Geopolitica
Il bluff Zelens’kyj agli sgoccioli
Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il viaggio del presidente Volodymyr Zelens’kyj negli Stati Uniti ha fatto cadere le ultime ambiguità del personaggio. Tutti si chiedevano che strategia avesse. Non sembra voler difendere gli ucraini, perché ne mobilita più che può per mandarli a morire al fronte, dove non hanno alcuna speranza di vincere. Sembra non esitare a mentire, a barare nonché a tentare con ogni mezzo di espellere alcuni Stati dalle organizzazioni intergovernative. Come non fare un parallelo con Stepan Bandera, che pure mandò al massacro migliaia di compatrioti negli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale, quando la sconfitta del Reich era inevitabile?
Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj è intervenuto alla 78^ assemblea generale delle Nazioni Unite per propinarle il solito discorso sul terrorismo russo. È stato il suo primo intervento a questa tribuna.
Quest’anno quattro dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza Cina, Francia, Regno Unito e Russia non hanno inviato i loro capi di Stato o di governo. Un segno evidente che, nonostante le belle dichiarazioni, qualcosa nell’istituzione ha smesso di funzionare.
Riassumiamo il discorso di Zelens’kyj:
Dice che la Russia usa il cibo come arma contro il resto del mondo e strumentalizza il «gioco» di alcuni Paesi europei a proprio favore.
Dice che usa i reattori nucleari civili come armi, vedi Zaporiggia.
Dice che deporta «centinaia di migliaia» di bambini ucraini per rieducarli in Russia nell’odio verso l’Ucraina: un «genocidio».
Dice che la Russia provoca una guerra ogni dieci anni; che oggi minaccia il Kazakistan e gli Stati baltici, che molti seggi nell’emiciclo dell’ONU sarebbero vuoti se la Russia, grazie ai suoi tradimenti, raggiungesse i propri obiettivi.
Dice che, se grazie a Dio nessuno ha ancora escogitato il modo di usare il clima come arma, le catastrofi naturali uccidono ma queste sopraggiungono quando a Mosca si è deciso di uccidere decine di migliaia di persone.
Dunque, continua, dobbiamo far fronte comune per vincere queste sfide e che possiamo ridare vita all’«Ordine mondiale fondato sulle regole» basandoci sulla proposta di pace ucraina che a breve Zelens’kyj presenterà al Consiglio di sicurezza.
E conclude: Vi invito tutti al Summit per la pace che stiamo organizzando; non possiamo fare affidamento sulla parola della Russia: chiedete a Prighozin come Mosca tiene fede alla parola data! Slava Ukraini!
Applausi fragorosi da parte di tutte le delegazioni dei Paesi alleati degli Stati Uniti, discrezione da parte delle altre.
Il discorso di Zelensky sollecita diverse osservazioni:
- L’argomentazione dell’uso del cibo come arma rinvia all’assedio per affamare le popolazioni, come ieri accadde in Corea del Nord e oggi accade in Yemen. Ma non è quello che fanno i russi in Ucraina, dove attaccano i profitti di grandi società statunitensi (Cargill, Dupont e Monsanto), proprietarie di un terzo delle colture ucraine. L’uso di centrali nucleari civili come arma di guerra produrrebbe solamente effetti circoscritti. Giacché i soldati russi occupano la centrale di Zaporiggia, sarebbero loro a morire se fosse danneggiata e fuoruscissero radiazioni. Al contrario, sono le forze ucraine a rappresentare una minaccia per la centrale nucleare: vogliono costringere i russi a lasciarla. Infine, la Russia non ha mai rapito bambini ucraini, ma ha spostato nel proprio territorio i bambini che si trovavano nelle zone di combattimento per proteggerli. La condanna della Corte Penale Internazionale si fonda esclusivamente sul rifiuto di considerare legale l’adesione alla Federazione russa di Crimea, Donbass e di parte della Novorossia.
- L’argomento dell’espansionismo russo forse preoccupa kazaki e baltici, ma è un processo alle intenzioni. Evocare la possibilità di usare il clima come arma significa non conoscere la storia. Gli Stati Uniti l’hanno già usato nella guerra del Vietnam, causando per mesi piogge sulla Pista di Ho Chi Min, la via di approvvigionamento dei Vietcong attraverso la giungla laotiana (Operazione Popeye). Al termine della guerra firmarono la Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari o a ogni altro scopo ostile.
- Affermare, senza nemmeno nominarle, che Polonia, Ungheria e Slovacchia fanno il gioco dei russi perché vietano l’importazione di cereali ucraini a prezzi stracciati è un insulto nei loro confronti. La Polonia che, dimenticando il massacro da parte dei nazionalisti integralisti ucraini di oltre centomila polacchi durante la seconda guerra mondiale, dall’inizio della guerra ha accolto un milione e mezzo di rifugiati ucraini, sicuramente apprezzerà.
