Geopolitica
Il significato delle tensioni in Kosovo: Europa distrutta nella nuova guerra NATO per difendere il mondo-Clinton

Le tensioni in Kosovo stanno salendo alle stelle. La popolazione serba del Kosovo settentrionale ha protestato contro l’obbligo di ottenere le targhe kosovare.
Gli scontri con la polizia hanno portato alla chiusura di due valichi di frontiera con la Serbia, da cui il Kosovo ha dichiarato la propria indipendenza nel 2008.
Oltre 100 nazioni riconoscono l’indipendenza del Kosovo, escluse le Nazioni Unite, la Russia, la Cina, l’India e la Serbia.
La Kosovo Force (KFOR) della NATO ha emesso un comunicato stampa in cui afferma che «la KFOR è pronta a intervenire se la stabilità è compromessa nel nord del Kosovo» e che, in linea con il suo mandato ai sensi della risoluzione ONU 1244 del 1999, «adotterà tutte le misure necessario per mantenere un ambiente sicuro e protetto in Kosovo in ogni momento».
In pratica, si tratta dell’occasione d’oro per far sparare i cannoni NATO, che in Ucraina uccidono solo per interposto Stato-fantoccio.
Un’occasione d’oro, in realtà, per farsi attaccare. Gridare al lupo una volte per tutte, e cominciare la guerra totale contro la Russia e i suoi alleati – cioè la nuova guerra europea.
La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha commentato a Telegram che «La decisione delle “autorità” di Pristina di avviare dal 1 agosto l’applicazione di “regole” discriminatorie irragionevoli sulla sostituzione forzata dei documenti personali e delle targhe dei serbi locali è un altro passo verso l’espulsione della popolazione serba dal Kosovo, lo spostamento delle istituzioni serbe del Kosovo che garantiscono la protezione dei diritti dei residenti serbi (…) I leader kosovari sanno che i serbi non rimarranno indifferenti quando si tratta di un attacco diretto alle loro libertà , e si intensificano deliberatamente per lanciare uno scenario militare».
«Chiediamo a Pristina, agli Stati Uniti e all’UE dietro di essa di fermare le provocazioni e di rispettare i diritti dei serbi in Kosovo», ha chiesto la portavoce russa. «Questo sviluppo degli eventi è l’ennesima prova del fallimento della missione di mediazione dell’Europa Unione. Questo è anche un esempio del modo a cui si è preparata la Serbia nell’Unione Europea offrendo a Belgrado di sopportare de facto la mancanza di diritti dei suoi connazionali».
È vero: come riportato da Renovatio 21, il cancelliere tedesco Scholz, che ha visitato Belgrado due mesi fa, ha detto alla Serbia di riconoscere il Kosovo oppure di dimenticarsi di entrare a Bruxelles.
Critiche pesanti all’operato di Pristina parrebbero arrivare anche da ufficiali USA. L’ex inviato degli Stati Uniti per il dialogo Belgrado-Pristina Richard Grenell ha affermato che il primo ministro del Kosovo Albin Kurti «non è un buon leader per il popolo del Kosovo».
L’ex diplomatico dell’amministrazione Trump ha affermato che una cosa del genere non sarebbe mai potuta accadere mentre Trump era presidente, che sarebbero stati organizzati incontri di alto livello e sarebbero stati inviati messaggi forti e chiari. Come noto, in Kosovo esiste persino un lago che hanno ribattezzato Lago Trump.
Grenell, ex ambasciatore di Trump a Berlino, è stato il primo omosessuale dichiarato a servire al Direttorato dell’Intelligence Nazionale USA. Le sue parole vanno interpretate nell’ottica di un endorsement al vecchio regime di Pristina, quello di Hashim Thaci, l’albanese accusato di traffico di organi caro alla diplomazia americana sin dai tempi di Clinton e della recentemente defunta Madeleine Albright (che gli era particolarmente affezionata).
Come noto, la Serbia è un candidato per l’adesione all’UE, ma Vucic ha espresso in questi mesi il fatto che mai sarà un candidato NATO, perché Belgrado ricorda i bombardamenti atlantici del 1999, che oltre che uccidere la popolazione serba, spianarono con la violenza la strada alla creazione del Kosovo albanese indipendente.
Bisogna leggere le attuali tensioni alla luce degli eventi delle ultime settimane.
Come riporta to da Renovatio 21, la visita del ministro degli Esteri russo Lavrov al riconfermato presidente serbo Vucic è stata accolta da isteria diplomatica da parte di UE e USA al limite dello scandaloso.
