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Economia

La teoria economica distributista: «Lo Stato servile» di Hilaire Belloc

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Nel 1912 Hilaire Belloc (1870-1953) dava alle stampe quello che è tuttora considerato uno dei testi-base del distributismo: Lo Stato servile.

 

Colui che si accosta alla lettura di questo importante saggio non può non osservare l’ordine e la cura, attraverso punti e definizioni precise, dell’Autore.

 

Egli riteneva urgente e doveroso puntualizzare e chiarire di che cosa stesse parlando, fin dalle prime righe: «Questo libro è stato scritto per sostenere e provare la seguente verità: la nostra società apparentemente libera, trovandosi in una condizione di equilibrio instabile per il fatto che i mezzi di produzione sono nelle mani di pochi, tende a raggiungere una posizione di equilibrio stabile obbligando legalmente chi non possiede i mezzi di produzione a lavorare per chi li possiede».

«Questo libro è stato scritto per sostenere e provare la seguente verità: la nostra società apparentemente libera, trovandosi in una condizione di equilibrio instabile per il fatto che i mezzi di produzione sono nelle mani di pochi, tende a raggiungere una posizione di equilibrio stabile obbligando legalmente chi non possiede i mezzi di produzione a lavorare per chi li possiede»

 

La verifica di questo asservimento economico-sociale era basata sull’osservazione della società industriale della Gran Bretagna, come Belloc esplicava in nove punti e che si proponeva di analizzare, ad iniziare dalla chiarezza delle definizioni.

 

Egli quindi cercava di definire anzitutto il concetto di «ricchezza», di «proprietà privata», di «Stato servile», in modo che non ci fossero attribuzioni ambigue di significato o fraintendimenti di alcun genere.

 

«Ricchezza», lungi dal darne una connotazione di condanna pauperistica, era condizione senza la quale l’uomo non poteva esistere e, quindi, controllare la produzione di ricchezza significava controllare la stessa vita umana. La ricchezza, pertanto, poteva essere prodotta: «Applicando energia umana, sia mentale sia fisica, alle risorse della natura che ci circonda e alla materia che è piena di risorse. Chiameremo lavoro questa energia umana».

 

In seguito Belloc definiva con il termine di «capitale» la ricchezza non consumata subito, ma messa da parte in vista della produzione futura.

«Ricchezza» era condizione senza la quale l’uomo non poteva esistere e, quindi, controllare la produzione di ricchezza significava controllare la stessa vita umana

 

Tre erano i fattori che inerivano alla produzione della ricchezza: terra, capitale e lavoro. Si trattava quindi di calibrare questi tre fattori in modo da non creare frattura tra capitale e lavoro, tra mezzi di produzione (terra più capitale) e lavoro, in modo cioè che ciascuna persona non fosse soltanto padrona del suo lavoro, poiché questa era la condizione servile cui tanto temeva.

 

Con il termine «proprietà privata», Belloc indicava quella ricchezza, inclusi i mezzi di produzione, che poteva essere gestita al di fuori degli enti politici.

 

Pertanto la società distributista allargava a un sempre maggior numero di persone e di famiglie la proprietà privata, opponendosi così alla concezione collettivista o socialista, in cui i mezzi di produzione dovevano essere pienamente nelle mani di funzionari politici della comunità, e alla visione capitalista, in cui il possesso e il controllo dei mezzi di produzione era limitato a un ristretto numero di persone.

La società distributista allargava a un sempre maggior numero di persone e di famiglie la proprietà privata, opponendosi così alla concezione collettivista o socialista, in cui i mezzi di produzione dovevano essere pienamente nelle mani di funzionari politici della comunità, e alla visione capitalista, in cui il possesso e il controllo dei mezzi di produzione era limitato a un ristretto numero di person

 

Se non si fosse intrapresa la via della distribuzione allargata della proprietà privata, si sarebbe continuata la condizione umiliante del lavoro in uno Stato servile, condensato da Belloc con questi termini: «Chiamiamo Stato servile quell’ordinamento sociale per il quale il numero di famiglie e di individui costretti dalla legge a lavorare a beneficio di altre famiglie e altri individui è tanto grande da far sì che questo lavoro si imprima come un marchio sull’intera comunità».

 

L’allusione al marchio non solo degradava le persone «cosificandole» ma faceva capire quanto la schiavitù potesse accompagnarsi come ostacolo alle libertà reali delle persone e delle famiglie. Ecco perché Belloc chiamava quella società solo apparentemente libera.

