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Cina

Lo «scudo microchip» per l’indipendenza di Taiwan da Pechino

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.

 

 

L’isola è il più grande produttore mondiale dei preziosi componenti usati per le principali tecnologie civili e militari. Cina e USA entrambi dipendenti dalla produzione taiwanese. Un’invasione cinese metterebbe a rischio la filiera tecnologica globale. Esperti: la «polizza» chip non esclude lo scoppio di un conflitto.

 

 

Con la pandemia e il relativo incremento nella richiesta di articoli tecnologici, Taiwan ha ampliato la produzione di microchip.

 

Secondo TrendForce, nel 2021 il mercato globale dei preziosi componenti elettronici è salito a quasi 79 miliardi di euro. Il 64% è riconducibile a vendite taiwanesi; il 92% se si considerano i chip più avanzati: secondo molti osservatori, una polizza assicurativa per la sopravvivenza di Taipei come Stato di fatto indipendente dalla Cina comunista.

 

Taiwan Semiconductor Manufacturing Company Ltd (TSMC) produce il 90% dei chip (o semiconduttori) usati nel globo. È l’11ma impresa al mondo per capitalizzazione di mercato. Nel 2021 ha investito 26 miliardi di euro, quasi il doppio del budget di Taipei per la propria difesa.

 

Il 64% è riconducibile a vendite taiwanesi; il 92% se si considerano i chip più avanzati: secondo molti osservatori, una polizza assicurativa per la sopravvivenza di Taipei come Stato di fatto indipendente dalla Cina comunista

L’export di Taiwan verso la Cina è arrivato a 110 miliardi di euro nel 2021, una crescita di quasi il 23% rispetto all’anno precedente. L’incremento delle vendite di componentistica elettronica è stato del 23,3%.

 

Secondo dati del Congresso USA, nel 2020 dalla Cina è arrivato il 60% della domanda mondiale di semiconduttori. Più del 90% dei microchip usati dal gigante asiatico è importato o prodotto in territorio cinese da aziende straniere (compresa TSMC). Come riporta Reuters, nei primi tre mesi del 2021 metà dell’export taiwanese diretto in Cina erano chip.

 

Per ridurre la dipendenza dai microchip prodotti a Taiwan, da tempo Pechino ha annunciato un rafforzamento della propria industria del settore: i dati sugli acquisti tecnologici da Taipei mostrano per ora il fallimento dei propositi cinesi. Secondo diversi analisti, l’industria dei chip cinesi è indietro di una decina d’anni rispetto a quella taiwanese, un gap che tende ad allargarsi.

 

Al momento paiono insuperabili le capacità taiwanesi di produrre chip a meno di 10 nanometri, utilizzati in diverse tecnologie civili e militari, soprattutto nell’intelligenza artificiale. Di solito però i componenti sono sviluppati e disegnati da laboratori statunitensi. TSMC ha già avviato la produzione pilota di semiconduttori a 3 nanometri e la ricerca per realizzarne a 2 nanometri. Secondo le autorità taiwanesi, compagnie locali e straniere progettano d’investire nell’industria nazionale dei chip 94 miliardi di euro da qui al 2025.

Più del 90% dei microchip usati dal gigante asiatico è importato o prodotto in territorio cinese da aziende straniere (compresa TSMC). Come riporta Reuters, nei primi tre mesi del 2021 metà dell’export taiwanese diretto in Cina erano chip.

 

I ritardi della Cina nello sviluppare la produzione domestica, sommati alle sanzioni Usa nei confronti delle imprese hi-tech cinesi, portano le autorità taiwanesi a pensare che le importazioni di microchip da parte di Pechino continueranno a crescere. Contribuisce a questo trend anche la domanda di semiconduttori delle imprese straniere presenti sul territorio cinese.

 

Il risvolto della medaglia è che così Taipei non riuscirà a realizzare uno dei suoi principali obiettivi: emanciparsi dal mercato cinese e diversificare i propri partner commerciali. Per il momento l’isola ha ridotto la sua quota d’investimenti nella Cina continentale: nei primi 11 mesi del 2021 è stata di 4,2 miliardi di euro, un calo annuo del 14,5%.

