Il mondo intero assiste senza battere ciglio a nuovi scontri tra Israele e palestinesi, indifferente al sangue che scorre da entrambe i lati. Il corso degli avvenimenti dimostra che potenze straniere, quali Stati Uniti, Iran e Turchia, gettano benzina sul fuoco. Ma questo conflitto è diverso dalle guerre che si succedono da 73 anni: potrebbe essere l’inizio d’una guerra civile in Israele. La questione è sapere se si tratta di un incendio spontaneo o deliberatamente appiccato.
Geopolitica
In Israele è davvero cominciata la «guerra civile»?
Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21
La Giornata Internazionale di Gerusalemme
Ogni quarto venerdì del ramadan – quest’anno il 7 maggio – si celebra la Giornata Internazionale di Gerusalemme, istituita dall’imam Ruhollah Khomeini. Il suo successore, la guida Ali Khamenei, per l’occasione ha pronunciato un discorso affinché Gerusalemme (terzo luogo santo dell’islam) sia riportata al centro delle relazioni internazionali; una questione che Khamenei ritiene comunque centrale per il mondo islamico (1).
L’Iran ammette il massacro degli ebrei d’Europa da parte dei nazisti e ritiene che gli europei abbiano creato Israele per sbarazzarsi degli ebrei sopravvissuti (il che è falso, come dimostra la vicenda della nave Exodus), rubando una terra che non era loro e facendo pagare ai palestinesi il peso del loro crimine.
Il mondo intero assiste senza battere ciglio a nuovi scontri tra Israele e palestinesi, indifferente al sangue che scorre da entrambe i lati
Agendo in tal modo, gli europei hanno dato prova di quanto poco rispettino i Diritti dell’Uomo. Comunisti e capitalisti hanno mostrato il loro vero volto. L’Iran non ha mai riconosciuto lo Stato d’Israele, né al tempo dello scià Reza Pahlavi né durante la Repubblica Islamica. L’ayatollah Khamenei ha profetizzato che Israele scomparirà nel 2040, non già a causa dell’Iran, ma per «propria arroganza».
Khamenei ha precisato che Israele cadrà quando la Nazione Islamica sarà unificata. Ha celebrato i martiri della causa, ovvero i Fratelli Mussulmani sunniti e i propri discepoli sciiti, in primo luogo lo sceicco Ahmed Yassin e il generale Qassem Soleimani. Ha invece denunciato, pur senza nominarli, il «deal del secolo» e gli «Accordi di Abramo», conclusi dal presidente Donald Trump, nonché la normalizzazione delle relazioni fra alcuni Paesi mussulmani e Israele.
Khamenei ha infine ricordato la proposta depositata alle Nazioni Unite di un referendum che consenta a tutti gli abitanti della Palestina – di qualsiasi fede religiosa – e ai palestinesi rifugiati all’estero (compresi quelli in America Latina, Australia e altre parti del mondo) di decidere il loro comune futuro.
La pianificata espulsione dei palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah
Durante tutto il ramadan, e in particolare dopo il discorso dell’ayatollah Khamenei, a Gerusalemme era palpabile una forte tensione per l’annunciata espulsione di quattro famiglie palestinesi dal quartiere Sheikh Jarrah (2).
Dal 1948 Israele espelle, casa dopo casa, i palestinesi di Gerusalemme, in nome di leggi risalenti all’occupazione ottomana, che i britannici e il regime attuale hanno conservato. Una strategia finalizzata ad ammassare i palestinesi in un piccolo quartiere di Gerusalemme Est, Kfar Aqab, isolato dal resto della città da un muro di cemento.
Tuttavia, nel caso specifico di queste quattro famiglie, i tribunali si fondano su una legge israeliana che vìola l’accordo di 65 anni fa tra la Giordania (all’epoca gestore questa parte della città) e le Nazioni Unite.
Il corso degli avvenimenti dimostra che potenze straniere, quali Stati Uniti, Iran e Turchia, gettano benzina sul fuoco
Non ci sono dubbi sulle future decisioni della Giustizia israeliana, visto che nel 1967 Israele ha unilateralmente proclamato Gerusalemme propria «capitale eterna e indivisibile», in violazione delle risoluzioni dell’ONU.
