Gender
Il «Media Event» antipatriarcale

Non si sa bene che reazione avere davanti all’ultima circolare del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara che invita le scuole all’approfondimento del pensiero di Gino Cecchettin, il padre della ragazza veneta uccisa e divenuta simbolo della lotta al «patriarcato» e alla violenza contro le donne che del patriarcato sarebbe figlia.
Il suo discorso alle esequie, scrive il ministro, «risuona come un’esemplare lezione di educazione civica rivolta al Paese».
Nel frattempo, il ministro Valditara stesso, di concerto con i colleghi delle Pari Opportunità (Roccella) e della Cultura (Sangiuliano), prepara i programmi di «educazione alle relazioni» da distribuire nelle scuole di ogni ordine e grado – programmi mirati a sradicare il «maschilismo residuo nella società italiana» e la «mentalità machista» che ancora la pervade – sotto la accorta regia di una signora che di maschi se ne intende perché ha sposato un’altra donna, e che comunque avrà come collaboratrice una suora.
E così in tutte le scuole, per la modica cifra di 15 milioni di euro, si rifletterà in gruppo non sul gender – assicura il ministro – no, ma sul noto copione incentrato sui temi della percezione di genere, degli stereotipi, del rispetto dell’altro, del rispetto universale e così via (cioè sul gender). Il progetto vedrà anche il sostegno del Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi, quello che ha appena riformato il proprio codice deontologico modificando unilateralmente la disciplina del consenso informato (nel senso che lo psicologo stesso, scavalcando la volontà del paziente o dei genitori se questi è minorenne, può procurarsi dalla autorità giudiziaria l’autorizzazione a praticare un trattamento psicologico) e quella del segreto professionale.
Come dire, tutto è pronto per esautorare in via definitiva la famiglia, o quel che ne rimane.
Dobbiamo ammettere che una cosa così non l’avevamo mai vista, nemmeno negli incubi. E sì che fatti di cronaca nera, anche molto simbolici, con i loro funerali e le loro famiglie piene di dolore, ce ne sono stati tanti. Abbiamo visto giudici (e le loro scorte), ammazzati dalla mafia. Abbiamo visto una madre e il suo bambino trucidati dalla figlia e dal suo fidanzatino – e possiamo immaginare lo strazio infinito del padre sopravvissuto. Abbiamo visto bambini trucidati a badilate da balordi. Studentesse fatte a pezzi a ridosso di Halloween, ragazze trovate dissanguate in casa. Eppure, nessuno di questi casi è divenuto una circolare ministeriale (forse perché tra l’altro, nonostante tutto, qualcuno aveva ancora una vaga percezione di cosa sia la scuola e di quale sia il compito che le spetta).
Dietro all’orrore, e alla tragedia famigliare che sempre con esso si schiude, regnava – pur nella morbosità dei tabloid e dei plastici di Porta a Porta – come un filtro di discrezione nei confronti delle famiglie, quasi che si fosse incapaci, e un po’ vergognosi, di offrire in pasto al pubblico il volto del dolore. C’era un freno morale che impediva di dare parole all’indicibile, alla pena senza fondo di perdere un figlio, un padre, una madre, una figlia. C’era la compassione, c’era il pudore di fronte alla morte e il silenzio davanti alla sua sacralità. Vogliamo chiamarlo rispetto? Un altro modo di intenderlo, ecco.
Stavolta, con evidenza, è diverso.
Le autorità hanno organizzato il funerale della vittima nei minimi dettagli, megaschermi compresi, come si fa per un vero e proprio funerale di Stato. Ma più ancora di un funerale di Stato, sarebbe giusto – rispolverando un vecchio concetto sociologico – parlare di «Media Event». I sociologi israeliani Daniel Dayan e Elihu Katz avevano studiato come i grandi eventi propagati dai media fossero in grado di sconvolgere la routine di masse immense. Allora si perde la distinzione tra notizia ed evento storico, e l’evento mediatizzato diventa un segno indelebile nella cultura e nell’immaginario collettivo. Lo sbarco sulla luna, i funerali di Kennedy, le nozze dei principi Carlo e Diana – l’11 settembre, se volete.
