei. Li riconfermò nel 1815 il Congresso di Vienna, alla disfatta di Napoleone I.

 

Alla vigilia della prima guerra mondiale, lo zar Nicola II convocò all’Aia due Conferenze internazionali per la Pace, nel 1899 e nel 1907, per «trovare gli strumenti più efficaci per assicurare a tutti i popoli i benefici di una pace reale e duratura». I convegni furono preparati in collaborazione con papa Benedetto XV, sulla base del diritto canonico, non del diritto del più forte. Al termine di due mesi di lavori, i documenti finali furono firmati da 27 Stati. Il presidente del Partito (repubblicano) radicale francese, Léon Bourgeois, presentò le proprie riflessioni (1) sulla dipendenza reciproca degli Stati e sul loro interesse a unirsi, superando le rivalità.

 

Grazie allo stimolo di Léon Bourgeois, la Conferenza istituì una Corte internazionale di arbitrato per favorire la risoluzione di dispute tra gli Stati per via giuridica invece che per mezzo della guerra. Secondo Bourgeois, gli Stati potranno accettare di disarmarsi solo quando avranno valide garanzie per la loro sicurezza.
Il testo finale introduce il concetto del «dovere degli Stati di evitare la guerra» appunto ricorrendo all’arbitrato.

 

Per impulso di un ministro dello zar, Frederic Fromhold de Martens, la Conferenza convenne che durante un conflitto armato le popolazioni e i belligeranti debbano essere tutelati dai principi frutto «delle consuetudini affermate tra nazioni civilizzate, delle leggi dell’umanità e delle esigenze della pubblica coscienza». Riassumendo, i firmatari s’impegnavano a smettere di comportarsi da barbari.

 

È un sistema che funziona solo tra Stati civilizzati che onorano la propria firma e rispondono del proprio operato all’opinione pubblica.

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Nel 1914 il sistema fallì perché gli Stati avevano rinunciato alla sovranità firmando trattati di Difesa che imponevano di entrare automaticamente in guerra in determinate circostanze, prescindendo dalla valutazione di ogni singolo Stato.

 

Le idee di Léon Bourgeois si fecero strada, ma incontrarono oppositori, tra i quali il suo rivale all’interno del Partito radicale, Georges Clemenceau, persuaso che le opinioni pubbliche non possano impedire le guerre. Ne erano convinti anche gli anglosassoni: il presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, e il primo ministro britannico, Lloyd George.

 

Al termine della prima guerra mondiale questo terzetto sostituì la Forza dei vincitori all’ancora balbettante Diritto internazionale. Si spartirono il mondo e i resti degli imperi austroungarico, tedesco e ottomano. Negando le proprie colpe, addossarono l’intera responsabilità dei massacri alla Germania, cui imposero un disarmo senza garanzie. Per prevenire l’insorgenza di un rivale dell’impero britannico in Europa, gli anglosassoni cominciarono ad aizzare la Germania contro l’URSS e ottennero l’acquiescenza della Francia permettendole di saccheggiare lo sconfitto II Reich. Come disse il primo presidente della Repubblica federale, Theodor Heuss, in un certo senso posero le condizioni per l’affermazione del nazismo.

 

Come tra loro convenuto, Clemenceau, Wilson e Lloyd George rimodellarono il mondo secondo la loro visione (i 14 punti di Wilson, gli Accordi Sykes-Picot, la Dichiarazione di Balfour). Crearono il nucleo ebraico della Palestina, dissezionarono l’Africa e l’Asia, cercarono di ridurre la Turchia a congrue proporzioni. Al loro operato possono essere fatti risalire tutti i disordini che oggi scuotono il Medio Oriente.