Nella serata di venerdì 7 maggio gli scontri si sono allargati alla spianata delle moschee (Monte del Tempio, secondo la terminologia israeliana). Sono stati ancora più violenti di quelli del 2017.
Il sabato successivo ci sono stati scontri anche in Cisgiordania (governata dall’OLP) e alla frontiera di Gaza (governata dai Fratelli Mussulmani di Hamas). Le forze di difesa israeliane (Tsahal) hanno disperso la folla con gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Dopo un lancio di palloncini incendiari e il tiro di un razzo da parte di Hamas su Israele, Tsahal ha risposto distruggendo una postazione militare dei Fratelli Mussulmani nella zona meridionale della Banda di Gaza. Hamas ha chiesto allora ai palestinesi di occupare la spianata sino alla fine del ramadan, giovedì 13 maggio.
La Corte suprema israeliana ha rinviato sine die l’udienza sull’espulsione delle quattro famiglie dal quartiere Sheikh Jarrah, prevista per lunedì 10 maggio.
Nel messaggio domenicale, papa Francesco ha lanciato un appello per far cessare le violenze a Gerusalemme: «La violenza genera solo violenza. Fermiamo gli scontri».
Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati, Iran, Giordania, Marocco, Pakistan, Sudan, Tunisia e Turchia hanno condannato il comportamento di Israele e invitato alla de-escalation.
Questo conflitto è diverso dalle guerre che si succedono da 73 anni: potrebbe essere l’inizio d’una guerra civile in Israele
Infine, il Quartetto (Russia, UE, USA e ONU) ha emesso un comunicato in cui afferma di osservare «con seria preoccupazione la possibile espulsione di famiglie palestinesi dal luogo ove vivono da generazioni (…)» manifestando «la propria opposizione ad azioni unilaterali, utili solo a innescare un’escalation di ostilità in una situazione già tesa» (3).
Verso un conflitto militare
La situazione è repentinamente degenerata in guerra: da lunedì 10 Hamas ha iniziato a tirare razzi contro Israele; Tsahal ha risposto bombardando Gaza con aerei ed elicotteri, ossia con mezzi dieci volte più letali.
Tutte le fazioni armate palestinesi sono rapidamente entrate in guerra, a eccezione dell’Autorità Palestinese, che invece ha represso manifestazioni popolari in Cisgiordania.
I palestinesi sono privi di democrazia, nonché della Repubblica. Nessuno sa come la pensino. Da 15 anni non ci sono elezioni. L’Autorità Palestinese ha annullato quelle che dovevano aver luogo a maggio perché Israele s’è opposto a che si tenessero anche a Gerusalemme Est.
La questione è sapere se si tratta di un incendio spontaneo o deliberatamente appiccato
Martedì 11 il leader di Hamas, Ismael Haniyeh, ha pronunciato un discorso in televisione, collegando la questione di Gerusalemme a quella di Gaza. Ha presentato Al-Quds (Gerusalemme) come il cuore della nazione palestinese. Ha denunciato le espulsioni dal quartiere Sheikh Jarrah, ma, soprattutto, ha presentato gli scontri sulla spianata delle moschee come attacchi degli ebrei alla moschea Al-Aqsa. Una versione menzognera: la polizia israeliana è entrata nella moschea e vi ha lanciato lacrimogeni perché stava inseguendo manifestanti, che legittimamente contestavano l’espulsione delle quattro famiglie da Sheikh Jarrah.
Il discorso di Haniyeh ha sorpreso gli israeliani: Hamas non si pone più come forza di resistenza che risponde simbolicamente a Israele, ma come forza che spera d’imporre la fine del lento rosicchiamento dei Territori Palestinesi.
