Connettiti con Renovato 21

Civiltà

Prepararsi. Confessioni e consigli

Pubblicato

il

 

 

 

Volevo pubblicare qualcosa già a fine gennaio, non lo ho fatto perché – forse ora posso ammetterlo – mi vergognavo.

 

Ho cominciato a fare scorte, cioè a prepararmi per un periodo completamente fuori dall’ordinario, un mese e mezzo fa. Certo, non ho cominciato con lo stesso ritmo di tre-quattro settimane fa, quando ho fatto, svenandomi, i carichi finali.

 

Ho continuato, da gennaio a febbraio, a lavorare, a fare conferenze, eventi, incontri. Ho resistito all’idea di stivare subito la quantità che reputo giusta (diciamo, un mese di scorte) perché una parte di me ci pensava giorno e notte, ma chiunque intorno a me mi trascinava verso il contrario. Mi limitavo a prendere, ad ogni spesa, una dose omeopatica di cibo di preparazione.

 

 Si stanno svegliando un po’ tutti. A quanti mi hanno dato retta nei primi giorni, ho risparmiato almeno la coda al supermercato. E forse anche (ma questo non lo sapremo mai) l’infezione del COVID-19

Poi, per fortuna, ho ascoltato solo me stesso, e ho completato la scorta. Almeno da quel punto di vista ora ho sistemato: e non è poco, in un mondo dove ad uscire di casa si rischia una denuncia, o un’infezione che può uccidere te o i tuoi cari.

 

Ho cominciato a scrivere del Coronavirus a gennaio, e lo ho preso sul serio perché all’epoca avevo preso sul serio H5N1 (qualcuno lo ricorda? io sì). Ma tutto fuori mi tirava da un’altra parte. I lavori vanno avanti, i bambini devono andare a scuola, le istituzioni fischiettano…

 

Puoi conoscere La Collina dei conigli, lo stupendo racconto con il coniglio che prevede la fine della sua conigliera ma viene preso per scemo, e quindi deve partire con pochi altri simili per salvarsi e continuare la società coniglia. Si tratta con evidenza della riedizione di miti ancestrali. Cassandra, Noè… ma anche questa storia – anche il mito – non ti aiutano a vincere il rumore di fondo del mondo moderno, la cui funzione precipua è, appunto, uccidere i miti.

 

Lo stigma sociale del resto è grande: sei un paranoico, sei uno strano. Diventerai, negli anni a venire, uno che citeremo nelle barzellette. Tu e le tue teorie: finché ce le racconti nei libri, a cena, alle conferenze, va bene. Ma dai, è cultura che hai, è intrattenimento che ci offri: non riguarda la nostra vita reale. 

 

Ora però vedo che si stanno svegliando un po’ tutti. A quanti mi hanno dato retta nei primi giorni, ho risparmiato almeno la coda al supermercato. E forse anche (ma questo non lo sapremo mai) l’infezione del COVID-19.

 

Lo stigma dei prepper (come chiamano in america quelli convinti dell’imminenza dell’apocalisse e che accumulano cibo a lunga conservazione e armi – queste ultime non consentite in Italia) non è sparito del tutto. Il prepping era associato alle sette religiose, alle «milizie» della destra americana, cose così. Tuttavia negli ultimi anni esso è balzato su un’altra nicchia, sociopoliticamente opposta: i ricchi.

 

Il prepping è diventato un fenomeno massivo per le élite miliardarie americane

Il prepping è diventato un fenomeno massivo per le élite miliardarie americane. I paperoni hanno tutti un piano di fuga in caso di fine del mondo. Ci sono agenzie specializzate in un pacchetto completo, per cui ti prelevano in elicottero ovunque tu sia, e ti portano subito su una barca per lasciare la terraferma in preda al caos. Ci sono ex hangar sotterranei che ospitavano i missili balistici riconvertiti ora in apocalittici condomini di lusso.

 

Peter Thiel, un investitore filosofo che ammiro molto (quello che, dando i primi 500.000 dollari a Facebook ha fatto il più grande investimento che si ricordi), da un decennio si è perfino procurato la cittadinanza neozelandese. La terra dei Kiwi è talmente lontana che forse l’apocalisse si dimentica di arrivare fin lì, o arriva tardi: e se hai una casa isolata nel verde, con l’acqua e gli animali, sei in teoria a posto. In teoria.

 

Il fatto che l’oculata élite miliardaria (in ispecie quella che ha fatto i soldi con la tecnologia e la finanza) spenda i suoi danari su questa prospettiva la dice già di per sé lunghissima su tante cose: sui loro meriti, sulla totale mancanza di collante tra i vertici della società e chi vi sta sotto. L’élite ha capito il sistema e trova che sia fragile al punto da poter crollare da un momento all’altro.

 

L’élite ha capito il sistema e trova che sia fragile al punto da poter crollare da un momento all’altro

Ho letto qualche anno fa una testimonianza grottesca, spiazzante. Un signore esperto di temi di sopravvivenza, invitato a parlare ad un simposio di ricconi, raccontava di aver ricevuto una domanda precisa: quando anche il danaro perde il suo valore, come faccio a ottenere ubbidienza dai miei sottoposti (dal mio cameriere, dall’autista, dal bodyguard, dall’amante)? La risposta che i miliardari per lo più davano  a se stessi si incentrava su collari in grado di dare delle scosse elettriche a comando, e chiedevano conferma all’esperto.

 

La questione della preparazione al collasso sociale, quindi, non riguarda più solo gli spostati – riguarda anche chi tiene in mano qualche filo (economico e quindi politico) della nostra vita.

 

Eh sì che si tratta di un istinto così radicato in me. Penso ai nonni, ai bisnonni, ai trisavoli – al granaio. A quell’accumulo nascosto che ti consente di superare l’inverno, come un animale letargico. E forse anche più di un inverno: magari riesci pure a sopravvivere ad un anno senza estate, come accadde nel 1816 – sì, lo abbiamo avuto, 203 anni prima di Greta Thunberg.

 

Ora rischiamo di passare chiusi in casa un anno senza estate, pur avendo, a differenza del 1816, l’estate. Per questo il granaio è ancora più importante. Perché ad impazzire non è la natura, o almeno non solo. Ad impazzire potrebbero essere gli uomini.

 

Confessioni

 

Poi ho visto che perfino Technology Review, la rivista di divulgazione del MIT di cui sono felice abbonato, ne ha parlato con franchezza.

 

Sono un lettore accanito di Antonio Regalado, il reporter scientifico delle questioni lifescience (le tecnologie legate alle scienze della vita), e da cui – per posizioni bioetiche – credo di essere lontano anni luce. Ho quindi visto con sorpresa quando ha pubblicato l’articolo «How to prepare for the coronavirus like a pro»,  «Come prepararsi al Coronavirus da professionista».

 

«Alcune delle persone più intelligenti che conosco si stanno preparando per una crisi»

Si scopre così che il prepping, con il fenomeno che gli americani chiamano trickle down (effetto a cascata) sta filtrando giù dall’élite verso anche la classe intellettuale. «Alcune delle persone più intelligenti che conosco si stanno preparando per una crisi, incluso me», dice.

 

Rispetto all’abituale ottimismo che il MIT squaderna al mondo a piene mani, il quadro che offre Regalado è piuttosto fosco. «Il modo in cui un prepper vede le cose, la nostra società è efficiente ma anche fragile».

 

«Il modo in cui un prepper vede le cose, la nostra società è efficiente ma anche fragile»

«Quanti giorni di cibo ha la tua città? Quante macchine di ventilazione extra ci sono nel tuo ospedale più vicino? Potrebbe essere meno di quanto pensi. Un mese fa, immagazzinare qualsiasi cosa a Boston sarebbe sembrato un po’ folle per qualcuno come me, lontano dal centro dell’epidemia di coronavirus che si diffonde in Cina. Quando ho iniziato ad accumulare  tute protettive, guanti sterili e sacchi di patate, non ho fatto pubblicità. Sarei sembrato quello strano, paranoico».

Benvenuto nel club, Antonio.

 

I Centri statunitensi per il controllo delle malattie hanno avvertito che una «perturbazione significativa» della vita americana è inevitabile e il dipartimento sanitario delle Hawaii ha consigliato alle persone di avere due settimane di forniture di emergenza a casa. Il mercato azionario è in caduta libera. Anche il vice presidente dell’Iran è malato.

 

«Mentre parlavo con i miei contatti – molti di loro scienziati, fondatori di startup e investitori che seguivano da vicino le tendenze tecnologiche – ho sentito storie di persone che affittano chalet in luoghi remoti e altri che hanno liquidato interamente i loro portafogli azionari».

 

Uno dei casi più interessanti è quello di Jamie Heywood un imprenditore sanitario e cofondatore di PatientsLikeMe. Egli, dice Regalado, «mi ha detto che è sempre pronto a sopravvivere per un lungo periodo senza risorse esterne. Ora ha aggiunto alcuni nuovi materiali, come le maschere respiratorie. Ha a casa quella che è fondamentalmente un’unità di terapia intensiva a bassa tecnologia. Se qualcuno nella sua famiglia si ammala, vuole essere in grado di prendersi cura di loro, nel caso in cui gli ospedali siano sopraffatti».

 

Il signor Heywood, che si scopre aver lavorato al CDC (il controverso centro statale per le malattie infettive americano), aveva previsto quello che la sanità italiana (e la politica, e tutti noi, e per decenni) ha mancato di vedere: le terapie intensive sono il punto debole della società. Si è fatto una T.I. privata, in grado di curare i suoi cari senza passare per il disordine in cui possono cadere gli ospedali, o le liste della morte utilitaristica che decidono che tua madre muore perché è arrivato un paziente più giovane e sano.

 

«La mia ipotesi è che tutti i membri della mia famiglia avranno questo virus ad un certo punto, ma penso che io possa ritardarlo. Il valore del ritardo può essere sostanziale, per la società e per me».

«La società just-in-time basata su Amazon è profondamente efficiente, ma molto non resistente»

 

La polemica per i respiratori in libera vendita su Alibaba, esauriti o scambiati a prezzi folli, assume un’altra luce. Sappiamo chi può averli comprati: coloro che hanno intuito ancora tempo fa cosa stava succedendo.

 

«La società just-in-time basata su Amazon è profondamente efficiente, ma molto non resistente»  afferma Heywood, preoccupato per quali significative interruzioni della catena di approvvigionamento possa significare per «una società con solo settimane di cibo sugli scaffali».