 

Ma fu sulla base delle idee del defunto Nicola II e di Léon Bourgeois che dopo la prima guerra mondiale fu istituita la Società delle Nazioni (SDN); non vi parteciparono gli Stati Uniti, che rifiutavano anche ufficialmente qualsiasi idea di Diritto internazionale. Ma la SDN fu un fallimento, non perché gli Stati Uniti rifiutarono di farne parte, come comunemente si ritiene. Era loro diritto. Ma innanzitutto perché non fu in grado d’instaurare una cogente uguaglianza tra Stati, giacché il Regno Unito rifiutava di considerare suoi pari i popoli colonizzati. Inoltre la SDN non disponeva di forze armate comuni. Infine fallì perché i nazisti massacrarono gli oppositori, distruggendo l’opinione pubblica tedesca, violarono la firma di Berlino e non esitarono a comportarsi da barbari.

 

Fin dalla Carta Atlantica del 1942, il nuovo presidente statunitense Franklin Roosevelt e il nuovo primo ministro britannico, Winston Churchill, si posero il comune obiettivo di instaurare al termine del conflitto un governo mondiale.

 

Gli anglosassoni, che si ritenevano capaci di governare il mondo, non furono tuttavia d’accordo sul come farlo. Washington non voleva che Londra s’intromettesse nelle faccende dell’America Latina; Londra da parte sua non voleva condividere l’egemonia sull’Impero «dove il sole non tramonta mai». Durante la guerra gli anglosassoni firmarono molti trattati con i governi dei Paesi alleati, in particolare con quelli in esilio ospitati a Londra.

 

Tutto considerato il Terzo Reich non fu vinto dagli anglosassoni, ma furono i sovietici a rovesciarlo e a prendere Berlino. Joseph Stalin, primo segretario del PCUS, era contrario all’idea di un governo mondiale, a maggior ragione se anglosassone. Auspicava un organismo in grado di prevenire futuri conflitti. In ogni caso, fu dalle concezioni russe che germogliò il nuovo sistema: quello delle Nazioni Unite, nato con la Conferenza di San Francisco.

 

In sintonia con lo spirito delle Conferenze dell’Aia, tutti gli Stati membri dell’ONU sono uguali. L’Organizzazione ha un proprio tribunale, la Corte Internazionale di Giustizia, incaricata di risolvere i conflitti che insorgono tra i membri.

 

Tuttavia, in considerazione delle vicende pregresse, le cinque potenze vincitrici hanno un seggio permanente al Consiglio di sicurezza, nonché diritto di veto. Dal momento che i vincitori nutrivano diffidenza reciproca (gli anglosassoni accarezzarono l’idea di continuare la guerra usando le truppe tedesche superstiti contro l’URSS) e inoltre non si poteva prevedere il comportamento dell’Assemblea generale, ogni potenza vincitrice cercò di assicurarsi che l’Organizzazione non volgesse a proprio danno (gli Stati Uniti avevano commesso spaventosi crimini di guerra sganciando due bombe atomiche sui civili, proprio mentre il Giappone… stava preparandosi alla resa ai sovietici).

 

Però le grandi potenze non interpretavano il diritto di veto allo stesso modo. Alcune lo concepivano come diritto di censurare le decisioni degli altri, altre come obbligo di prendere decisioni all’unanimità.

 

Ma fin dall’inizio gli anglosassoni non rispettarono gli impegni. Dapprima venne proclamato uno Stato israeliano (14 maggio 1948), senza che ci fosse accordo sui suoi confini; poi l’inviato speciale del segretario generale delle Nazioni Unite incaricato di presiedere alla costituzione di uno Stato palestinese, conte Folke Bernadotte, fu assassinato da suprematisti ebrei, comandati da Yitzhak Shamir.

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Il seggio al Consiglio di sicurezza destinato alla Cina, sul finire della guerra civile cinese fu attribuito al Kuomintang di Chiang Kai-shek invece che a Beijing. Gli anglosassoni proclamarono l’indipendenza della propria zona di occupazione coreana, denominandola Repubblica di Corea (15 agosto 1948); crearono la NATO (4 aprile 1949); infine proclamarono l’indipendenza della loro zona di occupazione tedesca chiamandola Germania Federale (23 maggio 1949).

