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Geopolitica

La rivolta kazaka e l’uomo del caso Shalabaeva

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A inizio gennaio il sito web tedesco NachDenkSeiten riportava che «secondo la Nezavisimaya Gazeta di Mosca, l’ex ministro dell’energia kazako Mukhtar Ablyazov svolge un ruolo chiave nei disordini in Kazakistan. Secondo quanto riferito, Ablyazov coordina le proteste in Kazakistan da Kiev. Tramite Facebook, ha invitato i suoi sostenitori a “un’azione coordinata”».

 

I numeri di telefono di contatto dell’ex ministro hanno tutti prefissi ucraini, riporta l’articolo.

 

«La Nezavisimaya Gazeta di Mosca ha scritto che” il fatto che la protesta si sia diffusa in tutto il paese in due giorni suggerisce che esiste un centro organizzativo».

 

«Per i falchi di Londra, Washington e Berlino, i disordini in Kazakistan arrivano proprio al momento giusto. I disordini sul fianco meridionale della Russia, appena prima dei colloqui sulle garanzie di sicurezza da parte della NATO, sono altamente inopportuni».

 

Il 16 dicembre 2021 l’ambasciata degli Stati Uniti in Kazakistan aveva avvertito che le manifestazioni pianificate dal partito di Ablyazov, Scelta Democratica del Kazakistan – DVK o DCK – per mezzogiorno del 16 dicembre, quel giorno avrebbero potuto degenerare in violenza.

 

Le manifestazioni erano previste per Nur-Sultan, Almaty e Shymkent. «L’Ambasciata, ovviamente, non menziona che Ablyazov ha allestito la sede del suo partito a Kiev» scrive EIR.

 

Ablyazov faceva parte della classe dirigente dell’onnipotente presidente kazako Nazarbaev, di cui fu ministro. Negli anni 2000 ruppe con la gerarchia politica e divenne «dissidente». Uscito di prigione, si spostò a Mosca per diventare capo della banca BTA; in seguito la Corte Suprema britannica lo indagò per essersi appropriato di miliardi di dollari della banca tra il 2005 e il 2009.

 

Ablyazov ha rivendicato direttamente, non si sa con quanta verità, la «guida della protesta» kazaka, ha scritto l’agenzia ANSA.

 

Lo stesso Ablyazov ha quindi rilasciato varie interviste ai principali giornali italiani come il Corriere della Sera e La Stampa. Al giornale degli Agnelli l’oligarca avrebbe detto «Io leader della protesta, sono pronto a tornare in patria».

 

Ablyazov non è un nome nuovo per le cronache italiane. Egli è infatti il marito di Alma Shalabayeva, la donna al centro di un oscuro scandalo nel 2013, ai tempi del governo di Enrico Letta

Ablyazov non è un nome nuovo per le cronache italiane. Egli è infatti il marito di Alma Shalabayeva, la donna al centro di un oscuro scandalo nel 2013, ai tempi del governo di Enrico Letta.

 

Il lettore ricorderà qualcosa dell’incidente, probabilmente ignorando quello che potrebbe essere il cospicuo retroscena.

 

«Il caso diplomatico fra Italia e Kazakistan – scrive l’enciclopedia online – nasceva da una truffa valorizzata nel 2009 in complessivi 10 miliardi dollari, e che interessava otto banche italiane. A fronte dei 6 miliardi reclamati dalla BTA a Londra nel 2013  e delle condanne per 1,63 miliardi di dollari inflitte nel novembre 2012, l’Italia ha subito perdite per 250 milioni. Nel 2007, l’Unicredit di Profumo aveva acquisito l’Astana Bank, terzo istituto di credito nel Paese kazako».

 

«La truffa dell’oligarca Ablyazov è costata 250 milioni all’Italia» scriveva Il Giornale nel 2013. «La mazzata l’ha presa Unicredito (la banca che dal 2008 in poi si chiamerà Unicredit, ndr) sopportando le perdite più ingenti fra le banche italiane. Chi lavora al caso fa notare che “la larga parte di esposizione di Unicredito è stata provocata dall’acquisizione della HVB, una banca tedesco-austriaca che ha numerosi accordi di partenariato in Kazakhstan”».

