Geopolitica
Israele respinge come «inaccettabili» le richieste di cessate il fuoco di Hamas
Israele ha respinto le modifiche proposte da Hamas all’accordo di cessate il fuoco per Gaza, ma ha accettato di continuare i colloqui indiretti a Doha, ha dichiarato sabato l’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu, citato dai media israeliani.
Si prevede che domenica una squadra negoziale si recherà in Qatar per il prossimo round di negoziati con il gruppo militante palestinese.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato la scorsa settimana una «proposta definitiva» per un cessate il fuoco di 60 giorni a Gaza, affermando di aspettarsi risposte positive da entrambe le parti entro poche ore.
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Hamas ha risposto venerdì «con spirito positivo», affermando di essere «pienamente pronta» ad avviare immediatamente un nuovo round di colloqui per attuare il quadro del cessate il fuoco. Il gruppo, tuttavia, ha proposto degli emendamenti. Una fonte coinvolta negli sforzi di mediazione ha affermato che Hamas vuole che i colloqui su una tregua permanente continuino durante la pausa di 60 giorni, il pieno ripristino degli aiuti delle Nazioni Unite al posto della Fondazione Umanitaria per Gaza, sostenuta da Stati Uniti e Israele, e il ritiro delle truppe israeliane sulle posizioni precedenti a marzo.
«Le modifiche che Hamas sta cercando di apportare alla proposta del Qatar ci sono state comunicate ieri sera e sono inaccettabili per Israele», ha dichiarato l’ufficio di Netanyahu in un comunicato. Non ha specificato quali richieste siano state respinte. Ciononostante, Netanyahu ha dato istruzioni alla sua squadra di partecipare a ulteriori colloqui in Qatar, si legge nel comunicato.
Lunedì è previsto anche che il primo ministro si rechi a Washington per un incontro con Trump su Gaza, Iran e altre questioni regionali.
Venerdì, Trump ha dichiarato ai giornalisti a bordo dell’Air Force One di essere «ottimista» sulla possibilità di raggiungere un accordo. La bozza attuale include una clausola che prevede che l’inviato di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, si rechi nella regione per finalizzare l’accordo.
Israele ha ripetutamente rifiutato di accettare qualsiasi accordo che lasciasse ad Hamas il controllo di Gaza. Un precedente accordo di tregua per la presa degli ostaggi, raggiunto a gennaio, prevedeva un processo in tre fasi che si sarebbe concluso con un cessate il fuoco permanente e il completo ritiro israeliano, ma è crollato a marzo dopo che Israele si è rifiutato di avviare i colloqui per porre fine alla guerra.
Netanyahu ha ribadito le sue condizioni la scorsa settimana: Hamas deve arrendersi, disarmarsi e lasciare Gaza, condizioni che il gruppo continua a respingere.
Il conflitto è iniziato con l’attacco di Hamas al sud di Israele nell’ottobre 2023, in cui sono state uccise circa 1.200 persone, per lo più civili, e 250 sono state prese in ostaggio. Di queste, 50 rimangono a Gaza, e meno della metà è ancora in vita. La risposta militare israeliana ha ucciso almeno 57.000 persone a Gaza, per lo più civili, negli ultimi 21 mesi, secondo il Ministero della Salute guidato da Hamas.
Sabato, le famiglie degli ostaggi hanno protestato in tutto Israele, chiedendo al governo di finalizzare un cessate il fuoco. I video sui social media mostrano folle in marcia a Tel Aviv, Gerusalemme, Haifa e Beer Sheva, chiedendo la fine della guerra e il ritorno degli ostaggi.
צעדת המחאה בירושלים צועדת בקינג ג’ורג’ pic.twitter.com/QiYyJUF98h
— משנים כיוון ↩️ (@change_dir_il) July 5, 2025
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Immagine di IDF Spokesperson’s Unit via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
Geopolitica
Netanyahu esclude la creazione di uno Stato palestinese
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Geopolitica
La Danimarca taglia gli aiuti all’Ucraina per la corruzione. Mosca: i crimini di Kiev alla Corte Internazionale
La Danimarca prevede di dimezzare gli aiuti militari all’Ucraina nel 2026, con un taglio ampiamente descritto dai media come massiccio: quasi il 50% rispetto a quanto erogato dal 2022.
Secondo la Danish Broadcasting Corporation, la nazione nordica si è distinta per il suo impegno spropositato nelle fasi iniziali del conflitto, ma ora il governo di Copenaghen intende che altri Stati assumano una quota maggiore del peso finanziario.
Il ministro della Difesa Troels Lund Poulsen ha comunicato al Parlamento che l’esecutivo stanzierà 9,4 miliardi di corone danesi (circa 1,29 miliardi di euro) a sostegno di Kiev nel 2026. Si tratta di una contrazione netta rispetto ai 16,5 miliardi di corone (circa 2,23 miliardi di euro) concessi nel 2025 e ai quasi 19 miliardi di corone del 2024.
