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Newman Dottore della Chiesa?

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Il titolo di «Dottore» è meritato da colui i cui insegnamenti hanno dato il duplice esempio della sua ortodossia e della sua eminente scienza.

 

1. «Dobbiamo conservare non solo ciò che ci è stato tramandato nelle Sacre Scritture, ma anche le spiegazioni dei santi dottori che le hanno conservate intatte per noi». Così si esprimeva san Tommaso d’Aquino, egli stesso in seguito definito «Dottore comune della Chiesa »(1). Questa riflessione non è rimasta lettera morta, se si considera che le opere del dottore angelico contengono circa 8.000 citazioni dei «santi dottori».

 

2. Il termine «dottore» può essere inteso in senso lato e improprio e designa quindi il teologo in quanto tale. La stessa parola può essere intesa in senso stretto e proprio e designa un titolo, quello che viene «ufficialmente conferito dalla gerarchia della Chiesa (2) agli scrittori ecclesiastici notevoli per la santità della vita, la purezza dell’ortodossia e la qualità della scienza». (3)

 

Melchiorre Cano (4) mostra come i dottori si distinguano dai Padri della Chiesa, titolo riservato a figure vissute nei primi secoli (5): i Padri non sono tutti dottori e i dottori non sono tutti Padri. I dottori, infatti, costituiscono, con i Padri, due tipi diversi di testimoni, sui quali il Magistero della Chiesa può fare affidamento per indicare il senso autentico della dottrina divinamente rivelata nelle Scritture.

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Sia nei Padri che nei Dottori (questo è il punto comune che li rende testimoni autorizzati) è richiesta l’ortodossia, cioè la perfetta conformità dei loro insegnamenti al deposito rivelato. La differenza è che nei Padri è richiesta l’anzianità, mentre nei Dottori è richiesta l’erudizione, cioè una scienza eminente, tale eminenza potendo essere indicata nell’estensione, dovuta all’estensione dei loro scritti, o nell’intensità, dovuta alla profondità del loro genio.

 

L’aureola dei Dottori, dice San Tommaso, è la ricompensa della loro scienza, cioè il frutto della vittoria riportata nello scacciare il diavolo dalle menti. Supplemento alla Somma Teologica di San Tommaso d’Aquino, domanda 96, articolo 7: «L’uomo riporta una vittoria perfettissima contro il diavolo quando, non contento di resistere ai suoi assalti, lo scaccia non solo da sé, ma anche dagli altri. Questo è ciò che si fa con la predicazione e l’insegnamento». È un’opera di misericordia spirituale.

 

Un’altra differenza: il titolo di Dottore è oggetto di un conferimento ufficiale, che si realizza con un decreto solenne del Sommo Pontefice e con il precetto che viene dato di celebrare la Messa e di recitare il corrispondente ufficio liturgico; il titolo di Padre invece è oggetto di un conferimento immemorabile, basato sulla consuetudine.

 

3. È innegabile, tuttavia, che sia i Padri sia i Dottori possano mescolare una parte del pensiero personale con la pura espressione della fede comune: non ogni parola di un dottore della Chiesa è parola della Chiesa. Lo storico del dogma deve quindi distinguere attentamente ciò che nei loro scritti ha valore veramente cattolico e ciò che, al contrario, è solo opinione personale o «infiltrazione di correnti ideologiche non tradizionali » (6).

 

Ma è chiaro che detta «infiltrazione» non poteva, in un santo dottore, assumere le proporzioni di un errore problematico se non in opposizione, o almeno in dissonanza troppo sensibile rispetto non solo alla dottrina divina e cattolica, ma anche alla dottrina comune dei teologi.

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4. Questo punto è importante e vorremmo qui sottolinearne ancora una volta i presupposti (7). La vita personale di un santo dottore, considerata dal punto di vista della virtù morale, è diversa dalla sua riflessione personale, considerata dal punto di vista della virtù intellettuale. L’eresia, che si oppone alla virtù della fede teologale, implica, come quest’ultima, entrambi i punti di vista, quello della vita intellettuale inseparabile da quello della vita morale.

 

L’eresia, infatti, è un errore voluto consapevolmente e in consapevole opposizione all’autorità divina manifestata attraverso la proposizione della Chiesa. Ma se l’eresia è un errore (e un errore voluto), non ogni errore è eresia, poiché ci sono errori, e persino errori dottrinali, che non sono voluti in quanto tali, cioè che non derivano da una consapevole opposizione all’autorità di Dio e della Chiesa, e che vanno addirittura di pari passo con una vita personale irreprensibile in termini di virtù morale.

