Cina
Pechino punta il rame afghano, nonostante i dubbi su sicurezza e affidabilità dei talebani

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
La compagnia statale China Metallurgical Group Corporationha annunciato l’avvio dei lavori nella miniera di Mes Aynak, uno dei più grandi giacimenti di rame al mondo. Ma la zona è ancora minata, mancano infrastrutture, e i rischi per la sicurezza restano alti. Il regime di Kabul cerca legittimità puntando sugli investimenti cinesi e Pechino procede, ma con cautela.
Una società cinese ha annunciato di aver fatto progressi per avviare l’estrazione di rame in Afghanistan. Si tratta della China Metallurgical Group Corporation (MCC), di proprietà statale, che sostiene di essere pronta ad aprire i lavori nella miniera di Mes Aynak, nella provincia di Logar, nell’Afghanistan centrale, uno dei maggiori siti ancora inesplorati al mondo, nonostante il contratto per il progetto sia stato firmato 17 anni fa.
Anche la strada che porta alla miniera è quasi del tutto complicata, ma restano una serie di dubbi riguardo alla sicurezza. Il progetto di Mes Aynak era stato assegnato alla MCC con un contratto trentennale nel 2008, ma è stato ritardato a causa della presenza di resti archeologici risalenti all’Età del Bronzo, ma anche di mine antiuomo lasciate dopo decenni di guerra, e a causa della mancanza di infrastrutture, ha specificato la stessa azienda.
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A ottobre dello scorso anno i talebani, che hanno ripreso il controllo dell’Afghanistan ad agosto 2021, avevano annunciato che la miniera di Mes Aynak sarebbe passata da essere una miniera a cielo aperto a una miniera sotterranea in modo da proteggere i reperti archeologici.
Dopo il ritiro delle truppe statunitensi, i talebani hanno cercato legittimità internazionale e hanno provato ad avviare una serie di relazioni diplomatiche per favorire gli investimenti, dando in particolare priorità a grandi progetti infrastrutturali, in cui spesso sono coinvolti anche i Paesi dell’Asia centrale.
Secondo Zhu Yongbiao, direttore del Centro per gli Studi sull’Afghanistan presso l’Università di Lanzhou in Cina, interpellato dal South China Morning Post, è tipico del governo talebano ma anche della precedente amministrazione sostenuta dall’occidente, preoccuparsi dell’ «effetto dimostrativo» di tali progetti: «Sperano che importanti iniziative ingegneristiche come questa stimolino ulteriori investimenti stranieri, inclusa la cooperazione nel settore minerario e in altri grandi progetti infrastrutturali», ha commentato l’esperto.
Per la Cina il rame rientra tra le sostanze che hanno un’importanza strategica fondamentale, come le terre rare. Secondo le attuali stime, entro il 2040 la domanda crescerà del 40%. In base ai calcoli cinesi il giacimento di Mes Aynak contiene 705 milioni di tonnellate di materiali, di cui 11 milioni solo di rame.
Tuttavia, anche i costi affrontati finora dalla MCC sono alti. L’azienda ha già investito più di 430 milioni di dollari senza avere nessun rendimento, secondo le affermazioni di Deng, mentre i costi totali del progetto sono passati da 2,8 miliardi a 5 miliardi di dollari.
La Cina importa il 60% della produzione globale di rame, mentre immette sul mercato il 45% di rame raffinato in tutto il mondo, per questo ha bisogno di garantirsi una fornitura costante del minerale.
Tuttavia in Afghanistan rischia di crearsi una situazione simile a quella che i cinesi già affrontano in Pakistan, dove gli ingegneri e i lavoratori specializzati di Pechino spesso vengono presi di mira da attentati terroristici in Belucistan perché accusati dai gruppi indipendentisti locali di accaparrarsi le risorse del territorio.
Anche l’affidabilità del governo talebano è dubbia. A giugno Kabul ha stracciato un importante contratto di estrazione petrolifera con una compagnia cinese a causa di presunte ripetute violazioni dei termini contrattuali. Il contratto, della durata di 25 anni, era stato firmato nel 2023 con un investimento promesso di 150 milioni di dollari nel primo anno e un importo previsto di 540 milioni di dollari in tre anni.
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Anche per questo Pechino è stata finora molto cauta nell’avvicinamento diplomatico con i talebani. A differenza della Russia, per esempio, non ha riconosciuto ufficialmente il governo talebano, anche se ha mantenuto una rappresentanza diplomatica e nel 2023 ha nominato un ambasciatore. Di recente i ministri degli Esteri di Cina, Pakistan e Afghanistan si sono incontrati e hanno promesso di lavorare per la stabilità regionale.
Tuttavia, oltre agli accordi già esistenti (di cui uno è stato siglato a marzo per espandere le esportazioni di pinoli, melograni e pietre verso la Cina), secondo Zhou difficilmente ci saranno altri sviluppi. Un accordo di marzo per formare un gruppo congiunto per espandere i legami commerciali, compreso il potenziamento delle esportazioni afghane verso la Cina di pinoli, melograni, pietre preziose e minerali.
«I talebani non hanno fatto sforzi sostanziali sulle principali preoccupazioni della Cina, vale a dire le questioni relative al Movimento islamico del Turkestan orientale», un gruppo accusato di attentati terroristici nella regione dello Xinjiang.
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Immagine di Kondephy via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Cina
Cina, Bambini presi di mira da politiche antireligiose