 

Non si trattava pertanto di difendere la mera libertà politica del cittadino, magari attraverso la concessione del suffragio universale, ma di tutelare l’indipendenza economica, incrementando la responsabilità della proprietà privata, intesa quest’ultima non in senso individualistico o egoistico ma come possibilità di raggiungere il proprio bene in quanto conforme alla propria natura, attraverso un uso corretto delle risorse.

«Chiamiamo Stato servile quell’ordinamento sociale per il quale il numero di famiglie e di individui costretti dalla legge a lavorare a beneficio di altre famiglie e altri individui è tanto grande da far sì che questo lavoro si imprima come un marchio sull’intera comunità»

 

La formazione di Belloc era innanzitutto, anche se non solo, storica e quindi era volta, nella costruzione di un auspicabile futuro cristiano, alla conoscenza del passato. Non si poteva prescindere quindi dall’insegnamento della storia nel considerare che, ad esempio, la schiavitù non solo non era un’esperienza estranea all’Europa ma che scomparve man mano che la Fede modellava la società:

 

«Nel Medioevo sorsero una marea di istituzioni, tutte analogamente finalizzate alla distribuzione della proprietà e alla distruzione dei resti anche fossili di uno Stato servile ormai dimenticato».

 

Dinanzi allo squilibrio e al disordine di uno Stato servile, sia quest’ultimo collettivista o capitalista, si ergeva come un faro a illuminare il percorso da compiere lo Stato distributista, così come l’aveva concepito la mente e la Fede che avevano caratterizzato per un certo periodo l’Europa e che poteva essere di riferimento, senza illusori o irreali voli pindarici, per la ricostruzione e la liberazione attuale da una condizione servile:

 

«Nel Medioevo sorsero una marea di istituzioni, tutte analogamente finalizzate alla distribuzione della proprietà e alla distruzione dei resti anche fossili di uno Stato servile ormai dimenticato».

«La stabilità di questo “sistema distributivo” (come io l’ho definito) era garantita dall’esistenza di strutture cooperative che univano uomini impegnati nella stessa occupazione e abitanti dello stesso villaggio, proteggendo così il piccolo proprietario dalla perdita della sua indipendenza economica e, al contempo, tutelando la società contro la crescita del fenomeno proletario. Se esistevano dei limiti alla libertà di comprare, vendere, ipotecare ed ereditare, ciò accadeva con la finalità sociale di prevenire lo sviluppo di un’oligarchia economica che avrebbe sfruttato il resto della comunità».

 

Belloc, alla distanza di circa vent’anni dalla Rerum Novarum, sulle esortazioni del Sommo Pontefice Leone XIII, sollecitava a riferirsi allo Stato distributivo per scongiurare ciò che l’umanità stava percorrendo, ossia quello Stato servile che offriva da una parte l’oligarchia capitalista di chi deteneva i mezzi di produzione e, dall’altra, il proletariato senza alcuna proprietà se non quella del proprio lavoro.

 

Contro il liberalismo, il liberismo, il libertarismo e il libertinismo, Belloc opponeva un sistema economico-sociale davvero libero, che conseguiva la realizzazione del vero bene della persona e delle famiglie, sintetizzabile in questa bella espressione: «I limiti posti alla libertà erano finalizzati alla preservazione della libertà», nella quale auspicava la fondazione di uno Stato non più servile, in cui gli uomini sarebbero stati economicamente liberi grazie al possesso di capitale e terra e alla salvaguardia del patrimonio della Fede.

 

Fede con la F maiuscola, così come la intendeva e la proponeva Belloc: «In questo momento cruciale rimane salda la verità storica che questo nostro organismo europeo, eretto sulle nobili fondamenta dell’antichità classica, fu plasmato dalla Chiesa cattolica, grazie ad essa esiste, ad essa consona, soltanto nella forma di essa persisterà. L’Europa tornerà alla Fede o perirà. Poiché la Fede è l’Europa e l’Europa è la Fede».