 

«La truffa dell’oligarca Ablyazov è costata 250 milioni all’Italia» scriveva Il Giornale nel 2013

«Non solo: nel 2010 la Aft Bank kazaka, controllata dall’istituto italiano, ha improvvisamente accusato perdite per 15,9 miliardi di tenge (85 milioni di euro circa). Un colpo gobbo messo a segno da Ablyazov quando era presidente della BTA» scrive il quotidiano della famiglia Berlusconi.

 

Poi vi fu il caso Shalabayeva vero e proprio.

 

Nella notte tra il 28 e 29 maggio di quell’anno, «un gruppo di 50 persone, solo in seguito rivelatasi una squadra di agenti e funzionari in borghese della DIGOS e della Squadra mobile della Polizia di Roma, allertati da un’informativa dell’ambasciata del Kazakistan su una possibile presenza di Ablyazov in quel luogo».

 

«I poliziotti non avrebbero trovato Ablyazov, ma solo le due donne, entrambe ospiti di Venera, sorella di Alma, e del marito di lei. Gli agenti avrebbero poi trasferito la donna in un Centro di identificazione ed espulsione, contestando l’autenticità del documento esibito, un passaporto emesso dalla Repubblica Centrafricana e riportante il cognome (Ayan) che la donna portava da nubile».

 

Il governo Letta, dal primo ministro al ministro degli Esteri Emma Bonino a quello degli Interni Angelino Alfano, non seppero chiarire esattamente quello che era successo.

 

Tuttavia, «la stampa anglosassone ha collegato esplicitamente i risvolti oscuri della vicenda ai buoni rapporti che l’Italia ha costruito nel tempo con il governo di Nursultan Nazarbaev, suggellati dall’amicizia personale con l’ex premier Silvio Berlusconi».

 

Non solo: «Silvio Berlusconi non è l’unico politico italiano ad avere rapporti con Nursultan Nazarbayev. Un articolo pubblicato a marzo 2013 da Spiegel International punta i riflettori sul legame tra l’ex premier Romano Prodi e il dittatore kazako (…) coincidenza, l’ultimo incontro tra Prodi e Nazarbayev risale al 23 maggio, una settimana prima del blitz che ha portato all’espulsione della moglie e della figlia del dissidente kazako» continua l’enciclopedia online citando il giornale tedesco.

 

Ora, sui giornali italiani Ablyazov pare avere mano libera, e anche la questione dei milioni di dollari contesi dalle banche italiane non sembra interessare troppo i connazionali giornalisti che lo intervistano. Anzi

Ora, sui giornali italiani Ablyazov pare avere mano libera, e anche la questione dei milioni di dollari contesi dalle banche italiane non sembra interessare i connazionali giornalisti che lo intervistano. Anzi.

 

«Da voi ci sono tesori e proprietà di Nazarbayev, ma non succede niente. Ci sono affari tra lui e società italiane, accordi di cooperazione, ma nessuna sanzione è mai stata imposta. Queste sono cose che danno forza ai dittatori, permettono loro di far tutto e di non avere danni» ha accusato il kazako sul Corriere della Sera lo scorso 7 gennaio.

 

Quindi, nella stessa intervista, si spinge oltre e parla della stessa banca italiana di cui sopra: «una grande banca italiana come Unicredit ha avuto un ruolo nell’acquisto e nella vendita di asset della famiglia Nazarbayev. Nel 2007 un affiliato del dittatore, Bulat Utemuratov, ha venduto la sua banca Atf a Unicredit per 2,1 miliardi di dollari. Sei anni dopo, Unicredit l’ha rivenduta per 493 milioni a un ricco affarista kazako, Akhmetzhan Yessimov, già sindaco di Almaty, che a sua volta l’ha girata a una banca di proprietà di Nazarbayev. Nessuno ha mai fermato quest’operazione: quando già c’era stato il rapimento di mia moglie e di mia figlia, il dittatore guadagnava centinaia di milioni…»

 

La storia del 2013 per cui ci sarebbe stata una truffa alle banche italiane non sfiora la mente dell’intervistatore, che lascia parlare quello che definisce «l’oppositore in esilio».

 

L’esilio, poi,  sarebbe la Francia, il Paese con cui l’establishment italiano ha appena firmato il misterioso, masochistico Trattato del Quirinale. In Francia Ablyazov sarebbe pure stato arrestato, ma oggi per qualche ragione invece è libero di pontificare in modo tonitruante: «quando Putin e il regime dicono che qualcuno manovra la protesta dall’estero, tutti pensano all’America. No, parlano della Francia. Perché sono rifugiato in Francia. E io sono il loro nemico numero uno».