 

Ritenendo di essere stata beffata, l’URSS se ne andò sbattendo la porta (politica del «seggio vuoto»). Il georgiano Stalin credette, erroneamente, che il veto non fosse un diritto di censura, ma espressione del requisito di unanimità tra i vincitori. Pensava di bloccare l’organizzazione boicottandola.

 

Gli anglosassoni interpretarono a proprio uso e consumo il testo della Carta da loro stessi redatta e approfittarono dell’assenza dei sovietici per far calzare «caschi blu» ai propri soldati e muovere guerra ai nord-coreani (25 giugno 1950) a «nome della comunità internazionale» (sic). I sovietici rientrarono all’ONU il 1° agosto 1950, dopo sei mesi e mezzo di assenza.

 

Il Trattato del Nord Atlantico è legale, ma il suo regolamento interno vìola la Carta delle Nazioni Unite: pone le forze armate alleate sotto il comando degli anglosassoni. Il comandante supremo dell’organismo alleato in Europa, il SACEUR [Supreme Allied Commander Europe], deve obbligatoriamente essere un ufficiale statunitense.

 

Secondo il primo segretario generale della NATO, lord Ismay, il vero obiettivo dell’Alleanza non è preservare la pace, né combattere i sovietici, ma «mantenere gli americani all’interno, i russi fuori e i tedeschi sotto tutela» (2). Sintetizzando, Roosevelt e Churchill volevano creare il braccio armato del governo mondiale. Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream, che collegava Russia e Germania, è stato ordinato da Joe Biden in conformità al principio enunciato da lord Ismay.

 

Dopo la Liberazione, l’MI6 e l’OPC (che diventerà CIA) costituirono segretamente una rete stay-behind in Germania, usando migliaia di funzionari nazisti che avevano aiutato a sfuggire alla giustizia. Klaus Barbie, che torturò il coordinatore della Resistenza francese, Jean Moulin, fu il primo comandante di questo esercito nell’ombra. La rete fu infine incorporata nella NATO e sensibilmente ridotta. Fu infine utilizzata dagli anglosassoni per intromettersi nella vita politica dei Paesi cosiddetti alleati, in realtà vassalli.

 

Gli ex collaboratori di Joseph Goebbels crearono la Volksbund für Frieden und Freiheit. Perseguitarono i comunisti tedeschi con il supporto degli Stati Uniti. Più tardi agenti stay-behind della NATO riuscirono a manipolare l’estrema sinistra per renderla esecrabile. Fu quanto accadde, per esempio, alla banda di Baader, i cui membri furono assassinati in prigione dallo stay-behind, prima che fossero giudicati e potessero parlare. Nel 1992 la Danimarca spiò la cancelliera Angela Merkel per conto della NATO; nel 2022 la Norvegia, membro della NATO, aiutò gli Stati Uniti a sabotare il Nord Stream…

 

Ma torniamo al Diritto internazionale. Progressivamente le cose rientrarono nell’ordine fino al 1968, quando l’ucraino Leonid Breznev, durante la Primavera di Praga, fece in Europa centrale quello che gli anglosassoni facevano ovunque: impedì agli Stati suoi alleati di scegliere un modello economico diverso dal quello dell’URSS.

 

La situazione cominciò a peggiorare con la dissoluzione dell’URSS. Il sottosegretario statunitense alla Difesa, Paul Wolfowitz, elaborò una dottrina secondo cui per rimanere padroni del mondo gli Stati Uniti dovevano prevenire a ogni costo l’insorgenza di un nuovo rivale, prima di tutto l’Unione Europea.

 

È in applicazione di questa teoria che il segretario di Stato James Baker impose l’allargamento dell’Unione Europea a tutti gli ex Stati del Patto di Varsavia e dell’URSS. L’Unione si è così privata della possibilità di diventare entità politica. Ed è sempre in applicazione di questa dottrina che il Trattato di Maastricht ha posto la UE sotto la protezione della NATO. Ed è di nuovo in applicazione di questa dottrina che la Germania e la Francia pagano e armano l’Ucraina.