 

Poi parla del suo periodo presso il CDC: «la cosa con cui sono venuto via è una domanda sull’equilibrio tra efficienza, capitalismo, che porta la capacità di archiviazione il più vicino possibile allo zero e rende le reti di consegna il più sottili possibile. Funziona bene in un ambiente stabile. Ma che dire durante un’interruzione di tutto? Immagina che Amazon arrivi a Natale senza preparazione. Questa è una pandemia».

 

La filiera di approvvigionamento sulla quale viviamo non è affidabile. Non più

In due parole: anche quelli che lavoravano alle prospettive pandemiche nelle istituzioni, quelli intelligenti, quelli benestanti e non catastrofisti, quelli che in Italia voterebbero PD vi confessano spudoratamente: preparatevi. La filiera di approvvigionamento sulla quale viviamo non è affidabile. Non più.

 

Consigli

 

È oramai tardi, tuttavia ci permettiamo di darvi qualche consiglio, perché non lo è troppo: dall’Arizona e da Nuova York mi arrivano foto di amici che ritraggono scaffali vuoti, in Italia c’è ancora un po’ di disponibilità.

 

App per la spesa: se potete evitare di muovervi da casa, meglio

Amazon funziona ancora, così come – mi dicono – le app di alcune catene della GDO. Se potete evitare di muovervi da casa, meglio. Accertatevi che possano consegnarvi grosse quantità di merce. Grosse può significare: diversi carrelli.

 

Pensateci: anche se i supermercati non dovessero chiudere totalmente (come da prospettiva dell’hardcore prepper), potrebbe comunque divenire sempre più difficile, o sgradevole, andare a fare la spesa.

 

Procediamo con la lista, è semplice. Il cuore della scorta:

Un mese di cibo a lunga conservazione:

 

  • Un mese di cibo a lunga conservazione: cibo in scatola, soprattutto, minestroni, legumi, etc. Nei supermercati italiani abbiamo i pacchi da 5kg di pasta, non costano molto di più di €5. Lo stesso dicasi per il riso, ci sono i pacchi da 5kg, ma ne possono esistere anche da 10kg e ne ho visto sacchi di juta da 20kg. Le conserve di pomodoro già 2 settimane fa cominciavano a scarseggiare, esistono le latte maxi da diversi chili: attenzione, però, una volta che le aprite, dovete consumarle. L’olio in casa non deve mancare. Se siete di quelli che panificano, con la farina ricordatevi il lievito e gli altri ingredienti. Frutta secca. Nocciole, arachidi: non vanno a male e sono calorimetricamente potentissime, in un momento difficile possono essere molto utili. Molti stanno mettendo carne in freezer, non è sbagliato, tuttavia nello scenario in cui manchi la luce (anche temporaneamente) sarebbe un carico perso: a molti fa schifo, ma la Simmenthal è una soluzione, e non è ancora troppo considerata dal consumatore italiano. Personalmente, da produttore domestico di Biltong (specialità sudafricana), ho essicato vari chili di carne. Lo stesso discorso consideratelo per i surgelati in generale. Latte Zymil, a lunghissima conservazione.  Biscotti secchi a volontà, per i panificati, privilegiate. Se avete bambini, gli omogeneizzati non dimenticateveli, il latte in polvere di determinate marche già ad inizio della crisi cominciava temporaneamente a non esserci. Se nella vostra zona l’acqua pubblica non è un granché, procedete a prendere casse e casse di acqua minerale, facendo attenzione perché è economica ma voluminosa e difficile da portare fuori dal supermercato insieme al resto della scorta.

Medicine di cui avete la ricetta, antibiotici, aspirine

 

  • Medicine di cui avete la ricetta, antibiotici, aspirine: le farmacie al momento sono aperte, ma se mai dovessero chiudere per un mese se avete qualche cosa di fondamentale per la vostra salute prescritto dal medico (insulina, etc.) dovete trovare il modo di fare scorta. Gli antibiotici, medicinale che non posso amare, possono essere utili in situazioni avverse in mancanza di supporto diretto. Se avete a cuore l’uso di integratori parafarmaceutici, prendetene multipli di quello che prendereste normalmente.

Carta per pulire

 

  • Carta per pulire: la carta igienica, negli USA, è sparita subito. Anche gli altri tipi di carta da pulire (fazzoletti, panni, etc.) vanno accumulati ed usati in casa con parsimonia. Considerate che in caso di raffreddore, carta per l’igiene umana potrebbe essere usata in modo massivo. Chi ha bambini ricordi i pannolini (tanti). Le donne facciano un pensiero su quegli scaffali indicati pudicamente nei supermercati come «igiene periodica».

Disinfettante

 

  • Disinfettante: la prima cosa che nell’ilarità collettiva è scomparsa è l’amuchina. Oltre all’alcol disinfettante, o all’aceto, qualcuno ha fatto scorte di vodka in funzione non inebriante ma antisettica. Anche qui, Worst Case Scenario. Non me la sento di riderne. Al massimo ne sorrideremo alla fine di tutto, quando la si potrà usare con un cocktail spettacolare, magari con l’azoto liquido (scrivo così ma non so se giocherò mai più con l’azoto liquido).

Carburante

 

 

  • Carburante: se avete delle taniche, riempitele. Per il resto, fate il pieno il prima possibile, e il più spesso possibile.

 

Ci sono aggiunte a piacere alla lista. C’è chi ha aggiunto quantità di vitamina C (io ho con me polvere di acido ascorbico, più diversi barattoli di integratori di minerali e di vitamine varie comprati all’ingrosso). C’è chi necessita di rasoi. C’è chi aggiunge le trappole per topi: servono a proteggere la scorta in certi ambienti.

 

La spesa non è indifferente. Preparatevi a spendere centinaia di euro, forse un migliaio se la vostra famiglia è numerosa.

 

La spesa non è indifferente. Preparatevi a spendere centinaia di euro, forse un migliaio se la vostra famiglia è numerosa

Se volete comprare un elettrodomestico – i negozi di elettronica sono aperti – non posso che consigliare che una macchina per il sottovuoto, Oramai se ne trovano anche sui €50. Negli anni ne ho distribuite alle varie regioni della famiglia. Vi può aiutare a conservare il cibo, ed è utilissima per avanzi e frattaglie. Se la comprate, ricordatevi di comprare anche i sacchetti, della dimensione e della quantità giusta.

 

I supermercati nella pratica sono divenuti un luogo difficile. Già prima che si creassero le code – che capite bene che, almeno quelle, ho evitato – nei primi giorni di crisi era percepibile un certo nervosismo tra i clienti (una corsia è stretta e non assicura il metro di distanza richiesto), e la possibilità che esso degeneri è concreta. Parimenti, il metro di distanza non crea solo le code in entrata, crea code anche in uscita: la fila in cassa diviene più lunga, finisce tra gli scaffali, causando ancora più disordine.

I supermercati nella pratica sono divenuti un luogo difficile

 

Il consiglio che diamo quindi è trovare un supermercato che apre prestissimo (alle 8:00 o prima), come quelli che con una funzione tipo ingrosso servono anche le attività di ristorazione. A quell’ora c’è decisamente meno gente, soprattutto se ne scegliete uno raggiungibile solo con la macchina, fuori dall’area cittadina – certo, se esso non è quello pià prossimo andarci vi espone al rischio che ad un eventuale controllo vi chiedano «perché non è andato vicino a casa sua».

 

Portate con voi già i sacchetti da casa, ma non imbustate in cassa: dovete minimizzare il tempo di permanenza in un luogo dove l’infezione potrebbe avvenire, o dove comunque la tensione sale e qualcuno potrebbe uscire dal seminato.

Parcheggiate lontano dall’entrata

 

Parimenti, la quantità di cose che comprerete riempirà lo scivolo della cassa, quindi quello che dovete fare è mettere tutto subito nel carrello, sul cui gancio vanno appesi alcuni sacchetti (di quelli solidi, chiaro) che avrete portato da casa riempiti dei prodotti. Quello che non imbustate nei sacchetti appesi, lo imbusterete in macchina: parcheggiatela lontano dall’entrata, nelle file più remote dove in genere non c’è nessuno. Là, con il bagagliaio aperto, avrete tutto il tempo per insacchettare con calma e con raziocinio.

 

Pagate con la plastica

Cercate di pagare con la plastica.

 

Non è consentito fare la spesa in due, lo sapete. Questo è un problema perché un carrello non potrebbe bastarvi. Negli esercizi che lo hanno, prendete uno di quei carrelli bassi, tipo montacarichi. Soprattutto l’acqua minerale e la carta igienica portano via tantissimo spazio. In caso, prendete sia un carrello che quei carrellini tipo trolley, o le sporte. Sarete goffi a vedersi, ma non gliene frega niente a nessuno, e siete pure mascherati (e mi raccomando, guantati).

 

C’è un capitolo che manca: quello della difesa personale.

 

Il collasso sociale è possibile: prima gli ospedali, poi i supermercati, e solo dopo le prime irruzioni nelle abitazioni private

Chi mi segue sa come la penso: il collasso sociale è possibile, e con le rivolte simultanee nelle carceri e le bande che si picchiano in strada a Milano la parte più ferale ha fatto capire che sta odorando la debolezza dello Stato in questo momento. Dovrebbero collassare (predizione: prima a Napoli e al Sud, a Roma, forse a Milano) prima gli ospedali, quindi esserci disordini nei supermercati, e solo poi esserci le prime irruzioni nelle abitazioni private.

 

La casa è un tabù – se qualcuno ci sta dentro. Qualcuno che vi entra in casa lo fa a grande rischio: di beccarsi tanti anni di gabbio, ma anche di trovare qualcuno dentro che si difende. Questo non è detto che lo sappiano tutti, specialmente quando lo Stato che ti mette il gabbio arriva a perdere il controllo e i cittadini paiono degli animali in gabbia spaventati.

Nel caso, cercate la difesa senza nessuna esitazione. Difendete la vostra casa perché in questo momento dentro ci sono i vostri cari

 

Nella milionata di africani che abbiamo importato a nostre spese, sicuramente c’è qualcuno che una situazione di collasso dello Stato sa cos’è, perché magari proveniente da società in collasso permanente, dove le razzie dei villaggi non sono ricordi lontani.

 

Che ad ogni modo le prime bande ad agglutinarsi per il pillage siano africane, nordafricane o molisane (la regione meno positiva al C19 in Italia), pochissimo importa.

 

In Italia non abbiamo gli stupendi emendamenti della Costituzione americana, quindi nessuna arma in libera vendita. In Italia la giustizia poi ha dimostrato spesso di avere una sua idea della legittima difesa. Ciò detto, non posso fare che consigliare quello che sto dicendo a tutti coloro che me lo chiedono: nel caso succedesse, cercate la difesa senza nessuna esitazione. Difendete la vostra casa perché in questo momento dentro ci sono i vostri cari.