Pare di assistere precisamente a questo: a un grande spartiacque piazzato nella storia dell’Italia, nelle nostre vite, soprattutto nelle vite dei nostri figli che non se ne accorgono perché mancano, per ragioni anagrafiche, di termini di paragone. Lo ha intuito persino Aldo Cazzullo, firma di punta del Corriere. «Un tornante nella storia: perché l’assassinio di Giulia, e il discorso del padre, hanno cambiato le cose» è il titolo del suo editoriale.
Come dire, quando nel futuro si guarderà al momento in cui l’Italia è stata genderizzata senza più alcuna possibilità di fuga, ci ricorderemo quei funerali, l’eulogio del padre (e forse anche i libri della nonna, i sermoni, e le felpe, della sorella, etc.).
È impossibile non capire come la macchina imponente che era già preparata col motore acceso per la circostanza porti a destinazione e a compimento tutta la strisciante propaganda gender che era già stata infilata nelle leggi italiane (107/2015: la «Buona Scuola»), nei processi strategici come nei corsi di aggiornamento (di insegnanti, giornalisti, avvocati…) e perfino nella traduzione della Costituzione Italiana, dove la parola sex – si è scoperto – era stata da manina ignota sostituita con la parola gender, esattamente come accadde qualche decennio prima nelle convenzioni dell’ONU.
In pratica, quello che le «sinistre» non erano riuscite a concludere, lo sta facendo il governo della «destra». Lo si sapeva, anche se nessuno poteva immaginare tanta fretta, tanta impudenza.
Valditara, vale la pena di ricordare, è messo lì da una erede urlante del MSI. Avete presente: i cosiddetti «postfascisti». Ecco. Quelli che fino a ieri parlavano, come un disco rotto, del concetto di patria. Ora invece gli hanno servito in mano il pacchetto del «patriarcato» e loro, forse perché gli risuonava qualcosa in testa, lo hanno abbracciato subito con entusiasmo e si sono messi a picchiare come se non ci fosse un domani, assieme alle compagne femministe, con pentacolo e mani alte a fare il simbolo della Renault.
Per correre dietro agli slogan, non esitano a gettare a mare senza rimpianti principi portanti della civiltà e del diritto – di cui l’Italia peraltro si vanta pure di essere culla – tipo quello per cui la responsabilità penale è personale, e non di una categoria a caso cui il reo appartiene, magari persino a una metà del cielo; o quello per cui una vita vale una vita (senza distinzioni di sesso, di razza, di condizioni personali o sociali…) perché altrimenti si torna alle graduatorie di valore, come era tra la vita del padrone e quella del servo della gleba; o quello per cui uno va considerato innocente fino a sentenza definitiva, per non regredire alle ordalie e alla barbarie dei processi sommari improvvisati nelle piazze.
Ma chi dobbiamo ringraziare, per questo capolavoro di eterogenesi dei fini? Innanzitutto, dobbiamo ringraziare la catto-demenza assortita del demi-monde politico-religioso. Quelli che assicuravano che bisognava votare per Giorgia, perché avrebbe cambiato tutto – e del resto è «di destra», no?
Ringraziamo gli avvocatini saltellanti e raminghi, le candidate sedicenti probiotiche, le scrittrici fantasy, i giornalisti anfiboli, e tutti i devoti che si sono fatti convincere da questi grandi maestri di pensiero, secondo i quali la Giorgia sarebbe stata un baluardo.
Giorgia era contro l’aborto, ci assicuravano: eccola che proclama urbi et orbi che mai e poi mai toccherà la 194.
Giorgia era contro la follia pandemica: eccola che piazza al dicastero della Salute uno che arriva direttamente dalla plancia di comando del CTS.
Giorgia era cristiana: eccola che prega nel tempio dell’Aspen Institute.
Giorgia era sovranista: eccola che si genuflette alla NATO, si appende al collo di Biden, di Sunak e di Trudeau, di Zelens’kyj e di Netanyhau, e pure di Bergoglio alla faccia di tutti i protocolli; e consegna armi e danari ai distributori di morte, contro ogni possibile interesse nazionale, devastando in quattro e quattr’otto l’economia italiana già fiaccata da altri attentati.