Contro il liberalismo, il liberismo, il libertarismo e il libertinismo, Belloc opponeva un sistema economico-sociale davvero libero, che conseguiva la realizzazione del vero bene della persona e delle famiglie, sintetizzabile in questa bella espressione: «I limiti posti alla libertà erano finalizzati alla preservazione della libertà»

 

Belloc non era tuttavia un utopista che inseguiva chimere lontane ma un realista che conosceva bene la storia del suo Paese e dell’Europa e ha voluto così puntualizzare nella seconda prefazione al suo saggio, per rispondere alle molte osservazioni ricevute, come stavano obiettivamente le cose:

 

«Buona o cattiva che fosse, di fatto l’istituzione servile scomparve lentamente man mano che si sviluppava la civiltà cattolica, e, a dire la verità, ha cominciato a ricomparire laddove la civiltà cattolica è retrocessa. Lo Stato distributivo era in via di formazione allorché lo smembramento della nostra civiltà europea avvenuto nel sedicesimo secolo ne arrestò lo sviluppo, generando lentamente al suo posto, e soprattutto in questa nazione [l’Inghilterra], il capitalismo».

 

La conclusione del saggio Lo Stato servile che abbiamo ricapitolato sommariamente (e che invitiamo a leggere integralmente) era ancora una volta la testimonianza dell’ottimismo della fede che permeava la visione dello Stato distributista di Hilaire Belloc:

 

«Buona o cattiva che fosse, di fatto l’istituzione servile scomparve lentamente man mano che si sviluppava la civiltà cattolica, e, a dire la verità, ha cominciato a ricomparire laddove la civiltà cattolica è retrocessa». 

«Come sono ottimista sul fatto che la fede tornerà a occupare il suo posto di intima guida nel cuore dell’Europa, così credo che questa regressione al nostro paganesimo originario (perché la tendenza allo Stato servile non è altro) sarà fermata ed invertita»

 

Un’ultima essenziale precisazione: Hilaire Belloc, quando faceva riferimento allo Stato servile, non intendeva soltanto l’assoggettamento totale della persona all’obbligazione del lavoro per una classe ristretta di proprietari ma anche e, soprattutto, con le sue stesse parole:

 

«Lo Stato servile esisterebbe senz’altro anche se un uomo, obbligato a lavorare solo per una parte del suo tempo, fosse libero di contrattare e persino accumulare denaro nel suo tempo “libero”».

 

«Lo Stato distributivo era in via di formazione allorché lo smembramento della nostra civiltà europea avvenuto nel sedicesimo secolo ne arrestò lo sviluppo, generando lentamente al suo posto, e soprattutto in questa nazione [l’Inghilterra], il capitalismo»

Credo che non ci sia bisogno di aggiungere altro, se non prendere atto quanto lo Stato servile sia ancora estremamente attuale.

 

 

Fabio Trevisan

 

 

 

 

Articolo previamente apparso su «Atualità del distributismo. Famiglia, proprietà e corpi intermedi». Anno XVI (2020), numero 3, luglio-settembre; pubblicato su gentile concessione dell’Osservatorio Van Thuan.

 

 

 

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Hollywood al capolinea: Netflix vuole comprare Warner Bros

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Netflix avrebbe raggiunto un accordo per acquisire Warner Bros., inclusi i suoi studi cinematografici e televisivi, HBO e HBO Max, attraverso una transazione mista in contanti e azioni che valuta Warner Bros. Discovery a un valore aziendale di 82,7 miliardi di dollari (valore azionario di 72 miliardi di dollari), pari a 27,75 dollari per azione.

 

L’intesa dovrebbe essere finalizzata nel terzo trimestre del 2026, dopo lo scorporo programmato da parte di WBD della sua divisione Global Networks in una società quotata autonoma («Discovery Global»). Questa operazione giunge a pochi mesi dalla proposta avanzata da Paramount-Skydance per rilevare WBD.

 

L’accordo tra Netflix e WBD fonderà la piattaforma di streaming con un catalogo secolare e con franchise iconici come i supereroi della DC Comics, Harry Potter, Game of Thrones, I Soprano e The Big Bang Theory.

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In una nota ufficiale, Netflix ha dichiarato che l’operazione espanderà la sua library di contenuti, potenzierà le capacità produttive e favorirà una crescita sostenibile nel lungo periodo: «fornendo agli utenti una gamma più vasta di serie e film di alto livello, Netflix si attende di conquistare e trattenere un maggior numero di abbonati, incrementare l’engagement e generare entrate e profitti operativi aggiuntivi. L’azienda prevede inoltre di conseguire risparmi sui costi per almeno 2-3 miliardi di dollari annui entro il terzo anno e che la fusione avrà un effetto positivo sull’utile per azione GAAP già a partire dal secondo anno».