 

Non ho molto altro da aggiungere.

 

Fatelo subito prima che chiudano del tutto i supermercati

Posso dire che, anche per motivi fisici e spirituali, ma soprattutto per esperimento strategico funzionale al momento, in questi giorni sto digiunando. Sto riabituando il corpo, e lo spirito, alla privazione, perché quello che ci dipingono ora, anche nel post-C19, è un mondo in crash economico, nel quale chissà come sarà mangiare, uscire, viaggiare in aereo, far vacanza. Tutte cose che chissà se torneranno. Tutte cose di cui, da anni, ho imparato a fare a meno. 

 

Il digiuno ha come effetto principale la lucidità. Ho scritto quindi queste righe al massimo della precisione fisiologica della mia mente. Sicuramente però qualcosa mi sarà sfuggito: capiterà anche a voi, e come me dovrete tornare al supermercato a comprare.

 

Fatelo subito prima che lo chiudano del tutto, però.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

Continua a leggere

Civiltà

«Pragmatismo e realismo, rifiuto della filosofia dei blocchi». Il discorso di Putin a Valdai 2025: «la Russia non mostrerà mai debolezza o indecisione»

Pubblicato

il

Da

Renovatio 21 pubblica il discorso del presidente della Federazione Russa Vladimir Putin all’edizione 2025 del Club Valdai.

 

È improbabile che io possa formulare linee guida o istruzioni, e non è questo il punto, perché spesso le persone chiedono istruzioni o consigli solo per poi non seguirli. Questa formula è ben nota.

 

Vorrei esprimere la mia opinione su ciò che sta accadendo nel mondo, sul ruolo del nostro Paese in tutto questo e su come ne vediamo le prospettive di sviluppo.

 

Il Valdai International Discussion Club si è riunito per la 22a volta e questi incontri sono diventati più di una semplice tradizione. Le discussioni sulle piattaforme Valdai offrono un’opportunità unica per valutare la situazione globale in modo imparziale e completo, per individuare i cambiamenti e comprenderli.

 

Indubbiamente, la forza unica del Club risiede nella determinazione e nella capacità dei suoi partecipanti di guardare oltre il banale e l’ovvio. Non si limitano a seguire l’agenda imposta dallo spazio informativo globale, dove internet fornisce il suo contributo – sia positivo che negativo, spesso difficile da discernere – ma pongono domande non convenzionali, offrono la propria visione dei processi in corso, cercando di sollevare il velo che nasconde il futuro. Non è un compito facile, ma qui a Valdai ci si riesce spesso.

 

Abbiamo ripetutamente notato che viviamo in un’epoca in cui tutto sta cambiando, e molto rapidamente; direi addirittura radicalmente. Naturalmente, nessuno di noi può prevedere appieno il futuro. Tuttavia, questo non ci esonera dalla responsabilità di essere preparati. Come il tempo e gli eventi recenti hanno dimostrato, dobbiamo essere pronti a tutto. In tali periodi storici, ognuno ha una responsabilità speciale per il proprio destino, per il destino del proprio Paese e per quello del mondo in generale. La posta in gioco oggi è estremamente alta.

 

Come già accennato, il rapporto del Valdai Club di quest’anno è dedicato a un mondo multipolare e policentrico. Il tema è da tempo all’ordine del giorno, ma ora richiede un’attenzione particolare; su questo punto concordo pienamente con gli organizzatori. La multipolarità che di fatto è già emersa sta plasmando il quadro entro cui agiscono gli Stati. Vorrei provare a spiegare cosa rende unica la situazione attuale.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

In primo luogo, il mondo odierno offre uno spazio molto più aperto – anzi, si potrebbe dire creativo – per la politica estera. Nulla è predeterminato; gli sviluppi possono prendere direzioni diverse. Molto dipende dalla precisione, dall’accuratezza, dalla coerenza e dalla ponderatezza delle azioni di ciascun partecipante alla comunicazione internazionale. Eppure, in questo vasto spazio è anche facile perdersi e perdere l’orientamento, cosa che, come possiamo vedere, accade piuttosto spesso.

 

In secondo luogo, lo spazio multipolare è altamente dinamico. Come ho detto, il cambiamento avviene rapidamente, a volte all’improvviso, quasi da un giorno all’altro. È difficile prepararsi e spesso impossibile prevederlo. Bisogna essere pronti a reagire immediatamente, in tempo reale, come si dice.

 

In terzo luogo, e di particolare importanza, è il fatto che questo nuovo spazio è più democratico. Apre opportunità e percorsi per un’ampia gamma di attori politici ed economici. Forse mai prima d’ora così tanti Paesi hanno avuto la capacità o l’ambizione di influenzare i processi regionali e globali più significativi.

 

Poi. Le specificità culturali, storiche e di civiltà dei diversi Paesi giocano oggi un ruolo più importante che mai. È necessario cercare punti di contatto e convergenza di interessi. Nessuno è disposto a giocare secondo le regole stabilite da qualcun altro, da qualche parte lontano – come cantava un chansonnier molto noto nel nostro Paese, «al di là delle nebbie», o al di là degli oceani, per così dire.

 

A questo proposito, il quinto punto: qualsiasi decisione è possibile solo sulla base di accordi che soddisfino tutte le parti interessate o la stragrande maggioranza. Altrimenti, non ci sarà alcuna soluzione praticabile, ma solo frasi ad alta voce e un infruttuoso gioco di ambizioni. Pertanto, per ottenere risultati, armonia ed equilibrio sono essenziali.

 

Infine, le opportunità e i pericoli di un mondo multipolare sono inscindibili l’uno dall’altro. Naturalmente, l’indebolimento del diktat che ha caratterizzato il periodo precedente e l’espansione della libertà per tutti rappresentano innegabilmente uno sviluppo positivo. Allo stesso tempo, in tali condizioni, è molto più difficile trovare e stabilire questo solido equilibrio, il che rappresenta di per sé un rischio evidente ed estremo.

 

Questa situazione sul pianeta, che ho cercato di delineare brevemente, è un fenomeno qualitativamente nuovo. Le relazioni internazionali stanno subendo una trasformazione radicale. Paradossalmente, la multipolarità è diventata una conseguenza diretta dei tentativi di stabilire e preservare l’egemonia globale, una risposta del sistema internazionale e della storia stessa al desiderio ossessivo di organizzare tutti in un’unica gerarchia, con i paesi occidentali al vertice. Il fallimento di un simile tentativo era solo questione di tempo, qualcosa di cui, tra l’altro, abbiamo sempre parlato. E, per gli standard storici, è avvenuto piuttosto rapidamente.

 

Trentacinque anni fa, quando il confronto della Guerra Fredda sembrava volgere al termine, speravamo nell’alba di un’era di autentica cooperazione. Sembrava che non ci fossero più ostacoli ideologici o di altra natura che potessero impedire la risoluzione congiunta dei problemi comuni all’umanità o la regolazione e la risoluzione di inevitabili controversie e conflitti sulla base del rispetto reciproco e della considerazione dei reciproci interessi.

 

Concedetemi qui una breve digressione storica. Il nostro Paese, nel tentativo di eliminare i motivi di scontro di blocco e di creare uno spazio comune di sicurezza, ha dichiarato due volte la propria disponibilità ad aderire alla NATO. La prima volta nel 1954, durante l’era sovietica. La seconda volta durante la visita del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton a Mosca nel 2000 – ne ho già parlato – quando abbiamo discusso anche di questo argomento con lui.

 

In entrambe le occasioni, abbiamo ricevuto un rifiuto netto e netto. Lo ripeto: eravamo pronti a un lavoro congiunto, a passi non lineari nell’ambito della sicurezza e della stabilità globale. Ma i nostri colleghi occidentali non erano disposti a liberarsi dalle catene degli stereotipi geopolitici e storici, da una visione semplificata e schematica del mondo.

 

Ne ho parlato pubblicamente anche quando ne ho discusso con il signor Clinton, con il presidente Clinton. Lui ha detto: «sai, è interessante. Penso che sia possibile». E poi la sera ha detto: «mi sono consultato con i miei collaboratori: non è fattibile, non è fattibile ora». «Quando sarà fattibile?» E questo è tutto, è svanito tutto.

 

In breve, avevamo una reale opportunità di orientare le relazioni internazionali in una direzione diversa e più positiva. Eppure, ahimè, prevalse un approccio diverso. I paesi occidentali cedettero alla tentazione del potere assoluto. Era davvero una tentazione potente, e resistervi avrebbe richiesto una visione storica e una solida preparazione, intellettuale e storica. Sembra che coloro che presero le decisioni in quel momento semplicemente non avessero entrambe le caratteristiche.

 

In effetti, il potere degli Stati Uniti e dei suoi alleati raggiunse l’apice alla fine del XX secolo. Ma non c’è mai stata, né ci sarà mai, una forza in grado di governare il mondo, dettando a tutti come agire, come vivere, persino come respirare. Tentativi del genere sono stati fatti, ma sono tutti falliti.

 

Tuttavia, dobbiamo riconoscere che molti trovavano accettabile e persino conveniente il cosiddetto ordine mondiale liberale. È vero, una gerarchia limita fortemente le opportunità per coloro che non si trovavano in cima alla piramide, o, se preferite, in cima alla catena alimentare. Ma coloro che si trovavano in fondo erano sollevati da ogni responsabilità: le regole erano semplici: accettare i termini, inserirsi nel sistema, ricevere la propria quota, per quanto modesta, ed essere contenti. Altri avrebbero pensato e deciso per noi.

 

E non importa cosa si dica ora, non importa quanto si cerchi di mascherare la realtà: è andata così. Gli esperti qui riuniti lo ricordano e lo capiscono perfettamente.

Sostieni Renovatio 21

Alcuni, nella loro arroganza, si ritenevano autorizzati a fare la predica al resto del mondo. Altri si accontentavano di assecondare i potenti come obbedienti pedine di scambio, desiderosi di evitare inutili problemi in cambio di un bonus modesto ma garantito. Ci sono ancora molti politici di questo tipo nella parte vecchia del mondo, in Europa.

 

Coloro che osavano opporsi e cercavano di difendere i propri interessi, diritti e opinioni, venivano, nella migliore delle ipotesi, liquidati come eccentrici e, in pratica, veniva loro detto: «non ce la farete, quindi arrendetevi e accettate che, in confronto al nostro potere, siete una nullità». Quanto ai veri testardi, venivano «educati» dai sedicenti leader globali, che non si prendevano nemmeno più la briga di nascondere le loro intenzioni. Il messaggio era chiaro: resistere era inutile.