È la guerra
Martedì sera Tsahal ha raso al suolo la torre Al-Schourouk (12 piani), nel centro di Gaza, usando bombe penetranti. Nel palazzo aveva sede anche la rete televisiva di Hamas, Al-Aqsa. È stata la risposta d’Israele al messaggio di Haniyeh. Hamas (sostenuto da Turchia e Qatar) e la Jihad Islamica (sostenuta dall’Iran) hanno risposto con una pioggia di razzi su Tel Aviv, ma anche su Ashdod, Ashkelon e fino al confine di Gerusalemme.
I palestinesi sono privi di democrazia, nonché della Repubblica. Nessuno sa come la pensino. Da 15 anni non ci sono elezioni. L’Autorità Palestinese ha annullato quelle che dovevano aver luogo a maggio perché Israele s’è opposto a che si tenessero anche a Gerusalemme Est
La distruzione intenzionale di una rete televisiva costituisce crimine di guerra. Si è fatto perciò ricorso alla Corte Penale Internazionale, dichiaratasi competente per i crimini commessi nei Territori Palestinesi.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si è riunito due volte, a porte chiuse, in videoconferenza. Gli Stati Uniti si sono opposti a ogni dichiarazione ufficiale, ritenendola inopportuna a questo stadio e asserendo che l’espulsione delle famiglie palestinesi a Gerusalemme Est è un «affare interno d’Israele»; affermazione contestata da tutti gli altri membri del Consiglio.
Quanto alla Lega Araba, ha sostenuto che non si tratta di un contenzioso immobiliare e che soltanto chi ha buona memoria non può essere tratto in inganno.
La Russia ha preteso una riunione immediata del Quartetto (Russia, UE, USA e ONU, ricordiamo).
In mancanza di una presa di posizione del Consiglio di Sicurezza, quattro Paesi hanno emesso un comunicato congiunto: Francia, Estonia, Irlanda e Norvegia hanno esortato Israele a «cessare le azioni di colonizzazione, demolizione ed espulsione, anche a Gerusalemme Est».
Ci sono stati per la prima volta scontri nelle città a popolazione mista (mussulmani, cristiani ed ebrei), in particolare nel quartiere operaio di Lod, dove un giovane padre di famiglia, mussulmano israeliano, è stato linciato da conterranei ebrei armati
Il presidente turco Erdoğan, che rifornisce di armi Hamas, ha denunciato l’immobilismo del Consiglio di Sicurezza ed esortato a «dare una lezione a Israele».
Ci sono stati per la prima volta scontri nelle città a popolazione mista (mussulmani, cristiani ed ebrei), in particolare nel quartiere operaio di Lod, dove un giovane padre di famiglia, mussulmano israeliano, è stato linciato da conterranei ebrei armati. Il presidente Reuven Rivlin ha denunciato un pogrom contro i mussulmani. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha condannato con forza il crimine e decretato lo stato di emergenza a Lod. Durante i funerali della vittima, nelle 18 città israeliane a popolazione mista ci sono state scene di guerriglia.
Si parla ora non solo di guerra fra israeliani e palestinesi, ma anche di possibile guerra civile in Israele, fra ebrei e non-ebrei (goyim).
Gli Stati Uniti hanno moltiplicato i contatti con Israele per esortarlo, senza successo, a una de-escalation. Sembra evidente che Washington, apprestandosi – contro il parere di Tel Aviv e dopo le prossime elezioni presidenziali iraniane e la firma di un nuovo accordo sul nucleare – a riannodare ufficialmente i rapporti con l’Iran, non eserciterà pressioni più pesanti su Israele.
Sperando tuttavia di ottenere un qualche risultato, gli Stati Uniti si sono opposti a una terza riunione del Consiglio di Sicurezza in videoconferenza, in modo da guadagnare tempo.
Secondo il regolamento, la presidenza a rotazione, svolta questo mese dalla Cina, ha il potere d’imporre riunioni al Consiglio; Pechino però non ha esercitato questa prerogativa.