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I giornali danesi attribuiscono questa decisione in parte all’esaurimento delle risorse del Fondo per l’Ucraina, creato nel 2023 con ampio consenso bipartisan tra i partner europei. In totale, dal lancio dell’invasione russa nel febbraio 2022, la Danimarca ha riversato su Kiev l’impressionante somma di quasi 9,43 miliardi di euro in assistenza militare. Ha inoltre donato caccia F-16 e accolto corsi di formazione per piloti ucraini.
Simon Kollerup, componente del Comitato Difesa danese, ha commentato che «è naturale che stiamo assistendo a una stabilizzazione del livello di sostegno fornito».
«Abbiamo deciso di essere uno dei Paesi che hanno preso l’iniziativa all’inizio della guerra, fornendo un sostegno su larga scala. Ritengo inoltre che sia giusto affermare che questo sostegno supera di gran lunga quanto effettivamente richiesto dalle dimensioni del nostro Paese. Pertanto, trovo del tutto naturale che il sostegno stia diminuendo», ha proseguito Kollerup.
Questo sviluppo coincide con il ridimensionamento del massiccio supporto statunitense all’Ucraina, mentre l’amministrazione Trump privilegia la cessione di armi all’Europa affinché quest’ultima le rivenda o le trasferisca a Kiev.
La decisione danese di tagliare drasticamente gli aiuti giunge in un frangente delicato per il governo di Volodymyr Zelens’kyj, invischiato in uno scandalo di corruzione che lambisce direttamente l’ufficio presidenziale (con i suoi stretti collaboratori rimossi e sottoposti a indagini), spingendo forse alcuni membri dell’UE a svegliarsi e a cessare di agire con accondiscendenza.
Anche il New York Times ha recentemente ammesso in un pezzo che «l’amministrazione del presidente Volodymyr Zelens’kyj ha riempito i consigli di amministrazione di fedelissimi, ha lasciato posti vuoti o ne ha bloccato la costituzione. I leader di Kiev hanno persino riscritto gli statuti aziendali per limitare la supervisione, mantenendo il controllo del governo e consentendo che centinaia di milioni di dollari venissero spesi senza che estranei potessero curiosare».
Nel frattempo pesanti accuse a Kiev arrivano dalla Russia ben oltre la questione della corruzione. Il 5 dicembre il ministero degli Esteri russo ha diffuso un comunicato in cui annuncia che la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha accolto le contro-domande presentate dalla Russia nei confronti dell’Ucraina, riconoscendo che Kiev viola la Convenzione sul Genocidio del 1948.
«Tutte le obiezioni sollevate da Kiev in merito alla presunta inammissibilità delle contro-richieste della Russia sono state respinte integralmente e le osservazioni della Federazione Russa sono state accolte integralmente dalla Corte», si legge nella nota.
La dichiarazione prosegue ricordando che «La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, emessa il 5 dicembre, segna uno sviluppo logico dopo i vani tentativi dell’Ucraina di ritenere la Russia responsabile dell’avvio dell’operazione militare speciale. Questo contenzioso era stato avviato dal regime di Kiev e dai suoi sponsor occidentali già nel febbraio 2022. All’epoca, Kiev, sostenuta da 33 stati allineati all’Occidente, presentò un ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia sostenendo che la Russia aveva violato la Convenzione del 1948 per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio.»
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Si aggiunge che «Il 18 novembre 2024, la parte russa ha presentato alla Corte un consistente corpus di prove, di oltre 10.000 pagine, che comprova la perpetrazione di un genocidio da parte del criminale regime di Kiev ai danni della popolazione russa e russofona del Donbass. Il materiale probatorio includeva la documentazione di oltre 140 episodi di deliberati attacchi contro civili nel Donbass, corroborati dalle testimonianze di oltre 300 testimoni e vittime, nonché da analisi e indagini di esperti».
Il testo accusa poi Kiev di aver compiuto «omicidi di massa, torture, bombardamenti indiscriminati» e di aver condotto «in tutta l’Ucraina una politica di cancellazione forzata dell’identità etnica russa, vietando la lingua e la cultura russa, perseguitando la Chiesa ortodossa russofona, glorificando al contempo i collaboratori del Terzo Reich e cancellando la memoria della Vittoria sul nazismo».
In conclusione, il ministero russo sottolinea che «affermando oggi l’ammissibilità legale delle rivendicazioni russe, la Corte Internazionale di Giustizia ha segnalato la sua disponibilità a valutare l’intera portata dei crimini commessi dal regime di Kiev e dai suoi complici».
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Immagine di EPP Group via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Geopolitica
Zakharova: l’UE che odia la Russia «è caduta nella follia politica». Il comandante NATO: l’alleanza può «creare dilemmi» a Mosca
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