 

Ma questo non ha portato nulla di buono. Nessun problema globale è stato risolto. Al contrario, se ne moltiplicano costantemente di nuovi. Le istituzioni di governance globale create in un’epoca precedente hanno cessato di funzionare o hanno perso gran parte della loro efficacia. E non importa quanta forza o risorse uno Stato, o anche un gruppo di Stati, possa accumulare, il potere ha sempre i suoi limiti.

 

Come sa il pubblico russo, in Russia esiste un detto: «non c’è risposta a un piede di porco, se non un altro piede di porco», ovvero non si porta un coltello a una sparatoria, ma un’altra pistola. E in effetti, quell’«altra pistola» si può sempre trovare. Questa è l’essenza stessa degli affari mondiali: emerge sempre una controforza. E i tentativi di controllare tutto generano inevitabilmente tensione, minando la stabilità interna e spingendo la gente comune a porre una domanda molto legittima ai propri governi: «perché abbiamo bisogno di tutto questo?»

 

Una volta ho sentito qualcosa di simile dai nostri colleghi americani, che dicevano: «abbiamo guadagnato il mondo intero, ma abbiamo perso l’America». Posso solo chiedere: ne è valsa la pena? E avete davvero guadagnato qualcosa?

 

È emerso un netto rifiuto delle eccessive ambizioni dell’élite politica delle principali nazioni dell’Europa occidentale, che si sta diffondendo sempre più nelle società di quei paesi. Il barometro dell’opinione pubblica lo indica in modo generalizzato. L’establishment non vuole cedere il potere, osa ingannare direttamente i propri cittadini, aggrava la situazione a livello internazionale, ricorre a ogni sorta di stratagemmi all’interno dei propri paesi, sempre più spesso ai margini della legge o addirittura oltre.

 

Tuttavia, trasformare continuamente le procedure democratiche ed elettorali in una farsa e manipolare la volontà dei popoli non funzionerà. Come è successo in Romania, ad esempio, ma non entreremo nei dettagli. Questo sta accadendo in molti paesi. In alcuni di essi, le autorità stanno cercando di mettere al bando i loro oppositori politici che stanno guadagnando maggiore legittimità e maggiore fiducia da parte degli elettori. Lo sappiamo per esperienza personale, in Unione Sovietica. Ricordate le canzoni di Vladimir Vysotskij: «Anche la parata militare è stata cancellata! Presto metteranno al bando tutti e tutti!». Ma non funziona, i divieti non funzionano.

 

Nel frattempo, la volontà del popolo, la volontà dei cittadini di quei Paesi è chiara e semplice: lasciare che i leader di quei Paesi si occupino dei problemi dei cittadini, si prendano cura della loro sicurezza e della loro qualità di vita, e non inseguire chimere. Gli Stati Uniti, dove le richieste della gente hanno portato a un cambiamento sufficientemente radicale nel vettore politico, ne sono un esempio lampante. E possiamo dire che è noto che questi esempi sono contagiosi per altri Paesi.

 

La subordinazione della maggioranza alla minoranza, insita nelle relazioni internazionali durante il periodo della dominazione occidentale, sta cedendo il passo a un approccio multilaterale e più cooperativo. Esso si basa su accordi tra i principali attori e sulla considerazione degli interessi di tutti. Ciò non garantisce certamente armonia e assoluta assenza di conflitti. Gli interessi dei Paesi non si sovrappongono mai completamente e l’intera storia delle relazioni internazionali è, ovviamente, una lotta per il loro raggiungimento.

 

Tuttavia, il clima globale fondamentalmente nuovo in cui i paesi della Maggioranza Globale stanno sempre più imponendo il loro tono, promette che tutti gli attori dovranno in qualche modo tenere conto degli interessi reciproci nella ricerca di soluzioni alle questioni regionali e globali. Dopotutto, nessuno può raggiungere i propri obiettivi da solo, isolato dagli altri. Nonostante l’escalation dei conflitti, la crisi del precedente modello di globalizzazione e la frammentazione dell’economia globale, il mondo rimane integrato, interconnesso e interdipendente.

 

Lo sappiamo per esperienza personale. Sapete quanti sforzi i nostri oppositori abbiano profuso negli ultimi anni per, diciamolo apertamente, estromettere la Russia dal sistema globale e spingerci verso l’isolamento politico, culturale, informativo e l’autarchia economica. Per numero e portata delle misure punitive imposteci, che vergognosamente chiamano «sanzioni», la Russia è diventata il detentore del record assoluto nella storia mondiale: 30.000, o forse anche di più, restrizioni di ogni tipo immaginabile.

 

E allora? Hanno raggiunto il loro obiettivo? Credo sia ovvio per tutti i presenti: questi sforzi sono completamente falliti. La Russia ha dimostrato al mondo il massimo grado di resilienza, la capacità di resistere alla più potente pressione esterna che avrebbe potuto spezzare non un solo Paese, ma un’intera coalizione di Stati. E a questo proposito, proviamo un legittimo orgoglio. Orgoglio per la Russia, per i nostri cittadini e per le nostre Forze Armate.

 

Ma vorrei parlare di qualcosa di più profondo. A quanto pare, lo stesso sistema globale da cui volevano espellerci si rifiuta semplicemente di lasciar andare la Russia. Perché ha bisogno della Russia come parte essenziale dell’equilibrio globale: non solo per il nostro territorio, la nostra popolazione, la nostra difesa, il nostro potenziale tecnologico e industriale o la nostra ricchezza mineraria – sebbene, ovviamente, tutti questi siano fattori di fondamentale importanza.

 

Ma soprattutto, l’equilibrio globale non può essere costruito senza la Russia: né l’equilibrio economico, né quello strategico, né quello culturale o logistico. Nessuno. Credo che coloro che hanno cercato di distruggere tutto questo abbiano iniziato a rendersene conto. Alcuni, tuttavia, cercano ancora ostinatamente di raggiungere il loro obiettivo: infliggere, come si dice, una «sconfitta strategica» alla Russia.

 

Ebbene, se non riescono a vedere che questo piano è destinato a fallire e a persistere, spero ancora che la vita stessa dia una lezione anche al più testardo di loro. Hanno fatto molto rumore molte volte, minacciandoci con un blocco totale. Hanno persino detto apertamente, senza esitazione, di voler far soffrire il popolo russo. Questa è la parola che hanno scelto. Hanno elaborato piani, uno più fantasioso dell’altro. Credo che sia giunto il momento di calmarsi, di guardarsi intorno, di orientarsi e di iniziare a costruire relazioni in un modo completamente diverso.

 

Sappiamo anche che il mondo policentrico è altamente dinamico. Appare fragile e instabile perché è impossibile correggere in modo permanente lo stato delle cose o determinare l’equilibrio di potere a lungo termine. Dopotutto, i partecipanti a questi processi sono molteplici e le loro forze sono asimmetriche e complesse. Ciascuno ha i suoi aspetti vantaggiosi e punti di forza competitivi, che in ogni caso creano una combinazione e una composizione uniche.

Iscriviti al canale Telegram

Il mondo odierno è un sistema eccezionalmente complesso e sfaccettato. Per descriverlo e comprenderlo correttamente, le semplici leggi della logica, le relazioni di causa ed effetto e i modelli che ne derivano non sono sufficienti. Ciò di cui abbiamo bisogno è una filosofia della complessità, qualcosa di simile alla meccanica quantistica, più saggia e, per certi versi, più complessa della fisica classica.

 

Eppure è proprio a causa di questa complessità del mondo che la capacità complessiva di accordo, a mio avviso, tende comunque ad aumentare. Dopotutto, le soluzioni unilaterali lineari sono impossibili, mentre le soluzioni non lineari e multilaterali richiedono una diplomazia molto seria, professionale, imparziale, creativa e a volte non convenzionale.

 

Sono quindi convinto che assisteremo a una sorta di rinascita, a una rinascita dell’alta arte diplomatica. La sua essenza risiede nella capacità di dialogare e raggiungere accordi, sia con i vicini e i partner che condividono gli stessi ideali, sia – non meno importante ma più impegnativo – con gli avversari.

 

È proprio in questo spirito – lo spirito della diplomazia del XXI secolo – che si stanno sviluppando nuove istituzioni. Tra queste, la comunità BRICS in espansione, organizzazioni di grandi regioni come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, organizzazioni eurasiatiche e associazioni regionali più compatte ma non meno importanti. Molti di questi gruppi stanno emergendo in tutto il mondo – non li elencherò tutti, poiché li conoscete già.

 

Tutte queste nuove strutture sono diverse, ma sono unite da una qualità cruciale: non operano secondo il principio di gerarchia o subordinazione a un singolo potere dominante. Non sono contro nessuno; sono per se stesse. Vorrei ribadirlo: il mondo moderno ha bisogno di accordi, non dell’imposizione della volontà di qualcuno. L’egemonia – di qualsiasi tipo – semplicemente non può e non vuole far fronte alla portata delle sfide.

 

Garantire la sicurezza internazionale in queste circostanze è una questione estremamente urgente, con numerose variabili. Il crescente numero di attori con obiettivi, culture politiche e tradizioni distintive crea un contesto globale complesso che rende lo sviluppo di approcci per garantire la sicurezza un compito molto più intricato e difficile da affrontare. Allo stesso tempo, apre nuove opportunità per tutti noi.

 

Le ambizioni basate su blocchi pre-programmati per esacerbare il confronto sono diventate, senza dubbio, un anacronismo privo di senso. Vediamo, ad esempio, con quanta diligenza i nostri vicini europei stiano cercando di rattoppare e stuccare le crepe che attraversano la costruzione dell’Europa. Eppure, vogliono superare le divisioni e consolidare la traballante unità di cui un tempo si vantavano, non affrontando efficacemente le questioni interne, ma gonfiando l’immagine di un nemico. È un vecchio trucco, ma il punto è che la gente in quei paesi vede e capisce tutto. Ecco perché scendono in piazza nonostante l’escalation esterna e la continua ricerca di un nemico, come ho detto prima.

 

Stanno ricreando l’immagine di un vecchio nemico, quello che hanno creato secoli fa, ovvero la Russia. La maggior parte delle persone in Europa fa fatica a capire perché debba avere così tanta paura della Russia da dover stringere ulteriormente la cinghia, abbandonare i propri interessi, semplicemente rinunciarvi, e perseguire politiche chiaramente dannose per loro stesse. Eppure, le élite al potere nell’Europa unita continuano a fomentare l’isteria. Affermano che la guerra con i russi è quasi alle porte. Ripetono questa assurdità, questo mantra, ancora e ancora.

