Connettiti con Renovato 21

Geopolitica

Il conflitto in Ucraina accelera la fine del dominio dell’Occidente

Pubblicato

il

Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

Il conflitto ucraino, presentato come un’aggressione della Russia, è invece l’applicazione della risoluzione 2202 del 17 febbraio 2015 del Consiglio di Sicurezza. Francia e Germania non hanno tenuto fede agli impegni assunti con l’Accordo di Minsk II, quindi per sette anni la Russia si è preparata allo scontro attuale. Mosca ha previsto le sanzioni occidentali con molto anticipo, sicché le sono bastati due mesi per aggirarle. Le sanzioni scompaginano la globalizzazione statunitense, perturbano le economie occidentali spezzando le catene di approvvigionamento, facendo rifluire i dollari verso Washington e provocando un’inflazione generale, causando infine una crisi energetica. Chi la fa l’aspetti: gli Stati Uniti e i loro alleati si stanno scavando la fossa con le proprie mani. Nel frattempo le entrate del Tesoro russo in sei mesi sono aumentate del 32%.

 

 

Nei sette anni appena trascorsi spettava alle potenze garanti dell’Accordo di Minsk II (Germania, Francia, Ucraina e Russia) farlo rispettare. Non l’hanno fatto, sebbene l’intesa sia stata avallata e legalizzata il 17 febbraio 2015 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e a dispetto delle affermazioni sulla necessità di proteggere i cittadini ucraini, minacciati dal loro stesso governo.

 

Il 31 gennaio 2022, allorquando cominciavano a circolare notizie su un possibile intervento militare russo, il segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale di Difesa ucraino, Oleksy Danilov, sfidava Germania, Francia, Russia e Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dichiarando: «Il rispetto degli Accordi di Minsk significa la distruzione del Paese. Quando furono firmati sotto la minaccia armata dei russi e sotto lo sguardo di tedeschi e francesi era già chiaro a tutte le persone razionali che sarebbe stato impossibile applicarli». (1)

 

Sette anni dopo, quando il numero di ucraini uccisi dal governo di Kiev ha superato i 12 mila secondo la versione ucraina e i 20 mila secondo la Commissione d’inchiesta russa, solo allora Mosca ha lanciato un’«operazione militare speciale» contro i «nazionalisti integralisti» ucraini (come vogliono essere chiamati), che i russi definiscono «neonazisti».

 

Sin dall’inizio dell’operazione la Russia ha dichiarato che si sarebbe limitata a soccorrere le popolazioni e a «denazificare» l’Ucraina, non già a occuparla.

 

Ciononostante gli Occidentali hanno accusata la Russia di voler prendere Kiev, di voler rovesciare il presidente Zelensky e annettere l’Ucraina; azioni che evidentemente i russi non hanno fatto. Soltanto dopo l’esecuzione di uno dei negoziatori ucraini, Denis Kireev, ucciso dai servizi di sicurezza del proprio Paese (SBU), e la sospensione dei colloqui da parte del presidente Zelensky, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato di voler inasprire le pretese russe.

 

Ora la Federazione reclama la Novorussia, ossia tutto il sud dell’Ucraina, territorio storicamente russo dai tempi della zarina Caterina II, salvo un’interruzione di 33 anni.

 

Deve essere chiaro che, se la Russia non ha fatto nulla per sette anni, non è stato per insensibilità verso il massacro delle popolazioni russofone del Donbass, ma perché si preparava a fronteggiare la prevedibile risposta occidentale.

 

Secondo la classica citazione del ministro degli esteri dello zar Alessandro II, principe Alessandro Grotchakov: «È ferma intenzione dell’imperatore consacrare la propria sollecitudine preferibilmente al benessere dei sudditi, allo sviluppo delle risorse interne del Paese; questi sforzi potrebbero essere riversati all’esterno solo se gli interessi positivi della Russia lo esigessero imperativamente. Si rimprovera alla Russia l’isolamento e il silenzio di fronte a fatti che contrastano con il diritto e l’equità. Si dice che la Russia tenga il broncio. La Russia non tiene il broncio: si raccoglie».

 

Gli Occidentali hanno qualificato l’operazione di polizia russa «aggressione». Passo dopo passo, sono arrivati a dipingere la Russia una «dittatura» e la sua politica estera «imperialismo». Nessuno sembra aver letto l’Accordo di Minsk II, benché validato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In un colloquio telefonico, rivelato dall’Eliseo, fra i presidenti Putin e Macron, quest’ultimo manifesta disinteresse per le sorti della popolazione del Donbass, ossia disprezzo per l’Accordo di Minsk II.

