Economia
Lo Tsunami economico del COVID deve ancora arrivare
L’umana società ha ricominciato a popolare le piazze, le strade, i luoghi di incontro e di aggregazione sociale.
Una moltitudine di persone rifluisce su quel suolo pubblico che fino a poco tempo fa era proibit,o pena la sanzione o la reclusione. Eccola la moltitudine che deambula con il volto coperto dalla mascherina di rigore, elemento essenziale per potersi sentire liberi ma prigionieri, contenti ma costretti, sicuri e non guardati male.
Guardando i dati è evidente che ancora non si abbia una giusta percezione di quello che sarà il post-Coronavirus, che ha già generato e genererà sempre di più nel corso di questo 2020 nuovi poveri e nuova povertà in Italia
Il prezzo da pagare per questa nuova libertà è l’inseparabile mascherina anche all’aperto, sulla quale efficacia ma, soprattutto, sicurezza, non è dato sapere nulla.
Pazienza. Tutti si sono abituati alla quarantena; tutti si abitueranno a correre, a vivere e a respirare con la mascherina.
Sotto le maschere alcuni volti tornano tuttavia ad essere — e per fortuna — sorridenti, felici: ripartono gli aperitivi al bar, ritorna un po’ di movida e ritornano gli incontri con parenti e amici sotto un clima che profuma già di calda estate.
Un bilancio redatto da Altroconsumo segnala che l’emergenza COVID ha comportato una perdita pari a 33,4 miliardi di euro totali, cioè una media di 1300 euro a famiglia
Tutto ciò è certamente giusto e bello, e delinea il primo volto della ripresa, dove l’entusiasmo di una presunta libertà ha la meglio sul resto di tutti gli altri pensieri — o quasi: vi è chi, preso dall’acqua alla gola, non ha probabilmente alcuna voglia di sorridere, tantomeno di ridere o scherzare.
Guardando i dati è evidente che ancora non si abbia una giusta percezione — o probabilmente si sta cercando di non riconoscerla ed ammetterla — di quello che sarà il post-Coronavirus, che ha già generato e genererà sempre di più nel corso di questo 2020 nuovi poveri e nuova povertà in Italia.
Il 46% delle famiglie italiane ha accusato gravi perdite economiche, per una stima di 1875 euro di minori entrate
Un bilancio redatto da Altroconsumo segnala che l’emergenza COVID ha comportato, fino a metà maggio, una perdita pari a 33,4 miliardi di euro totali, cioè una media di 1300 euro a famiglia.
Il 46% delle famiglie italiane — quindi quasi la metà — ha accusato gravi perdite economiche principalmente legate alla chiusura di attività lavorative o cassa integrazione, per una stima di 1875 euro di minori entrate.
Un lavoratore su tre è convinto, secondo la situazione della propria azienda o della propria attività, di perdere il lavoro nei prossimi 12 mesi
A causa di questo, sempre secondo Altroconsumo il 35% delle famiglie ha dovuto attingere alla cassetta dei risparmi per far fronte alle normali spese quotidiane, e il 32% è convinta di doverlo fare in tempi brevi o comunque in ottica futura.
Un lavoratore su tre è convinto, secondo la situazione della propria azienda o della propria attività, di perdere il lavoro nei prossimi 12 mesi, nonostante la ripresa e l’allentamento delle misure restrittive.
Il crollo degli acquisti atteso nel 2020 è pari a 75 miliardi di euro, corrispondente ad una flessione del 7,2% stimata dal Documento di Economia e Finanza (DEF)
7,2 milioni di dipendenti sono finiti in cassa integrazione.
Secondo Confturismo, invece, il Made in Italy e il turismo è destinato a perdere, parlando in termini financo ottimistici, almeno 120 miliardi di euro nel solo 2020, di cui 65 miliardi di spesa turistica persi nell’ormai prossima estate a causa di 31 milioni di turisti in meno per un totale di 108 milioni di pernottamenti in meno.
Il 68% delle attività del commercio che hanno riaperto, infatti, dichiarano di aver lavorato fino ad ora in perdita
Un sondaggio di Swg per conto di Conferescenti rivela che il 72% delle imprese è ripartito con il sorgere della “Fase 2” — il 28% quindi no —, ma il problema è che ad oggi solo il 29% della popolazione italiana è tornata ad acquistare prodotti o ad investire nei servizi. Il crollo degli acquisti atteso nel 2020 è pari a 75 miliardi di euro, corrispondente ad una flessione del 7,2% stimata dal Documento di Economia e Finanza (DEF).