 

Fu poi la volta del professore ceco-statunitense Josef Korbel. Propose agli anglosassoni di dominare il mondo riscrivendo i Trattati internazionali: bastava sostituire il diritto anglosassone, fondato sulla consuetudine, alla razionalità del diritto romano. In questo modo tutti i Trattati avrebbero a lungo termine assicurato il vantaggio alle potenze dominanti, cioè gli Stati Uniti e il Regno Unito, legati da una «relazione speciale», secondo le parole di Winston Churchill.

 

La figlia del professor Korbel, la Democratica Madeleine Albright, divenne ambasciatrice all’ONU e successivamente segretaria di Stato. Quando la Casa Bianca passò ai Repubblicani, la figlia adottiva di Korbel, Condoleezza Rice, le successe come consigliera nazionale per la Sicurezza e in seguito alla segreteria di Stato. Per vent’anni le due «sorelle» (3) hanno pazientemente riscritto i principali testi internazionali, con il pretesto di modernizzarli, di fatto cambiandone lo spirito.

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Oggi le istituzioni internazionali funzionano secondo le regole imposte dagli anglosassoni, frutto delle antecedenti violazioni del Diritto internazionale. Questo diritto non è codificato da alcun testo, poiché si tratta dell’interpretazione delle consuetudini da parte della potenza dominante. Ogni giorno si sostituiscono regole ingiuste al Diritto internazionale e si contravviene alla propria firma.

 

Per esempio:

 

• Nel 1990, al momento della loro fondazione, gli Stati baltici s’impegnarono per iscritto a conservare i monumenti in onore dei sacrifici dell’Armata rossa. La distruzione di questi monumenti è perciò violazione della parola data.

 

• Nel 1947 la Finlandia s’impegnò per iscritto a rimanere neutrale. L’adesione alla NATO è perciò violazione della parola data.

 

• Il 25 ottobre 1971 le Nazioni Unite adottarono la Risoluzione 2758 che riconosce Beijing, non Taiwan, unico rappresentante legittimo della Cina. Il governo di Chiang Kai-shek è stato perciò espulso dal Consiglio di sicurezza e sostituito da quello di Mao Zedong. Di conseguenza, le recenti manovre navali cinesi nello Stretto di Taiwan non costituiscono un’aggressione a uno Stato sovrano, ma un dispiegamento di forze nelle proprie acque territoriali.

 

• Gli Accordi di Minsk avrebbero dovuto proteggere gli ucraini russofoni dalle molestie dei nazionalisti integralisti. La Francia e la Germania se ne fecero garanti davanti al Consiglio di sicurezza. Ma, come hanno riconosciuto Angela Merkel e François Hollande, né Parigi né Berlino intendevano applicarli. La loro firma non aveva alcun valore. Se si fossero comportati diversamente non ci sarebbe stata la guerra in Ucraina.

 

La perversione del Diritto internazionale ha raggiunto il culmine con la nomina, nel 2012, dello statunitense Jeffrey Feltman a direttore degli Affari politici. Dal suo ufficio di New York ha supervisionato la guerra occidentale contro la Siria. Ha insomma utilizzato le istituzioni della pace per fare la guerra. (4)

 

Fino a quando gli Stati Uniti non l’hanno minacciata ammassando armi ai suoi confini, la Federazione di Russia ha rispettato i trattati firmati, compresi quelli firmati dall’URSS. Il Trattato di non-proliferazione nucleare (TNP) impone l’obbligo alle potenze nucleari di non disseminare i loro arsenali nel mondo. Gli Stati Uniti, violando la propria firma, da decenni accumulano bombe atomiche in cinque Paesi vassalli: nelle basi di Kleine Brogel in Belgio, di Büchel qui in Germania (Renania-Palatinato), di Aviano e Ghedi in Italia, di Volkel nei Paesi Bassi, infine di Incirlik in Turchia.

 

Poi, grazie ai loro colpi di mano, dicono che ormai è consuetudine! Ebbene, la Federazione di Russia, ritenendosi assediata dopo il sorvolo del Golfo di Finlandia da parte di un bombardiere nucleare statunitense, ha a sua volta deciso di aggirare il Trattato di non proliferazione, posizionando bombe atomiche in Bielorussia.