 

Oggi i servizi segreti occidentali soccorrono i «nazionalisti integralisti» ucraini (i «neonazisti», secondo la terminologia russa) e, invece di cercare una soluzione pacifica, tentano di distruggere la Russia dall’interno. (2)

 

Per il diritto internazionale, Mosca ha solo applicato la risoluzione del 2015 del Consiglio di Sicurezza. Si può deplorarne la brutalità, ma non la si può rimproverare di aver agito precipitosamente (sette anni!), né di essere nell’illegalità (risoluzione 2202).

 

I presidenti Petro Poroshenko, François Hollande, Vladimir Putin e la cancelliera Angela Merkel si erano impegnati, in una dichiarazione «congiunta allegata alla risoluzione, a fare rispettare l’Accordo. Se una di queste potenze fosse intervenuta prima, si sarebbero potute scegliere altre modalità per mettere alle strette l’Ucraina, ma non l’hanno fatto.

 

La logica avrebbe voluto che il segretario delle Nazioni Unite richiamasse all’ordine i membri del Consiglio affinché non condannassero un’operazione di cui avevano accettato il principio sette anni prima, ma ne fissassero le modalità. Non l’ha fatto. Anzi, la Segreteria generale, travalicando il proprio ruolo e schierandosi a favore del sistema unipolare, ha dato istruzione agli alti funzionari presenti sui teatri di guerra di cessare ogni incontro con i diplomatici russi.

 

Non è la prima volta che la Segreteria generale contravviene allo statuto delle Nazioni Unite.

 

Durante la guerra contro la Siria redasse un piano di cinquanta pagine per la deposizione del governo siriano che implicava la decadenza della sovranità popolare siriana e la de-baathificazione del Paese. Un testo che non è mai stato pubblicato, ma che con sgomento abbiamo analizzato su queste colonne.

 

Alla fine, l’inviato speciale del segretario generale a Damasco è stato costretto a firmare una dichiarazione in cui ne riconosceva la nullità. In ogni caso, la nota del Segretariato generale che vieta ai funzionari dell’ONU di partecipare alla ricostruzione della Siria (3) è tutt’ora in vigore e paralizza il rientro in patria degli esiliati, con grave danno non solo per la Siria, ma anche per il Libano, la Giordania e la Turchia.

 

Durante la guerra di Corea, gli Stati Uniti approfittavano della politica sovietica del seggio vuoto per fare la loro guerra dietro la bandiera delle Nazioni Unite (all’epoca la Cina Popolare non faceva parte del Consiglio). Dieci anni fa utilizzavano il personale dell’ONU per fare una guerra totale alla Siria. Oggi vanno oltre, prendendo posizione contro un membro permanente del Consiglio di Sicurezza.

 

Dopo essere diventata con Kofi Annan un’organizzazione sponsorizzata dalle multinazionali, con Ban Ki-moon e António Guterres l’ONU si è trasformata in succursale del Dipartimento di Stato.

 

La Russia e la Cina sono consapevoli, come del resto anche gli altri Stati, del fatto che l’ONU ha cessato del tutto di svolgere la propria funzione. L’Organizzazione infatti acuisce le tensioni e partecipa ai conflitti, perlomeno in Siria e nel Corno d’Africa. Mosca e Pechino s’impegnano nel potenziamento di altre istituzioni.

 

 

La Russia non concentra più i propri sforzi sulle strutture ereditate dall’Unione Sovietica, come la Comunità degli Stati Indipendenti, la Comunità Economica Euroasiatica, persino l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva; nemmeno sulle strutture ereditate dalla guerra fredda, come l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. S’impegna invece su quelle istituzioni che consentiranno di ridisegnare un mondo multilaterale.

 

Innanzitutto la Russia mette in risalto le azioni economiche dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Non le rivendica come iniziative proprie, ma come sforzi comuni cui partecipa. 13 Stati ambiscono entrare nei BRICS, ma gli attuali membri al momento non sono favorevoli ad accogliere nuove adesioni.

 

Già ora i BRICS hanno un potere molto superiore a quello del G7: agiscono. Per contro, il G7 proclama da diversi anni di voler fare grandi cose, mai realizzate, e dispensa voti, buoni o cattivi, agli Stati che non ne fanno parte.