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Cina
COVID, blogger cristiana cinese condannata ad altri quattro anni di carcere

Una blogger cristiana cinese già condannata a quattro anni di carcere per aver documentato le prime fasi della pandemia di COVID da Wuhan è stata condannata ad altri quattro anni di carcere.
Zhang Zhan, 42 anni, è stata condannata in Cina con l’accusa di «aver attaccato briga e provocato disordini», la stessa accusa che ha portato alla sua prima incarcerazione nel dicembre 2020. L’accusa viene spesso utilizzata per perseguire i giornalisti che si esprimono contro il governo cinese o rivelano verità imbarazzanti.
Zhang ha pubblicato i resoconti di testimoni oculari di Wuhan sulla diffusione iniziale del COVID-19, compresi video, di strade vuote e ospedali affollati che dimostravano che la situazione a Wuhan era molto peggiore di quanto affermassero le autorità cinesi. I filmati della Zhanga sono stati visualizzati centinaia di migliaia di volte.
Il suo avvocato dell’epoca, Ren Quanniu, aveva affermato che Zhan credeva di essere stata «perseguitata per aver violato la sua libertà di parola». Dopo la prigionia, aveva iniziato uno sciopero della fame e fu alimentata forzatamente tramite un sondino.
Come riportato da Renovatio 21, cinque anni fa erano emerse notizie della sua cattiva salute e di una sua possibile tortura in carcere.
Era stata rilasciata nel maggio 2024. Secondo Quanniu, è stata nuovamente arrestata perché aveva commentato su siti web stranieri, tra cui YouTube e X.
🚨🇨🇳CHINA TO RELEASE JOURNALIST JAILED OVER COVID REPORTING
After spending four years behind bars for her reporting of the Covid outbreak and lockdowns in Wuhan, Zhang Zhan is set to be released today after completing her sentence.
— Kacee Allen (@KaceeRAllen) May 14, 2024
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Un portavoce del governo cinese ha dichiarato: «il caso riguarda la sovranità giudiziaria della Cina e nessuna forza esterna ha il diritto di interferire. I suoi diritti legittimi saranno pienamente rispettati e tutelati».
«Questa è la seconda volta che Zhang Zhan viene processata con accuse infondate che non rappresentano altro che un palese atto di persecuzione per il suo lavoro giornalistico», ha affermato Beh Lih Yi, direttore per l’area Asia-Pacifico del Comitato per la protezione dei giornalisti con sede a Nuova York.
«Le autorità cinesi devono porre fine alla detenzione arbitraria di Zhang, ritirare tutte le accuse e liberarla immediatamente». La Cina costituisce la prigione per giornalisti più grande del mondo. Si ritiene che attualmente vi siano detenuti oltre 100 giornalisti.
Come riportato da Renovatio 21, il nuovo processo era iniziato sei mesi fa.
Prima della pandemia di COVID, l’attivista e giornalista cristiana era già stata arrestata nel settembre 2019 per aver sfilato con un ombrello su Nanjing Road a Shanghai, in segno di solidarietà con le proteste di Hong Kong. Con le prime notizie della pandemia, si era recata a Wuhan per documentare gli eventi, pubblicando circa cento video in tre mesi e rispondendo alle domande di media internazionali. Arrestata nel maggio 2020, è stata la prima blogger a essere condannata per le informazioni diffuse sulla pandemia.
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Immagine screenshot da YouTube
Cina
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