 

Francamente, quando a volte li guardo e li ascolto, penso che non possano crederci. Non possono crederci quando dicono che la Russia sta per attaccare la NATO. È semplicemente impossibile crederci. Eppure lo stanno facendo credere al loro stesso popolo. Quindi, che tipo di persone sono? O sono completamente incompetenti, se ci credono davvero, perché credere a simili assurdità è semplicemente inconcepibile, o semplicemente disonesti, perché non ci credono loro stessi ma stanno cercando di convincere i loro cittadini che è vero. Quali altre opzioni ci sono?

 

Francamente, sarei tentato di dire: calmatevi, dormite sonni tranquilli e affrontate i vostri problemi. Guardate cosa sta succedendo nelle strade delle città europee, cosa sta succedendo all’economia, all’industria, alla cultura e all’identità europea, agli enormi debiti e alla crescente crisi dei sistemi di sicurezza sociale, alle migrazioni incontrollate e alla violenza dilagante – inclusa la violenza politica – alla radicalizzazione di gruppi di sinistra, ultraliberali, razzisti e altri gruppi marginali.

Aiuta Renovatio 21

Prendete nota di come l’Europa stia scivolando ai margini della competizione globale. Sappiamo perfettamente quanto siano infondate le minacce sui cosiddetti piani aggressivi della Russia, con cui l’Europa si spaventa. L’ho appena accennato. Ma l’autosuggestione è pericolosa. E semplicemente non possiamo ignorare ciò che sta accadendo; non abbiamo il diritto di farlo, per il bene della nostra sicurezza, per ribadirlo, per il bene della nostra difesa e incolumità.

 

Ecco perché stiamo monitorando attentamente la crescente militarizzazione dell’Europa. È solo retorica o è giunto il momento di reagire? Abbiamo sentito, e anche voi lo sapete, che la Repubblica Federale di Germania afferma che il suo esercito deve tornare a essere il più forte d’Europa. Bene, stiamo ascoltando attentamente e seguendo attentamente tutto per capire cosa si intenda esattamente con questo.

 

Credo che nessuno abbia dubbi sul fatto che la risposta della Russia non tarderà ad arrivare. Per usare un eufemismo, la risposta a queste minacce sarà estremamente convincente. E sarà davvero una risposta: noi stessi non abbiamo mai avviato uno scontro militare. È insensato, superfluo e semplicemente assurdo; distrae dai problemi e dalle sfide reali. Prima o poi, le società chiederanno inevitabilmente conto ai loro leader e alle loro élite di ignorare le loro speranze, aspirazioni e bisogni.

 

Tuttavia, se qualcuno si sente ancora tentato di sfidarci militarmente – come diciamo in Russia, la libertà è per chi è libero – provi pure. La Russia ha dimostrato più volte che quando sorgono minacce alla nostra sicurezza, alla pace e alla tranquillità dei nostri cittadini, alla nostra sovranità e ai fondamenti stessi del nostro Stato, reagiamo prontamente.

 

Non c’è bisogno di provocazioni. Non c’è stato un solo caso in cui la situazione si sia conclusa positivamente per il provocatore. E non ci si dovrebbero aspettare eccezioni in futuro: non ce ne saranno.

 

La nostra storia ha dimostrato che la debolezza è inaccettabile, poiché crea tentazione: l’illusione che si possa usare la forza per risolvere qualsiasi questione con noi. La Russia non mostrerà mai debolezza o indecisione. Che questo sia ricordato da coloro che si risentono del fatto stesso della nostra esistenza, da coloro che coltivano sogni di infliggerci questa cosiddetta sconfitta strategica. A proposito, molti di coloro che ne hanno parlato attivamente, come diciamo in Russia, «Alcuni non ci sono più, altri sono lontani». Dove sono ora queste cifre?

 

Ci sono così tanti problemi oggettivi nel mondo, derivanti da fattori naturali, tecnologici o sociali, che spendere energie e risorse in contraddizioni artificiali, spesso inventate, è inammissibile, uno spreco e semplicemente sciocco.

 

La sicurezza internazionale è ormai diventata un fenomeno così sfaccettato e indivisibile che nessuna divisione geopolitica basata sui valori può frammentarlo. Solo un lavoro meticoloso e completo, che coinvolga partner diversi e si basi su approcci creativi, può risolvere le complesse equazioni della sicurezza del XXI secolo. In questo quadro, non ci sono elementi più o meno importanti o cruciali: tutto deve essere affrontato in modo olistico.

 

Il nostro Paese ha costantemente sostenuto – e continua a sostenere – il principio della sicurezza indivisibile. L’ho detto molte volte: la sicurezza di alcuni non può essere garantita a scapito di quella di altri. Altrimenti, non c’è alcuna sicurezza – per nessuno. L’affermazione di questo principio si è rivelata infruttuosa. L’euforia e la sfrenata sete di potere tra coloro che si consideravano vincitori dopo la Guerra Fredda – come ho ripetutamente affermato – hanno portato a tentativi di imporre a tutti nozioni unilaterali e soggettive di sicurezza.

 

Questa, di fatto, è diventata la vera causa principale non solo del conflitto ucraino, ma anche di molte altre gravi crisi della fine del XX secolo e del primo decennio del XXI secolo. Di conseguenza, proprio come avevamo avvertito, oggi nessuno si sente veramente al sicuro. È tempo di tornare alle basi e correggere gli errori del passato.

Tuttavia, la sicurezza indivisibile oggi, rispetto alla fine degli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta, è un fenomeno ancora più complesso. Non si tratta più solo di equilibrio militare e politico e di considerazioni di interesse reciproco.

 

La sicurezza dell’umanità dipende dalla sua capacità di rispondere alle sfide poste dai disastri naturali, dalle catastrofi provocate dall’uomo, dallo sviluppo tecnologico e dai rapidi processi sociali, demografici e informativi.

 

Tutto questo è interconnesso e i cambiamenti avvengono in gran parte da soli, spesso, l’ho già detto, in modo imprevedibile, seguendo una propria logica e regole interne e, a volte, oserei dire, persino al di là della volontà e delle aspettative delle persone.

 

In una situazione del genere, l’umanità rischia di diventare superflua, un semplice osservatore di processi che non sarà mai in grado di controllare. Cos’è questa se non una sfida sistemica per tutti noi e un’opportunità per tutti noi di lavorare insieme in modo costruttivo?

 

Non ci sono risposte pronte, ma credo che la soluzione alle sfide globali richieda, in primo luogo, un approccio libero da pregiudizi ideologici e da pathos didascalici, del tipo «Ora ti dico cosa fare». In secondo luogo, è importante capire che si tratta di una questione veramente comune e indivisibile, che richiede sforzi congiunti di tutti i paesi e le nazioni.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Ogni cultura e civiltà dovrebbe dare il suo contributo perché, ripeto, nessuno conosce la risposta giusta separatamente. Questa può essere generata solo attraverso una ricerca costruttiva congiunta, combinando – non separando – gli sforzi e le esperienze nazionali dei vari Paesi.

 

Vorrei ripeterlo ancora una volta: conflitti e collisioni di interessi sono esistiti e, naturalmente, rimarranno per sempre: la questione è come risolverli. Un mondo policentrico, come ho già detto oggi, è un ritorno alla diplomazia classica, quando la risoluzione richiede attenzione, rispetto reciproco, ma non coercizione.

 

La diplomazia classica era in grado di tenere conto delle posizioni dei diversi attori internazionali, della complessità del «concerto» composto dalle voci di diverse potenze. Tuttavia, a un certo punto, è stata sostituita dalla diplomazia di stampo occidentale, fatta di monologhi, interminabili prediche e ordini. Invece di risolvere i conflitti, alcune parti hanno iniziato a far prevalere i propri interessi egoistici, considerando gli interessi di tutti gli altri indegni di attenzione.

 

Non c’è da stupirsi che, invece di trovare una soluzione, i conflitti siano stati ulteriormente esacerbati, fino a trasformarsi in una sanguinosa fase armata che ha portato a un disastro umanitario. Agire in questo modo significa non riuscire a risolvere alcun conflitto. Gli esempi degli ultimi 30 anni sono innumerevoli.

 

Uno di questi è il conflitto palestinese-israeliano, che non può essere risolto seguendo le ricette di una diplomazia occidentale sbilanciata, che ignora grossolanamente la storia, le tradizioni, l’identità e la cultura dei popoli che vi abitano. Né contribuisce a stabilizzare la situazione in Medio Oriente in generale, che anzi sta rapidamente peggiorando. Ora stiamo conoscendo più approfonditamente le iniziative del Presidente Trump. Mi sembra che in questo caso si possa ancora intravedere una luce in fondo al tunnel.

 

Anche la tragedia ucraina ne è un esempio orribile. È un dolore per gli ucraini e i russi, per tutti noi. Le ragioni del conflitto ucraino sono note a chiunque si sia preso la briga di approfondire i retroscena della sua attuale, più acuta fase. Non le ripeterò. Sono certo che tutti in questo pubblico le conoscano bene, così come la mia posizione su questo tema, che ho già espresso più volte.

 

Anche un’altra cosa è ben nota. Coloro che hanno incoraggiato, incitato e armato l’Ucraina, che l’hanno spinta a inimicarsi la Russia, che per decenni hanno alimentato un nazionalismo dilagante e un neonazismo in quel Paese, francamente – mi si perdoni la franchezza – se ne sono fregati degli interessi della Russia o, se è per questo, dell’Ucraina. Non provano nulla per il popolo ucraino. Per loro – globalisti ed espansionisti in Occidente e i loro tirapiedi a Kiev – sono materiale sacrificabile. I risultati di un simile avventurismo sconsiderato sono sotto gli occhi di tutti, e non c’è nulla da discutere.

 

Sorge un’altra domanda: le cose sarebbero potute andare diversamente? Lo sappiamo anche noi, e torno a ciò che disse una volta il Presidente Trump. Disse che se fosse stato in carica allora, questo si sarebbe potuto evitare. Sono d’accordo. Anzi, si sarebbe potuto evitare se il nostro lavoro con l’amministrazione Biden fosse stato organizzato diversamente; se l’Ucraina non fosse stata trasformata in un’arma distruttiva nelle mani di qualcun altro; se la NATO non fosse stata usata a questo scopo mentre avanzava verso i nostri confini; e se l’Ucraina avesse infine preservato la sua indipendenza, la sua autentica sovranità.