Si parla ora non solo di guerra fra israeliani e palestinesi, ma anche di possibile guerra civile in Israele, fra ebrei e non-ebrei (goyim)
Analisi del conflitto
Tutti gli osservatori imparziali sono concordi nel ritenere che la politica israeliana di colonizzazione, demolizione ed espulsione vìoli il Diritto Internazionale e le risoluzioni dell’ONU. Si tratta, di fatto, di conquista territoriale, ancorché non per via militare, ma per mezzo dell’applicazione di una normativa viziata.
Netanyahu – figlio del segretario particolare del fondatore del Partito Revisionista, Vladimir Jabotinsky – incarna il progetto di Grande Israele, che si estende dal Nilo all’Eufrate (Eretz Israel). Aderisce a una forma di suprematismo ebraico. Certamente non gode più del sostegno della maggioranza degli israeliani, eppure è ancora primo ministro.
Tutti gli osservatori imparziali sono altresì concordi nel ritenere il lancio indiscriminato di razzi su agglomerati urbani un crimine di guerra contro popolazioni civili.
A differenza di Al-Fatah, Hamas non contesta la colonizzazione della Palestina, ma solo che una terra mussulmana sia governata da ebrei. La sua posizione è una forma di suprematismo mussulmano. Del resto, questa «sezione palestinese dei Fratelli Mussulmani» (come sino a poco tempo fa proclamava la loro bandiera) è stata creata dallo sceicco Ahmed Yassin, con l’aiuto di Israele, per indebolire Al-Fatah di Yasser Arafat.
Netanyahu – figlio del segretario particolare del fondatore del Partito Revisionista, Vladimir Jabotinsky – incarna il progetto di Grande Israele, che si estende dal Nilo all’Eufrate (Eretz Israel). Aderisce a una forma di suprematismo ebraico. Certamente non gode più del sostegno della maggioranza degli israeliani, eppure è ancora primo ministro
Una volta stabilito che Likud e Hamas s’ispirano a ideologie di altri tempi e che entrambi non disdegnano pratiche criminali, non ci sono comunque prospettive di pace che permettano agli uni e agli altri di vivere insieme.
Tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, eccetto Israele, riconoscono il «diritto inalienabile» dei palestinesi, non di rientrare nelle case da cui furono scacciati nel 1948, bensì di ritornare nella propria terra come cittadini a pieno titolo. In questo modo tutti, in teoria, si oppongono alla «soluzione a due Stati», che però gli Occidentali sostengono dal 2007. Alimentando questa contraddizione, gli Occidentali sono responsabili della perpetuazione del conflitto.
Gli scontri attuali avvengono tutti nella Palestina geografica, cioè sia nello Stato d’Israele sia nello Stato di Palestina. Ma gli avvenimenti odierni non devono farci dimenticare che i dirigenti palestinesi hanno in passato rinunciato alla rivendicazione di vivere nella propria terra e cercato di conquistare prima la Giordania («Settembre nero»), poi il Libano (la guerra civile), macchiandosi a loro volta di crimini analoghi a quelli degli israeliani e così screditandosi.
L’unica soluzione al conflitto è lo Stato bi-nazionale, previsto dalle Nazioni Unite alla fine della seconda guerra mondiale, che metterebbe fine all’apartheid praticato da Israele – come scrisse 15 anni fa il presidente statunitense Jimmy Carter (4) – e garantirebbe ai palestinesi il diritto di ritornare sulla propria terra. Oggi però non ci sono personalità israeliane e palestinesi all’altezza di svolgere ruoli analoghi a quelli di Frederik de Klerk e Nelson Mandela.
Del resto, gli scontri intracomunitari di questi giorni nelle città d’Israele a popolazione mista rendono questa soluzione sempre più difficile.
Ipotesi esplicativa
È difficile credere che il logoramento dovuto al tempo basti a spiegare gli scontri intercomunitari. Israeliani e palestinesi aspirano a coesistere pacificamente, perlomeno quelli che non militano per il Likud o per Hamas. Formulo perciò un’ipotesi sul futuro della regione che gli strateghi statunitensi chiamano Medio Oriente Allargato.
