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Geopolitica

In Israele è davvero cominciata la «guerra civile»?

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Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21

 

 

Il mondo intero assiste senza battere ciglio a nuovi scontri tra Israele e palestinesi, indifferente al sangue che scorre da entrambe i lati. Il corso degli avvenimenti dimostra che potenze straniere, quali Stati Uniti, Iran e Turchia, gettano benzina sul fuoco. Ma questo conflitto è diverso dalle guerre che si succedono da 73 anni: potrebbe essere l’inizio d’una guerra civile in Israele. La questione è sapere se si tratta di un incendio spontaneo o deliberatamente appiccato.

 

 

 

 

La Giornata Internazionale di Gerusalemme

Ogni quarto venerdì del ramadan – quest’anno il 7 maggio – si celebra la Giornata Internazionale di Gerusalemme, istituita dall’imam Ruhollah Khomeini. Il suo successore, la guida Ali Khamenei, per l’occasione ha pronunciato un discorso affinché Gerusalemme (terzo luogo santo dell’islam) sia riportata al centro delle relazioni internazionali; una questione che Khamenei ritiene comunque centrale per il mondo islamico (1).

 

L’Iran ammette il massacro degli ebrei d’Europa da parte dei nazisti e ritiene che gli europei abbiano creato Israele per sbarazzarsi degli ebrei sopravvissuti (il che è falso, come dimostra la vicenda della nave Exodus), rubando una terra che non era loro e facendo pagare ai palestinesi il peso del loro crimine.

 

Il mondo intero assiste senza battere ciglio a nuovi scontri tra Israele e palestinesi, indifferente al sangue che scorre da entrambe i lati

Agendo in tal modo, gli europei hanno dato prova di quanto poco rispettino i Diritti dell’Uomo. Comunisti e capitalisti hanno mostrato il loro vero volto. L’Iran non ha mai riconosciuto lo Stato d’Israele, né al tempo dello scià Reza Pahlavi né durante la Repubblica Islamica. L’ayatollah Khamenei ha profetizzato che Israele scomparirà nel 2040, non già a causa dell’Iran, ma per «propria arroganza».

 

Khamenei ha precisato che Israele cadrà quando la Nazione Islamica sarà unificata. Ha celebrato i martiri della causa, ovvero i Fratelli Mussulmani sunniti e i propri discepoli sciiti, in primo luogo lo sceicco Ahmed Yassin e il generale Qassem Soleimani. Ha invece denunciato, pur senza nominarli, il «deal del secolo» e gli «Accordi di Abramo», conclusi dal presidente Donald Trump, nonché la normalizzazione delle relazioni fra alcuni Paesi mussulmani e Israele.

 

Khamenei ha infine ricordato la proposta depositata alle Nazioni Unite di un referendum che consenta a tutti gli abitanti della Palestina – di qualsiasi fede religiosa – e ai palestinesi rifugiati all’estero (compresi quelli in America Latina, Australia e altre parti del mondo) di decidere il loro comune futuro.

 

 

La pianificata espulsione dei palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah

Durante tutto il ramadan, e in particolare dopo il discorso dell’ayatollah Khamenei, a Gerusalemme era palpabile una forte tensione per l’annunciata espulsione di quattro famiglie palestinesi dal quartiere Sheikh Jarrah (2).

 

Dal 1948 Israele espelle, casa dopo casa, i palestinesi di Gerusalemme, in nome di leggi risalenti all’occupazione ottomana, che i britannici e il regime attuale hanno conservato. Una strategia finalizzata ad ammassare i palestinesi in un piccolo quartiere di Gerusalemme Est, Kfar Aqab, isolato dal resto della città da un muro di cemento.

 

Tuttavia, nel caso specifico di queste quattro famiglie, i tribunali si fondano su una legge israeliana che vìola l’accordo di 65 anni fa tra la Giordania (all’epoca gestore questa parte della città) e le Nazioni Unite.

 

Il corso degli avvenimenti dimostra che potenze straniere, quali Stati Uniti, Iran e Turchia, gettano benzina sul fuoco

Non ci sono dubbi sulle future decisioni della Giustizia israeliana, visto che nel 1967 Israele ha unilateralmente proclamato Gerusalemme propria «capitale eterna e indivisibile», in violazione delle risoluzioni dell’ONU.

 

Nella serata di venerdì 7 maggio gli scontri si sono allargati alla spianata delle moschee (Monte del Tempio, secondo la terminologia israeliana). Sono stati ancora più violenti di quelli del 2017.