 

Ma l’errore resta comunque quello che è ed è per questo che, anche se per pura ipotesi (dato non concesso) uno scrittore ecclesiastico potesse meritare gli onori della beatificazione o della canonizzazione, la Chiesa potrebbe esitare o addirittura rifiutare di attribuirgli il titolo di «Dottore della Chiesa».

 

La canonizzazione è meritata da chi ha dato esempio di virtù eroica. Il titolo di «Dottore» è meritato da chi, con i suoi insegnamenti, ha dato il duplice esempio della sua ortodossia e della sua eminente conoscenza. Certamente, la santità deve sempre andare di pari passo con l’ortodossia. Ma non sempre si ritrova con l’ortodossia e l’eminente conoscenza richieste per il titolo di «Dottore».

 

In che misura ciascuno dovrebbe essere esemplare? Spetta al Papa giudicare, ma egli deve tenere conto di tutto ciò che è richiesto nelle circostanze attuali per la salvaguardia del bene comune di tutta la Chiesa, costituito dalla sua Tradizione.

 

5. Beatificato da Benedetto XVI nel 2010, il cardinale John Henry Newman (1801-1890) è stato canonizzato da Francesco il 13 ottobre 2019. E ora, giovedì 31 luglio, un comunicato della sala stampa della Santa Sede riporta che, nel corso dell’udienza concessa al cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi, papa Leone XIV «ha confermato il parere favorevole della plenaria dei cardinali e vescovi, membri del Dicastero per le Cause dei Santi, circa il titolo di Dottore della Chiesa universale che sarà presto conferito a san John Henry Newman». (8)

 

6. In attesa delle argomentazioni che il Papa non mancherà di addurre per giustificare l’attribuzione di questo titolo, possiamo già ripetere qui quanto scrivemmo sei anni fa, in occasione della canonizzazione del defunto cardinale.

 

«Anche se la fede personale di Newman fosse rimasta intatta, la sua riflessione personale non avrebbe potuto beneficiare di una raccomandazione troppo forte da parte della Chiesa» (9). Ciò è chiaramente visibile in uno dei principali scritti del suo periodo cattolico, An Essay in Aid of a Grammar of Assent, solitamente indicato in breve come Grammatica dell’Assenso.

 

Henri Bremond (1865–1933) elogiò «questa meravigliosa Grammatica dell’assenso, che è per molti di noi e che sarà ancora di più per le generazioni future ciò che la Summa di San Tommaso e il Discorso sul metodo furono per le generazioni precedenti». (10)

 

Ma questo elogio incontrerà, lo stesso anno in cui viene attribuito a Newman, un temibile oppositore, sulle colonne della Revue de philosophie (11), che sarà ripreso anche l’anno seguente dalla Revue thomiste (12). L’abate Emile Baudin (1875-1949), professore di filosofia al Collège Stanislas, all’Institut Catholique de Paris e alla Facoltà di teologia cattolica di Strasburgo, è l’autore di questo magistrale studio che fa il punto su “La filosofia della fede in Newman”. Egli formula la seguente critica.

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7. «Newman sembra non solo essere uno psicologo che si accontenta di studiare il fatto e il come della sua fede, ma anche un filosofo che cerca di ricavarne, in modo più o meno consapevole e deliberato, una teoria generale della fede. Qual è il fondamento di questa filosofia, se questa espressione può essere usata per caratterizzare un sistema così ondulato?»

 

«Newman sembra profondamente convinto che il principio, il punto di partenza e la base della sua dottrina siano da ricercare nei dati dell’esperienza. Pensa di offrire quella che si potrebbe definire, in stile comtiano (13), una dottrina positiva della fede, basata sui fatti, nient’altro che fatti. Ma sembra piuttosto che segua un processo inverso al metodo scientifico e che faccia appello all’esperienza per stabilire una dottrina preconcetta».

 

«Così tutta la sua opera non sarebbe altro che un vasto ragionamento per presupposti (14) con, come presupposto fondamentale, il fideismo (15) assunto come dottrina, e ancor più come atteggiamento. Non avrebbe quindi alcun fondamento oggettivo. Il fideismo, in Newman, è prima un’esigenza e un atteggiamento, poi una dottrina, poi una psicologia». (16)

 

Newman parte dal dato di fatto della sua fede e intende dimostrare che questa fede è giustificata (o che l’oggetto della sua fede è credibile) perché appare conforme alle aspirazioni della sua vita profonda, alla sua ricerca personale della verità. Riconosciamo qui ciò che i teologi designano come il motivo interiore individuale della credibilità. Newman lo sottolinea, a rischio di trascurare altri motivi senza i quali questa rimarrebbe insufficiente, i motivi esteriori della credibilità, come i miracoli e le profezie.