 

C’è un’altra domanda. Come avrebbero dovuto essere risolte le questioni bilaterali russo-ucraine, che erano la naturale conseguenza della disgregazione di un vasto paese e di complesse trasformazioni geopolitiche? A proposito, credo che la dissoluzione dell’Unione Sovietica fosse legata alla posizione dell’allora leadership russa, che cercava di liberarsi dal confronto ideologico nella speranza che ora, con la fine del comunismo, saremmo diventati fratelli. Non è successo nulla del genere. Sono entrati in gioco altri fattori, sotto forma di interessi geopolitici. Si è scoperto che le differenze ideologiche non erano il vero problema.

 

Quindi, come si dovrebbero risolvere questi problemi in un mondo policentrico? Come si sarebbe affrontata la situazione in Ucraina? Credo che se ci fosse stata multipolarità, i diversi poli avrebbero, per così dire, messo alla prova il conflitto ucraino. Lo avrebbero misurato in base ai potenziali focolai di tensione e fratture nelle proprie regioni. In tal caso, una soluzione collettiva sarebbe stata molto più responsabile ed equilibrata.

 

L’accordo si sarebbe basato sulla consapevolezza che tutti i partecipanti a questa difficile situazione hanno interessi propri, fondati su circostanze oggettive e soggettive che semplicemente non possono essere ignorate. Il desiderio di tutti i Paesi di garantire sicurezza e progresso è legittimo. Senza dubbio, questo vale per l’Ucraina, la Russia e tutti i nostri vicini. I Paesi della regione dovrebbero avere un ruolo guida nella definizione di un sistema regionale. Hanno le maggiori possibilità di concordare un modello di interazione accettabile per tutti, perché la questione li riguarda direttamente. Rappresenta il loro interesse vitale.

Sostieni Renovatio 21

Per altri Paesi, la situazione in Ucraina è solo una carta da gioco in un gioco diverso, molto più ampio, un gioco a sé stante, che di solito ha poco a che fare con i problemi reali dei paesi coinvolti, incluso questo in particolare. È solo una scusa e un mezzo per raggiungere i propri obiettivi geopolitici, per espandere la propria area di controllo e per trarre profitti dalla guerra. Ecco perché hanno portato le infrastrutture della NATO fino alla nostra porta, e da anni guardano con faccia seria alla tragedia del Donbass e a quello che è stato essenzialmente un genocidio e uno sterminio del popolo russo sulla nostra terra storica, un processo iniziato nel 2014 sulla scia di un sanguinoso colpo di stato in Ucraina.

 

In contrasto con tale condotta dimostrata dall’Europa e, fino a poco tempo fa, dagli Stati Uniti sotto la precedente amministrazione, si distinguono le azioni dei paesi appartenenti alla maggioranza mondiale. Si rifiutano di schierarsi e si impegnano sinceramente per contribuire a stabilire una pace giusta. Siamo grati a tutti gli stati che negli ultimi anni si sono sinceramente impegnati per trovare una via d’uscita dalla situazione.

 

Tra questi figurano i nostri partner, i fondatori dei BRICS: Cina, India, Brasile e Sudafrica. Tra questi rientrano anche la Bielorussia e, tra l’altro, la Corea del Nord. Sono nostri amici nel mondo arabo e islamico, soprattutto Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Egitto, Turchia e Iran. In Europa, tra questi figurano Serbia, Ungheria e Slovacchia. E molti altri paesi simili si trovano in Africa e America Latina.

 

Purtroppo, le ostilità non sono ancora cessate. Tuttavia, la responsabilità non ricade sulla maggioranza per non essere riuscita a fermarle, bensì sulla minoranza, in primo luogo l’Europa, che continua ad aggravare il conflitto – e a mio avviso, oggi non si intravede alcun altro obiettivo. Ciononostante, credo che la buona volontà prevarrà e, a questo proposito, non c’è il minimo dubbio: credo che anche in Ucraina si stiano verificando dei cambiamenti, seppur graduali – lo stiamo vedendo. Per quanto le menti delle persone possano essere state manipolate, si stanno comunque verificando dei cambiamenti nella coscienza pubblica, e in effetti nella stragrande maggioranza delle nazioni del mondo.

 

In effetti, il fenomeno della maggioranza globale rappresenta una novità negli affari internazionali. Vorrei spendere qualche parola anche su questo argomento. Qual è la sua essenza? La stragrande maggioranza degli Stati in tutto il mondo è orientata al perseguimento dei propri interessi di civiltà, tra cui spicca il loro sviluppo equilibrato e progressivo. Sembrerebbe naturale: è sempre stato così. Ma in epoche precedenti, la comprensione di questi stessi interessi è stata spesso distorta da ambizioni malsane, egoismo e dall’influenza di un’ideologia espansionistica.

 

Oggi, la maggior parte dei Paesi e dei popoli – proprio questa maggioranza globale – riconosce i propri veri interessi. Fondamentalmente, ora sentono la forza e la fiducia necessarie per difenderli dalle pressioni esterne – e aggiungerò che, nel promuovere e difendere i propri interessi, sono pronti a collaborare con i partner, trasformando così le relazioni internazionali, la diplomazia e l’integrazione in fonti di crescita, progresso e sviluppo. Le relazioni all’interno della maggioranza globale rappresentano un prototipo delle pratiche politiche essenziali ed efficaci in un mondo policentrico.

 

Questo è pragmatismo e realismo: un rifiuto della filosofia dei blocchi, un’assenza di obblighi rigidi, imposti dall’esterno, o di modelli che prevedano partner senior e junior. Infine, è la capacità di conciliare interessi che raramente si allineano completamente, ma che raramente si contraddicono fondamentalmente. L’assenza di antagonismo diventa il principio guida.

 

Ora sta sorgendo una nuova ondata di decolonizzazione, poiché le ex colonie stanno acquisendo, oltre alla sovranità statale, anche quella politica, economica, culturale e di visione del mondo.

 

Un’altra data è importante a questo proposito. Abbiamo recentemente celebrato l’80° anniversario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Non è solo un’organizzazione politica universale e la più rappresentativa al mondo, ma anche un simbolo dello spirito di cooperazione, alleanza e persino fratellanza combattiva, che ci ha aiutato a unire le forze nella prima metà del secolo scorso nella lotta contro il peggior male della storia: una spietata macchina di sterminio e schiavitù.

 

Il ruolo decisivo nella nostra comune vittoria sul nazismo, di cui andiamo fieri, è stato ovviamente svolto dall’Unione Sovietica. Basta dare un’occhiata al numero di vittime per ciascun membro della coalizione anti-Hitler per capirlo.

 

L’ONU è l’eredità della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale e, finora, l’esperienza di maggior successo nella creazione di un’organizzazione internazionale volta a risolvere gli attuali problemi globali.

 

Si dice spesso, ormai, che il sistema delle Nazioni Unite sia paralizzato e stia attraversando una crisi. È diventato un luogo comune. Alcuni sostengono addirittura che sia ormai superato e che dovrebbe essere quantomeno radicalmente riformato. Sì, ci sono molte, moltissime carenze nelle operazioni delle Nazioni Unite. Eppure, finora non c’è stato nulla di meglio delle Nazioni Unite, e dobbiamo ammetterlo.

 

In realtà, il problema non è l’ONU, che ha un potenziale immenso. Il problema sta nel modo in cui noi, le Nazioni Unite che si sono disunite, stiamo utilizzando questo potenziale.

 

Non c’è dubbio che l’ONU debba affrontare delle sfide. Come qualsiasi altra organizzazione, dovrebbe adattarsi alle mutevoli realtà. Tuttavia, è estremamente importante preservare l’essenza fondamentale dell’ONU durante la sua riforma e il suo ammodernamento, non solo l’essenza che era insita in essa fin dalla sua nascita, ma anche l’essenza che ha acquisito nel complesso processo del suo sviluppo.

 

Vale la pena ricordare a questo proposito che il numero degli Stati membri delle Nazioni Unite è quasi quadruplicato dal 1945. Negli ultimi decenni, l’organizzazione, istituita su iniziativa di diversi grandi Paesi, non solo si è ampliata, ma ha anche assorbito numerose culture e tradizioni politiche diverse, acquisendo diversità e diventando una struttura realmente multipolare molto prima che il mondo diventasse multipolare. Il potenziale del sistema delle Nazioni Unite ha appena iniziato a manifestarsi e sono fiducioso che questo processo si completerà molto rapidamente nella nuova era che si sta delineando.

 

In altre parole, i paesi della maggioranza globale costituiscono ormai una maggioranza schiacciante presso l’ONU e la sua struttura e i suoi organi di governo dovrebbero quindi essere adattati a questo fatto, il che sarebbe anche molto più in linea con i principi fondamentali della democrazia.

 

Non lo nego: oggi non esiste un consenso unanime su come il mondo dovrebbe essere organizzato, su quali principi dovrebbe basarsi negli anni e nei decenni a venire. Siamo entrati in un lungo periodo di ricerca, spesso procedendo per tentativi ed errori. Quando un nuovo sistema stabile prenderà finalmente forma – e quale sarà la sua struttura – rimane un mistero. Dobbiamo essere pronti al fatto che, per un periodo considerevole, lo sviluppo sociale, politico ed economico sarà imprevedibile, a volte persino turbolento.

 

Per rimanere sulla rotta giusta e non perdere l’orientamento, tutti hanno bisogno di solide basi. A nostro avviso, queste basi sono, soprattutto, i valori maturati nel corso dei secoli all’interno delle culture nazionali. Cultura e storia, norme etiche e religiose, geografia e spazio: questi sono gli elementi chiave che plasmano civiltà e comunità durature. Definiscono l’identità nazionale, i valori e le tradizioni, fornendoci la bussola che ci aiuta a resistere alle tempeste della vita internazionale.

 

Le tradizioni sono sempre uniche; ogni nazione ha le sue. Il rispetto delle tradizioni è la prima e più importante condizione per relazioni internazionali stabili e per risolvere le sfide emergenti.

Aiuta Renovatio 21

Il mondo ha già vissuto tentativi di unificazione, di imporre modelli cosiddetti universali che si scontravano con le tradizioni culturali ed etiche della maggior parte dei popoli. L’Unione Sovietica una volta commise questo errore imponendo il suo sistema politico – lo sappiamo e, francamente, non credo che nessuno lo contesterebbe. In seguito gli Stati Uniti raccolsero il testimone, e anche l’Europa ci provò. In entrambi i casi, fallì. Ciò che è superficiale, artificiale, imposto dall’esterno non può durare. E chi rispetta le proprie tradizioni, di regola, non invade quelle degli altri.