 

Il mondo è piccolo: gli stessi personaggi al centro di storie in Italia (con governi diversi), in Francia, a Londra, a Mosca, e in Kazakistan, anche nell’ora del caos. Soprattutto nell’ora del caos

Mukhtar Ablyazov aveva  esplicitamente descritto all’ambasciata degli Stati Uniti a Londra nel 2009 che stava già pianificando un cambio di regime in Kazakistan. Le attività di Ablyazov nel periodo 2005-2009 sono state un argomento frequente nei cablogrammi del Dipartimento di Stato americano dal Kazakistan che facevano parte del famoso archivio WikiLeaks nel 2012.

 

Nei cablogrammi pubblicati, l’ambasciata degli Stati Uniti a Londra ha riferito in un cablogramma datato 23 marzo 2009 che dalla sua base a Londra, Ablyazov aveva intenzione di continuare a sostenere i gruppi politici che si oppongono a Nazarbaev e di cercare attivamente un cambio di regime in Kazakistan, presumibilmente a favore della «democrazia».

 

«Ablyazov sostiene che Nazarbaev rimane concentrato sul suo arresto e censura perché Nazarbaev sa che Ablyazov è uno dei pochi individui con le risorse e l’influenza per ostacolare l’eventuale trasferimento del potere del presidente a un successore scelto, probabilmente qualcuno della famiglia del presidente», riportava il cablogramma diplomatico.

 

Il mondo è piccolo: gli stessi personaggi al centro di storie in Italia (con governi diversi), in Francia, a Londra, a Mosca, e in Kazakistan, anche nell’ora del caos. Soprattutto nell’ora del caos.

 

 

Immagine di Il Fatto Quotidiano via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0)

 

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Geopolitica

«Li prenderemo la prossima volta» Israele non esclude un altro attacco al Qatar

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Israele è determinato a uccidere i leader di Hamas ovunque risiedano e continuerà i suoi sforzi finché non saranno tutti morti, ha dichiarato martedì a Fox News l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Yechiel Leiter.

 

In precedenza, attacchi aerei israeliani hanno colpito un edificio residenziale a Doha, in Qatar, prendendo di mira alti esponenti dell’ala politica di Hamas. Il gruppo ha affermato che i suoi funzionari sono sopravvissuti, mentre l’attacco è stato criticato dalla Casa Bianca e condannato dal Qatar.

 

«Se non li abbiamo presi questa volta, li prenderemo la prossima volta», ha detto il Leiter.

 

L’ambasciatore ha descritto Hamas come «nemico della civiltà occidentale» e ha sostenuto che le azioni di Israele stavano rimodellando il Medio Oriente in modi che gli Stati «moderati» comprendevano e apprezzavano. «In questo momento, potremmo essere oggetto di qualche critica. Se ne faranno una ragione», ha detto riferendosi ai Paesi arabi.

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che, sebbene smantellare Hamas sia un obiettivo legittimo, colpire un alleato degli Stati Uniti mina gli interessi sia americani che israeliani.

 

Leiter ha osservato che Israele «non ha mai avuto un amico migliore alla Casa Bianca» e che Washington e lo Stato Ebraico sono rimaste unite nel perseguire la distruzione del gruppo militante.

 

Il Qatar, che ospita funzionari di Hamas nell’ambito del suo ruolo di mediatore, ha dichiarato che tra le sei persone uccise nell’attacco israeliano c’era anche un agente di sicurezza del Qatar.

 

L’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani, ha denunciato l’attacco come un «crimine atroce» e un «atto di aggressione», mentre il ministero degli Esteri di Doha ha accusato Israele di «terrorismo di Stato».