Il 68% delle attività del commercio che hanno riaperto, infatti, dichiarano di aver lavorato fino ad ora in perdita, con la metà di esse che ammettono di aver dimezzato le vendite rispetto a tempi precedenti al lockdown. Chi ne paga le conseguenze più gravi sono ovviamente attività come bar e ristoranti, costrette a spendere in media 615 euro (solo per ripartire) in prodotti per sanificare superfici, oggetti, ambienti e per i dispostivi di protezione obbligatori.
Negli ultimi tre mesi hanno chiuso 10.902 aziende artigiane, che potrebbero diventare 100.000 entro la fine del 2020
Ci sono poi gli artigiani, anch’essi costretti a pagare un grave scotto. Stando a quanto stimato dalla CGIA di Mestre, in Italia negli ultimi tre mesi hanno chiuso 10.902 aziende artigiane, che potrebbero diventare 100.000 entro la fine del 2020 se non dovessero arrivare a breve aiuti concreti e liquidità.
«Se spariscono le micro imprese, rischiamo di abbassare notevolmente la qualità del nostro made in Italy», ha fatto presente il segretario della CGIA Renato Mason, che ha poi precisato che se è pur «vero che con il decreto Rilancio sono state introdotte diverse misure tra cui l’azzeramento del saldo e dell’acconto Irap in scadenza a giugno, la riproposizione dei 600 euro per il mese di aprile e la detrazione del 60% degli affitti, ma tutto questo è ancora insufficiente a colmare la rovinosa caduta del fatturato registrata in questi ultimi mesi da tantissime piccole realtà»
«Non è da escludere che entro la fine dell’anno lo stock complessivo delle imprese artigiane presente nel Paese si riduca di quasi 100 mila unità, con una perdita di almeno 300.000 posti di lavoro»
Secondo gli esperti dell’Ufficio Studi siamo ancora lontani dal peggio: nei prossimi mesi lo tsunami economico del post-Coronavirus si mostrerà con maggiore intensità.
«In questi due mesi e mezzo di lockdown — ha dichiarato il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo — molti artigiani senza alcun sostegno al reddito sono andati in difficoltà e non sono stati pochi coloro che hanno ipotizzato di gettare la spugna e di chiudere definitivamente la saracinesca».
«Non tutti ce la faranno a sopravvivere – precisa Zabeo – e non è da escludere che entro la fine dell’anno lo stock complessivo delle imprese artigiane presente nel Paese si riduca di quasi 100 mila unità, con una perdita di almeno 300.000 posti di lavoro».
Sono danni incalcolabili, davanti ai quali c’è poco da ridere e per le quali responsabilità è ora che cali la vergognosa maschera di questo Governo.
Di contro c’è chi da questa emergenza ci ha guadagnato parecchio. E sono sempre i soliti noti.
Il guadagno maggiore è di Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, che dopo il lockdown mondiale vale 87,7 miliardi rispetto ai 57,5 pre-COVID
Il guadagno maggiore è di Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, che dopo il lockdown mondiale vale 87,7 miliardi rispetto ai 57,5 pre-COVID.
Amazon e il suo miliardario Amministratore Delegato , Jeff Bezos, ha accresciuto il suo patrimonio del 30% tra marzo e maggio, raggiungendo i 147 miliardi di dollari.
Gli studi, in generale, dicono che per i 600 uomini più ricchi d’America, in tempi di Nuovo Coronavirus la crescita economica è stata del 15%
Elon Musk, ceo di Tesla, ha visto crescere le proprie azioni per un totale di 8,1 miliardi di dollari in un solo mese, quando a metà marzo ne stava perdendo 3,1.
Eric Yuan, fondatore di Zoom, famoso software di videoconferenze utilizzato in tempi di arresti domiciliari per colmare la cosiddetta «distanza sociale», si è arricchito di 2,58 miliardi di dollari in un paio di mesi.
Questa emergenza comporterà inevitabilmente un divario sempre più ampio fra ricchezza e povertà, non senza produrre conseguenze sociali devastanti nel medio-lungo periodo
Gli studi, in generale, dicono che per i 600 uomini più ricchi d’America, in tempi di Nuovo Coronavirus la crescita economica è stata del 15%.
Questa emergenza comporterà inevitabilmente un divario sempre più ampio fra ricchezza e povertà, non senza produrre conseguenze sociali devastanti nel medio-lungo periodo.
Cristiano Lugli
Economia
Trump grazia l’ex CEO del gigante delle cripto Binance
Il presidente statunitense Donald Trump ha concesso la grazia presidenziale a Changpeng Zhao, noto come «CZ», fondatore ed ex amministratore delegato di Binance, la principale piattaforma di scambio di criptovalute a livello globale. Lo riporta il Wall Street Journal.