 

Oggi, sullo sfondo dell’instabilità internazionale, si attribuisce particolare importanza alle fondamenta dello sviluppo di ogni nazione: quelle che non dipendono dalle turbolenze esterne. Vediamo paesi e popoli rivolgersi a queste radici. E questo sta accadendo non solo nella maggioranza globale, ma anche nelle società occidentali. Quando ognuno si concentra sul proprio sviluppo senza inseguire ambizioni inutili, diventa molto più facile trovare un terreno comune con gli altri.

 

Ad esempio, possiamo guardare alla recente esperienza di interazione tra Russia e Stati Uniti. Come sapete, i nostri Paesi hanno molti disaccordi; le nostre opinioni su molti dei problemi mondiali differiscono. Ma questo non è insolito per le grandi potenze; ​​anzi, è assolutamente naturale. Ciò che conta è come risolvere questi disaccordi e se riusciremo a risolverli pacificamente.

 

L’attuale amministrazione della Casa Bianca è molto schietta riguardo ai propri interessi, dichiarando ciò che vuole direttamente – a volte anche bruscamente, come sono certo concorderete – ma senza inutili ipocrisie. È sempre preferibile essere chiari su ciò che l’altra parte vuole e cosa sta cercando di ottenere. È meglio che cercare di indovinare il vero significato dietro una lunga serie di equivoci, linguaggio ambiguo e vaghi accenni.

 

Possiamo constatare che l’attuale amministrazione statunitense è guidata principalmente dai propri interessi nazionali, così come li intende. E credo che questo sia un approccio razionale.

 

Ma poi, se mi permettete, la Russia ha anche il diritto di essere guidata dai propri interessi nazionali. Uno dei quali, tra l’altro, è il ripristino di relazioni pienamente consolidate con gli Stati Uniti. A prescindere dai nostri disaccordi, se due parti si trattano con rispetto, i loro negoziati – anche quelli più difficili e ostinati – saranno comunque volti a trovare un terreno comune. E questo significa che alla fine si potranno raggiungere soluzioni reciprocamente accettabili.

 

Multipolarità e policentrismo non sono solo concetti; sono una realtà destinata a durare. Quanto presto e con quanta efficacia potremo costruire un sistema mondiale sostenibile in questo contesto dipende ora da ciascuno di noi. Questo nuovo ordine internazionale, questo nuovo modello, può essere costruito solo attraverso sforzi universali, un’impresa collettiva a cui tutti partecipano. Voglio essere chiaro: l’era in cui un gruppo selezionato di potenze più forti poteva decidere per il resto del mondo è finita, ed è finita per sempre.

 

Questo è un punto che ricorderanno soprattutto coloro che provano nostalgia per l’epoca coloniale, quando era consuetudine dividere i popoli tra coloro che erano uguali e coloro che erano, per usare la famosa frase di Orwell, «più uguali degli altri». Conosciamo tutti questa citazione.

 

La Russia non ha mai preso in considerazione questa teoria razzista, non ha mai condiviso questo atteggiamento nei confronti di altri popoli e culture, e non lo faremo mai.

 

Noi rappresentiamo la diversità, la polifonia, una vera sinfonia di valori umani. Il mondo, come sono certo concorderete, è un luogo noioso e incolore quando è monotono. La Russia ha avuto un passato molto turbolento e difficile. La nostra stessa statualità è stata forgiata attraverso il continuo superamento di colossali sfide storiche.

 

Non intendo insinuare che altri Stati si siano sviluppati in condizioni di serra – ovviamente no. Eppure, l’esperienza della Russia è unica sotto molti aspetti, così come lo è il paese che ha creato. Sia chiaro: questa non è una pretesa di eccezionalità o superiorità; è semplicemente una constatazione di fatto. La Russia è un Paese unico.

 

Abbiamo attraversato numerosi sconvolgimenti tumultuosi, ognuno dei quali ha offerto al mondo spunti di riflessione su una vasta gamma di questioni, sia negative che positive. Ma è proprio questo bagaglio storico che ci ha preparati meglio alla situazione globale complessa, non lineare e ambigua in cui ci troviamo tutti ora.

 

Attraverso tutte le sue prove, la Russia ha dimostrato una cosa: è stata, è e sarà sempre. Sappiamo che il suo ruolo nel mondo sta cambiando, ma rimane invariabilmente una forza senza la quale la vera armonia e il vero equilibrio sono difficili – e spesso impossibili – da raggiungere. Questo è un fatto provato, confermato dalla storia e dal tempo. È un fatto incondizionato.

 

Nel mondo multipolare odierno, questa stessa armonia ed equilibrio possono essere raggiunti solo attraverso uno sforzo comune e congiunto. E voglio assicurarvi oggi che la Russia è pronta per questo compito.

 

Grazie mille. Grazie.

 

Vladimir Vladimirovich Putin

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


 

 

Continua a leggere

Civiltà

La lingua russa, l’amicizia fra i popoli, la civiltà

Pubblicato

il

Da

Lo scorso 20 settembre l’ambasciatore della Federazione Russa in Italia, Alexey Paramonov, ha aperto le porte della sua residenza romana agli studenti italiani di lingua e letteratura russa presso la scuola della Casa Russa.   Io c’ero. Eravamo in tanti, dall’estremo Nord della penisola fino alla Sicilia.   Dell’accoglienza, impeccabile, nella splendida cornice di Villa Abamelek, ha colpito sopratutto ciò che è andato oltre i canoni della diplomazia: ci hanno conquistati la cordialità e il calore con cui l’ambasciatore si è rivolto a noi che, attraverso la via maestra della lingua, mostriamo il desiderio di avvicinarci alla sensibilità e alla cultura di un popolo la cui storia in parte parla anche italiano.         In un tempo in cui i codici comunicativi tendono inesorabilmente a immiserirsi, omologarsi, imbarbarirsi, intraprendere lo studio di un idioma identitario dalla straordinaria ricchezza espressiva – anche perché flesso e quindi più che mai duttile – e avventurarsi nei suoi meandri stilistici e nelle sue sonorità arcane, implica essere attratti dalla civiltà che ne è nutrita. Una civiltà, infatti, vive dentro la sua lingua – dentro la lingua che le fa da madre.   Per molte ragioni, sondate e insondate, il richiamo è reciproco. Sono rimasta ammirata, in questi anni, dalla conoscenza profonda che tanti russi vantano del nostro patrimonio artistico e letterario e dalla curiosità inesausta con cui continuano a esplorarlo.   Ancor più, sono rimasta stupita dall’affetto che, nonostante tutto, essi continuano a manifestare per l’Italia e per gli italiani.   Come per me, così per altri studenti con cui ho avuto modo di confrontarmi, cominciare a scoprire questa lingua dalle infinite suggestioni è stata sì una scelta figlia della passione per la cultura lussureggiante che ne è intessuta, ma non solo: discende anche da una reazione istintiva alla demonizzazione illogica, innaturale, assurda, di tutto quanto proviene da una nazione legata all’Italia da un rapporto di scambio e di amicizia radicato nei secoli. Vuole essere un modo concreto per tendere la mano a un popolo che non ci è mai stato ostile.   Davanti alla mono-narrazione mediatica che ci è imposta senza soluzione di continuità, impermeabile alle fonti e a ogni voce alternativa; davanti a decisioni sciagurate di amministrazioni sciagurate giunte fino a impunemente bandire concerti di musicisti russi, gare di atleti russi, conferenze su grandi autori russi, siamo in tanti a sentire la necessità e il dovere di alzarci e dire: non in mio nome.   Elisabetta Frezza