 

Il sabato successivo ci sono stati scontri anche in Cisgiordania (governata dall’OLP) e alla frontiera di Gaza (governata dai Fratelli Mussulmani di Hamas). Le forze di difesa israeliane (Tsahal) hanno disperso la folla con gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Dopo un lancio di palloncini incendiari e il tiro di un razzo da parte di Hamas su Israele, Tsahal ha risposto distruggendo una postazione militare dei Fratelli Mussulmani nella zona meridionale della Banda di Gaza. Hamas ha chiesto allora ai palestinesi di occupare la spianata sino alla fine del ramadan, giovedì 13 maggio.

 

La Corte suprema israeliana ha rinviato sine die l’udienza sull’espulsione delle quattro famiglie dal quartiere Sheikh Jarrah, prevista per lunedì 10 maggio.

 

Nel messaggio domenicale, papa Francesco ha lanciato un appello per far cessare le violenze a Gerusalemme: «La violenza genera solo violenza. Fermiamo gli scontri».

 

Arabia Saudita, Bahrein, Egitto, Emirati, Iran, Giordania, Marocco, Pakistan, Sudan, Tunisia e Turchia hanno condannato il comportamento di Israele e invitato alla de-escalation.

 

Questo conflitto è diverso dalle guerre che si succedono da 73 anni: potrebbe essere l’inizio d’una guerra civile in Israele

Infine, il Quartetto (Russia, UE, USA e ONU) ha emesso un comunicato in cui afferma di osservare «con seria preoccupazione la possibile espulsione di famiglie palestinesi dal luogo ove vivono da generazioni (…)» manifestando «la propria opposizione ad azioni unilaterali, utili solo a innescare un’escalation di ostilità in una situazione già tesa» (3).

 

 

Verso un conflitto militare

La situazione è repentinamente degenerata in guerra: da lunedì 10 Hamas ha iniziato a tirare razzi contro Israele; Tsahal ha risposto bombardando Gaza con aerei ed elicotteri, ossia con mezzi dieci volte più letali.

 

Tutte le fazioni armate palestinesi sono rapidamente entrate in guerra, a eccezione dell’Autorità Palestinese, che invece ha represso manifestazioni popolari in Cisgiordania.

 

I palestinesi sono privi di democrazia, nonché della Repubblica. Nessuno sa come la pensino. Da 15 anni non ci sono elezioni. L’Autorità Palestinese ha annullato quelle che dovevano aver luogo a maggio perché Israele s’è opposto a che si tenessero anche a Gerusalemme Est.

 

La questione è sapere se si tratta di un incendio spontaneo o deliberatamente appiccato

Martedì 11 il leader di Hamas, Ismael Haniyeh, ha pronunciato un discorso in televisione, collegando la questione di Gerusalemme a quella di Gaza. Ha presentato Al-Quds (Gerusalemme) come il cuore della nazione palestinese. Ha denunciato le espulsioni dal quartiere Sheikh Jarrah, ma, soprattutto, ha presentato gli scontri sulla spianata delle moschee come attacchi degli ebrei alla moschea Al-Aqsa. Una versione menzognera: la polizia israeliana è entrata nella moschea e vi ha lanciato lacrimogeni perché stava inseguendo manifestanti, che legittimamente contestavano l’espulsione delle quattro famiglie da Sheikh Jarrah.

 

Il discorso di Haniyeh ha sorpreso gli israeliani: Hamas non si pone più come forza di resistenza che risponde simbolicamente a Israele, ma come forza che spera d’imporre la fine del lento rosicchiamento dei Territori Palestinesi.

 

È la guerra

Martedì sera Tsahal ha raso al suolo la torre Al-Schourouk (12 piani), nel centro di Gaza, usando bombe penetranti. Nel palazzo aveva sede anche la rete televisiva di Hamas, Al-Aqsa. È stata la risposta d’Israele al messaggio di Haniyeh. Hamas (sostenuto da Turchia e Qatar) e la Jihad Islamica (sostenuta dall’Iran) hanno risposto con una pioggia di razzi su Tel Aviv, ma anche su Ashdod, Ashkelon e fino al confine di Gerusalemme.

 

I palestinesi sono privi di democrazia, nonché della Repubblica. Nessuno sa come la pensino. Da 15 anni non ci sono elezioni. L’Autorità Palestinese ha annullato quelle che dovevano aver luogo a maggio perché Israele s’è opposto a che si tenessero anche a Gerusalemme Est

La distruzione intenzionale di una rete televisiva costituisce crimine di guerra. Si è fatto perciò ricorso alla Corte Penale Internazionale, dichiaratasi competente per i crimini commessi nei Territori Palestinesi.

 

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si è riunito due volte, a porte chiuse, in videoconferenza. Gli Stati Uniti si sono opposti a ogni dichiarazione ufficiale, ritenendola inopportuna a questo stadio e asserendo che l’espulsione delle famiglie palestinesi a Gerusalemme Est è un «affare interno d’Israele»; affermazione contestata da tutti gli altri membri del Consiglio.