 

In particolare, la Russia preme per una più ampia apertura e per una più profonda trasformazione dell’Organizzazione di Cooperazione di Shangai (SCO), che finora è stata solo una struttura di contatto dei Paesi dell’Asia centrale, attorno a Russia e Cina, per prevenire i disordini che i servizi segreti anglosassoni tentavano di fomentare.

 

Poco a poco i Paesi membri hanno imparato a conoscersi meglio. Inoltre l’OCS si è allargata, in particolare a India e Pakistan, infine all’Iran. Di fatto essa oggi incarna i principi di Bandung, fondati sulla sovranità degli Stati e sulla negoziazione, in contrasto con quelli degli Occidentali, basati sulla conformità all’ideologia anglosassone.

 

Appunto: gli Occidentali concionano, Russia e Cina agiscono. Dico concionano perché credono che il loro agitarsi sia efficace.

 

Così Stati Uniti e Regno Unito, poi Unione Europea e Giappone, hanno adottato misure economiche molto dure contro la Russia. Non osando dire che si trattava di mosse di una guerra finalizzata a mantenere il dominio Occidentale sul mondo, le hanno definite «sanzioni», benché non ci siano stati né un processo né un’arringa della difesa né una sentenza.

 

Ovviamente si tratta di sanzioni illegali perché decise fuori dalle istituzioni delle Nazioni Unite. Ma gli Occidentali, che hanno la pretesa di essere i difensori delle regole internazionali, non sanno che farsene del diritto internazionale.

 

Ovviamente il diritto di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio impedisce che si prendano sanzioni contro uno di loro; questo perché la finalità dell’Onu non è conformarsi all’ideologia anglosassone, ma preservare la pace mondiale.

 

Riprendo l’osservazione fatta precedentemente: Russia e Cina avanzano, ma a un ritmo completamente diverso da quello degli Occidentali. Tra l’impegno russo d’intervenire in Siria e il dispiegamento dei soldati trascorsero due anni; due anni necessari per completare le armi che ne avrebbero garantito la superiorità sul campo di battaglia. Ne sono occorsi sette perché la Russia passasse dall’impegno assunto con Minsk II all’intervento militare in Donbass; sette anni usati a preparare l’aggiramento delle sanzioni economiche occidentali.

 

Per questa ragione le sanzioni non sono riuscite a mettere in ginocchio l’economia russa, ma colpiscono in profondità chi le ha volute.

 

I governi tedesco e francese prevedono gravissimi problemi energetici; già ora alcune imprese girano a rilento e presto saranno costrette alla chiusura. L’economia russa invece è in piena espansione.

 

Dopo due mesi in cui il Paese ha vissuto sulle riserve, ora è tempo di abbondanza. Nel primo semestre c’è stato un boom delle entrate del Tesoro russo, che sono aumentate del 32% (4).

 

Non soltanto il rifiuto occidentale del gas russo ha fatto salire i prezzi, a vantaggio del primo esportatore, la Russia, ma questo strappo alla concezione liberale ha spaventato gli altri Stati che, per rassicurarsi, si sono girati verso Mosca.

 

La Cina, che gli Occidentali presentano come venditrice di paccottiglia, nonché Stato rapace che fa cadere le sue prede in una spirale d’indebitamento, ha in realtà annullato la maggior parte dei debiti di 13 Stati africani.

 

Ogni giorno ascoltiamo i nobili discorsi occidentali e le loro accuse alla Russia e alla Cina. Ma ogni giorno, se guardiamo i fatti, constatiamo che la realtà è differente.

 

Per esempio, gli Occidentali ci spiegano, senza darcene prova, che la Cina è una «dittatura» e che «ha incarcerato un milione di uiguri». Mancano statistiche recenti ma è noto a tutti che in Cina ci sono meno carcerati che negli Stati Uniti, sebbene questi ultimi abbiano una popolazione pari a un quarto di quella cinese. Ci spiegano anche che in Russia gli omosessuali sono perseguitati, ma a Mosca ci sono discoteche gay più grandi di quelle di New York.

 

La cecità occidentale porta a situazioni grottesche, ove i dirigenti occidentali sono incapaci di vedere l’impatto delle proprie contraddizioni.

 

Il presidente Emmanuel Macron è stato nei giorni scorsi in Algeria per tentare di riconciliare le due nazioni e comperare il gas necessario a sopperire alla carenza che egli stesso ha contribuito a causare.