I catto-influencer assortiti, con i loro profili social incredibilmente immuni da censura, hanno dato il loro contributo concreto, e morale, a portarci fin qui, sul bordo di un burrone mai visto, dove ci minacciano, con tanto di circolari ministeriali a sostegno, di distruggere programmaticamente la società così come la conosciamo da millenni. Con le scuole attrezzate per diventare definitivamente una catena di lavanderie per cervelli in erba: come si recupera un bambino a cui viene inculcato fin da piccolo che nella sua natura maschile cova un germe criminale? Che tutto quello che afferisce alla sua mascolinità, siccome è uno sbaglio, e insieme un male, va represso e sterilizzato? Che un maschio va bene solo se adeguatamente svirilizzato in via educativa (e non solo)?
Qui vale la pena di tornare ai sociologi israeliani. Nel loro libro Le grandi cerimonie dei media (1993) Katz e Dayan sostenevano che i «Media Event» fossero alla fine riconducibili a tre tipologie narrative distinte. Il primo tipo è la «competizione»: pensate, ad esempio, a una finale dei Mondiali di Calcio, come Italia-Germania a Madrid del 1982. Il secondo tipo è la «conquista»: l’audience mondiale assiste all’eroe che porta a termine un’impresa, come può essere l’allunaggio, i viaggi apostolici di Wojtyla, i minatori salvati dalla miniera crollata. Il terzo tipo, il più vicino a noi oggi, è quello dell’«incoronazione», ovvero un evento che si pone come un rito di passaggio di massa, attraverso cui il pubblico è portato a ri-aderire, nel caso rinegoziando i termini, al nucleo sacro-simbolico della società (lo Stato, la monarchia).
Ora ci troviamo dinanzi ad un rito di passaggio collettivo: ci dirigiamo, anche se ce lo dicono solo in negativo strillando contro un fantomatico «patriarcato», verso il «matriarcato» – con tutti gli aspetti ctoni e cruenti che, secondo la mitologia, esso comporta. Cioè verso la cancellazione per legge della virilità, quella che le donne e le madri sarebbe in grado di onorarle e di proteggerle, certamente più di quanto facciano eunuchi invertebrati, preda della loro emotività pompata, e pilotata.
Non c’è nulla di spontaneo, nulla di vero, nella gigantesca operazione politico-mediatica-rieducativa a cui stiamo assistendo, allestita con immane spiegamento di immense forze congiunte. Non c’è nessun rispetto per la donna e per la sua vocazione naturale.
È l’«incoronazione» di un nuovo potere, l’investitura ufficiale di un nuovo assetto sociale e mentale, che promette di non avere nulla a che spartire con quello che abbiamo ereditato, e che qualcuno ingenuamente credeva che la sedicente destra – i «patrioti», i «conservatori» – volessero in qualche modo difendere. Invece sono a loro volta parte del programmone mondialista vecchio di secoli, complici del piano di distruzione del consesso umano, esattamente come il loro riflesso chirale della sinistra.
La Meloni, la Schlein: davvero a questo punto volete giocare, come in un disegnino della Settimana Enigmistica, a trovare le differenze?
Tutti insieme appassionatamente, tenuti per manina dagli influencer democristiani, stanno mettendo le mani sui vostri figli, manipolando le loro menti e i loro cuori, nel luogo protetto in cui dovrebbero semplicemente istruirli proprio per garantire loro la capacità di pensare da soli, di vedere il mondo coi propri occhi e di scegliere la via.
Stanno incoronando la nuova era. Con l’imprimatur, e la spinta, dei patrioti: i patrioti antipatriarcali del Grande Reset dell’umanità.
Roberto Dal Bosco
Elisabetta Frezza
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Gender
La Commissione Europea svela la sua strategia LGBTQ

La Commissione Europea sta lavorando per promuovere la causa degli attivisti LGBTQI, verso una transizione di genere senza ostacoli, nonostante le scoperte scientifiche sulla salute di bambini e adolescenti. Mira inoltre a incoraggiare la pratica della maternità surrogata.