È decisamente degno di nota il fatto che il 26 luglio il presidente e primo Ministro del Kosovo si sono incontrati con il Segretario di Stato Blinken a Washington.
Dobbiamo anche ricordare la misteriosa consegna aerea di armi cinesi a Belgrado di pochi mesi fa.
Vladimir Putin aveva ammonito del fatto che l’Europa sarebbe stata trascinata in una nuova guerra nel suo territorio senza nemmeno che se ne accorgesse. Una guerra che, qualora divenisse nucleare, sarebbe stata «senza vincitori», aveva detto l’uomo del Cremlino. Il che significa: distruzione termonucleare del Vecchio Continente. Non è escluso che ciò sia un fine di qualche demonio sommerso nelle profondità delle politiche americane – è noto che la dottrina neocon prevede la neutralizzazione dei possibili rivali degli USA, a partire dall’Europa.
Il Kosovo è quindi il secondo flashpoint di questa guerra di distruzione europea incipiente.
Chi osserva queste ultime decadi non può non notarlo: l’Ucraina, il Kosovo sono battaglie che la NATO combatte per salvare la sua globalizzazione oramai sfinita. Essi sono, letteralmente, Stati creati dai Clinton. Essi sono concrezioni del progetto del mondo-Clinton.
Lo sforzo del presidente Clinton nella creazione dell’Ucraina moderna, con tanto delle regole nucleari del memorandum di Budapest, sono storia, così come la guerra assassina contro Milosevic che ha portato alla formazione di un para-stato albanese in territorio serbo, con a capo un miliziano accusato in sede europea di traffico di organi.
Si tratta di un vero Ordine mondiale creato negli anni Novanta tramite Bill Clinton (allievo dello storico del potere mondiale occulto angloide Carrol Quigley) e sua moglie, che ha continuato come ha potuto il disegno da Segretario di Stato per Obama, colpendo la Libia per distruggere la Siria armando terroristi tagliagole e inondando l’Europa di infinite masse africane.
Il mediterraneo in fiamme. L’Europa destabilizzata. Il Medio Oriente balcanizzato. I cancelli della Russia che esplodono.
Ora, quel pensiero, quel sistema, quel mondo, sono entrati in crisi irreversibile dopo l’Operazione speciale russa in Ucraina.
Il lettore capisca dunque la posta in palio in Ucraina, in Kosovo e a breve anche a Taiwan: si tratta, nientemeno, del dominio mondiale, dispiegato secondo la sua architettura segreta stabilita tanto tempo fa.
La NATO per difendere questo disegno antico è disposta alla guerra totale, alla distruzione dell’Europa. Sempre, ribadiamo, che non sia quello il fine di tutto questo.
Cioè: la vostra distruzione. Cioè l’attimo in cui diverrete cenere atomica assieme ai vostri figli.
Roberto Dal Bosco
Geopolitica
La Von der Leyen lancia un ultimatum alla Serbia

La Serbia non potrà entrare nell’UE senza un pieno allineamento alla politica estera del blocco, incluse tutte le sanzioni contro la Russia, ha dichiarato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
La Serbia, che ha richiesto l’adesione all’UE nel 2009 e ha ottenuto lo status di paese candidato nel 2012, è tra i pochi stati europei a non aver imposto restrizioni a Mosca. Belgrado ha sottolineato i suoi storici legami con la Russia e la dipendenza dalle sue forniture energetiche.
Mercoledì, durante una conferenza stampa a Belgrado accanto al presidente serbo Aleksandar Vucic, von der Leyen ha ribadito che la Serbia deve compiere «passi concreti» verso l’adesione e mostrare un «maggiore allineamento» con le posizioni dell’UE, incluse le sanzioni, evidenziando che l’attuale livello di conformità della Serbia alla politica estera dell’UE è del 61%, ma ha insistito che «serve fare di più», sottolineando il desiderio di Bruxelles di vedere Belgrado come un «partner affidabile».
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Vucic ha più volte dichiarato che la Serbia non imporrà sanzioni alla Russia, definendo la sua posizione «indipendente e sovrana». Tuttavia, il rifiuto di Belgrado ha attirato crescenti pressioni da parte di Bruxelles e Washington.
La settimana scorsa, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alla Petroleum Industry of Serbia (NIS), parzialmente controllata dalla russa Gazprom Neft, spingendo la Croazia a interrompere le forniture di greggio. Vucic ha avvertito che tali misure potrebbero portare alla chiusura dell’unica raffineria petrolifera serba entro novembre, mettendo a rischio l’approvvigionamento di benzina e carburante per aerei.