 

Il presidente francese è consapevole di essere arrivato tardi: le alleate Italia e Germania hanno già fatto i loro acquisti. In compenso, Macron ostenta di credere, a torto, che il principale problema franco-algerino sia la colonizzazione. Non si rende conto che l’Algeria non può avere fiducia nella Francia perché Parigi sostiene i suoi peggiori nemici, gli jihadisti della Siria e del Sahel. Macron non coglie il nesso tra l’assenza di relazioni diplomatiche con la Siria, l’estromissione della Francia dal Mali (5) e la freddezza con cui è stato ricevuto ad Algeri.

 

Vero è che i francesi non sanno chi siano gli jihadisti: hanno recentemente giudicato, nel più grande processo del secolo, gli attentati di Saint-Denis, dei caffè di Parigi e del Bataclan (13 novembre 2015) senza porsi il problema dei sostegni degli Stati agli jihadisti. Non hanno certo dimostrato senso della giustizia, hanno manifestato invece codardia. Si sono lasciati terrorizzare da un pugno di uomini; l’Algeria invece ne ha dovuti affrontare durante la guerra civile decine di migliaia e ne affronta altrettanti nel Sahel.

 

Mentre Russia e Cina avanzano, l’Occidente regredisce. E continuerà a precipitare se non chiarirà la propria politica, se non la farà finita con la duplice morale e non smetterà il doppio gioco.

 

 

Thierry Meyssan

 

 

NOTE

1) «Ukraine security chief: Minsk peace deal may create chaos», Yuras Karmanau, Associated Press,  31 gennaio 2022.

2) «La strategia occidentale per smantellare la Federazione di Russia», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 16 agosto 2022.

3) «Paramètres et principes de l’assistance des Nations Unies en Syrie», di Jeffrey D. Feltman, Réseau Voltaire, 15 ottobre 2017.

5) «Il Mali e le contraddizioni francesi», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 23 agosto 2022.

 

 

Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND

 

 

Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0), immagine modificata.

 

 

Continua a leggere

Geopolitica

Putin: la Russia raggiungerà tutti i suoi obiettivi nel conflitto ucraino

Pubblicato

il

Da

La Russia porterà a compimento tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale in Ucraina, ha dichiarato il presidente Vladimir Putin.

 

Tra gli scopi principali enunciati da Putin nel 2022 vi sono la protezione degli abitanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk dall’aggressione delle forze di Kiev, nonché la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina.

 

«Naturalmente porteremo a termine questa operazione fino alla sua logica conclusione, fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi dell’operazione militare speciale», ha affermato Putin in videocollegamento durante la riunione del Consiglio presidenziale per i diritti umani di martedì.

 

Il presidente russo quindi ricordato che il conflitto è scoppiato quando l’esercito ucraino è stato inviato nel Donbass, regione storicamente russa che nel 2014 aveva respinto il colpo di Stato di Maidan sostenuto dall’Occidente. Questo, secondo il presidente, ha reso inevitabile l’intervento delle forze armate russe per porre fine alle ostilità.

Sostieni Renovatio 21

«Si tratta delle persone. Persone che non hanno accettato il colpo di Stato in Ucraina nel 2014 e contro le quali è stata scatenata una guerra: con artiglieria, armi pesanti, carri armati e aviazione. È lì che è iniziata la guerra. Noi stiamo cercando di mettervi fine e siamo costretti a farlo con le armi in pugno».

 

Putin ha ribadito che per otto anni la Russia ha cercato di risolvere la crisi per via diplomatica e «ha firmato gli accordi di Minsk nella speranza di una soluzione pacifica». Tuttavia, ha aggiunto la settimana scorsa in un’intervista a India Today, «i leader occidentali hanno poi ammesso apertamente di non aver mai avuto intenzione di rispettarli», avendoli sottoscritti unicamente per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di riarmarsi.

 

Mosca ha accolto positivamente il nuovo slancio diplomatico impresso dal presidente statunitense Donald Trump, che ha proposto il suo piano di pace in 28 punti come base per un’intesa.

 

Lunedì Trump ha pubblicamente invitato Volodymyr Zelens’kyj ad accettare le proposte di pace, lasciando intendere che il leader ucraino non abbia nemmeno preso in esame l’ultima offerta americana.