 

Secondo i termini dell’accordo, ogni azione WBD sarà convertita in 23,25 dollari in contanti più 4,50 dollari in azioni Netflix. I board di entrambe le società hanno approvato l’operazione all’unanimità.

 

La chiusura è attesa tra 12 e 18 mesi, subordinata all’esame regolatorio e all’ok degli azionisti di WBD. All’inizio dell’anno, Netflix ha superato le controfferte, tra cui quelle di Paramount-Skydance e Comcast.

 

Bloomberg ha rilevato che Hollywood non accoglie con entusiasmo questo nuovo connubio tra Netflix e WBD.

 

Warner Bros. Discovery ha avviato negoziati esclusivi per cedere i suoi studi cinematografici e televisivi insieme a HBO Max a Netflix, stando a fonti interne alla major – un’indicazione che il colosso dello streaming ha avuto la meglio su Paramount-Skydance e Comcast. Un’intesa del genere ridisegnerebbe il settore dell’intrattenimento e rappresenterebbe un turning point strategico per Netflix, già leader per capitalizzazione a Hollywood. Paramount ha bollato il processo di cessione come «contaminato», mentre l’attrice Jane Fonda, due volte premio Oscar, ha descritto il suo potenziale effetto sull’industria con un aggettivo più severo: «catastrofico».

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Nata come servizio di noleggio DVD via posta, Netflix ha prima annientato la catena Blockbuster e ora sta replicando il colpo con Hollywood, snobbando in larga misura le uscite cinematografiche in sala. L’accordo catapulterebbe Netflix al rango di superpotenza negli studi hollywoodiani. Tuttavia, il tutto resta appeso all’approvazione dei regolatori, con il repubblicano californiano Darrell Issa che ha già espresso opposizione a qualsivoglia acquisizione di Warner Bros. da parte di Netflix.

 

L’industria cinematografica è minacciata dall’avvento dell’IA, che potrebbe presto consentire a chiunque di produrre contenuti di livello cinematografico in un click, disintegrando un’intera filiera di lavoratori che vanno dagli attori ai cineoperatori, agli addetti al casting, agli elettricisti, registi, etc.

 

Si spiega così la corsa di Netflix verso le IP, cioè le proprietà intellettuali: avere un personaggio conosciuto e diffuso come, ad esempio Harry Potter, anche nell’era del cinema generato dall’AI potrebbe avere un valore strategico ed economico.

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Economia

L’ex proprietario di Pornhub vuole acquistare le attività del gigante petrolifero russo

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Bernd Bergmair, l’ex proprietario di Pornhub, starebbe valutando l’acquisto delle attività internazionali del gigante petrolifero russo sanzionato Lukoil. Lo riporta l’agenzia Reuters, citando fonti riservate.   A ottobre, gli Stati Uniti hanno colpito Lukoil con sanzioni che hanno costretto la compagnia a dismettere le proprie partecipazioni estere, stimate in circa 22 miliardi di dollari. Lukoil aveva inizialmente accettato un’offerta del trader energetico Gunvor per l’intera controllata estera, ma l’operazione è saltata dopo che il Tesoro americano ha accusato Gunvor di legami con il Cremlino.   Secondo Reuters, Bergmair avrebbe già sondato il dipartimento del Tesoro statunitense per una possibile acquisizione. Interpellato tramite un legale, ha né confermato né smentito, limitandosi a dichiarare: «Lukoil International GmbH rappresenterebbe ovviamente un investimento eccellente; chiunque sarebbe fortunato a possedere asset del genere», senza precisare quali porzioni gli interessino o se abbia già contattato l’azienda. Un portavoce del Tesoro ha declinato ogni commento.

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Il finanziere austriaco è l’ex azionista di maggioranza di MindGeek, la casa madre di Pornhub, la cui identità è emersa solo nel 2021 dopo anni di strutture offshore. Il Bergmair ha ceduto la propria partecipazione nel 2023, quando la società è stata rilevata da un fondo canadese di private equity chiamato «Ethic Capital», nella cui compagine spicca un rabbino. Il patrimonio dell’uomo è stimato intorno a 1,4 miliardi di euro, investiti principalmente in immobili, terreni agricoli e altre operazioni private.   Il mese scorso, il Tesoro statunitense ha autorizzato le parti interessate a intavolare negoziati per gli asset esteri di Lukoil; l’approvazione è indispensabile poiché, senza licenza, ogni transazione resterebbe congelata. La finestra concessa scade il 13 dicembre.   Fonti giornalistiche indicano che diversi player, tra cui Exxon Mobil e Chevron, avrebbero manifestato interesse, ma Lukoil preferirebbe cedere il pacchetto in blocco, complicando le trattative per chi punta su singoli asset. L’azienda ha reso noto di essere in contatto con più potenziali acquirenti.   Mosca continua a condannare le sanzioni occidentali come «politiche e illegittime», avvertendo che finiranno per danneggiare chi le ha imposte». Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha definito il caso Lukoil la prova che le «restrizioni commerciali illegali» americane sono «inaccettabili e ledono il commercio globale».  