 

Quanto alla Lega Araba, ha sostenuto che non si tratta di un contenzioso immobiliare e che soltanto chi ha buona memoria non può essere tratto in inganno.

 

La Russia ha preteso una riunione immediata del Quartetto (Russia, UE, USA e ONU, ricordiamo).

 

In mancanza di una presa di posizione del Consiglio di Sicurezza, quattro Paesi hanno emesso un comunicato congiunto: Francia, Estonia, Irlanda e Norvegia hanno esortato Israele a «cessare le azioni di colonizzazione, demolizione ed espulsione, anche a Gerusalemme Est».

Ci sono stati per la prima volta scontri nelle città a popolazione mista (mussulmani, cristiani ed ebrei), in particolare nel quartiere operaio di Lod, dove un giovane padre di famiglia, mussulmano israeliano, è stato linciato da conterranei ebrei armati

 

Il presidente turco Erdoğan, che rifornisce di armi Hamas, ha denunciato l’immobilismo del Consiglio di Sicurezza ed esortato a «dare una lezione a Israele».

 

Ci sono stati per la prima volta scontri nelle città a popolazione mista (mussulmani, cristiani ed ebrei), in particolare nel quartiere operaio di Lod, dove un giovane padre di famiglia, mussulmano israeliano, è stato linciato da conterranei ebrei armati. Il presidente Reuven Rivlin ha denunciato un pogrom contro i mussulmani. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha condannato con forza il crimine e decretato lo stato di emergenza a Lod. Durante i funerali della vittima, nelle 18 città israeliane a popolazione mista ci sono state scene di guerriglia.

 

Si parla ora non solo di guerra fra israeliani e palestinesi, ma anche di possibile guerra civile in Israele, fra ebrei e non-ebrei (goyim).

 

Gli Stati Uniti hanno moltiplicato i contatti con Israele per esortarlo, senza successo, a una de-escalation. Sembra evidente che Washington, apprestandosi – contro il parere di Tel Aviv e dopo le prossime elezioni presidenziali iraniane e la firma di un nuovo accordo sul nucleare – a riannodare ufficialmente i rapporti con l’Iran, non eserciterà pressioni più pesanti su Israele.

 

Sperando tuttavia di ottenere un qualche risultato, gli Stati Uniti si sono opposti a una terza riunione del Consiglio di Sicurezza in videoconferenza, in modo da guadagnare tempo.

 

Secondo il regolamento, la presidenza a rotazione, svolta questo mese dalla Cina, ha il potere d’imporre riunioni al Consiglio; Pechino però non ha esercitato questa prerogativa.

Si parla ora non solo di guerra fra israeliani e palestinesi, ma anche di possibile guerra civile in Israele, fra ebrei e non-ebrei (goyim)

 

 

Analisi del conflitto

Tutti gli osservatori imparziali sono concordi nel ritenere che la politica israeliana di colonizzazione, demolizione ed espulsione vìoli il Diritto Internazionale e le risoluzioni dell’ONU. Si tratta, di fatto, di conquista territoriale, ancorché non per via militare, ma per mezzo dell’applicazione di una normativa viziata.

 

Netanyahu – figlio del segretario particolare del fondatore del Partito Revisionista, Vladimir Jabotinsky – incarna il progetto di Grande Israele, che si estende dal Nilo all’Eufrate (Eretz Israel). Aderisce a una forma di suprematismo ebraico. Certamente non gode più del sostegno della maggioranza degli israeliani, eppure è ancora primo ministro.

 

Tutti gli osservatori imparziali sono altresì concordi nel ritenere il lancio indiscriminato di razzi su agglomerati urbani un crimine di guerra contro popolazioni civili.

 

A differenza di Al-Fatah, Hamas non contesta la colonizzazione della Palestina, ma solo che una terra mussulmana sia governata da ebrei. La sua posizione è una forma di suprematismo mussulmano. Del resto, questa «sezione palestinese dei Fratelli Mussulmani» (come sino a poco tempo fa proclamava la loro bandiera) è stata creata dallo sceicco Ahmed Yassin, con l’aiuto di Israele, per indebolire Al-Fatah di Yasser Arafat.

 

Netanyahu – figlio del segretario particolare del fondatore del Partito Revisionista, Vladimir Jabotinsky – incarna il progetto di Grande Israele, che si estende dal Nilo all’Eufrate (Eretz Israel). Aderisce a una forma di suprematismo ebraico. Certamente non gode più del sostegno della maggioranza degli israeliani, eppure è ancora primo ministro

Una volta stabilito che Likud e Hamas s’ispirano a ideologie di altri tempi e che entrambi non disdegnano pratiche criminali, non ci sono comunque prospettive di pace che permettano agli uni e agli altri di vivere insieme.

