Politica
L’India dietro le proteste pro-monarchia in Nepal

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nell’ultimo mese nel Paese sull’Himalaya si sono state manifestazioni per la restaurazione della monarchia, in cui sono apparse anche le raffigurazioni di un leader del BJP indiano. Delhi ha più volte espresso sostegno al re e a un Nepal che torni a essere uno Stato induista. Ma molti ritengono che le manifestazioni siano una forma di malcontento verso i partiti tradizionali, che non stanno mantenendo le promesse di prosperità.
Nell’ultimo mese il Nepal è stato teatro di proteste anti-governative a favore del ritorno della monarchia, a cui il Paese ha rinunciato ufficialmente nel 2008. Ma la situazione ha evidenziato anche una certa influenza dell’estrema destra indiana nelle proteste.
Da quando il re Gyanendra Shah ha rinunciato al governo, estremamente autoritario e repressivo, il Nepal ha continuato a vivere in una situazione di instabilità politica, con frequenti cambi di governo (14 in tutto finora) che ne hanno ostacolato lo sviluppo economico, creando una certa disillusione tra i cittadini, che speravano in un futuro di maggiore prosperità con un governo repubblicano.
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Il 9 marzo, oltre 10mila sostenitori dell’ex monarca si sono radunati a Kathmandu denunciando la corruzione dell’attuale primo ministro K.P. Sharma Oli e chiedendo il ritorno alla monarchia. A fine mese, una manifestazione ha preso una piega violenta: i manifestanti si sono scontrati con la polizia provocando la morte di due persone e il ferimento di una decina d’altre.
I manifestanti hanno infranto le barriere di sicurezza, lanciato pietre contro gli agenti e incendiato edifici, tra cui sedi di partiti politici e uffici di media. In risposta, il governo ha imposto un coprifuoco e dispiegato forze di sicurezza per ristabilire l’ordine.
Durante le proteste si sono visti manifesti raffiguranti Yogi Adityanath, chief minister dello Stato indiano dell’Uttar Pradesh, che confina con il Nepal e figura di spicco all’interno del Bharatiya Janata Party (BJP), il partito ultranazionalista indù da cui proviene anche il primo ministro Narendra Modi.
L’associazione di Adityanath con il movimento pro-monarchico nepalese ha sollevato preoccupazioni riguardo a possibili ingerenze esterne tra il governo e il premier Oli, considerato filo-cinese, ha dichiarato che l’India ha avuto un ruolo nel movimento pro-monarchico del paese e ha promesso di «smascherarlo» in Parlamento.
Ma c’è da considerare anche un ulteriore elemento: quasi metà dei nepalesi vorrebbe il ritorno a uno Stato induista, piuttosto che un ritorno alla monarchia. Il re del Nepal era considerato una divinità indù, e l’India ha sempre cercato di fare leva su questo elemento per aumentare la propria influenza e contrastare le invadenze cinesi nel Paese himalayano. Pechino, nonostante abbia a lungo avuto rapporti stabili con la monarchia nepalese, ha avuto un certo successo a coltivare poi i rapporti con i partiti tradizionali.
Ma non solo: importanti leader del BJP si sono sposati con membri della famiglia reale nepalese. Adityanath in passato aveva dichiarato che la decisione di rendere il Nepal laico fosse «incostituzionale», mentre egli ultimi giorni ci sono stati una serie di botta e risposta tra le forze del governo pro-monarchia, accusate di rifarsi a leader stranieri. Il Rastriya Prajatantra Party (RPP), principale partito favorevole alla restaurazione monarchica, però, ha risposto al premier Oli e ai rappresentanti del partito marxista-leninista unificato chiedendo: «Da dove vengono Marx, Lenin e Mao?».
Al momento viene ritenutoì che le manifestazioni siano state un segnale della crescente e diffusa frustrazione pubblica verso una serie di partiti che si sono finora dimostrati incapaci di gestire la cosa pubblica, perché il reale sostegno della popolazione a un ritorno alla monarchia è dubbio.
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Nelle elezioni generali del 2017, il Rastriya Prajatantra Party (RPP) aveva ottenuto meno del 2% dei voti. Nel 2022, il partito ha visto un aumento al 6% dei voti.
Inoltre, secondo alcuni commentatori, i 10mila manifestanti pro-monarchia che sono scesi in piazza a Kathmandu non sono paragonabili alle centinaia di migliaia di persone che nel 2006 chiesero la fine del governo monarchico.
Allo stesso, tempo, però, alcuni ritengono che sia innegabile che l’induismo, praticato da oltre l’80% dei nepalesi, abbia assunto maggiore importanza, anche tra le file dei politici maggiormente filo-cinesi. Diversi leader si sono recati in pellegrinaggio a diversi templi, negli ultimi anni, anche in Uttar Pradesh.
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Zelens’kyj priva della cittadinanza i suoi oppositori