- L’appello a difendere l’«Ordine mondiale fondato sulle regole» non può che essere interpretato come sfida alla maggioranza dei membri delle Nazioni Unite che si batte invece perché si torni al Diritto internazionale. Il Piano di pace ucraino riguarda solo il campo occidentale e ha lo scopo di estendere la guerra.
- La formula conclusiva del presidente Zelensky, Slava Ukraini!, evoca un poema di Taras Shevchenko (1814-1861). L’espressione era diventata il grido distintivo dei nazionalisti integralisti ucraini di Dimitry Dontsov e Simon Petlioura durante la guerra contro la rivoluzione sovietica, mentre massacravano ebrei e anarchici della Novorossia. In seguito divenne il grido di vittoria dei nazionalisti integralisti ucraini di Dimitry Dontsov e Stepan Bandera, mentre massacravano ebrei, zingari e partigiani. Infine nel 1941 divenne l’equivalente di Heil Hitler! Usarlo oggi, per giunta alle Nazioni Unite, rinvia alle risoluzioni del dopoguerra contro la propaganda nazista; risoluzioni cui l’Ucraina ora si oppone.
Dopo l’assemblea generale si è riunito il Consiglio di sicurezza. La riunione doveva durare due giorni. Oltre ai Paesi membri, 45 Stati avevano chiesto di prendervi la parola.
L’Albania, presidente di turno, ha deciso di far intervenire il presidente ucraino immediatamente dopo il segretario generale dell’ONU e prima dei membri del Consiglio. Ha inoltre iscritto l’OSCE [Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa] tra gli oratori.
All’apertura dei lavori il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha depositato una mozione d’ordine per contestare il privilegio accordato al presidente ucraino, in violazione del regolamento del Consiglio, e per esigere che il rappresentante della Macedonia del Nord, in quanto presidente in carica dell’OSCE, intervenisse solo sull’argomento per il quale aveva ricevuto mandato dall’Organizzazione.
Il presidente albanese della riunione, Edi Rama, dopo aver ironizzato sulla «grandiosa» mozione d’ordine, ha fatto rilevare che esistono precedenti di interventi prima di quelli dei membri del Consiglio (certo, ma tutti accettati all’unanimità) e ha concluso osservando che, per evitare che il presidente ucraino prendesse la parola per primo, la Russia non doveva far altro che ritirarsi dall’Ucraina. A norma dell’art. 33 del Regolamento interno ha rinviato la mozione d’ordine a successiva discussione.
Sergej Lavrov ha incassato il colpo. Non ha lasciato la riunione, rammentandosi che durante la guerra di Corea l’URSS lasciò le discussioni alle Nazioni Unite per protestare contro la partecipazione dei ribelli di Chiang Kai-shek al posto dei rappresentanti di Mao Zedong; Washington ne approfittò per far votare il sostegno della comunità internazionale alla Corea del Sud contro la Corea del Nord.
In ogni caso l’incidente dimostra la parzialità della presidenza albanese e non potrà non avere conseguenze. È pieno diritto dell’Albania essere nemico dichiarato della Russia (ha organizzato un dibattito, secondo la formula Arria [meccanismo informale di consultazione, introdotta nel 1992 da Diego Arria, ambasciatore del Venezuela], sulla deportazione di bambini da parte della Russia). Ma ogni volta che presiede il Consiglio, l’Albania ne viola il regolamento.
Accadde il 28 giugno 2022, quando di propria iniziativa convocò una riunione sulla situazione in Ucraina, senza consultare i membri del Consiglio. Invitò il presidente Zelens’kyj a parteciparvi, autorizzandolo «eccezionalmente» a intervenire in videoconferenza. Pure senza avvertire i membri del Consiglio, fece rispettare un minuto di silenzio.
Il giorno successivo, il 29 giugno, l’Albania presiedeva una seduta sulla situazione in Siria. Prese l’iniziativa di invitarvi, di nuovo senza consultare i membri del Consiglio, un’associazione statunitense, la Syrian Emergency Task Force, che si espresse grossolanamente e insultò diversi membri del Consiglio.
Il dibattito è proseguito con l’intervento del segretario generale Antonio Guterres, che dapprima ha ricordato come alcune riunioni multilaterali siano efficaci, come quella sul piano di salvaguardia degli obiettivi per uno sviluppo durevole. Poi ha definito l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia una flagrante violazione della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale. Ha inoltre comunicato che, sul piano giudiziario, sono al lavoro équipe d’inchiesta per raccogliere prove di violazioni dei diritti umani raccapriccianti e diffuse, «commesse soprattutto dalla Federazione di Russia», compresi i trasferimenti forzati di bambini. Guterres si è infine complimentato per l’accordo sui cereali e si è dispiaciuto che la Russia non l’abbia rinnovato.