 

Tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite, eccetto Israele, riconoscono il «diritto inalienabile» dei palestinesi, non di rientrare nelle case da cui furono scacciati nel 1948, bensì di ritornare nella propria terra come cittadini a pieno titolo. In questo modo tutti, in teoria, si oppongono alla «soluzione a due Stati», che però gli Occidentali sostengono dal 2007. Alimentando questa contraddizione, gli Occidentali sono responsabili della perpetuazione del conflitto.

 

Gli scontri attuali avvengono tutti nella Palestina geografica, cioè sia nello Stato d’Israele sia nello Stato di Palestina. Ma gli avvenimenti odierni non devono farci dimenticare che i dirigenti palestinesi hanno in passato rinunciato alla rivendicazione di vivere nella propria terra e cercato di conquistare prima la Giordania («Settembre nero»), poi il Libano (la guerra civile), macchiandosi a loro volta di crimini analoghi a quelli degli israeliani e così screditandosi.

 

L’unica soluzione al conflitto è lo Stato bi-nazionale, previsto dalle Nazioni Unite alla fine della seconda guerra mondiale, che metterebbe fine all’apartheid praticato da Israele – come scrisse 15 anni fa il presidente statunitense Jimmy Carter (4) – e garantirebbe ai palestinesi il diritto di ritornare sulla propria terra. Oggi però non ci sono personalità israeliane e palestinesi all’altezza di svolgere ruoli analoghi a quelli di Frederik de Klerk e Nelson Mandela.

 

Del resto, gli scontri intracomunitari di questi giorni nelle città d’Israele a popolazione mista rendono questa soluzione sempre più difficile.

 

Ipotesi esplicativa

È difficile credere che il logoramento dovuto al tempo basti a spiegare gli scontri intercomunitari. Israeliani e palestinesi aspirano a coesistere pacificamente, perlomeno quelli che non militano per il Likud o per Hamas. Formulo perciò un’ipotesi sul futuro della regione che gli strateghi statunitensi chiamano Medio Oriente Allargato.

A differenza di Al-Fatah, Hamas non contesta la colonizzazione della Palestina, ma solo che una terra mussulmana sia governata da ebrei. La sua posizione è una forma di suprematismo mussulmano. Del resto, questa «sezione palestinese dei Fratelli Mussulmani» (come sino a poco tempo fa proclamava la loro bandiera) è stata creata dallo sceicco Ahmed Yassin, con l’aiuto di Israele, per indebolire Al-Fatah di Yasser Arafat

 

L’incidente accaduto il 14 maggio a Giaffa, dove rivoltosi hanno lanciato un cocktail Molotov in una casa araba, ustionando gravemente un bambino di 12 anni, è sospetto.  Ha suscitato nella città un centinaio di azioni contro gli ebrei, cui sono seguite reazioni contro gli arabi.

 

Ebbene, secondo la polizia, l’azione all’origine degli scontri non è stata compiuta da ebrei estremisti, ma da due arabi. Da qui nasce spontanea una domanda: si è trattato di due imbecilli che hanno sbagliato casa, colpendo il proprio campo, o di mercenari che hanno compiuto un attacco sotto falsa bandiera?

 

Dopo l’11 settembre 2001 (fatta eccezione per la parentesi Trump), il Pentagono mette in atto la dottrina Rumsfeld/Cebrowski: adattare le forze armate USA alle esigenze del capitalismo finanziario e della globalizzazione degli scambi. Per cominciare, lo stato-maggiore USA si è posto l’obiettivo di distruggere tutte le strutture statali della regione – salvo quelle di Israele, Libano e Giordania – affinché le multinazionali possano sfruttare le risorse naturali, senza incorrere in ostacoli di ordine politico.

 

Ecco che il processo distruttivo comincia in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Yemen. Le guerre scatenate in questi Paesi ci sono state vendute come «rivoluzioni», ma nessuna lo era. Guerre che dovevano durare qualche settimana, ma mai concluse (la «guerra senza fine»), e che ora vogliono fare passare come «guerre civili». Da due anni il procedimento è stato esteso al Libano. Questa volta però senza il ricorso diretto alle armi. La carta dello stato-maggiore USA pubblicata nel 2005 è stata quindi modificata. È perciò legittimo ipotizzare che una simile calamità possa allargarsi a Israele.

 

Secondo l’ammiraglio Arthur Cebrowski, la maggiore difficoltà nel mettere in atto la sua dottrina è circoscrivere l’incendio. Per questo motivo ha concepito la regione del Medio Oriente Allargato basandosi non sulle sue risorse, ma sulla cultura dei suoi abitanti. È allora plausibile che si possano mandare all’aria tutti gli Stati della regione – siano essi governati da amici o da nemici – preservando però la Palestina geografica?