 

La Cina considera Taiwan una «provincia ribelle», e non ha mai escluso di riconquistarla con l’uso della forza.

 

L’isola è di fatto indipendente da Pechino dal 1949; all’epoca i nazionalisti di Chiang Kai-shek vi hanno trovato rifugio dopo aver perso la guerra civile sul continente contro i comunisti, facendola diventare l’erede della Repubblica di Cina fondata nel 1912 (che a sua volta aveva messo fine al bimillenario impero cinese).

 

Inizialmente una dittatura a partito unico (il Kuomintang di Chiang), tra fine anni ’80 e metà anni ’90 del secolo scorso Taiwan è diventata una vibrante democrazia, oltre che un’economia di mercato molto dinamica.

Come i cinesi, anche gli USA dipendono dai microchip made in Taiwan, fatto che rende l’isola indispensabile a entrambe le potenze in competizione

 

Agli occhi della leadership cinese, la presidente taiwanese Tsai Ing-wen è una pericolosa secessionista. Tsai non riconosce il «principio dell’unica Cina», secondo il quale esiste una sola Cina, quella rappresentata dal governo di Pechino.

 

Come i cinesi, anche gli USA dipendono dai microchip made in Taiwan, fatto che rende l’isola indispensabile a entrambe le potenze in competizione.

 

Nel 2021 la scarsità di semiconduttori – dovuta all’alta domanda di prodotti tecnologici generata dalla pandemia – ha creato problemi per la produzione di molti beni, come le automobili: un avvertimento di cosa potrebbe accadere alla filiera tecnologica globale se la produzione taiwanese si arrestasse per un conflitto.

 

Gli USA hanno legami diplomatici ufficiali con Pechino, ma senza accettare la posizione cinese secondo cui Taiwan è parte della Cina. Con il Taiwan Relations Act, gli Stati Uniti hanno promesso di difendere Taipei, soprattutto con forniture militari.

 

I taiwanesi parlano del loro «scudo di silicio» contro un colpo di mano cinese e a garanzia del sostegno statunitense. Esperti, soprattutto negli Usa, ammoniscono però che l’interdipendenza economica spesso non basta a prevenire lo scoppio di guerre

Adottato nel 1979 dopo il formale riconoscimento diplomatico della Cina comunista, il provvedimento non specifica l’effettiva natura dell’impegno USA: una «ambiguità strategica» che produce continue tensioni con il governo cinese.

 

In caso di conflitto gli scenari sono cupi per Washington come per Pechino. Con la riconquista dell’isola da parte cinese, gli USA potrebbero perdere le forniture di chip. Anche se l’invasione riuscisse, la Cina rischierebbe invece di trovare gli stabilimenti della TSMC distrutti, vittime dei combattimenti.

 

Per questo motivo, i taiwanesi parlano del loro «scudo di silicio» contro un colpo di mano cinese e a garanzia del sostegno statunitense. Esperti, soprattutto negli Usa, ammoniscono però che l’interdipendenza economica spesso non basta a prevenire lo scoppio di guerre.

 

 

 

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Cina

Auto contro la folla: tre attacchi in poche ore in Cina

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Almeno sei morti e numerosi feriti in diversi episodi a Pechino, a Shenyang e in una scuola nella provincia di Zhejiang. Le autorità non hanno diffuso dettagli ma le immagini sono ampiamente circolate in rete. Diversi commentatori sul web attribuiscono i gesti alla rabbia contro la società creata dalle questioni economiche.

 

Tre diversi attacchi con auto lanciate contro persone si sono verificato nel giro di poche ore martedì 19 marzo in Cina. Sono avvenuti nella capitale Pechino, nella megalopoli nord-orientale di Shenyang e nella città orientale Taizhou, nella provincia di Zhejiang: il bilancio è di almeno sei morti e più di una dozzina di feriti.