 

Naturalmente la Bielorussia non è Cuba. Piazzarvi bombe nucleari russe non cambia nulla, è solo un messaggio per Washington: se volete ripristinare il diritto del più forte, possiamo accettarlo, anche perché i più forti adesso siamo noi. Si noti che la Russia non ha violato la lettera del Trattato, perché non addestra i militari bielorussi all’uso di queste armi, si è semplicemente presa delle libertà con lo spirito del Trattato.

 

Per essere efficaci e duraturi, aveva spiegato nello scorso secolo Léon Bourgeois, i Trattati di disarmo devono fondarsi su garanzie giuridiche. È perciò urgente ripristinare il Diritto internazionale; in caso contrario ci butteremo a testa bassa in una guerra devastatrice.

 

A difesa del nostro onore e nel nostro interesse dobbiamo ristabilire il Diritto internazionale. È una costruzione fragile ma, se vogliamo evitare la guerra, dobbiamo ripristinarlo. Siamo sicuri che la Russia la pensa come noi, che non lo violerà.

 

L’alternativa è sostenere la NATO, che l’11 ottobre ha riunito a Bruxelles i 31 ministri della Difesa per ascoltare in videoconferenza l’omologo israeliano affermare che avrebbe raso al suolo Gaza. Nessuno dei ministri, tra loro anche il tedesco Boris Pistorius, ha osato insorgere contro la pianificazione di questi crimini di massa contro i civili. L’onore del popolo tedesco è già stato tradito dai nazisti che non hanno esitato a sacrificarlo. Non lasciatevi tradire di nuovo, questa volta dal Partito socialdemocratico e dai Verdi.

 

Non dobbiamo scegliere tra due sovrani, ma proteggere la pace, dal Donbass a Gaza, e, in sostanza, difendere il Diritto internazionale.

 

Thierry Meyssan

 

NOTE

1) Il «Solidarismo» è diventato l’ideologia dominante della III Repubblica francese.

2) Si noti: «i russi fuori», non i sovietici.

3) Condoleezza Rice non è mai stata legalmente adottata, ma viveva a casa del professor Korbel; Madeleine Albright la considerava sua sorella minore.

4) «La Germania e l’ONU contro la Siria», di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Al-Watan (Siria), Megachip-Globalist (Italia), Rete Voltaire, 28 gennaio 2016.

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

Fonte: «Quale ordine internazionale?», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 7 novembre 2023.

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

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Geopolitica

Orban: l’UE annega nella corruzione

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L’UE continua a rivendicare la sua «superiorità morale» nonostante sia «annegata» nella corruzione, ha affermato il primo ministro ungherese Viktor Orban, accusando Bruxelles e Kiev di proteggersi a vicenda dagli scandali di corruzione.   Venerdì Orban ha attaccato duramente la leadership dell’UE in un’intervista a Kossuth Radio, evocando l’ultimo scandalo di corruzione che ha colpito l’Unione all’inizio di questa settimana. La Procura europea (EPPO) ha formalmente accusato tre sospettati di alto profilo, tra cui l’ex responsabile della politica estera dell’Unione e vicepresidente della Commissione europea, Federica Mogherini, di frode, corruzione, conflitto di interessi e violazione del segreto professionale.   Il primo ministro ungherese ha tracciato parallelismi tra la vicenda e la serie di scandali di corruzione che hanno colpito l’Ucraina, tra cui il sistema di tangenti da 100 milioni di dollari legato alla cerchia ristretta di Volodymyr Zelens’kjy. Nonostante lo scandalo, Bruxelles ha cercato di ottenere 135 miliardi di euro per sostenere Kiev nel corso del prossimo anno.