 

Una volta stabilito che Likud e Hamas s’ispirano a ideologie di altri tempi e che entrambi non disdegnano pratiche criminali, non ci sono comunque prospettive di pace che permettano agli uni e agli altri di vivere insieme

L’ipotesi regge con due varianti: nella prima, la contaminazione d’Israele è opera degli abitanti della regione, mossi dalle loro passioni; nella seconda, Israele viene contagiato per volontà del Pentagono. In ogni caso, se il seguito degli eventi confermerà l’ipotesi, quello che oggi accade modifica la natura del conflitto e lo prolunga all’infinito.

 

Il Pentagono si oppose alla politica estera del presidente Trump. Alcuni generali si sono persino rallegrati di averlo tradito e di aver fatto fallire il ritiro delle truppe USA dalla Siria. Non hanno digerito che questo Paese sfuggisse al loro controllo e passasse sotto la protezione della Russia. In Libano riattivarono la dottrina Rumsfeld/Cebrowski, contro il parere del presidente Trump, sfruttando le rivalità interne ed evitando di impiegare apertamente truppe USA.

 

Negli Stati Uniti, il Partito Democratico sta passando a una posizione anti-israeliana, sotto l’influenza del gruppo di Rashida Tlaib, Ilhan Omar, Cori Bush, Ayanna Pressley e Alexandria Ocasio-Cortez.

 

Il Pentagono, che dal 2001 ritiene Israele un alleato troppo indipendente per i propri gusti, troverebbe la rivincita nella sua distruzione

Il Pentagono, che dal 2001 ritiene Israele un alleato troppo indipendente per i propri gusti, troverebbe la rivincita nella sua distruzione.

 

In pochi giorni, e stranamente dopo il bombardamento degli uffici dell’Associated Press a Gaza, la stampa statunitense è passata da filo-israeliana a filo-palestinese; un cambiamento talmente repentino da far riflettere.

 

 

Thierry Meyssan

 

In pochi giorni, e stranamente dopo il bombardamento degli uffici dell’Associated Press a Gaza, la stampa statunitense è passata da filo-israeliana a filo-palestinese; un cambiamento talmente repentino da far riflettere

 

 

 

NOTE

1) «Speech by Ali Khamenei on the occasion of the International Al Quds Day», by Ali Khamenei, Voltaire Network, 7 maggio 2021,

2) Lo sceicco Jarrah («il chirurgo») fu, a fianco del rabbino Mosè Maimonide, uno dei medici del kurdo Saladino il Magnifico, che sottrasse Gerusalemme ai crociati.

3) «Joint statement of the Middle East Quartet on the situation in East Jerusalem», Voltaire Network, 9 maggio 2021.

4) Palestine: Peace Not Apartheid, Jimmy Carter, Simon & Schuster (2006).

 

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

 

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Geopolitica

Ancora botte dentro e fuori il Parlamento della Georgia. Ma la legge sugli «agenti stranieri» passa

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Mercoledì i deputati georgiani si sono scontrati in parlamento in vista della sessione plenaria in cui verrà deciso il destino di un controverso disegno di legge sugli «agenti stranieri» che ha scatenato violente proteste.

 

La legislazione, ufficialmente nota come disegno di legge «Sulla trasparenza dell’influenza straniera», è una nuova versione di un disegno di legge simile proposto lo scorso anno dal partito al potere K’art’uli Ots’neba, «Sogno Georgiano», che richiede alle organizzazioni e agli individui con più del 20% di finanziamenti esteri di registrarsi come «agenti stranieri» e rivelare i propri donatori.

 

Il disegno di legge è stato ripresentato in parlamento con piccole modifiche all’inizio del mese scorso, e da allora è stato approvato in due letture. L’opposizione considera la legislazione autoritaria e si oppone fermamente ad essa.

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Mercoledì un video pubblicato online dalla deputata dell’opposizione Salome Samadashvili mostrava diversi suoi colleghi che si afferravano e urlavano nella sala conferenze principale del parlamento. Non è chiaro cosa si sia detto esattamente durante l’alterco, ma si può sentire una voce che grida «istigatore!», secondo quanto riportato da RT.

 

La stessa Samadashvili non sembra aver preso parte all’alterco ma, secondo quanto riportato dai media, le è stato successivamente chiesto di lasciare la sessione plenaria.

 


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Si tratta del secondo incidente questa settimana in cui le discussioni parlamentari sulla nuova legislazione sono diventate violente. Lunedì la deputata dell’opposizione Khatia Dekanoidze ha colpito con una bottiglia d’acqua Guram Macharashvili, un deputato del partito al governo.