La posizione del segretario generale riflette soltanto il suo pensiero personale. Nell’attuale circostanza non poggia su alcuna decisione giudiziaria e non tiene conto della posizione russa. Durante il processo alla Corte Internazionale di Giustizia, il tribunale interno delle Nazioni Unite, verranno ascoltate entrambe le parti. A esso e soltanto a esso spetta giudicare se ci sia stata una violazione della Carta, sebbene la Russia dichiari di aver lanciato l’operazione militare speciale per conformarsi alla risoluzione 2202 (Accordi di Minsk) del Consiglio di sicurezza. Del resto la Corte dovrà deliberare su un’unica questione: stabilire se prima dell’operazione militare speciale russa l’Ucraina massacrava i propri concittadini. Si parla di 20 mila persone.
Dopo Guterres è intervenuto il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj chiedendosi innanzitutto come possa sedere nel Consiglio di sicurezza uno Stato che viola la Carta delle Nazioni Unite. Ha proseguito sottolineando che l’Assemblea generale ha attribuito la responsabilità della guerra alla Russia, non all’Ucraina. Poi ha esposto il suo piano di pace, articolato in dieci punti.
La proposta, che era già stata presentata al G20 di Bali, non tiene conto delle rivendicazioni della Russia. Per l’esattezza non è un piano di pace, ma soltanto un elenco delle pretese dell’Ucraina. En passant ha chiesto che l’Assemblea generale adotti a maggioranza di due terzi una modifica del proprio statuto allo scopo di privare la Russia del diritto di veto. Infine ha invitato tutti gli Stati presenti a partecipare al vertice mondiale sulla «pace» che organizzerà l’Ucraina.
Il presidente Edi Rama si è in seguito interrogato sulla situazione attuale: un membro del Consiglio di sicurezza che viola la Carta costitutiva dell’ONU! Per fortuna, ha osservato, nonostante l’abuso del diritto di veto da parte della Russia la maggioranza dei membri del Consiglio veglia sul rispetto dei suoi valori. Poi ha dato la parola ai membri del Consiglio nel rispetto dell’ordine d’iscrizione.
Nessuna novità è emersa da questi interventi. Nessuno ha osato riprendere l’esortazione dell’Ucraina a privare la Russia del diritto di veto.
È opportuno fare qui un passo indietro: al momento della creazione dell’ONU, lo statunitense Franklin D. Roosevelt e il britannico Winston Churchill dissentivano dal sovietico Joseph Stalin: Stati Uniti e Regno Unito volevano creare un’organizzazione per governare il mondo in funzione delle proprie concezioni, mentre l’URSS voleva un’organizzazione che dettasse il Diritto internazionale e prevenisse le guerre. Trionfò la concezione sovietica. Il diritto di veto tiene conto della realtà militare dell’epoca.
Non esistono un diritto di veto legittimo e uno abusivo; semplicemente non è possibile che il Diritto internazionale venga rispettato se è contrario agli interessi di uno dei suoi più potenti membri.
L’idea di privare la Russia del diritto di veto non era mai stata espressa pubblicamente; l’anno scorso però il dipartimento di Stato degli Stati Uniti aveva sondato il parere di tutti gli Stati membri dell’ONU è emerso che non è possibile raggiungere la maggioranza di due terzi.
Subito dopo aver pronunciato il suo discorso, il presidente Zelens’kyj, che non aveva tempo per ascoltare gli interventi delle altre delegazioni, ha lasciato la sala.
Si è precipitato a Washington per parlare al Congresso, come già fece a dicembre 2022. Ma all’arrivo al Campidoglio il presidente della Camera dei rappresentanti, Kevin McCarthy, gli ha detto senza mezze misure che non era possibile perché l’agenda dei parlamentari è molto densa d’impegni.
Sconcertato, il presidente ucraino ha dovuto accontentarsi di un incontro con i presidenti delle due Camere e alcuni senatori Democratici.
Non è più tempo di sostegno incondizionato. Al pari degli omologhi occidentali i parlamentari statunitensi hanno preso atto che:
- scarseggiano le munizioni e l’industria bellica occidentale non può competere né a breve né a medio termine con quella della Russia;
- la ribellione del proprietario del Gruppo Wagner, Evgeni Prigozhin, è fallita;
- la controffensiva ucraina è estremamente costosa in termini di vite umane: oltre un migliaio di morti al giorno da due settimane, senza ottenere successi significativi.