A differenza di Al-Fatah, Hamas non contesta la colonizzazione della Palestina, ma solo che una terra mussulmana sia governata da ebrei. La sua posizione è una forma di suprematismo mussulmano. Del resto, questa «sezione palestinese dei Fratelli Mussulmani» (come sino a poco tempo fa proclamava la loro bandiera) è stata creata dallo sceicco Ahmed Yassin, con l’aiuto di Israele, per indebolire Al-Fatah di Yasser Arafat
L’incidente accaduto il 14 maggio a Giaffa, dove rivoltosi hanno lanciato un cocktail Molotov in una casa araba, ustionando gravemente un bambino di 12 anni, è sospetto. Ha suscitato nella città un centinaio di azioni contro gli ebrei, cui sono seguite reazioni contro gli arabi.
Ebbene, secondo la polizia, l’azione all’origine degli scontri non è stata compiuta da ebrei estremisti, ma da due arabi. Da qui nasce spontanea una domanda: si è trattato di due imbecilli che hanno sbagliato casa, colpendo il proprio campo, o di mercenari che hanno compiuto un attacco sotto falsa bandiera?
Dopo l’11 settembre 2001 (fatta eccezione per la parentesi Trump), il Pentagono mette in atto la dottrina Rumsfeld/Cebrowski: adattare le forze armate USA alle esigenze del capitalismo finanziario e della globalizzazione degli scambi. Per cominciare, lo stato-maggiore USA si è posto l’obiettivo di distruggere tutte le strutture statali della regione – salvo quelle di Israele, Libano e Giordania – affinché le multinazionali possano sfruttare le risorse naturali, senza incorrere in ostacoli di ordine politico.
Ecco che il processo distruttivo comincia in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Yemen. Le guerre scatenate in questi Paesi ci sono state vendute come «rivoluzioni», ma nessuna lo era. Guerre che dovevano durare qualche settimana, ma mai concluse (la «guerra senza fine»), e che ora vogliono fare passare come «guerre civili». Da due anni il procedimento è stato esteso al Libano. Questa volta però senza il ricorso diretto alle armi. La carta dello stato-maggiore USA pubblicata nel 2005 è stata quindi modificata. È perciò legittimo ipotizzare che una simile calamità possa allargarsi a Israele.
Secondo l’ammiraglio Arthur Cebrowski, la maggiore difficoltà nel mettere in atto la sua dottrina è circoscrivere l’incendio. Per questo motivo ha concepito la regione del Medio Oriente Allargato basandosi non sulle sue risorse, ma sulla cultura dei suoi abitanti. È allora plausibile che si possano mandare all’aria tutti gli Stati della regione – siano essi governati da amici o da nemici – preservando però la Palestina geografica?
Una volta stabilito che Likud e Hamas s’ispirano a ideologie di altri tempi e che entrambi non disdegnano pratiche criminali, non ci sono comunque prospettive di pace che permettano agli uni e agli altri di vivere insieme
L’ipotesi regge con due varianti: nella prima, la contaminazione d’Israele è opera degli abitanti della regione, mossi dalle loro passioni; nella seconda, Israele viene contagiato per volontà del Pentagono. In ogni caso, se il seguito degli eventi confermerà l’ipotesi, quello che oggi accade modifica la natura del conflitto e lo prolunga all’infinito.
Il Pentagono si oppose alla politica estera del presidente Trump. Alcuni generali si sono persino rallegrati di averlo tradito e di aver fatto fallire il ritiro delle truppe USA dalla Siria. Non hanno digerito che questo Paese sfuggisse al loro controllo e passasse sotto la protezione della Russia. In Libano riattivarono la dottrina Rumsfeld/Cebrowski, contro il parere del presidente Trump, sfruttando le rivalità interne ed evitando di impiegare apertamente truppe USA.
Negli Stati Uniti, il Partito Democratico sta passando a una posizione anti-israeliana, sotto l’influenza del gruppo di Rashida Tlaib, Ilhan Omar, Cori Bush, Ayanna Pressley e Alexandria Ocasio-Cortez.
Il Pentagono, che dal 2001 ritiene Israele un alleato troppo indipendente per i propri gusti, troverebbe la rivincita nella sua distruzione
Il Pentagono, che dal 2001 ritiene Israele un alleato troppo indipendente per i propri gusti, troverebbe la rivincita nella sua distruzione.