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Politica
Clinton e Biden elogiano Trump per l’accordo di pace a Gaza. Obama no

Gli ex presidenti degli Stati Uniti Bill Clinton e Joe Biden hanno lodato il presidente in carica Donald Trump per il suo ruolo nella negoziazione di un cessate il fuoco e dello scambio di prigionieri tra Israele e Hamas.
Lunedì, Trump, insieme ai mediatori di Egitto, Qatar e Turchia, ha firmato l’accordo a Sharm el-Sheikh, nella penisola egiziana del Sinai.
«Sono grata per l’instaurazione del cessate il fuoco, per la liberazione degli ultimi 20 ostaggi ancora in vita e per l’arrivo dei tanto necessari aiuti umanitari a Gaza», ha dichiarato Clinton lunedì.
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«Il presidente Trump, la sua amministrazione, il Qatar e gli altri attori regionali meritano un grande plauso per aver mantenuto tutte le parti coinvolte fino al raggiungimento dell’accordo», ha aggiunto.
L’ex presidente ha invitato Israele e Hamas a «sfruttare questo fragile momento per costruire una pace duratura che garantisca dignità e sicurezza sia ai palestinesi che agli israeliani».
Anche Biden ha ringraziato Trump per aver contribuito al ritorno degli ostaggi. «Mi congratulo con il presidente Trump e il suo team per il loro lavoro nel realizzare un nuovo accordo di cessate il fuoco», ha scritto su X, augurandosi che la pace possa resistere. Ha chiesto «pari misure di pace, dignità e sicurezza» per israeliani e palestinesi.
I complimenti non sono tuttavia arrivati dal predecessore Barack Obama, che in un suo messaggio per l’accordo per la pace trovato in Medio Oriente si è del tutto «dimenticato» di nominare Trump, sollevando proteste persino dai media di sinistra.
After two years of unimaginable loss and suffering for Israeli families and the people of Gaza, we should all be encouraged and relieved that an end to the conflict is within sight; that those hostages still being held will be reunited with their families; and that vital aid can…
— Barack Obama (@BarackObama) October 9, 2025
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Secondo la prima fase dell’accordo, Israele ritirerebbe le sue truppe da alcune aree di Gaza, mentre Hamas libererebbe i 20 ostaggi rimanenti in cambio del rilascio di circa 2.000 prigionieri palestinesi.
Durante la cerimonia della firma, Trump ha dichiarato che «tutti sono soddisfatti» dell’accordo, che «ha preso il volo come un razzo».
Il presidente americano espresso ottimismo sulla fine del conflitto, iniziato nell’ottobre 2023. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha lodato Trump, definendolo il «miglior amico» che Israele abbia mai avuto.
Resta incerto se l’accordo sarà pienamente rispettato. Israele finora ha rifiutato di impegnarsi per un ritiro completo da Gaza, mentre Hamas si oppone al disarmo. Un precedente cessate il fuoco, siglato a gennaio, è collassato dopo due mesi.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Politica
L’esercito prende il potere in Madagascar

Protests in Madagascar escalate into a military coup
One of the military units that joined the protests demanding the president’s resignation stated that the armed forces of the 25-million country are now under its command. pic.twitter.com/bOeL47MCKX — Sprinter Press News (@SprinterPress) October 12, 2025
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