L’8 ottobre, la Commissaria Europea per l’Uguaglianza, la Preparazione e la Gestione delle Crisi, Hadja Lahbib, ha presentato la «strategia rinnovata per la parità di trattamento delle persone LGBTQI dopo il 2025» della Commissione Europea.
Sono elencati tutti gli ambiti in cui le istituzioni dovrebbero tenere conto della necessaria difesa dei diritti delle persone LGBTQI, citando ambiti diversi come il sostegno alle vittime, la ricerca, la sicurezza durante gli assembramenti, la prevenzione di crisi geopolitiche, attacchi informatici e calamità naturali, la cultura e i media audiovisivi, lo sport, le commemorazioni e il lavoro di commemorazione delle persecuzioni che queste persone hanno subito nel corso della storia.
La Commissione propone agli Stati membri una moltitudine di strumenti e meccanismi per affrontare la questione. Si impegna a stanziare fondi, per un totale di 3,6 miliardi di euro, per la difesa delle persone LGBTQI+ in Europa. Il documento indica una riduzione dei finanziamenti, ma «nel Sud e nell’Est del mondo». Non negli Stati membri dell’Unione Europea.
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Transizione di genere
La Commissione deplora il fatto che «alcuni Stati membri impongano ancora l’intervento medico come condizione per il riconoscimento giuridico del genere». Un «cambiamento di genere» nello stato civile dovrebbe essere concesso su semplice richiesta.
La transizione non deve essere soggetta a limiti di età: «a Commissione faciliterà lo scambio di buone pratiche tra gli Stati membri per sostenere lo sviluppo di procedure legali per il riconoscimento del genere basate sull’autodeterminazione, senza criteri di età».
Genitorialità
In nome della «parità di diritti tra gli Stati membri», la Commissione chiede il riconoscimento reciproco in materia di regimi patrimoniali tra coniugi, divorzio, successioni e filiazione.
Le istituzioni europee utilizzano il principio della libera circolazione per garantire che le coppie dello stesso sesso sposate in un paese mantengano gli stessi diritti in un altro paese in cui tali matrimoni non sono riconosciuti. Per quanto riguarda la filiazione: «il diritto dell’UE impone già agli Stati membri di riconoscere la filiazione di un minore così come stabilita in un altro Stato membro».
Tuttavia, è necessario sottolineare che stabilire la filiazione è una prerogativa dello Stato, come ricordato dall’iniziativa della Slovacchia di sancire il divieto di maternità surrogata nella propria Costituzione.
La Commissione osserva che «i minori possono perdere i loro diritti di successione o di mantenimento in un altro Stato membro, o il diritto di avere uno dei genitori come loro rappresentante legale». Ritiene che ciò costituisca una limitazione alla libertà di circolazione, utilizzando questo meccanismo per invadere l’ambito della filiazione, che non è una sua prerogativa.
Nel 2020, Ursula von der Leyen ha dichiarato: «se sei genitore in un Paese, sei genitore in tutti i Paesi». La strategia post-2025 della Commissione ribadisce questo impegno: «il rapporto di filiazione stabilito in uno Stato membro deve essere stabilito in qualsiasi altro Stato membro, a tutti gli effetti, al di là di quanto già garantito dalla legislazione europea in materia di libera circolazione».
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Maternità surrogata
La Francia ha già autorizzato il matrimonio e l’adozione per le coppie dello stesso sesso; tuttavia, la maternità surrogata rimane vietata per il momento. Se la proposta della Commissione europea verrà adottata, i cittadini francesi non avranno difficoltà a stabilire la filiazione tramite maternità surrogata.
Il 13 ottobre 2025, la Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere ha votato la bozza della sua relazione sulla Strategia per la parità di genere 2025, che definirà la strategia della Commissione europea in materia. In questa occasione, la Commissione ha adottato un emendamento che «condanna la pratica della maternità surrogata».
Ma un altro emendamento, anch’esso adottato, ha sostenuto l’attuazione di un «Certificato europeo di genitorialità». Questo imporrebbe agli Stati membri di riconoscere la filiazione dei bambini nati tramite maternità surrogata in un altro Stato. A novembre, la posizione definitiva sarà votata in sessione plenaria. Da che parte penderà la bilancia?
Articolo previamente apparso su FSSPX.News
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