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L’UE non è riuscita a fornire una risposta adeguata allo scandalo di corruzione in Ucraina, ha affermato Orban, accusando la leadership dell’Unione di voler coprire Kiev. «L’UE sta annegando nella corruzione. I commissari sono accusati di gravi reati, la Commissione e il Parlamento sono travolti dallo scandalo, eppure Bruxelles continua a rivendicare la superiorità morale. La corruzione in Ucraina dovrebbe essere denunciata dall’UE, ma ancora una volta è la solita vecchia storia: Bruxelles e Kiev si proteggono a vicenda invece di affrontare la verità», ha scritto Orban su X, condividendo un estratto dell’intervista.   Le sue osservazioni seguono le dichiarazioni rilasciate all’inizio di questa settimana dal ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, che ha accusato l’UE di essere riluttante a denunciare la corruzione ucraina «perché anche Bruxelles è costellata da una rete di corruzione simile».   «Nessuno ha chiesto conto agli ucraini delle centinaia di miliardi di euro di aiuti dell’UE dopo che è stato rivelato che in Ucraina si stava verificando corruzione ai massimi livelli statali», ha detto lo Szijjarto ai giornalisti, aggiungendo che il denaro dei contribuenti europei finisce in ultima analisi nelle «mani di una mafia di guerra».  

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Per gli USA ora la normalizzazione delle relazioni con la Russia è un «interesse fondamentale»

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Gli Stati Uniti hanno indicato il rilancio dei rapporti normali con la Russia e l’interruzione rapida della guerra in Ucraina come priorità assolute nella loro nuova Strategia per la sicurezza nazionale, diffusa venerdì dalla Casa Bianca, ponendoli tra gli obiettivi cardine per gli interessi americani.

 

Il documento di 33 pagine delinea la prospettiva di politica estera delineata dal presidente Donald Trump, affermando che «è un interesse essenziale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina», al fine di «stabilizzare le economie europee, scongiurare un’escalation o un allargamento imprevisto del conflitto e ricostruire la stabilità strategica con la Russia».

 

Si evidenzia come il conflitto ucraino abbia «profondamente indebolito le relazioni europee con la Russia», minando l’equilibrio regionale.

 

Il testo rimprovera i dirigenti europei per le «aspettative irrealistiche» sull’evoluzione della guerra, precisando che «la maggioranza degli europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle politiche adottate».

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Washington, prosegue il rapporto, è disposta a un «impegno diplomatico sostanziale» per «supportare l’Europa nel correggere la sua rotta attuale», reinstaurare l’equilibrio e «ridurre il pericolo di scontri tra la Russia e gli Stati europei».

 

A differenza della strategia del primo mandato di Trump, che accentuava la rivalità con Russia e Cina, la versione attuale sposta l’asse sull’emisfero occidentale e sulla tutela del suolo patrio, dei confini e delle priorità regionali. Esorta a riallocare le risorse dai fronti remoti verso minacce più immediate e invita la NATO e i Paesi europei a farsi carico in prima persona della propria sicurezza.

 

Il documento invoca inoltre l’arresto dell’espansione della NATO, una pretesa a lungo avanzata da Mosca, che la indica come una delle ragioni principali del conflitto ucraino, interpretato come una guerra per interposta persona orchestrata dall’Occidente.

 

In sintesi, la strategia segna un passaggio dall’interventismo universale a un approccio estero più pragmatico e contrattuale, sostenendo che gli Stati Uniti debbano intervenire oltre i propri confini solo quando gli interessi nazionali sono direttamente coinvolti.

 

Si tratta del primo di una sequenza di rilevanti atti su difesa e politica estera che l’amministrazione Trump si accinge a emanare, tra cui una Strategia di Difesa Nazionale rivista, la Revisione della Difesa Missilistica e la Revisione della Postura Nucleare, tutti attesi in linea con l’impostazione del documento.