 

Due settimane prima, in un’altra sessione dedicata al disegno di legge era scoppiata una rissa dopo che il deputato dell’opposizione Aleko Elisashvili aveva dato un pugno in faccia a Mamuka Mdinaradze, un forte sostenitore della legislazione.

 

La proposta di legge ha scatenato proteste di massa anche fuori dal parlamento. I filmati girati negli ultimi giorni mostrano manifestanti dell’opposizione che si scontrano con agenti di polizia, che vengono visti usare spray al peperoncino, gas lacrimogeni e idranti per disperdere la folla.

 

Gli stati occidentali, inclusi Stati Uniti e Unione Europea, hanno criticato la proposta di legge, sostenendo che complicherebbe il lavoro di molte ONG straniere nel paese. Bruxelles ha persino avvertito la Georgia, alla quale è stato recentemente concesso lo status di candidata all’UE, che l’adozione della legislazione potrebbe mettere a repentaglio la candidatura del paese all’adesione.

 

Tuttavia, la scorsa settimana il primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze ha insistito sul fatto che il disegno di legge è una «condizione necessaria per andare avanti» nel percorso verso l’adesione all’UE perché renderebbe la Georgia più trasparente.

 

Ieri il Parlamento georgiano ha approvato la seconda lettura del disegno di legge. Il ministero della Sanità georgiano, in un bollettino citato dai media georgiani, ha detto che 11 persone, tra cui sei agenti di polizia, hanno ricevuto cure ospedaliere dopo gli scontri seguiti all’approvazione del disegno di legge.

 


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Il vice ministro dell’Interno Aleksandre Darakhvelidze, citato dai media georgiani, ha affermato che i manifestanti hanno tentato di entrare in parlamento utilizzando vari oggetti e hanno attaccato i poliziotti. Darakhvelidze ha detto che l’azione della polizia martedì ha provocato 63 arresti e il ferimento di sei agenti di polizia.

 

La Georgia ad inizio degli anni 2000 è stata teatro di una «rivoluzione colorata», la cosiddetta «rivoluzione delle rose», guidata da Mikheil Saakashvili, personaggio politico ora in carcere, dopo essere fuggito in Ucraina dove il presidente Poroshenko lo aveva fatto governatore dell‘oblast’ di Odessa.

 

Secondo quanto riportato, all’epoca l’Open Society Institute (OSI), finanziato da George Soros, sosteneva Mikheil Saakashvili e una rete di organizzazioni filo-democratiche. L’OSI ha inoltre pagato un certo numero di studenti attivisti affinché andassero in Serbia e imparassero dai serbi che avevano contribuito a rovesciare Slobodan Milosevic nel 2000.I promotori della democrazia occidentale hanno anche diffuso sondaggi di opinione pubblica e analizzato i dati elettorali in tutta la Georgia.

 

Una significativa fonte di finanziamento per la Rivoluzione delle Rose fu quindi la rete di fondazioni e ONG associate al finanziere miliardario ungherese-americano George Soros. La Fondazione per la Difesa delle Democrazie riporta il caso di un ex parlamentare georgiano che ha sostenuto che nei tre mesi precedenti la Rivoluzione delle Rose, «Soros ha speso 42 milioni di dollari per rovesciare Shevardnadze».

 

«Queste istituzioni sono state la culla della democratizzazione, in particolare la Fondazione Soros… tutte le ONG che gravitano attorno alla Fondazione Soros hanno innegabilmente portato avanti la rivoluzione. Tuttavia, non si può concludere la propria analisi solo con la rivoluzione e si vede chiaramente che, in seguito, la Fondazione Soros e le ONG sono state integrate al potere» ha dichiarato alla rivista dell’Istituto Francese per la Geopolitica Herodote l’ex ministro degli Esteri Salomé Zourabichvili, ora presidente della Georgia.

 

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Geopolitica

I palestinesi cacciano via l’ambasciatore tedesco

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L’ambasciatore tedesco presso l’Autorità Palestinese è stato braccato da una folla inferocita e costretto a fuggire durante una visita all’Università di Birzeit in Cisgiordania. Lo riporta RT.   I media riferiscono che gli studenti hanno preso di mira il diplomatico a causa del sostegno del suo paese a Israele nella guerra contro Hamas.   Un video dell’incidente pubblicato sui social media mostra l’ambasciatore Oliver Owcza che cammina velocemente verso il suo veicolo mentre i manifestanti lo seguono e lo disturbano martedì. Un’altra clip mostra una folla che circonda e prende a calci l’auto di Owcza, strappa uno specchietto laterale e lancia oggetti mentre si allontana.   Owcza faceva parte di un gruppo di inviati europei che sono stati «attaccati» mentre partecipavano a un incontro al Museo Nazionale Palestinese, situato nel campus dell’Università Birzeit a nord di Ramallah, secondo il Jerusalem Post. Diversi veicoli del corteo degli ambasciatori sono rimasti danneggiati, compreso almeno uno con il finestrino posteriore rotto.  