 

Israele ha promesso di dare la caccia ai leader di Hamas, ritenuti responsabili del mortale attacco dell’ottobre 2023, lanciato da Gaza verso il sud di Israele. L’ambasciatore ha giurato che i responsabili «non sopravviveranno», ovunque si trovino.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

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Geopolitica

Attacco israeliano in Qatar. La condanna di Trump

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Israele ha condotto un «attacco di precisione» contro «i vertici di Hamas», hanno annunciato martedì le Forze di difesa israeliane (IDF), poco dopo che numerose esplosioni hanno scosso il quartier generale del gruppo militante palestinese a Doha, in Qatar.   Da parte delle forze dello Stato Ebraico, si tratta di una violazione territoriale inedita, perché – a differenza di casi analoghi in Libano e Iran – condotta in uno Stato «alleato» di Washington e dell’Occidente, cui fornisce capitale e gas. L’attacco pare essere stato diretto ai negoziatori di Hamas, i quali avevano ricevuto dal presidente americano Trump un invito al tavolo della pace poco prima.   L’esercito israeliano ha dichiarato di aver condotto l’operazione in coordinamento con l’agenzia di sicurezza Shin Bet (ISA). Le IDF non hanno indicato il luogo esatto preso di mira dall’attacco.   «L’IDF e l’ISA hanno condotto un attacco mirato contro i vertici dell’organizzazione terroristica Hamas», ha dichiarato l’IDF in una nota. «Prima dell’attacco, sono state adottate misure per mitigare i danni ai civili, tra cui l’uso di munizioni di precisione e di intelligence aggiuntiva».   L’annuncio è arrivato dopo che almeno dieci esplosioni avrebbero scosso il quartier generale di Hamas a Doha. I filmati che circolano online mostrano che l’edificio è stato gravemente danneggiato. Secondo diversi resoconti dei media che citano fonti di Hamas, l’attacco ha preso di mira il team negoziale del gruppo, che stava discutendo l’ultima proposta statunitense sulla cessazione delle ostilità con Israele.   Il Qatar ha condannato il «vile attacco israeliano», descrivendo il luogo interessato dall’attacco come «edifici residenziali che ospitano diversi membri dell’ufficio politico del movimento Hamas».    

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  L’attacco israeliano a Doha è stato un «momento cruciale» per l’intera regione, ha affermato il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, condannando l’attacco come «terrorismo di Stato».   L’attacco a sorpresa non sarà «ignorato» e il Qatar «si riserva il diritto di rispondere a questo attacco palese», ha dichiarato il primo ministro in una conferenza stampa. «Oggi abbiamo raggiunto un punto di svolta affinché l’intera regione dia una risposta a una condotta così barbara».  

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Al-Thani ha attaccato duramente il suo omologo israeliano, Benjamin Netanyahu, accusandolo di compromettere la stabilità regionale in nome di «deliri narcisistici» e interessi personali. Il Qatar continuerà il suo impegno di mediazione per risolvere le persistenti ostilità con Hamas, ha affermato.   Il primo ministro quatarino ha ammesso che lo spazio per la diplomazia è ormai diventato molto ristretto e che l’attacco ha probabilmente fatto deragliare il ciclo di negoziati dedicato all’ultima proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.   «Per quanto riguarda i colloqui in corso, non credo che ci sia nulla di valido dopo aver assistito a un attacco del genere», ha affermato.   L’attacco israeliano è avvenuto due giorni dopo che il presidente degli Stati Uniti aveva lanciato un altro «ultimo avvertimento» ad Hamas, sostenendo che Israele aveva già accettato termini non specificati di un accordo da lui proposto e chiedendo al gruppo di rilasciare gli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza. Poco dopo, anche il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dato al gruppo un “ultimo avvertimento”, minacciando Hamas di annientamento e intimando ai militanti di deporre le armi. In seguito alle minacce, Hamas aveva dichiarato di essere pronta a «sedersi immediatamente al tavolo delle trattative» dopo aver ascoltato quelle che ha descritto come «alcune idee da parte americana volte a raggiungere un accordo di cessate il fuoco».   Tuttavia nelle ultime ore è emersa la condanna del presidente statunitense contro l’attacco israeliano. In una dichiarazione pubblicata martedì su Truth Social, Trump ha criticato l’attacco aereo di Israele contro un complesso di Hamas a Doha, sottolineando che la decisione di portare a termine l’operazione all’interno del Qatar è stata presa unilateralmente dal primo ministro Benjamin Netanyahu e non da Washington.   Nel suo post Trump ha affermato che il bombardamento israeliano all’interno di «una nazione sovrana e stretto alleato degli Stati Uniti» non ha «favorito gli obiettivi di Israele o dell’America».   «Considero il Qatar un forte alleato e amico degli Stati Uniti e mi dispiace molto per il luogo dell’attacco», ha scritto, sottolineando che l’attacco è stato «una decisione presa dal primo ministro Netanyahu, non una decisione presa da me».   Trump ha affermato che, non appena informato dell’operazione, ha incaricato l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff di avvertire i funzionari del Qatar, ma ha osservato che l’allerta è arrivata «troppo tardi per fermare l’attacco». Il presidente ha affermato che eliminare Hamas era un «obiettivo degno», ma ha espresso la speranza che «questo sfortunato incidente possa servire come un’opportunità per la PACE».   Da allora Trump ha parlato con Netanyahu, che gli ha detto di voler fare la pace, e con i leader del Qatar, che ha ringraziato per il loro sostegno e ha assicurato che «una cosa del genere non accadrà più sul loro territorio».   La Casa Bianca ha definito l’attacco un incidente «sfortunato». Trump ha dichiarato di aver incaricato il Segretario di Stato Marco Rubio di finalizzare un accordo di cooperazione per la difesa con il Qatar, designato come «importante alleato non NATO».  