 

Sebbene le autorità non abbiano fornito molti dettagli, le foto e i video degli attacchi circolati in rete hanno mostrato gli incidenti. Non si conoscono ancora le motivazioni degli attacchi, ma i commenti dicono che gli attacchi indiscriminati sono diventati un modo per vendicarsi della società e sfogare il malcontento.

 

Il primo attacco è avvenuto alle 7 del mattino a Shenyang, dove un’auto nera è finita contro il marciapiede sul lato opposto della strada. L’incidente ha causato tre morti e due di loro sono deceduti dopo essere stati trasportati in ospedale. I media ufficiali non hanno fornito ulteriori dettagli sull’incidente; tuttavia le foto circolate online hanno mostrato una bombola di gas posizionata sul sedile del passeggero accanto al conducente.

 

Intorno alle 11,20, un altro incidente ha avuto luogo nel Taizhou Vocational & Technical College della provincia di Zhejiang. L’attacco è avvenuto quando le lezioni erano terminate e gli studenti stavano lasciando le aule. L’auto è piombata sulla folla. I video online hanno mostrato che ambulanze e veicoli della polizia sono arrivati al campus e hanno isolato la scena. La polizia ha annunciato che l’incidente ha provocato tre morti e 16 feriti e che il conducente dell’auto è uno studente del college.

 

Il terzo attacco è avvenuto la sera, nel centro della capitale Pechino. Un’auto nera ha investito pedoni e scooter e la polizia ha fornito meno dettagli. L’annuncio della polizia non ha indicato il numero delle vittime e ha solo detto che l’auto ha colpito più scooter dopo aver avuto un «incidente stradale».

 

I video hanno mostrato i detriti degli scooter e il sangue a terra e molti feriti, mentre il conducente dell’auto nera è rimasto immobile al volante all’arrivo della polizia. La polizia ha anche steso un telo blu per impedire alle persone di vedere la scena. I video dell’incidente sono stati presto censurati sui social network.

 

I tre attacchi successivi in un solo giorno hanno suscitato discussioni in rete. Alcuni commenti ritengono che l’indebolimento dell’economia degli ultimi anni abbia causato malcontento e voglia di vendicarsi

 

Il 1° marzo, un uomo alla guida di un’automobile e si era lanciato contro la folla vicino a una scuola elementare a Dezhou, nella provincia del Shandong. Secondo i media ufficiali, diversi alunni sono rimasti feriti e due sono morti.

 

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Cina

La Nuova Zelanda accusa la Cina di aver hackerato il suo Parlamento

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L’agenzia di spionaggio neozelandese ha affermato che un gruppo di hacker sponsorizzato dal governo cinese ha effettuato un attacco informatico contro il Parlamento del paese, rubando dati su alcuni dei suoi parlamentari. Pechino ha respinto l’accusa, che a suo dire non è supportata da alcuna prova.   La presunta violazione si è verificata nel 2021 e ha preso di mira l’ufficio di consulenza parlamentare e il servizio parlamentare, ha dichiarato lunedì il ministro Judith Collins dell’Ufficio per la sicurezza delle comunicazioni governative (GCSB).   La «attività informatica dannosa» è stata rapidamente rilevata dalle autorità neozelandesi, che hanno impedito agli hacker di accedere a dati di natura «strategica o sensibile», ha affermato.