Molti desidererebbero perciò negoziare un’uscita dalla crisi o perlomeno cessare di sprecare cifre astronomiche. Alcuni Repubblicani hanno chiesto all’amministrazione Biden un resoconto preciso su come è stato speso il denaro già versato. In attesa della risposta, non voteranno un altro solo dollaro di aiuti all’Ucraina.
Il Pentagono sta studiando come stornare materiale bellico per continuare a sostenere Kiev. Si trincera dietro il possibile blocco del budget dello Stato federale in caso di disaccordo di merito tra Campidoglio e Casa Bianca.
Per ridimensionare l’affronto dei parlamentari, il segretario alla Difesa e il presidente Joe Biden hanno incontrato separatamente il presidente ucraino. Zelens’kyj ha poi visitato un’università, la Clinton Foundation e l’Atlantic Council, nonché discusso con i proprietari di società finanziarie.
Ma il fatto rimane: tutti hanno potuto osservare gli eccessi del presidente Zelens’kyj e la sua incapacità a vincere la guerra.
Ormai chiunque ha potuto constatare che Volodymyr Zelens’kyj non sta cercando di difendere il proprio Paese. Anzi, manda uomini a morire per nulla davanti alla linea di difesa russa.
Agisce come hanno sempre fatto i nazionalisti integralisti e i nazisti: non esita a mentire ai suoi, a barare e con ogni mezzo tenta di provocare uno scontro generale al prezzo del sacrificio del proprio popolo.
Thierry Meyssan
Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND
Fonte: «Il bluff Zelensky agli sgoccioli», Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 26 settembre 2023.
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
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Vance in Israele critica la «stupida trovata politica»: il voto di sovranità sulla Cisgiordania è stato un «insulto» da parte della Knesset
La proposta di applicare la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata, considerata da molti come un’equivalente all’annessione totale del territorio palestinese, ha suscitato una forte condanna internazionale, incluso un netto dissenso da parte degli Stati Uniti.
Il disegno di legge ha superato di stretta misura la sua lettura preliminare martedì, con 25 voti a favore e 24 contrari nella Knesset, composta da 120 membri. La proposta passerà ora alla Commissione Affari Esteri e Difesa per ulteriori discussioni.
Una dichiarazione parlamentare afferma che l’obiettivo del provvedimento è «estendere la sovranità dello Stato di Israele ai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania)».
Il momento del voto è stato significativo e provocatorio, poiché è coinciso con la visita in Israele del vicepresidente J.D. Vance, impegnato in discussioni sul cessate il fuoco a Gaza e sul centro di coordinamento gestito dalle truppe statunitensi e dai loro alleati, incaricato di supervisionare la transizione di Gaza dal controllo di Hamas. Vance ha percepito la tempistica del voto come un gesto intenzionale, accogliendolo con disappunto.
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Anche il Segretario di Stato Marco Rubio, in visita in Israele questa settimana, ha espresso critiche prima di lasciare il Paese mercoledì, dichiarando che il disegno di legge sull’annessione «non è qualcosa che appoggeremmo».
«Riteniamo che possa rappresentare una minaccia per l’accordo di pace», ha detto Rubio, in linea con la promozione della pace in Medio Oriente sostenuta ripetutamente da Trump. «Potrebbe rivelarsi controproducente». Vance ha ribadito che «la Cisgiordania non sarà annessa da Israele» e che l’amministrazione Trump «non ne è stata affatto soddisfatta», sottolineando la posizione ufficiale.
Vance, considerato il favorito per la prossima candidatura presidenziale repubblicana dopo Trump, probabilmente ricorderà questo episodio come un momento frustrante e forse irrispettoso, specialmente in un contesto in cui la destra americana appare sempre più divisa sulla politica verso Israele.
Si dice che il primo ministro Netanyahu non sia favorevole a spingere per un programma di sovranità, guidato principalmente da politici oltranzisti legati ai coloni. In una recente dichiarazione, il Likud ha definito il voto «un’ulteriore provocazione dell’opposizione volta a compromettere i nostri rapporti con gli Stati Uniti».
«La vera sovranità non si ottiene con una legge appariscente, ma con un lavoro concreto sul campo», ha sostenuto il partito.
Tuttavia, è stata la reazione di Vance a risultare la più veemente, definendo il voto una «stupida trovata politica» e un «insulto», aggiungendo che, pur essendo una mossa «solo simbolica», è stata «strana», specialmente perché avvenuta durante la sua presenza in Israele.
Come riportato da Renovatio 21, Trump ha minacciato di togliere tutti i fondi ad Israele in caso di annessione da parte dello Stato Giudaico della West Bank, che gli israeliani chiamano «Giudea e Samaria».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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