 

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

Continua a leggere

Geopolitica

Lavrov elogia la comprensione di Trump delle cause del conflitto in Ucraina

Pubblicato

il

Da

Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump rappresenta l’unico leader occidentale in grado di cogliere le vere motivazioni alla base del conflitto ucraino.   Parlando mercoledì al Consiglio della Federazione, la camera alta del parlamento russo, Lavrov ha spiegato che, mentre gli Stati Uniti manifestano una «crescente impazienza» verso il percorso diplomatico mirato a cessare le ostilità, Trump è tra i pochissimi esponenti occidentali a comprendere le dinamiche che hanno originato la crisi.   «Il presidente Trump… è l’unico tra tutti i leader occidentali che, subito dopo il suo arrivo alla Casa Bianca nel gennaio di quest’anno, ha iniziato a dimostrare di aver compreso le ragioni per cui la guerra in Ucraina era stata inevitabile», ha dichiarato.   Lavrov ha proseguito sottolineando che Trump possiede una «chiara comprensione» delle dinamiche che hanno forgiato le politiche ostili nei confronti della Russia da parte dell’Occidente e dell’ex presidente statunitense Joe Biden, strategie che, a suo dire, «erano state coltivate per molti anni».

Aiuta Renovatio 21

Il ministro ha indicato che «si sta avvicinando il culmine dell’intera saga» ucraina, affermando che Trump ha sostanzialmente ammesso che «le cause profonde identificate dalla Russia devono essere eliminate».   Il vertice della diplomazia russa ha menzionato in modo specifico le storiche riserve di Mosca sull’aspirazione ucraina all’adesione alla NATO e la persistente violazione dei diritti della popolazione locale.   Lavrov ha poi precisato che Trump resta «l’unico leader occidentale a cui stanno a cuore i diritti umani in questa situazione», contrapposto ai governi dell’UE che, secondo Mosca, evadono il tema. Ha svelato che la roadmap statunitense per un’intesa includeva esplicitamente la tutela dei diritti delle minoranze etniche e delle libertà religiose in Ucraina, «in linea con gli obblighi internazionali».   Tuttavia, sempre secondo Lavrov, tali clausole sono state indebolite nel momento in cui il documento è stato sottoposto all’UE: il testo è stato modificato per indicare che l’Ucraina dovrebbe attenersi agli standard «adottati nell’Unione Europea».   Da tempo Mosca denuncia la soppressione della lingua e della cultura russa da parte di Kiev, oltre ai sforzi per limitare i diritti delle altre minoranze nazionali, e al contempo accusa i leader ucraini di fomentare apertamente il neonazismo nel paese.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine dell’Ufficio stampa della Duma di Stato della Federazione Russa via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International
Continua a leggere

Geopolitica

Gli europei sotto shock per la strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per il 2025

Pubblicato

il

Da

I leader europei e i media dell’establishment sono in preda al panico dopo la diffusione, sul portale ufficiale della Casa Bianca, della «Strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America 2025» (NSS).

 

A terrorizzare Bruxelles e dintorni è l’impegno esplicito del governo USA a privilegiare «Coltivare la resistenza all’attuale traiettoria dell’Europa all’interno delle nazioni europee», descritta in termini aspri ma realistici. Il report si scaglia in particolare contro l’approccio dell’UE alla Russia.

 

L’NSS ammonisce che il Vecchio Continente rischia la «cancellazione della civiltà» se non invertirà la rotta imposta dall’Unione Europea e da altre entità sovranazionali. La «mancanza di fiducia in se stessa» del Continente emerge con evidenza nelle interazioni con Mosca. Gli alleati europei detengono un netto primato in termini di hard power rispetto alla Russia in quasi tutti i campi, salvo l’arsenale nucleare.

Iscriviti al canale Telegram

Dopo l’invasione russa in Ucraina, i rapporti europei con Mosca sono drasticamente deteriorati e numerosi europei vedono nella Federazione Russa una minaccia esistenziale. Gestire le relazioni transatlantiche con la Russia esigerà un impegno diplomatico massiccio da Washington, sia per reinstaurare un equilibrio strategico in Eurasia sia per scongiurare frizioni tra Mosca e gli Stati europei.

 

«È un interesse fondamentale degli Stati Uniti negoziare una rapida cessazione delle ostilità in Ucraina, al fine di stabilizzare le economie europee, prevenire un’escalation o un’espansione indesiderata della guerra e ristabilire la stabilità strategica con la Russia, nonché per consentire la ricostruzione post-ostilità dell’Ucraina, consentendole di sopravvivere come Stato vitale».

 

Il conflitto ucraino ha paradossalmente accresciuto la vulnerabilità esterna dell’Europa, specie della Germania. Oggi, le multinazionali chimiche tedesche stanno erigendo in Cina alcuni dei più imponenti complessi di raffinazione globale, sfruttando gas russo che non possono più procurarsi sul suolo patrio.