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Secondo Collins, responsabile dell’attacco è stato un gruppo chiamato Advanced Persistent Threat 40 (APT 40), che secondo il GCSB è collegato al Ministero della Sicurezza di Stato cinese.   «L’uso di operazioni di spionaggio informatiche per interferire con le istituzioni e i processi democratici ovunque è inaccettabile», ha affermato.   Il ministro del GCSB ha detto che Wellington ha affrontato Pechino riguardo al presunto attacco informatico, ma ha sottolineato che la Nuova Zelanda non ha intenzione di sanzionare la Cina per l’incidente.   La dichiarazione di Collins è arrivata lo stesso giorno in cui il Dipartimento di Giustizia americano ha diffuso le foto di sette cittadini cinesi ricercati con l’accusa di essersi infiltrati nelle comunicazioni di obiettivi britannici e americani per un periodo di 14 anni attraverso e-mail dannose.   Si diceva che gli uomini fossero membri di un’entità descritta come un gruppo di hacking sponsorizzato dallo stato, noto come APT 31 o «Violet Typhoon», il «Tifone viola», riporta RT.   Il ministro del GCSB ha sottolineato l’importanza di una risposta collettiva da parte dell’Occidente alla presunta minaccia alla sicurezza informatica posta dalla Cina, affermando che «è importante che le democrazie liberali difendano altre democrazie liberali».   L’ambasciata cinese in Nuova Zelanda ha respinto le accuse di Wellington definendole «infondate e irresponsabili», affermando che Pechino ha espresso «forte insoddisfazione e risoluta opposizione» alle autorità dell’isola.   «Quando si indaga e si determina la natura dei casi informatici, è necessario disporre di prove adeguate e oggettive, invece di diffamare altri Paesi quando i fatti non esistono, e ancor meno politicizzare o addirittura trasformare in armi le questioni di sicurezza informatica», ha affermato l’ambasciata in una dichiarazione martedì.

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Pechino non si intromette negli affari interni degli altri Paesi e «accusare la Cina di ingerenze straniere è completamente sbagliato», hanno aggiunto i diplomatici cinesi con un evidente riferimento agli Stati Uniti.   La Cina è pronta a promuovere la cooperazione con Wellington «sulla base del rispetto reciproco» e spera che anche la Nuova Zelanda lavori nella stessa direzione, astenendosi dalla «diplomazia del megafono», si legge nella dichiarazione.   Come riportato da Renovatio 21, l’anno passato hacker legati alla Repubblica Popolare Cinese erano stati accusati di aver rubato 60 mila email del dipartimento di Stato USA. A maggio 2023 Microsoft aveva rivelato che un gruppo di hacker statali cinesi ha condotto una sofisticata operazione di sorveglianza sulle principali risorse infrastrutturali statunitensi.   Nel 2022 la Cina si è veementemente opposta al coinvolgimento del Giappone nella Difesa cibernetica NATO, di cui ha voluto far parte anche la Corea del Sud. I due Paesi asiatici hanno voluto cioè far parte del Centro di Eccellenza per la Difesa Informatica Cooperativa (CCDCOE) della NATO, cioè il comando per la guerra cibernetica del Patto Atlantico. La conclusione che qualcuno poteva trarre è che la Microsoft possa coordinare, oltre che con gli USA; anche con la UE, l’Ucraina e la NATO.   A gennaio 2023 un attacco cibernetico ritenuto provenire dalla Cina aveva colpito istituzioni accademiche sudcoreane.   Lo scorso giugno era stata rivelata la possibilità di un possibile attacco cibernetico contro sistemi militari USA di stanza a Guam, l’isola del Pacifico che è territorio e base militare degli Stati Uniti. Secondo alcuni osservatori poteva trattarsi di un’operazione il cui vero obiettivo potrebbe essere Taiwan.

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Cina

Le aziende europee: imprevedibile e più difficile fare affari in Cina

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L’ultimo rapporto della Camera di Commercio UE in Cina lamenta le difficoltà create dalla presenza sempre più massiccia della politica nell’economia. La sicurezza nazionale sembra più importante della crescita della Cina. Xi Jinping ha in programma una visita in Francia a maggio per ricucire le relazioni.

 

Secondo un rapporto pubblicato dalla Camera di commercio dell’Unione Europea in Cina, la politica si è insinuata nell’ambiente commerciale e le aziende si trovano ad affrontare rischi sempre maggiori per la penetrazione della politica. Per questo le aziende straniere devono allocare maggiori risorse per il controllo dei rischi e la conformità in un mercato divenuto imprevedibile.

 

Il rapporto – basato su un sondaggio e interviste ai membri della Camera di commercio dell’UE in Cina – ha evidenziato che il 55% dei membri concorda sul fatto che l’ambiente commerciale è diventato più politico rispetto all’anno precedente. L’indagine ha anche rilevato che il 76% dei membri ha rivisto le proprie operazioni in Cina e ha cercato di diversificare la catena di fornitori.