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Geopolitica

Israele potrebbe iniziare a deportare gli ucraini

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Decine di migliaia di rifugiati ucraini in Israele rischiano la deportazione entro la fine del prossimo mese, a causa del protrarsi del ritardo governativo nel rinnovare il loro status legale. Lo riporta il quotidiano dello Stato Giudaico Haaretz.   La tutela collettiva offerta a circa 25.000 ucraini in seguito all’aggravarsi del conflitto in Ucraina nel 2022 necessita di un’estensione annuale, ma gli attuali permessi di soggiorno scadono a dicembre.   Tuttavia, Israele non si è dimostrato particolarmente ospitale verso molti di questi migranti, in particolare quelli non eleggibili alla «Legge del Ritorno», una legge fondamentale dello Stato di Israele implementata dal 1950che garantisce a ogni ebreo del mondo il diritto di immigrare in Israele e ottenere la cittadinanza, basandosi sul legame storico e religioso del popolo ebraico con la Terra Promessa. Secondo i resoconti dei media locali, gli ucraini non ebrei ottengono spesso solo una protezione provvisoria, devono fare i conti con norme d’ingresso stringenti e sono esclusi dalla residenza permanente o dagli aiuti sociali, finendo intrappolati in un limbo legale ed economico.

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In carenza di un ministro dell’Interno ad interim, la competenza su tale dossier è passata al premier Benjamino Netanyahu, ma una pronuncia non è ancora arrivata, ha precisato Haaretz.   L’Autorità israeliana per la Popolazione e l’Immigrazione ha indicato che la pratica è in esame e che una determinazione verrà comunicata a giorni, ha aggiunto il giornale.   Anche nell’Unione Europea, l’assistenza ai profughi ucraini è messa alla prova, con vari esecutivi che stanno tagliando i piani di supporto per via di vincoli di bilancio. Dati Eurostat mostrano un recente incremento degli arrivi di maschi ucraini in età da leva nell’UE, in scia alla scelta del presidente Volodymyr Zelens’kyj di allentare i divieti di espatrio per la fascia 18-22 anni. Tale emigrazione continua di uomini abili al reclutamento sta acutizzando le già critiche carenze di forza lavoro in Ucraina.   Germania e Polonia, i due Stati membri che accolgono il maggior numero di ucraini, hanno di recente varato restrizioni sui sussidi, malgrado un calo del consenso popolare.   Il presidente polacco Karol Nawrocki ha annunciato il mese scorso che non rinnoverà gli aiuti sociali per i rifugiati ucraini oltre il 2026. A quanto pare, l’opinione pubblica polacca sui profughi ucraini si è inasprita dal 2022, per via di frizioni sociali e del diffondersi dell’idea che rappresentino un peso o una minaccia criminale.   Quest’anno, i giovani ucraini hanno provocato quasi 1.000 interventi delle forze dell’ordine per scontri, intossicazione alcolica e possesso di armi non letali in un parco del centro di Varsavia, ha rivelato all’inizio della settimana Gazeta Wyborcza.   Una sorta di cecità selettiva, o di compiacenza, di Tel Aviv nei confronti del neonazismo ucraino pare emergere anche da dichiarazioni dell’ambasciatore dello Stato Ebraico a Kiev, che ha detto di non essere d’accordo con il fatto che Kiev onori autori dell’Olocausto della Seconda Guerra Mondiale come eroi nazionali, tuttavia rassicurando sul fatto che tale disputa non dovrebbe rappresentare una minaccia per il sostegno israeliano al governo ucraino.

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Secondo un articolo del Washington Post, circa la metà dei 300.000 ebrei ucraini sarebbero fuggiti dal Paese dall’inizio del conflitto con la Russia.   Come riportato da Renovatio 21le pressioni dell’amministrazione Biden su Tel Aviv per la fornitura di armi a Kiev risale ad inizio conflitto.   Tre anni fa l’ex presidente russo e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitrij Medvedev aveva messo in guardia Israele dal fornire armi all’Ucraina in risposta alle affermazioni secondo cui l’Iran sta vendendo missili balistici e droni da combattimento alla Russia.   Israele a inizio 2022 aveva rifiutato la vendita di armi cibernetiche all’Ucraina o a Stati, come l’Estonia, che potrebbero poi rivenderle al regime Zelens’kyj.  

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