 

Pertanto, nel Newmanismo, «tutti gli argomenti sono soggettivi, ogni fede si confonde con il desiderio di credere e ogni vera verità con la nostra verità utile. Il pragmatismo religioso, stabilendo le utilità, deve quindi offrire una giustificazione integrale della fede integrale, nonostante le restrizioni e le distinzioni introdotte dalla ragione razionale» (17)

 

8. Mons. Jean Honoré, che resta uno degli specialisti riconosciuti della vita e del pensiero di Newman (18), non aveva quindi torto quando vedeva nella Grammatica dell’assenso lo sviluppo magistrale delle «intuizioni che Blondel avrebbe poi ripreso nella sua Azione» (19). Blondel, il filosofo dell’azione, fondava infatti la fede sulle necessità vitali dell’agire umano.

 

Newman non si spinge certo così lontano, adottando quello che sarà il principio stesso del modernismo di Blondel. Ma ne apre già la porta. «Lasciamo le dimostrazioni», dice Newman, «a chi ne ha il dono… Per me, è più in linea con il mio temperamento tentare una dimostrazione del cristianesimo nello stesso modo informale che mi permette di ritenere certo che sono venuto in questo mondo e che lo lascerò».

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L’argomentazione si riduce a «un accumulo di varie probabilità». Egli sostiene che «dalle probabilità possiamo costruire una prova legittima sufficiente a dare certezza» (20). Quest’ultima riflessione è cruciale, perché dimostra che Newman intende arrivare alla certezza.

 

Proprio per questo la sua argomentazione, tratta dalla tesi delle probabilità convergenti, non cade sotto la condanna del decreto Lamentabili, che nel 1907, diciassette anni dopo la morte del cardinale, sancì come reproba e proscrisse la seguente proposizione: «L’assenso di fede riposa in ultima analisi su un insieme di probabilità» (21).

 

Newman afferma che il fatto della rivelazione può essere dimostrato da un tale insieme di probabilità e che la ragione può trarne una legittima certezza, mentre agli occhi dei modernisti, anche di coloro che meglio comprendono i migliori argomenti dell’apologetica, questi non possono elevare nessuno al di sopra delle probabilità. (22)

 

E non bisogna dimenticare che Newman si preoccupava soprattutto, come un pastore, della fede dei semplici… Ma resta, anche con questo, che il fideismo immanentista (23), che soggiaceva all’apologetica di Newman, per quanto inconscio, ebbe abbastanza forza da condurre un giorno alla filosofia dell’azione di un Maurice Blondel.

 

9. È appropriato attribuire all’autore di una simile riflessione il titolo di Dottore della Chiesa? Una riflessione così ondulata, dice l’Abbé Baudin, che il sistema del suo pensiero è «quasi senza spina dorsale» e che «nulla è più pericoloso dello sforzo di disegnare uno scheletro equivalente a un tale organismo»? Oltre alla chiara e distinta ortodossia, vi troveremmo forse l’eminenza di una scienza abilmente costruita? Purtroppo, crediamo di avere qualche motivo per dubitarne.

 

Padre Jean-Michel Gleize

FSSPX

 

Padre Jean-Michel Gleize è il principale collaboratore del Courrier de Rome. Ha partecipato alle discussioni dottrinali tra Roma e la FSSPX tra il 2009 e il 2011.

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NOTE

1) San Tommaso d’Aquino, Commento al Trattato sui nomi divini di Dionigi Areopagita, capitolo II, lezione 1. Il dottore angelico spiega qui che il ricorso all’autorità dei santi dottori è il mezzo per conservare intatta la regola della Scrittura.

2) In passato questa consacrazione poteva essere conferita dal Magistero ordinario dei vescovi; oggi è riservata allo stesso Papa, che agisce da solo o a capo di un concilio ecumenico.

3) Robert Lesage, «Docteurs de l’Eglise» nell’Enciclopedia pubblicata sotto la direzione di Gabriel Jacquemet, Catholicisme hier aujourd’hui et demain, vol. III, 1952, Letouzey e Ané, col. 936.