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  Nell’operazione circa 15 aerei da guerra israeliani hanno sparato almeno dieci munizioni durante l’operazione di martedì, uccidendo diversi membri di Hamas, tra cui il figlio dell’alto funzionario Khalil al-Hayya. Hamas ha affermato che i suoi vertici sono sopravvissuti all’attacco, descritto come un tentativo di assassinare i negoziatori impegnati a raggiungere un possibile accordo. L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha insistito sul fatto che l’attacco ad Hamas in Qatar è stato un’azione unilaterale e che nessun altro paese è stato coinvolto nell’operazione.   «L’azione odierna contro i principali capi terroristi di Hamas è stata un’operazione israeliana del tutto indipendente. Israele l’ha avviata, Israele l’ha condotta e Israele si assume la piena responsabilità», si legge in una nota.   Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha condannato l’attacco israeliano definendolo una «flagrante violazione della sovranità e dell’integrità territoriale del Qatar». «Tutte le parti devono impegnarsi per raggiungere un cessate il fuoco permanente, non per distruggerlo», ha detto ai giornalisti.  

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Lavrov: la Russia non ha voglia di vendetta

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La Russia non ha intenzione di vendicarsi dei paesi occidentali che hanno interrotto i rapporti e fatto pressioni su Mosca a causa del conflitto in Ucraina, ha affermato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.

 

Intervenendo lunedì all’Istituto statale di relazioni internazionali di Mosca, Lavrov ha sottolineato che la Russia non intende «vendicarsi o sfogare la propria rabbia» sulle aziende che hanno deciso di sostenere i governi occidentali nel loro tentativo di sostenere Kiev e imporre sanzioni economiche a Mosca, aggiungendo che l’ostilità è generalmente «una cattiva consigliera».

 

«Quando i nostri ex partner occidentali torneranno in sé… non li respingeremo. Ma… terremo conto che, essendo fuggiti su ordine dei loro leader politici, si sono dimostrati inaffidabili», ha affermato il ministro.

 

Secondo Lavrov, qualsiasi futuro accesso al mercato dipenderà anche dalla possibilità che le aziende rappresentino un rischio per i settori vitali per l’economia e la sicurezza della Russia.

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Il ministro ha sottolineato che la Russia è aperta alla cooperazione e non ha alcuna intenzione di isolarsi. «Viviamo su un piccolo pianeta. Costruire i muri di Berlino è stato in stile occidentale… Non vogliamo costruire alcun muro», ha affermato, riferendosi al simbolo della Guerra Fredda che ha diviso la capitale tedesca dal 1961 al 1989.

 

«Vogliamo lavorare onestamente e se i nostri partner sono pronti a fare lo stesso sulla base dell’uguaglianza e del rispetto reciproco, siamo aperti al dialogo con tutti», ha affermato, indicando il vertice in Alaska tra il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo statunitense, Donald Trump, come esempio di impegno costruttivo.

 

Il portavoce del Cremlino Demetrio Peskov ha dichiarato sabato che le aziende occidentali sarebbero state benvenute se non avessero sostenuto l’esercito ucraino e avessero rispettato gli obblighi nei confronti dello Stato e del personale russo, tra cui il pagamento degli stipendi dovuti.

 

Questo mese Putin ha anche respinto l’isolazionismo, sottolineando che la Russia vorrebbe evitare di chiudersi in un «guscio nazionale», poiché ciò danneggerebbe la competitività. «Non abbiamo mai respinto o espulso nessuno. Chi vuole rientrare è il benvenuto», ha aggiunto.

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