 

Nel contesto della strategia di de-risking adottata dall’UE, un numero maggiore di investitori stranieri in Cina sta valutando di adeguare le proprie strategie commerciali. Il rapporto Riskful Thinking: Navigating the Politics of Economic Security, ha illustrato gli approcci alla gestione delle minacce percepite e le misure adottate dalle aziende.

 

Le relazioni commerciali tra l’Ue e la Cina hanno subito un’impennata dopo che l’Unione europea ha avviato un’indagine sui veicoli elettrici cinesi sovvenzionati.

 

Inoltre, la strategia di de-risking mira a ridurre l’eccessiva dipendenza economica dalla Cina, soprattutto nei settori delle materie prime e delle industrie chiave legate alla transizione verde, come le batterie elettriche e i pannelli solari.

 

Queste azioni hanno suscitato il malcontento di Pechino. In mezzo alle tensioni dei conflitti geopolitici, il mercato cinese sembra essere meno attraente per gli investitori stranieri e le aziende devono affrontare maggiori pressioni. L’anno scorso, un’indagine condotta dalla Camera di commercio dell’UE in Cina ha mostrato che la fiducia delle imprese si è notevolmente deteriorata e ben il 64% delle aziende intervistate ha risposto che le operazioni commerciali sono diventate più difficili.

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Le politiche delle autorità cinesi sono la causa principale che ha spinto le aziende europee in Cina a ripensare i propri orientamenti.

 

Il blocco nazionale durante la pandemia di COVID, la posizione della Cina nella guerra in corso in Ucraina e lo scontro tra Cina e Stati Uniti hanno costretto molte a considerare una catena di approvvigionamento alternativa al di fuori della Repubblica popolare. Alcune aziende hanno già spostato attività nel Sud-Est asiatico.

 

Inoltre, le aziende che operano in aree tecnologiche sensibili, come la progettazione e la produzione di semiconduttori, stanno adottando un approccio più attento alle operazioni in Cina per evitare di violare il divieto di esportazione che potrebbe far scattare le sanzioni.

 

Da parte loro le autorità cinesi hanno iniziato a dare un giro di vite alle società di consulenza per motivi di sicurezza nazionale. L’ultima legge cinese contro lo spionaggio e la legge sulla sicurezza nazionale hanno ampliato fortemente l’ambito di applicazione. L’anno scorso alcune famose società di revisione e di consulenza in Cina sono state oggetto di irruzione da parte della polizia. Alcuni dipendenti sono stati arrestati per spionaggio.

 

Pur biasimando fortemente la strategia di de-risking adottata da Unione europea e Stati Uniti, la Cina adotta misure simili. Pechino ha implementato il controllo delle esportazioni di alcune competenze e materie prime, come le terre rare, per garantire la posizione di leader in settori tecnologici chiave.

 

La promozione dell’autosufficienza fa parte della strategia nazionale sotto il governo di Xi Jinping. Le autorità attribuiscono maggiore importanza all’ideologia: anche la salvaguardia della sicurezza economica è diventata uno dei compiti principali dell’agenzia cinese per l’intelligence e l’antispionaggio.

 

Intanto si parla di una possibile visita di Xi Jinping in Francia a maggio per celebrare il 60° anniversario dell’istituzione delle relazioni diplomatiche. Sarebbe la prima visita di Xi in Europa dopo la pandemia di COVID-19. Secondo i rapporti, il tema della visita di Xi sarà il commercio e la Cina è desiderosa di ricucire le relazioni con l’Ue dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

 

Attualmente, la stagnante economia cinese sta subendo diverse pressioni e crisi nel settore immobiliare, e Pechino si aspetta che gli investimenti stranieri restino in Cina.

 

Per rinvigorire il turismo, a marzo la Cina ha esteso l’esenzione dal visto ad altri sei Paesi europei: i visitatori possono soggiornare in Cina senza visto fino a 15 giorni.

 

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