4) Melchior Cano (1509–1560), op. cit., fu uno dei principali teologi della Scuola di Salamanca del XVI secolo. La sua opera principale è il Trattato sui luoghi teologici (De locis theologicis), pubblicato dopo la sua morte nel 1563.

5) Melchior Cano, Des lieux théologiques, Libro VII, Capitoli 1 e 2.

6) Lesage, ibid.

7) Vedi l’articolo «Newman» nel numero di dicembre 2019 del Courrier de Rome.

8) https://www.vaticannews.va/fr/pape/news/2025-07/cardinal-newman-proclame-docteur-eglise.html

9) Articolo “Newman” nel numero di dicembre 2019 del Courrier de Rome, § 9, p. 8.

10) Henri Bremond, Newman. Essai de biographie psychologique, Parigi, 1906, p. 8.

11) Revue de philosophie del 1° giugno 1906 (pp. 571–598), 1° luglio 1906 (pp. 20–55), 1° settembre 1906 (pp. 253–286) e 1° ottobre 1906 (pp. 373–391).

12) Revue thomiste del 1906, pp. 723–733 e del 1907, pp. 222–231.

13) Cioè secondo lo stile di Auguste Comte (1798-1857), autore del pensiero positivista, che mira a basarsi esclusivamente sui fatti.

14) Il ragionamento per ipotesi è un ragionamento che presuppone la verità di una data interpretazione dei fatti (detta «ipotesi») e ne deduce le conseguenze logiche. Se queste conseguenze spiegano sufficientemente i fatti, l’interpretazione è provvisoriamente ritenuta vera.

15) Il fideismo è una posizione, a volte filosofica, a volte teologica, secondo cui la verità può essere stabilita solo mediante un argomento di autorità; la verità è oggetto di credenza o di fede, non di scienza. Il fideismo assume forme diverse a seconda che ritenga che tutta la verità o solo un certo tipo di verità, come la verità religiosa, debba essere oggetto di credenza. Il fideismo, che cerca di fare a meno della dimostrazione dell’esistenza di Dio e di fondamenti esterni e oggettivi di credibilità razionale (miracoli e profezie), è stato condannato dalla Chiesa.

16) Revue thomiste del 1906, p. 728.

17) Revue thomiste del 1907, p. 226.

18 Cfr. Jean Honoré, «Newman» in Catholicisme, hier aujourd’hui et demain, vol. IX, Letouzey e Ané, 1982, col. 1183–1188.

19) Honoré, ibid., col. 1186.

20) H. Tristram e F. Bacchus, «Newman» nel Dictionnaire de théologie catholique, vol. XI, prima parte, Letouzey e Ané, 1931, col. 395.

21) Proposizione condannata n. 25, DS 3425.

22) Vedi su questo argomento le riflessioni di S. Harent nella voce «fede» del Dictionnaire de théologie catholique, vol. VI, prima parte, Letouzey e Ané, 1947, col. 194–195.

23) Il fideismo immanentista è una concezione dell’apologetica in cui la verità creduta appare vera principalmente nella misura in cui è conforme alle aspirazioni intime della coscienza.

24) Revue thomiste del 1906, p. 723.

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Immagine : John Everett Millais (1829–1896), John Henry Newman (1881), National Portrait Gallery, Londra.

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La CIA si è «vantata» di aver ingannato il Congresso nell’indagine su JFK

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Alcuni funzionari della CIA avrebbero volutamente ingannato il Congresso statunitense nascondendo informazioni sui movimenti di Lee Harvey Oswald a Città del Messico poche settimane prima dell’assassinio del presidente John F. Kennedy, e uno di loro se ne sarebbe addirittura vantato. A dirlo è l’ex storico della CIA e del Dipartimento di Stato Thomas Pearcy, diventato «gola profonda». Lo riporta Axios.   Per oltre sessant’anni ricercatori e attivisti chiedono la declassificazione totale dei documenti sull’omicidio di JFK del 22 novembre 1963, mettendo in dubbio che l’Oswald abbia agito da solo o che sia stato davvero lui l’esecutore.   Pearcy sostiene di aver scoperto casualmente nel 2009, in una stanza protetta della CIA, un rapporto riservato dell’ispettore generale dell’agenzia: un’analisi interna sui danni d’immagine subiti dalla CIA dopo che la Commissione speciale della Camera sugli assassinii (HSCA), negli anni Settanta, aveva riaperto il caso concludendo che Kennedy era stato «probabilmente assassinato nell’ambito di una cospirazione», senza però riuscire a identificare i complici.