L’annuncio, proveniente dalla Casa Bianca, giunge dopo mesi di vigorose attività di lobbying e rappresenta un cambiamento significativo nella politica americana verso il settore delle criptovalute, con chiare ripercussioni sugli interessi familiari di Trump.
La grazia corona una serie di iniziative prolungate da parte di Zhao e della sua azienda per ottenere indulgenza, tra cui il sostegno attivo a World Liberty Financial, la piattaforma crypto associata alla famiglia Trump. Questa iniziativa, promossa dai figli del presidente Eric e Donald Jr., ha registrato un’impennata di valore – valutata in oltre 5 miliardi di dollari di ricchezza teorica – grazie a collaborazioni con entità legate a Binance, come un’intesa da 2 miliardi di dollari con un fondo degli Emirati Arabi Uniti che ha impiegato lo stablecoin USD1 di World Liberty per investimenti azionari.
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Zhao, un tempo tra i leader più influenti nel panorama degli asset digitali, era stato condannato nell’aprile 2024 a quattro mesi di detenzione dopo un accordo con il Dipartimento di Giustizia statunitense nel 2023. L’intesa prevedeva un’ammissione di responsabilità per violazioni antiriciclaggio, una sanzione record di 4,3 miliardi di dollari per Binance e una multa personale di 50 milioni per CZ, che aveva lasciato la carica di CEO.
Gli inquirenti federali avevano imputato alla piattaforma di aver favorito operazioni illecite con soggetti sanzionati, inclusi gruppi terroristici, e di non aver adottato misure sufficienti contro il riciclaggio di denaro. Il procedimento contro Zhao è stato uno dei casi più rappresentativi della campagna dell’amministrazione Biden contro le grandi exchange crypto, vista da molti come un’eccessiva stretta repressiva.
Completata la pena in una prigione federale a bassa sicurezza in California e poi in un centro di reinserimento, Zhao era stato liberato nel settembre 2024. Ci sono voluti quasi dodici mesi di sforzi per ottenere la grazia: all’inizio del 2025, l’azienda ha assunto il lobbista Ches McDowell, legato a Donald Trump Jr., per influenzare i decisori a Washington.
Fonti informate indicano che il team di Trump ha colto nel caso di Zhao l’occasione per avviare una «nuova era» nelle normative sulle criptovalute, favorendo l’innovazione anziché la repressione. Numerosi collaboratori del presidente considerano le imputazioni come motivazioni politiche, tipiche della più ampia «guerra alle crypto» promossa da Biden.
La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha giustificato la scelta con toni decisi: «il presidente Trump ha esercitato il suo potere costituzionale concedendo la grazia al signor Zhao, perseguitato dall’amministrazione Biden nella sua guerra alle criptovalute». E ha proseguito: «la guerra dell’amministrazione Biden contro le criptovalute è terminata». Interrogato dalla stampa, Trump ha sminuito l’importanza: «Molte persone sostengono che non avesse commesso alcun illecito. L’ho graziato su indicazione di persone affidabili, pur non conoscendolo di persona».
La decisione non manca di polemiche. Critici come la senatrice democratica Elizabeth Warren l’hanno bollata come un «evidente conflitto di interessi»: «Prima CZ si dichiara colpevole di riciclaggio, poi sostiene un’impresa crypto di Trump e fa lobbying per la grazia. Oggi Trump ricambia il favore».
Binance, che aveva visto prelievi per un miliardo dopo che CZ si era dichiarato colpevole, ha accolto la notizia come «incredibile» e ha espresso gratitudine a Trump per il suo impegno a trasformare gli Stati Uniti nella «capitale mondiale delle crypto».
Zhao, azionista di maggioranza di Binance fondata nel 2017, ha scritto sui social: «Profondamente grato per la grazia di oggi e al presidente Trump per aver difeso equità, innovazione e giustizia. Ci impegneremo al massimo per fare dell’America la capitale delle crypto».
Questa grazia non è solo una rivalsa personale per CZ, che ora potrebbe riprendere il controllo attivo di Binance, ma un segnale politico netto: l’amministrazione Trump mira a favorire il settore del Bitcoin e delle criptovalute, dissipando le ombre del passato.
In un contesto in cui Trump ha già graziato figure come Ross Ulbricht (come aveva promesso in campagna elettorale), ideatore della piattaforma di scambio del dark web Silk Road, il messaggio è inequivocabile: Washington è disposta a puntare sulle criptovalutea anche a costo di controversie.
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Come riportato da Renovatio 21, tre mesi fa la società Trump Media aveva investito 2 miliardi in bitcoini. Il bitcoin in quelle settimane toccava il record di 120.000 dollari.