In pochi giorni, e stranamente dopo il bombardamento degli uffici dell’Associated Press a Gaza, la stampa statunitense è passata da filo-israeliana a filo-palestinese; un cambiamento talmente repentino da far riflettere.
Thierry Meyssan
In pochi giorni, e stranamente dopo il bombardamento degli uffici dell’Associated Press a Gaza, la stampa statunitense è passata da filo-israeliana a filo-palestinese; un cambiamento talmente repentino da far riflettere
NOTE
1) «Speech by Ali Khamenei on the occasion of the International Al Quds Day», by Ali Khamenei, Voltaire Network, 7 maggio 2021,
2) Lo sceicco Jarrah («il chirurgo») fu, a fianco del rabbino Mosè Maimonide, uno dei medici del kurdo Saladino il Magnifico, che sottrasse Gerusalemme ai crociati.
3) «Joint statement of the Middle East Quartet on the situation in East Jerusalem», Voltaire Network, 9 maggio 2021.
4) Palestine: Peace Not Apartheid, Jimmy Carter, Simon & Schuster (2006).
Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND
Fonte: «In Israele è davvero cominciata la “guerra civile”?», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 18 maggio 2021
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Immagine screenshot da YouTube
Geopolitica
Turchia, effigie di Netanyahu appesa a una gru: «pena di morte»
Un’effigie raffigurante il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è stata avvistata appesa a una gru edile nel Nord-Est della Turchia, suscitando forte indignazione in Israele.
Secondola stampa turca, l’episodio si è verificato sabato in un cantiere nella città di Trebisonda, sul Mar Nero. L’iniziativa sarebbe stata organizzata da Kemal Saglam, docente di comunicazione visiva presso un’università locale. Saglam ha dichiarato ai media turchi che il gesto aveva un intento simbolico, volto a denunciare le violazioni dei diritti umani a Gaza.
Le immagini, diffuse viralmente e riportate anche dal quotidiano turco Yeni Safak, mostrano la figura sospesa alla gru, accompagnata da uno striscione con la scritta: «Pena di morte per Netanyahu».
Il ministero degli Esteri israeliano, tramite un post su X, ha condiviso un video dell’incidente, accusando un accademico turco di aver creato l’effigie «con il fiero sostegno di un’azienda statale». Il ministero ha condannato l’atto, sottolineando che «le autorità turche non hanno denunciato questo comportamento scandaloso».
Turkish academic creates model of hanged 🇮🇱PM Netanyahu, with a “Death Penalty” sign. Proudly aided by a state company.
Turkish authorities have not disavowed this disgraceful behavior.
In Erdoğan’s Turkey, hatred & antisemitism isn’t condemned. It’s celebrated. pic.twitter.com/19MALpzEEW
— Israel Foreign Ministry (@IsraelMFA) October 26, 2025
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Le autorità turche non hanno ancora fornito una risposta ufficiale.
I rapporti diplomatici tra Israele e Turchia sono tesi da anni e si sono ulteriormente deteriorati dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023. Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato Netanyahu di aver commesso un «genocidio» a Gaza.
La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
La Turchia ha avuto un ruolo attivo nei recenti negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, con diversi rapporti che indicano come l’influenza di Ankara su Hamas abbia facilitato il rilascio degli ostaggi nell’ambito del piano in 20 punti del presidente statunitense Donald Trump.
Venerdì, Erdogan ha dichiarato alla stampa che gli Stati Uniti dovrebbero intensificare le pressioni su Israele, anche attraverso sanzioni e divieti sulla vendita di armi, per garantire il rispetto degli impegni presi nel piano di Trump.