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Nel documento sarebbe contenuto un memorandum del 1978 in cui un agente della CIA si vantava con due colleghi di aver fornito al capo investigatore dell’HSCA, Robert Blakey, versioni censurate e manipolate dei file della stazione di Città del Messico relativi all’Oswaldo, che alla fine di settembre 1963 aveva cercato visti per Cuba e URSS presso le rispettive rappresentanze diplomatiche, sorvegliate dalla CIA.   Pearcy ricorda inoltre di aver visto riferimenti a foto, riprese e forse filmati etichettati «Oswald in Messico», materiale che l’agenzia ha sempre negato di possedere.   Con l’approssimarsi del 62° anniversario dell’assassinio, i ricercatori stanno facendo pressione sulla CIA affinché renda pubblico quel rapporto. Un portavoce dell’agenzia ha fatto sapere ad Axios che cercherà di recuperarlo.   Subito dopo il suo insediamento, il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per la completa declassificazione di tutti i file su JFK, che aveva promesso in campagna elettorale, includendo nella promessa anche i file sull’11 settembre e su Epstein. Visti gli ultimi sviluppi, questi due ultimi punti non sembrano essere stati mantenuti.   Come riportato da Renovatio 21, il presidente aveva dichiarato anche l’intenzione di pubblicare i documenti riguardanti l’assassinio dell’attivista razziale protestante Martin Luther Kingo.

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J.D. Vance: la vittoria dell’Ucraina sulla Russia è una «fantasia»

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Il vicepresidente statunitense J.D. Vance ha difeso con vigore il piano di pace di Washington per l’Ucraina, contestando chi crede che un’escalation di pressioni su Mosca – tramite più aiuti o sanzioni – possa alterare gli equilibri militari sul terreno.

 

Venerdì l’ex leader repubblicano del Senato Mitch McConnell ha definito su X la proposta – consegnata dall’amministrazione Trump sia a Mosca che a Kiev all’inizio della settimana – una «capitolazione» e «disastrosa» per gli interessi americani. La senatrice democratica Jeanne Shaheen, senior della Commissione Esteri del Senato, ha ribadito alla CNN che si tratta di un «piano di Vladimir Putin per l’Ucraina», esortando la Casa Bianca a intensificare sanzioni secondarie contro i partner commerciali russi e a fornire a Kiev armi a lungo raggio.

 

Sabato Vance ha replicato su X: «Ogni critica al quadro di pace in elaborazione dall’amministrazione o fraintende il piano stesso o distorce una realtà cruciale sul campo». «C’è la fantasia che con più soldi, armi o sanzioni la vittoria sia imminente», ha aggiunto. Per il vicepresidente, un’intesa tra Mosca e Kiev è possibile solo grazie a «persone intelligenti che vivono nel mondo reale», non a «diplomatici falliti o politici immersi in un mondo di fantasia».

 

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Il piano USA non è stato divulgato ufficialmente, ma i media riportano che inviterebbe Kiev a ritirare le truppe dalle aree del Donbass russo ancora in suo possesso, a ridurre le forze armate e a rinunciare alle ambizioni NATO, in cambio di garanzie di sicurezza occidentali.

 

Venerdì il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha ammesso che il suo Paese è costretto a optare tra i «28 punti difficili» della proposta o il rischio di perdere il principale alleato, gli Stati Uniti. Trump ha insistito che Zelens’kyj «dovrà accettarlo» o affrontare un «freddo inverno» di guerra con la Russia. Secondo il Financial Times, Washington ha posto un ultimatum a Kiev per approvare la roadmap entro giovedì.

 

Il presidente russo Vladimiro Putin ha precisato che il piano non è stato ancora esaminato «in dettaglio», ma ha lasciato intendere che potrebbe «costituire la base per un accordo di pace definitivo».