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Un diplomatico ha detto a Reuters che una folla è apparsa fuori dall’incontro, chiedendo che gli inviati se ne andassero, e che i tentativi di parlare con i manifestanti non hanno avuto successo e che i visitatori sono dovuti fuggire. Nessuno è rimasto ferito o minacciato gravemente, ha aggiunto.   La Germania ha storicamente sostenuto Israele politicamente e militarmente. L’esercito israeliano acquista gran parte dei suoi armamenti da Berlino, scrive RT. Tuttavia, i leader tedeschi sono stati critici nei confronti delle politiche israeliane e hanno donato oltre 1 miliardo di euro (1,07 miliardi di dollari) in aiuti all’Autorità Palestinese, sostenendo i diritti dei palestinesi e hanno spinto per un accordo di pace a due Stati.   Amr Kayed, uno studente dell’Università di Birzeit, avrebbe affermato che i diplomatici dell’UE sono stati costretti ad andarsene perché «chiunque sia complice del genocidio e dell’offensiva su Gaza» non è il benvenuto a scuola.   L’ambasciatore Owcza ha minimizzato l’incidente, affermando in un post su X (ex Twitter) che Jla protesta pacifica e il dialogo hanno sempre il loro posto» e aggiungendo che «ci rammarichiamo che l’incontro di oggi dei capi missione dell’UE presso il Museo Nazionale di Birzeit sia stato indebitamente interrotto dai manifestanti. Ciononostante, rimaniamo impegnati a lavorare in modo costruttivo con i nostri partner palestinesi».   Come riportato da Renovatio 21, ad inizio mese il Nicaragua ha portato la Germania davanti alla Corte Internazionale per complicità nel genocidio di Gaza.   La complicità europea è stata sottolineata dall’eurodeputata irlandese Clare Daly che ha apostrofato la presidente della Commissione Europea, la tedesca Ursula Von der Leyen, come «frau genocidio».   La complicità europea è stata sottolineata dall’eurodeputata irlandese Clare Daly che ha apostrofato la presidente della Commissione Europea, la tedesca Ursula Von der Leyen, come «frau genocidio».

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Geopolitica

Dopo l’incidente d’auto, il ministro israeliano Ben Gvir si è già ripreso e minaccia di far cascare Netanyahu se non entra a Rafah

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Quattro giorni fa il veicolo del ministro della sicurezza nazionale di Israele, Itamar Ben Gvir, è stato coinvolto in un incidente stradale nella città di Ramla. Le prime immagini dell’accaduto sono circolate su Internet attraverso un video che segue. Secondo le informazioni disponibili, sembra che il leader del partito ultrasionista Otzma Yehudit sia stato trasportato in ospedale immediatamente dopo l’incidente.

 

Testimoni oculari hanno riferito che il ministro è passato con un semaforo rosso, mentre la polizia ha dichiarato che due veicoli sono coinvolti nella collisione e che tre persone, insieme a Ben Gvir, sono state portate in ospedale con ferite lievi. Le immagini dell’incidente mostrano il veicolo ufficiale del ministro ribaltato, mentre un’altra auto ha subito danni alla parte anteriore. Le autorità stanno lavorando per determinare la causa dell’incidente.

 

Il reporter del canale 12, Amit Segal, ha raccontato di un testimone che ha visto il veicolo di Ben Gvir passare con il semaforo rosso. Segal ha anche riportato che negli ultimi mesi il veicolo ufficiale del ministro ha commesso diverse violazioni del codice della strada.

 


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Come riportato da Renovatio 21, il sionismo oltranzista del Ben Gvir è di tale intensità da spingerlo addirittura ad attaccare Washington, dichiarando che Israele «non è un’altra stella sulla bandiera americana». Una frase che risulta inaudita per i rapporti tra lo Stato Ebraico e la superpotenza sua protettrice.

 

Le speculazioni su un possibile attentato si spengono presto davanti allo stuolo di precedenti che ha il caso. Lo scorso agosto, il Ben Gvir era stato coinvolto in un altro incidente dovuto alla violazione di un semaforo mentre si dirigeva verso un’intervista. I media israeliani hanno anche riferito che il ministro avrebbe dato istruzioni al suo autista per violare regolarmente le norme del traffico.

 

Secondo quanto riportato, tuttavia, la polizia israeliana non gli avrebbe fatto la multa.

 

Ad ogni modo, nonostante l’ulteriore terrificante incidente, il ministro, dopo due giorni di convalescenza all’ospedale Hadassah pare tornato in sé con grande velocità, con tweet molto eloquenti riguardo la tenuta del governo Netanyahu.