Sostieni Renovatio 21

  Renovatio 21 pubblica il discorso tenuto il 20 settembre agli studenti e amici della lingua russa dall’ambasciatore della Federazione Russa in Italia Aleksey Paramonov. Il discorso è stato pubblicato sul sito del ministero degli Esteri di Mosca.   Cari amici! È proprio così che mi rivolgo a Voi, poiché chi è amico della lingua russa lo è anche della Russia e dell’Ambasciata russa in Italia. Vi do il benvenuto qui a Villa Abamelek, luogo dove si parla russo già da oltre 120 anni. La lingua è strettamente legata alla mentalità e allo spirito di ciascun popolo. Sotto questo aspetto, la lingua russa è molto vicina a quella italiana. Nella vostra lingua, infatti, si riflette tutta la profondità storica che è propria di una civiltà romanza. Anche la lingua russa, così come la vostra lingua italiana, è l’articolata, pluridimensionale manifestazione di una civiltà, e non soltanto uno strumento atto a consentire la comunicazione. Non intendo certo offendere nessuno, ma ai nostri giorni la lingua inglese, anziché farsi mezzo di espressione culturale, si tramuta sempre più in uno strumento vuoto e privo di anima. Per noi russi, la lingua e la cultura hanno un valore a sé. Noi appoggiamo l’istanza secondo cui l’identità etnica e culturale di ciascun individuo debba essere rispettata e debba trovare realizzazione nella libera interazione con altri individui. Noi promuoviamo l’importanza di quei valori che sono fondamentali ed eterni, e difendiamo il loro primato sui dettami legati al profitto e alle logiche del mercantilismo. Ci opponiamo fermamente a ogni tentativo di sfruttare la lingua, lo sport, la cultura e l’arte, così come altri aspetti dell’attività umana, come strumento per raggiungere scopi di carattere geopolitico. Tanto più se il fine è quello di dare prova della propria superiorità ed esclusività.   Oggi, per noi la cosa più importante è che quanti più individui possibile abbiano accesso a conoscenze oggettive sulla Russia, che la percepiscano e la accolgano nella sua completezza e in tutta la sua molteplicità. Noi non ci chiudiamo né ci nascondiamo da nessuno, al contrario dell’Unione Europea. Certo, potremmo non essere ancora un «Giardino dell’Eden», ma di sicuro non siamo la giungla. Il nostro è un «Giardino dei ciliegi». I «giardinieri» di Bruxelles non ci servono.   In occasione della recente presentazione del Concorso Musicale Intervision, il ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa Sergej Lavrov si è espresso in modo molto chiaro: «Se osserviamo [l’attuale] contesto globale, la comunicazione tra le persone più diverse si rende necessaria adesso più che mai. Stanno cercando di dividerci, di costruire nuovi “muri”, stanno imponendo sanzioni e inasprendo le normative sui visti per tagliare fuori i russi dall’Occidente. In tali circostanze, la comunicazione saprà consolidare quelle naturali tendenze positive che spingono l’umanità a perseguire una sua evoluzione; umanità che, peraltro, in generale desidera soltanto vivere in pace e in prosperità, nonché avere la possibilità di comunicare e di farsi partecipe delle culture degli altri popoli».   Perciò, comunichiamo. Noi siamo sempre pronti e disposti alla comunicazione.   Ma parliamo adesso di ciò che riguarda il bello. Il grande scrittore russo Nikolaj Gogol’, originario dell’Ucraina, in una lettera indirizzata al suo amico Sergej Aksakov nel dicembre 1844, seppe descrivere con grande accuratezza la ricchezza della lingua russa: «di fronte a Voi si estende la vastità: è la lingua russa! E allora un profondo piacere Vi chiama, il piacere di immergerVi in tutta la sua immensità e di comprenderne le meravigliose leggi …».   Anche lo scrittore russo Konstantin Paustovskij seppe esprimersi in maniera accurata e concisa sulla lingua russa: «con la lingua russa si possono fare miracoli. Non esiste nulla, nella vita così come nella nostra coscienza, che non possa trovare espressione attraverso le parole russe. Le sonorità della musica, lo splendore dei colori in tutto il loro spettro cromatico, i giochi di luce, i rumori e le ombre nei giardini, quella vaghezza sperimentata in sogno, il grave brontolio del temporale, il bisbigliare dei bambini, fino allo scalpiccio generato dalla ghiaia sul mare. Non esistono suoni, colori, immagini o pensieri per i quali nella nostra lingua non vi sia già un’espressione ben precisa».   Dal bello, passiamo adesso al lato pratico. Al giorno d’oggi, la lingua russa è parlata da 255 milioni di persone in tutto il mondo. La lingua russa si trova al quinto posto tra le lingue più parlate. Il russo è lingua ufficiale o di lavoro in ben 15 organizzazioni internazionali. Da questo punto di vista, la lingua russa occupa la quarta posizione dopo l’inglese, il francese e lo spagnolo.   Il sistema di istruzione in Russia, nel quale rientra anche l’insegnamento della lingua russa, è aperto a tutti. La Russia si colloca tra i primi 10 Paesi al mondo per numero di studenti stranieri. Si stima che quest’anno il numero di studenti stranieri nelle università russe supererà le 400 mila unità, mentre si prevede che entro il 2030 tale cifra raggiungerà le 500 mila unità.   Ahimé, amici miei, questo lo si deve perlopiù all’incremento del numero di studenti provenienti dai Paesi dell’Africa, dell’America Latina, dell’India e del Medio Oriente.   Tuttavia, anche per gli italiani che desiderano studiare in Russia, la via di accesso alle nostre università è sempre aperta. Gli studenti italiani possono studiare nelle principali università russe gratuitamente, dopo aver superato una selezione che permette loro di ottenere una borsa di studio statale. Di tale procedura si occupa la Casa Russa a Roma. Già da questi giorni sarà possibile presentare la domanda, che potrà pervenire fino alla scadenza del 15 gennaio 2026. Non lasciatevi sfuggire questa opportunità. La quota di domande pervenute da studenti stranieri si distribuisce su tutte le specializzazioni e su tutti i programmi di studio sulla base dei medesimi requisiti stabiliti per i cittadini russi.   Sebbene in Italia il russo non sia la lingua più studiata, essa comunque occupa una nicchia importante; e la sua importanza è in crescita in una situazione caratterizzata da un ordine mondiale in rapida evoluzione, dal rafforzamento, al suo interno, del multipolarismo e dall’avvento dei BRICS e dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai sul proscenio globale, nonché dal processo di creazione delle basi fondanti di quel Grande Partenariato Eurasiatico dal quale non siano esclusi neppure i Paesi situati sull’estremità più occidentale del continente eurasiatico. E diviene quindi ancor più prezioso il vostro contributo, cari amici, al consolidamento della tendenza legata allo studio della lingua russa in Italia. A frequentare i corsi della Casa Russa a Roma siete già in più di 600. Continuate così!   Desidero altresì esprimere la mia più sincera gratitudine dei confronti dei docenti di lingua e letteratura russa delle università di Catania, Venezia, Firenze, Roma e delle altre città italiane per il costante supporto mostrato nei confronti delle nostre iniziative, nonché per il fatto che, persino nel complesso momento attuale, sapete restare fedeli alla vostra missione. State portando avanti quel nobile lavoro, iniziato ormai più di 500 anni fa, atto ad avvicinare la Russia e l’Italia.   Il grande scrittore classico Ivan Turgenev, nel suo poema in prosa del 1882, che appunto si intitola «Lingua russa», scrisse: «Nei giorni del dubbio, nei giorni segnati dalla difficile e dolorosa riflessione sul destino della mia patria, tu sola sei per me di appoggio e di supporto, oh grande, potente, veritiera, libera lingua russa!».   Per questo motivo desidero rivolgermi a tutti coloro che in Italia parlano, leggono, scrivono, riflettono, amano e creano in lingua russa, o che soltanto adesso si apprestano ad immergersi nel meraviglioso mondo russo. Non lasciatevi cogliere da alcun dubbio! Sappiate che qui voi non siete soli! Le porte dell’Ambasciata della Federazione Russa in Italia e della Casa Russa a Roma rimarranno sempre aperte per Voi, per le Vostre iniziative e per i Vostri progetti, e accoglieranno sempre ogni opportunità di cooperazione culturale e umanistica. Perché dopotutto siamo amici, non è forse così?   Vi ringrazio per l’attenzione!   Alexej Paramonov  

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
  Immagini da Telegram  
Continua a leggere

Civiltà

Charlie Kirk e la barbarie social

Pubblicato

il

Da

Charlie Kirk è stato brutalmente ammazzato durante uno dei suoi comizi in un campus universitario. Le immagini del momento in cui il proiettile gli ha perforato la gola hanno fatto il giro del mondo e sono raccapriccianti.

 

Questo assassinio porterà con sé implicazioni politiche enormi e imprevedibili. Kirk è uno dei principali artefici della vittoria elettorale di Trump, era in grado di spostare valanghe di voti perché in qualche suo modo calamitava e trascinava i più giovani, era un fenomeno generazionale imponente. Tant’è che la notizia dell’attentato ha colpito in primo luogo i ragazzi: i boomer delle colonie non lo conoscevano nemmeno, era fuori dal loro radar e lambiva solo tangenzialmente le loro stupide bolle algoritmiche.

 

Al di là di tutte le analisi che ora si ricameranno sul fatto, qui si vuole soltanto mettere in luce una cosa. Preme segnalare il punto di non ritorno a cui è giunta la fu-civiltà occidentale, intesa non nel senso dei Grandi Cattivi accomodati nella cabina di regia a godersi lo spettacolo di cui essi stessi muovono i fili, ma nel senso del resto del mondo: della moltitudine di comparse che quello spettacolo inscenano ogni giorno, per lo più inconsapevoli, obbedienti, passivi, acefali, rimbambiti.

Sostieni Renovatio 21

Tra loro, svettano sì gli scribacchini servi, coi loro inestirpabili automatismi verbali, che si precipitano a descrivere la vittima come putiniano, negazionista climatico, sostenitore della disinformazione sul COVID. Giusto per far intendere al lettore diffuso, già indottrinato a puntino, che quella fatta fuori, in fondo, non era una gran bella persona e dunque pazienza.

 

E il bravo cittadino progressista, russofobo, superinoculato, raccoglitore differenziato e guidatore di auto elettriche, recepisce la notizia e la archivia senza soverchi traumi. 

 

Ma svettano ancor più quelli che si sentono in dovere di esprimere sui social la propria esultanza, protetti dallo scudo dell’anonimato di qualche nickname improbabile. Sono parecchi gli ellegibittì a fare festa, anche perché guarda caso la pallottola è andata a segno proprio quando Kirk aveva appena finito di rispondere a una domanda sugli stragisti trans.

 

Subito dietro, i pro-pal pavloviani, che saltellano felici per la morte violenta di un filoisraeliano. Ce ne sono tanti, tantissimi, a commentare in modo indicibile. Da quello che «uno sporco sionista in meno, avanti così»; a quell’altro che si guarderebbe «all’infinito in loop il video dell’attentato». Fino alla maestrina finto-moderata che spiega come Kirk ritenesse che i bambini palestinesi sono massacrati da Hamas e che Israele ha il diritto di difendersi. E dunque – ipertesto – tutto sommato questa morte ci sta, a parziale compensazione della strage della Striscia. 

 

Ecco emergere dall’etere il sottoprodotto deteriore della polarizzazione ideologica indotta. Scatta in automatico la furia disumana e codarda dei tastieranti compulsivi, parassiti attempati con voluttà di orrore praticato per interposta persona. Schiumano rabbia e se ne vantano, sghignazzano e gioiscono alla vista di un giovane uomo che muore. Nessuna differenza dai soldati israeliani che riprendono le torture ai palestinesi e gli spari alla folla, e ridono roboticamente dei propri misfatti.

 

Tutto questo fa veramente orrore. Vedere i pochi secondi in cui da un ragazzo, padre di famiglia, fluisce via la vita, senza scampo, in un fiotto inarrestabile di sangue, evoca alla mente la morte di Ettore, colpito alla gola, «mortalissima parte», dalla lancia di Achille.

 

Ma lì c’era il combattimento, il corpo a corpo della battaglia finale tra uomo e uomo narrata dal bardo antico e tramandata ai posteri con la forza didascalica dell’epos: qui, nella confusione ormai piena tra il virtuale e il reale, il vile attacco a una persona inerme schizza in mondovisione come un qualsiasi trailer hollywoodiano.

 

E, barbarie nella barbarie, quell’atto infame scatena l’esaltazione isterica dei belluini sedentari, pronti ad applaudire la soppressione di un proprio simile che non la pensa come loro. Homo homini lupus, i barbari del terzo millennio vogliono così, sostenuti dalla potenza di fuoco dell’intermediario informatico che sa moltiplicare all’infinito e senza rete l’ebbrezza della ferocia più abietta e sanguinaria.

Aiuta Renovatio 21

La sparata assassina non la fai più al bar, dove qualcuno ti vede in faccia, la butti in pasto al popolo smanettatore e perdigiorno, e ti godi l’approvazione dei compagni d’asilo e del suo gestore, che ti premia perché la violenza tira.

 

Sarebbero dunque questi, i saggissimi antisistema? Quelli che dovrebbero insegnare alle nuove generazioni a pensare con la propria testa e a vivere da persone libere?

 

Sono relitti senza pietas, senza onore, senza dignità. Liquidatori delle ultime vestigia di una civiltà. 

 

L’assassinio di Charlie Kirk sta aprendo un altro abisso di male, e di vergogna. Forse era proprio quello l’intento di chi lo ha voluto.

 

Elisabetta Frezza

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic

 

Continua a leggere

Più popolari