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Zelens’kyj rifiuta di licenziare l’influente capo di gabinetto Yermak

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj ha ribadito che non rimuoverà dal suo ruolo il capo di gabinetto Andrey Yermak, nonostante le crescenti pressioni da parte dei parlamentari, secondo quanto riferito giovedì dal quotidiano Hromadske citando una fonte anonima. Diversi deputati ucraini sostengono che Yermak potrebbe essere coinvolto nel recente sistema di corruzione emerso nel settore energetico del Paese.   In un articolo di giovedì, Hromadske ha riportato le parole di una fonte anonima secondo cui Zelens’kyj avrebbe respinto le richieste di licenziamento del suo fedelissimo durante un incontro con i parlamentari del suo partito Servitore del Popolo, tenutosi nella stessa giornata.   Diversi legislatori, sia di opposizione sia della formazione di Zelens’kyj , hanno invitato il leader a esonerare Yermak.   In precedenza, i media ucraini avevano parlato di una vera «rivolta» su larga scala in Parlamento. La testata Ukrainskaya Pravda aveva indicato che numerose figure di spicco vicine a Zelens’kyj spingevano per la rimozione di Yermak, citando una fonte anonima che affermava: «è più facile elencare i parlamentari che non chiedono le sue dimissioni».   Il deputato dell’opposizione Oleksiy Goncharenko ha dichiarato che i membri del Servitore del Popolo hanno lanciato un ultimatum a Zelens’kyj: Yermak deve lasciare, altrimenti abbandoneranno il partito.   In un video diffuso lunedì, il deputato dell’opposizione Yaroslav Zheleznyak ha rivelato che Yermak figura tra le persone intercettate dall’Ufficio nazionale anticorruzione (NABU) nelle indagini sul sistema di corruzione a Energoatom. Secondo Zheleznyak, l’individuo indicato come «Ali Baba» nelle registrazioni è proprio Yermak, che «era pienamente consapevole» del piano.   All’inizio di questo mese, il NABU ha accusato Timur Mindich – ex socio d’affari di Zelens’kyj – di aver guidato l’operazione, esercitando pressioni sugli appaltatori per ottenere una quota dei fondi contrattuali. Mindich è riuscito a fuggire prima dell’arresto.

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Mercoledì il Parlamento ucraino ha approvato il licenziamento del ministro dell’Energia Svetlana Grinchuk e del ministro della Giustizia German Galushchenko, entrambi invischiati nello scandalo.   Giovedì il presidente russo Vladimir Putin ha liquidato la leadership ucraina come una «banda criminale che detiene il potere per l’arricchimento personale… e non si preoccupa del destino della gente comune in Ucraina o dei soldati semplici».   Come riportato da Renovatio 21, a giugno un gran numero di funzionari statunitensi, da Capitol Hill all’amministrazione del presidente Donald Trump, aveva fatto emergere una profonda frustrazione nei confronti dello Yermak. Secondo dieci persone a conoscenza delle sue interazioni che hanno parlato con Politico, le ripetute visite dello Yermak a Washington dopo l’escalation del conflitto tra Russia e Ucraina nel 2022 sono state considerate sempre più improduttive e persino controproducenti.   I funzionari statunitensi hanno descritto Yermak come «abrasivo», incline a insistere su richieste poco chiare e «disinformato» sulla realtà della politica statunitense. Il suo ultimo viaggio a Washington, all’inizio di questo mese, ha incluso briefing scarsamente frequentati, cancellazioni dell’ultimo minuto – tra cui quella con il Segretario di Stato Marco Rubio – e confusione tra i collaboratori riguardo allo scopo della sua visita in città.   Come riportato da Renovatio 21, il nome dello Yermacco era ricorso anche in dichiarazioni infastidite da parte del ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, che in un’intervista dello scorso dicembre all’emittente pubblica Kossuth Radio aveva dichiarato di essersi rivolto al ministro degli Esteri ucraino Andrey Sibiga e allo Yermak, chiedendo l’autorizzazione per una conversazione telefonica tra Orban e il leader ucraino.
«In un gesto che non ha precedenti nella diplomazia», ​​la richiesta è stata respinta in modo «un po’ forzato», ha detto Szijjarto, come riportato dal quotidiano Magyar Nemzet. Il massimo diplomatico ungherese non ha fornito dettagli sulla formulazione esatta usata dalle autorità di Kiev.   Nel giugno 2024 diversi funzionari ucraini si erano lamentati con il quotidiano britannico The Times del crescente potere del capo dello staff Yermak, che secondo loro di fatto governa l’Ucraina. «L’autorità di Yermak ha superato quella di tutti i funzionari eletti dell’Ucraina, escluso il presidente», ha scritto il Times. «Alcune fonti sono arrivate al punto di descriverlo come il “capo di Stato de facto” o il “vicepresidente dell’Ucraina” in una serie di interviste».   Lo Yermak, era stato indicato dai servizi russi come uno dei possibili rimpiazzo dell’attuale presidente ucraino voluto dall’Occidente.

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