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Economia

La BCE respinge il ladrocinio dei fondi russi congelati proposto dalla Von der Leyen

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La Banca Centrale Europea ha declinato di avallare il progetto della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen per un finanziamento di 140 miliardi di euro a beneficio dell’Ucraina, da assicurare mediante i patrimoni russi immobilizzati. Lo riporta il Financial Times, attingendo a fonti informate sui negoziati.

 

Il quotidiano britannico ha precisato che la BCE ha ritenuto l’iniziativa della Commissione – che fa leva sugli attivi sovrani russi custoditi presso Euroclear, la società depositaria belga – estranea al proprio ambito di competenza.

 

Bruxelles ha impiegato mesi a sondare l’utilizzo delle riserve congelate della banca centrale russa per strutturare un «mutuo di indennizzo» da 140 miliardi di euro (equivalenti a 160 miliardi di dollari) in appoggio a Kiev. Il Belgio ha più volte espresso allarmi su potenziali controversie giudiziarie e pericoli finanziari in caso di attuazione del meccanismo.

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In base alla bozza elaborata dalla Commissione, i governi degli Stati membri dell’UE offrirebbero garanzie pubbliche per distribuire il peso del rimborso del prestito ucraino.

 

Tuttavia, i rappresentanti della Commissione hanno segnalato che i Paesi UE potrebbero non riuscire a reperire celermente risorse in scenari di urgenza, con il pericolo di generare turbolenze sui mercati finanziari.

 

A quanto risulta, i funzionari UE hanno sollecitato alla BCE se potesse intervenire come prestatore estremo per Euroclear Bank, la branca creditizia dell’ente belga, al fine di scongiurare una carenza di liquidità. Gli esponenti della BCE hanno replicato alla Commissione che tale opzione è impraticabile, ha proseguito il Financial Times, basandosi su interlocutori vicini alle consultazioni.

 

«Un’ipotesi di tal genere non è oggetto di esame, in quanto verosimilmente contravverrebbe alla normativa dei trattati UE che esclude il finanziamento monetario», ha chiarito la BCE.

 

Bruxelles starebbe ora esplorando vie alternative per assicurare una provvista temporanea a supporto del mutuo da 140 miliardi di euro.

 

«Assicurare la liquidità indispensabile per eventuali obblighi di restituzione dei beni alla banca centrale russa costituisce un elemento cruciale di un eventuale mutuo di indennizzo», ha dichiarato FT, citando un portavoce della Commissione.

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La direttrice di Euroclear, Valerie Urbain, ha ammonito la settimana scorsa che l’iniziativa verrebbe percepita a livello mondiale come una «espropriazione delle riserve della banca centrale, che erode il principio di legalità». Mosca ha reiteratamente definito qualsiasi ricorso ai suoi attivi sovrani come un «saccheggio» e ha minacciato ritorsioni.

 

L’urgenza del piano si inserisce in un frangente in cui l’UE, alle prese con vincoli di bilancio, deve reperire risorse per Kiev nei prossimi due anni, aggravata dalla congiuntura di liquidità critica ucraina, con gli sforzi per attingere ai fondi russi che si acuiscono mentre Washington avanza una nuova proposta per dirimere il conflitto. Gli analisti prevedono che l’Ucraina affronterà un disavanzo di bilancio annuo di circa 53 miliardi di dollari nel quadriennio 2025-2028, al netto degli stanziamenti militari extra.

 

L’indebitamento pubblico e garantito dal governo del Paese ha raggiunto picchi storici, oltrepassando i 191 miliardi di dollari a settembre, ha comunicato il Ministero delle Finanze. Il mese scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha aggiornato al rialzo le stime sul debito ucraino, proiettandolo al 108,6% del PIL.

 

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