Domenica, Netanyahu ha annunciato che Israele deciderà quali forze straniere potranno partecipare alla missione internazionale proposta per Gaza, prevista dal piano di Trump per garantire il cessate il fuoco. La settimana precedente, aveva lasciato intendere che si sarebbe opposto a qualsiasi coinvolgimento delle forze di sicurezza turche a Gaza.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine screenshot da Twitter; modificata
Droga
Trump punta ad attaccare le «strutture della cocaina» in Venezuela
Sostieni Renovatio 21
Iscriviti al canale Telegram ![]()
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Geopolitica
Thailandia e Cambogia firmano alla Casa Bianca un accordo di cessate il fuoco
Cambogia e Thailandia hanno siglato un accordo di cessate il fuoco ampliato per porre fine a un violento conflitto di confine scoppiato a inizio anno. La cerimonia di firma, tenutasi domenica, è stata presieduta dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva mediato la tregua iniziale.
Le tensioni storiche tra i due Paesi del Sud-est asiatico, originate da dispute territoriali di epoca coloniale, sono esplose a luglio con cinque giorni di scontri armati, che hanno spinto centinaia di migliaia di persone a fuggire dalla zona di confine. Un incontro ospitato dalla Malesia aveva portato a una prima tregua, segnando l’inizio della de-escalation.
Trump ha dichiarato di aver sfruttato i negoziati commerciali con entrambi i paesi per favorire una riduzione delle tensioni.
HISTORIC PEACE BETWEEN THAILAND & CAMBODIA.
President Trump and Malaysia’s Prime Minister Anwar Ibrahim hosted the Prime Ministers of Thailand and Cambodia for the signing of the ‘Kuala Lumpur Peace Accords’—a historic peace declaration. pic.twitter.com/BZRJ2b2KLY
— The White House (@WhiteHouse) October 26, 2025
Aiuta Renovatio 21
Durante il 47° vertice dell’ASEAN in Malesia, il primo ministro cambogiano Hun Manet e il primo ministro thailandese Anutin Charnvirakul hanno firmato l’accordo, che amplia la tregua di luglio.
Il documento stabilisce un piano per ridurre le tensioni e assicurare una pace stabile al confine, prevedendo il rilascio di 18 soldati cambogiani prigionieri da parte della Thailandia, il ritiro delle armi pesanti, l’avvio di operazioni di sminamento e il contrasto alle attività illegali transfrontaliere.
Dopo la firma, il primo ministro thailandese ha annunciato l’immediato ritiro delle armi dal confine e il rilascio dei prigionieri di guerra cambogiani, insieme a un’intesa commerciale congiunta. Il primo ministro cambogiano ha lodato l’accordo, impegnandosi a rispettarlo e ringraziando Trump per il suo ruolo, proponendolo come candidato al Premio Nobel per la Pace del prossimo anno.
Trump ha definito l’accordo «monumentale» e «storico», sottolineando il suo contributo e descrivendo la mediazione di pace come «quasi un hobby». Dopo la cerimonia, ha firmato un accordo commerciale con la Cambogia e un importante patto minerario con la Thailandia.
Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21
Immagine da Twitter
-



Misteri2 settimane faLa verità sull’incontro tra Amanda Knox e il suo procuratore. Renovatio 21 intervista il giudice Mignini
-



Pensiero7 giorni faCi risiamo: il papa loda Don Milani. Torna l’ombra della pedofilia sulla Chiesa e sul futuro del mondo
-



Spirito2 settimane faMons. Viganò: «non c’è paradiso per i codardi!»
-



Sanità1 settimana faUn nuovo sindacato per le prossime pandemie. Intervista al segretario di Di.Co.Si
-



Necrocultura5 giorni fa«L’ideologia ambientalista e neomalthusiana» di Vaticano e anglicani: Mons. Viganò sulla nomina del re britannico da parte di Leone
-



Salute1 settimana faI malori della 42ª settimana 2025
-



Autismo2 settimane faTutti addosso a Kennedy che collega la circoncisione all’autismo. Quando finirà la barbarie della mutilazione genitale infantile?
-



Oligarcato6 giorni faPapa Leone conferisce a Carlo III, capo della Chiesa d’Inghilterra, la cattedra permanente nella basilica papale