 

L’esecutivo Trump si scontra con i burocrati europei che coltivano illusioni irrealistiche sul prosieguo della guerra, appollaiati su coalizioni parlamentari fragili, molte delle quali calpestano i pilastri della democrazia per imbavagliare i dissidenti. Una vasta maggioranza di europei anela alla pace, ma tale aspirazione non si riflette nelle scelte politiche, in gran parte ostacolate dal sabotaggio dei meccanismi democratici perpetrato da quegli stessi governi. Per quanto allarmati siano i continentali, l’establishment britannico lo è ancor di più.

 

Ruth Deyermond, docente al dipartimento di Studi della Guerra del King’s College London e specialista in dinamiche USA-Russia, ha commentato su X che il testo segna «l’enorme cambiamento nella politica statunitense nei confronti della Russia, visibile nella nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale – il più grande cambiamento dal crollo dell’URSS». Mosca appare citata appena dieci volte nel corposo documento, nota Deyermond, e prevalentemente per evidenziare le fragilità europee.

 

In un passaggio esemplare, il report afferma che «questa mancanza di fiducia in se stessa è più evidente nelle relazioni dell’Europa con la Russia». «L’assenza della Russia dalla Strategia di Sicurezza Nazionale 2025 appare davvero strana, sia perché la Russia è ovviamente uno degli stati che hanno l’impatto più significativo sulla stabilità globale al momento, sia perché l’amministrazione è così chiaramente interessata alla Russia (…) Non è solo la mancanza di riferimenti alla Russia a essere sorprendente, è il fatto che la Russia non venga mai menzionata come avversario o minaccia» scrive l’accademica.«La mancanza di discussione sulla Russia, nonostante la sua importanza per la sicurezza e l’ordine internazionale e la sua… importanza per l’amministrazione Trump, fa sembrare che stiano semplicemente aspettando di poter parlare in modo più positivo delle relazioni in futuro».

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

La parte dedicata al dossier ucraino – che allude al fatto che «l’amministrazione Trump si trova in contrasto con i politici europei che nutrono aspettative irrealistiche per la guerra» – pare quasi redatta dal Cremlino. L’incipit della Deyermond è lapidario: «Se qualcuno in Europa si aggrappa ancora all’idea che l’amministrazione Trump non sia inamovibile filo-russa e ostile alle istituzioni e ai valori occidentali, dovrebbe leggere la Strategia per la Sicurezza Nazionale del 2025 e ripensarci».

 

Il NSS dedica scarsa attenzione alla NATO, se non per insistere sulla cessazione della sua espansione indefinita, ma stando ad un articolo Reuters del 5 dicembre, Washington intende che l’Europa rilevi entro il 2027 la gran parte delle competenze di difesa convenzionale dell’Alleanza, dall’intelligence ai missili. Questa scadenza «irrealistica» è stata illustrata questa settimana a diplomatici europei a Washington dal team del Pentagono incaricato della politica atlantica, secondo cinque fonti «a conoscenza della discussione».

 

Nel corso dell’incontro, i vertici del Dipartimento della Difesa avrebbero espresso insoddisfazione per i passi avanti europei nel potenziare le proprie dotazioni difensive dopo l’«invasione estesa» russa in Ucraina del 2022. Gli esponenti USA hanno avvisato i loro omologhi che, in caso di mancato rispetto del termine del 2027, gli Stati Uniti potrebbero sospendere la propria adesione a certi meccanismi di coordinamento difensivo NATO, hanno riferito le fonti. Le capacità convenzionali comprendono asset non nucleari, da truppe ad armamenti, e i funzionari non hanno chiarito come misurare i progressi europei nell’assunzione della quota preponderante del carico, precisa Reuters.

 

Non è dato sapere se il limite temporale del 2027 rifletta la linea ufficiale dell’amministrazione Trump o meri orientamenti di singoli addetti del Pentagono. Diversi rappresentanti europei hanno replicato che un tale orizzonte non è fattibile, a prescindere dai criteri di valutazione di Washington, dal momento che il Vecchio Continente necessita di risorse finanziarie aggiuntive e di una volontà politica più marcata per rimpiazzare alcune dotazioni americane nel breve periodo.

 

Tra le difficoltà, i partner NATO affrontano slittamenti nella fabbricazione degli equipaggiamenti che intendono acquisire. Sebbene i funzionari USA abbiano sollecitato l’Europa a procacciarsi più hardware di produzione statunitense, taluni dei sistemi difensivi e armi made in USA più cruciali imporrebbero anni per la consegna, anche se commissionati oggi.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

Continua a leggere

Più popolari