Come riportato da Renovatio 21, proteste sempre più violente si susseguono nel Paese, che Belgrado attribuisce a influenze occidentali volte a destabilizzare il governo.
Le proteste hanno già portato alle dimissioni del primo ministro Milos Vucevic e all’arresto di diversi funzionari, tra cui un ex ministro del Commercio, con l’accusa di corruzione.
Il presidente Aleksandar Vucic ha affermato che i disordini sono stati fomentati dall’estero e ha denunciato quella che ha definito «violenza mascherata da attivismo»: «mancano pochi giorni prima che inizino a uccidere per le strade» aveva detto lo scorso agosto davanti all’ennesima ondata di proteste violente.
Come riportato da Renovatio 21, le grandi manifestazioni contro Vucic di marzo erano seguite la visita pubblica del figlio del presidente USA Don Trump jr. al premier di Belgrado.
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Come riportato da Renovatio 21, lo scorso mese il servizio di Intelligence estero russo (SVR) ha sostenuto che l’UE starebbe cercando di orchestrare un «Maidan serbo» per insediare un governo filo-Bruxelles. Belgrado nel dicembre 2023 produsse evidenti segni di «maidanizzazione» in corso. Già allora presidente serbo accusò le potenze occidentali di tentare di «ricattare» la Serbia affinché sostenga le sanzioni e di tentare di orchestrare una «rivoluzione colorata» – una sorta di Maidan belgradese –contro il suo governo a dicembre.
Vucic giorni fa ha accusato le potenze occidentali di aver cercato di orchestrare il suo rovesciamento. In un’intervista su Pink TV trasmessa lunedì, il presidente serbo aveva affermato che le «potenze straniere» hanno speso circa 3 miliardi di euro nell’ultimo decennio nel tentativo di estrometterlo dal potere.
Come riportato da Renovatio 21, il ministro degli Esteri Pietro Szijjarto ha dichiarato che l’Unione Europea sta tentando di rovesciare i governi di Ungheria, Slovacchia e Serbia perché danno priorità agli interessi nazionali rispetto all’allineamento con Bruxelles.
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Immagine di © European Union, 2025 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Geopolitica
Pakistan e Afghanistan concordano il cessate il fuoco

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Geopolitica
Israele accusa Hamas di aver restituito il corpo sbagliato

Uno dei corpi restituiti martedì da Hamas non appartiene a nessuno degli ostaggi tenuti prigionieri dal gruppo armato palestinese a Gaza, hanno affermato le Forze di difesa israeliane (IDF).
Lunedì Hamas ha liberato gli ultimi 20 ostaggi israeliani ancora in vita in cambio del rilascio di quasi 2.000 prigionieri palestinesi, nell’ambito di un accordo mediato da Stati Uniti, Qatar, Egitto e Turchia. Martedì, il gruppo ha iniziato a consegnare i cadaveri dei prigionieri deceduti a Israele, restituendone sette in due lotti tramite la Croce Rossa.
Tuttavia, le IDF hanno dichiarato mercoledì in una dichiarazione su X che un esame presso l’istituto forense Abu Kabir ha rivelato che uno dei quattro corpi del secondo lotto «non appartiene a nessuno degli ostaggi». Si ritiene che i resti appartengano a un palestinese, hanno aggiunto.
🟡Following the completion of examinations at the National Institute of Forensic Medicine, the fourth body handed over to Israel by Hamas does not match any of the hostages.
Hamas is required to make all necessary efforts to return the deceased hostages.
— Israel Defense Forces (@IDF) October 15, 2025
Gli altri tre corpi sono stati confermati come appartenenti ai prigionieri. Sono stati identificati come il sergente maggiore Tamir Nimrodi, 18 anni, Uriel Baruch, 35 anni, ed Eitan Levy, 53 anni, si legge nel comunicato.
Il capo di stato maggiore delle IDF, tenente generale Eyal Zamir, ha dichiarato in precedenza che Israele «non avrà pace finché non restituiremo tutti [gli ostaggi]. Questo è il nostro dovere morale, nazionale ed ebraico». Hamas detiene ancora i corpi di 21 prigionieri deceduti.
Questa settimana, rifugiati palestinesi e combattenti di Hamas sono tornati a Gaza City e in altre aree dell’enclave, dopo il ritiro parziale delle forze dell’IDF, in linea con l’accordo. A Gaza sono stati segnalati scontri sporadici tra Hamas e fazioni rivali.
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Immagine di Chenspec via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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