In primavera i figli di Trump con il vicepresidente USA JD Vance avevano presenziato alla conferenza Bitcoin di Las Vegas esaltano le criptovalute. Eric Trump, figlio di Donald, ha avuto a dichiarare che con cripto e blockchain in dieci anni potremmo assistere all’estinzione degli istituti bancari.
Trump – che ha nominato le criptovalute come riserva strategica nazionale – aveva ospitato, sotto gli auspici del suo zar per l’AI e le crypto Davis Sacks, un grande evento per le monete elettroniche alla Casa Bianca praticamente appena insediatosi. Tra i primi decreti esecutivi firmati da Trump vi è quello che vieta le CBDC, cioè le valute digitali delle Banche centrali.
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Immagine di Web Summit via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Economia
Picco del prezzo del petrolio dopo le sanzioni statunitensi alla Russia
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Economia
La Volkswagen affronta la crisi dei chip dopo chel’Olanda ha sequestrato la fabbrica cinese
La principale casa automobilistica tedesca, Volkswagen, rischia di sospendere la produzione in un importante stabilimento a causa della carenza di semiconduttori, provocata dal sequestro di un produttore di chip di proprietà cinese da parte dei Paesi Bassi. Lo riporta il tabloide tedesco Bild, citando fonti anonime.
A fine settembre, il governo olandese ha preso il controllo dello stabilimento Nexperia di Nimega, adducendo problemi legati alla proprietà intellettuale e alla sicurezza. La settimana scorsa, il New York Times, dopo aver esaminato documenti di un tribunale di Amsterdam, ha rivelato che la decisione è stata influenzata dalle pressioni di funzionari statunitensi.
Wingtech, la società madre di Nexperia, è stata inserita nella lista nera di Washington nel 2024, nell’ambito della guerra commerciale con la Cina.
All’inizio di ottobre, Pechino ha reagito vietando a Nexperia l’esportazione di chip finiti dalla Cina, componenti essenziali per le centraline elettroniche dei veicoli Volkswagen.
Mercoledì la Bild ha riferito che Volkswagen, proprietaria anche di Skoda, Seat, Audi, Porsche, Lamborghini e Bentley, non sembra avere attualmente alternative ai chip di Nexperia. Fonti interne hanno indicato che, a causa della carenza di semiconduttori, la produzione nello stabilimento di Volsburgo potrebbe essere interrotta a partire da mercoledì prossimo, iniziando con la Volkswagen Golf e poi estendendosi ad altri modelli.
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Se la situazione non dovesse migliorare, la sospensione della produzione potrebbe riguardare anche gli stabilimenti di Emden, Hannover, Zwickau e altri, secondo una fonte informata.
Secondo il rapporto, Volkswagen ha avviato negoziati con le autorità tedesche per un programma di riduzione dell’orario di lavoro, sostenuto dallo Stato, per decine di migliaia di dipendenti.
Bild ha avvertito che la crisi dei chip potrebbe colpire anche altre case automobilistiche tedesche. Rappresentanti di BMW e Mercedes hanno dichiarato al giornale di stare monitorando la situazione. L’industria automobilistica tedesca è già in difficoltà a causa degli elevati costi energetici, legati alle sanzioni dell’UE contro la Russia per il conflitto in Ucraina, e all’aumento dei dazi americani.
Un portavoce dello stabilimento Volkswagen di Zwickau ha definito «errato» il rapporto di Bild, secondo quanto riferito all’agenzia AFP. Tuttavia, una lettera interna visionata dalla stampa ha ammesso che «non si possono escludere ripercussioni sulla produzione a breve termine» a causa della carenza di semiconduttori.
La tensione nelle relazioni Washington-Pechino, in ispecie con riguardo i microchip – che costituiscono, almeno per il momento, lo «scudo» contro l’invasione di Taiwan da parte dell’Esercito di Liberazione del Popolo della Repubblica Popolare Cinese – tocca sempre più apertamente non solo Cina e USA, ma l’intera economia mondiale, con effetti devastanti sull’Europa, che non è riuscita, nonostante i tentativi, di crearsi una sua autonomia sovrana sulla produzione di questo componente essenziale.
Come riportato da Renovatio 21, l’anno scorso era emerso che le fabbriche di semiconduttori con tecnologia avanzata olandese presenti a Taiwan potrebbero essere spente da remoto nel caso di invasione dell’isola da parte di Pechino. In particolare si tratterebbe delle fabbriche del colosso Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), che impiega tecnologie ultraviolette di estrema precisione (chiamate in gergo EUV) fornite da un’azienda olandese, la ASML. Tali macchine, grandi come un autobus e dal costo di circa 217 milioni di dollari cadauna, utilizzano onde luminose ad alta frequenza per stampare i chip più avanzati al mondo.
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Immagine di Michael Barera via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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