 

Per esempio, il nostro ripete, commentando con la parola «promemoria», un tweet dello scorso gennaio: «Accordo promiscuo = scioglimento del governo».

 

 

L’Itamar, dimesso, ha già chiesto ed ottenuto un incontro con il premier Netanyahu in cui ha preteso l’invasione di Rafah.

 

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«Ho terminato un incontro con il Primo Ministro su mia richiesta» dice il ministro Ben Gvirro nel video pubblicato su X. «Ho avvertito il Primo Ministro se Dio non voglia che Israele non entri a Rafah, se Dio non voglia che finiamo la guerra, se Dio non voglia che ci sarà un accordo promiscuo».

 

La richiesta, pura è semplice, è per la continuazione della guerra che altrove definiscono, con sempre maggiore frequenza, «genocidio».

 

«Il Primo Ministro ha ascoltato le parole, ha promesso che Israele entrerà a Rafah, ha promesso che la guerra non sarebbe finita e ha promesso che non ci sarebbero stati accordi dissoluti» dichiara il ministro sionista, che sembra alludere ancora una volta la sua capacità di far cascare l’esecutivo retto dal Bibi. «Accolgo con favore queste cose. Penso che il Primo Ministro capisca molto bene cosa significherebbe se queste cose non si verificassero».

 

A marzo il Ben Gvir aveva sollecitato il ministro della Difesa Yoav Gallant a dichiarare guerra al Libano. «Gallant, l’esercito è sotto la tua responsabilità, cosa stai aspettando? Più di 100 razzi sono stati lanciati contro lo Stato di Israele e tu stai seduto in silenzio?» aveva detto in un video condiviso sul suo account sui social media. Ben-Gvir esortava ad attaccare il Libano, dicendo, come riporta il canale di Stato turco TRT: «cominciamo a rispondere, ad attaccare e a combattere ora».

 

Il ministro Itamar Ben Gvir appartiene al partito sionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») è associato al movimento erede del partito Kach, poi dissolto da leggi anti-terroriste varate dal governo Rabin nel 1994, fondato dal rabbino americano Mehir Kahane.

 

Kach è nella lista ufficiale delle organizzazioni terroristiche di USA, Canada e, fino al 2010, su quella del Consiglio dell’Unione Europea. Il Kahane fu assassinato in un vicolo di Nuova York nel 1990, tuttavia le sue idee permangono nel sionismo politico, in primis l’idea di per cui tutti gli arabi devono lasciare Eretz Israel, la Terra di Israele.

 

Come riportato da Renovatio 21, il ritorno al potere Netanyahu è dovuto al boom del partito sionista Otzma Yehudit. Il ministro del patrimonio culturale Amichai Eliyahu, che appartiene al partito sionista, ha dichiarato la disponibilità di nuclearizzare la Striscia di Gaza.

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Il Ben Gvir da ministro l’anno scorso ha vietato le bandiere palestinesi, mentre quest’anno un altro membro del partito ha minimizzato riguardo gli sputi degli ebrei contro i pellegrini cristiani (un’«antica tradizione ebraica»), mentre sul territorio si moltiplicano gli attacchi e le profanazioni ai danni dei cristiani e dei loro luoghi in Terra Santa.

 

Come riportato da Renovatio 21, in un altro editoriale Haaretz scriveva che «il governo di Netanyahu è tutt’altro che conservatore. È un governo rivoluzionario, di destra, radicale, messianico che ha portato avanti un colpo di Stato e sogna di annettere i territori».

 

Il Ben Gvir era tra i relatori del grande convegno sulla colonizzazione ebraica di Gaza, celebrato con balli sfrenati su musica tunza-tunza.

 


Il messianismo sionista si basa sulla teoria apocalittica del Terzo Tempio, che ha diversi sostenitori anche nel protestantesimo americano.

 

Tali idee religiose sulla fine del mondo sono riaffiorate poche settimane fa quando un gruppo sionista ha domandato di portare sulla spianata delle Moschee – cioè il Monte del Tempio degli ebrei – una giovenca rossa, che, sacrificata come prescritto nei Libro dei numeri, darebbe ceneri con cui purificare i rabbini necessari ai riti per la venuta del messia degli ebrei, che per i cristiani, secondo varie vulgate, sarebbe esattamente l’anticristo.

 

Come riportato da Renovatio 21, anche la settimana scorsa alcuni giovani ebrei sono stati arrestati mentre tentavano di trafugare sul Monte del tempio alcuni capretti da offrire in sacrificio, un atto che è sia una provocazione nei confronti dei palestinesi musulmani, sia un procedimento inserito all’interno di un sistema di riti apocalittici.

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Immagine screenshot da YouTube

 

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