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I pro-life italiani vogliono tenersi la legge 194. Mentre qualcuno dissemina il Paese di feti in barattolo

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Oggi mi ha chiamato un amico per chiedermi se avevo sentito di una nuova iniziativa del mondo prolife italiano.

 

Io rispondo che no, è difficile, se non impossibile, perché, secondo una comprensione ingeneratasi in me nel tempo, considero storicamente l’antiabortismo organizzato come un fenomeno ingenuo se non stupido nel migliore dei casi, venduto se non corrotto nel peggiore, e comunque sempre deleterio, con forte nocumento finale alla stessa causa che credono di portare avanti, la difesa della vita umana.

 

Forse qualche lettore sa cosa ne penso: l’aborto è uno stalking horse, uno specchietto per le allodole, un’arma di distrazione della massa cattolica: mentre mandano tante brave persone a protestare contro l’interruzione di gravidanza, questi dall’altra parte continuano a sprone battuto con la produzione di esseri umani in laboratorio, che tecnicamente ad oggi, dati governativi ufficiali, uccide più embrioni che l’aborto chirurgico e/o chimico.

 

L’amico comincia a raccontarmi per sommi capi di cosa si tratta: è un insieme di tutte le sigle possibili, sempre le stesse, della giostra catto-attivistica degli ultimi lustri.

 

Quelli che dicevano di lottare contro l’aborto, ma poi hanno mandato alle elezioni politiche personaggi che dichiaravano che la legge feticida non andava toccata.

 

Quelli che dicevano di combattere contro il matrimonio gay, che poi si è materializzato sotto i loro occhi senza che potessero fare niente, pur avendo ampie proiezioni parlamentari (deputati, senatori, ministri, sottosegretari) negli allora partiti di governi.

 

Quelli che dicevano di essere in trincea contro il gender nelle scuole, che ora è percolato sin negli asili, senza che questi, a parte chiedere soldi o fare congressi infertili ed altre trovate pubblicitarie, potessero fare nulla.

 

Quelli che parlavano di dignità umana, per poi fare le conferenze con il green pass – cioè la sottomissione biologica della persona, realizzata attraverso un farmaco derivato dall’aborto.

 

Insomma, capite con quale difficoltà, per ascoltare la storia di questa telefonata, freno il disgusto.

 

Ecco che mi racconta: «si tratta di una raccolta di firme – sì, un’altra… – per modificare la legge 194». Già qui cadono le braccia, e non solo. Ma come? Davvero ancora propongono di stare dentro quella legge, invece che abolirla?

 

In verità non mi sorprendo: da Ruini sino al ministro Roccella, sono decenni che il potere democristiano ancora infiltrato ovunque ci dice che la 194 non si tocca. Tuttavia, possibile che almeno sigle e movimenti (compresi quelli fatti magari da una solo persona, o anche due), perennemente ingannati dalla classe politica ed episcopale, siano rimasti ancora lì, e pure senza vergognarsi?

 

L’amico va avanti, e la racconta tutta: «in pratica si aggiungerebbe un comma nella legge sull’aborto per obbligare il medico che visita la donna che vuole abortire a fargli ascoltare il battito del cuore del bambino, magari farle pure vedere delle ecografie».

 

A questo punto il sangue, e lo schifo, ribollono nelle vene.

 

A questo punto tocca di analizzare il processo cerebrale che sta alle spalle di tale idea, di figurarsi come possa essere venuta loro in mente una cosa del genere.

 

Dobbiamo immaginarci la storia che si sono fatti in testa questi pro-life pro-194: cercate di vederlo proprio come una striscia a fumetti.

 

Primo riquadro: donna triste che va dal tizio in camice, e dice «dottore voglio abortire».

 

Secondo riquadro: il dottore (che magari ha prescritto o eseguito centinaia e migliaia di aborti, o ha visto e lasciato fare quantità di colleghi con cui pranzava continuamente, il tutto votando PD, Radicali, Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, quello che volete) che a questo punto esclama, perché intimamente obbligato dalla legge: «prima dobbiamo ascoltare il battito cardiaco del nascituro!»

 

Terzo riquadro: la donna, sentendo il toc-toc del cuore del figlio, esclama (col fumetto seghettato e abbondanza di punti esclamativi): «ma allora è vivo! Non abortisco più!»

 

Quarto riquadro: il bambino nasce e la mamma è felicissima. (Del padre non si sa nulla, mica possiamo metterlo nel fumetto: di fatto la 194/78 lo estromette dall’assassinio del figlio, e questa è una fantasia ad inchiostro sub speciem centum nonaginta quattuor).

 

Quinto riquadro: il bambino cresce e diventa un ingegnere, un geniale musicista, un contribuente dell’8 per mille. L’aborto, grazie a questa piccola gabola inserita nella legge genocida, è sconfitto per sempre. Trionfa il bene e il futuro dell’umanità. Fine.

 

Il lettore capisce da sé che i fumetti della Marvel, paragonati a questo, sono puro neorealismo: L’Uomo Ragno, I fantastici Quattro, L’Incredibile Hulko si danno a questo punto come opere veriste. Mostrano d’improvviso la loro cifra di realismo sociale anche Topolino e Dylan Dog (il quale esclamerebbe, con molta ragione visto il contesto, «Giuda ballerino!»).

 

Siamo nell’antiabortismo fantasy, nella fantascienza pro-life: eppure qualche anziano presente nelle varie sigle dovrebbe ricordarsi di quando la visita per l’aborto poteva essere fatta di un dentista (professione medica che con la ginecologia non c’entra nulla, a parte quel famoso irripetibile canto d’osteria, il duodecimo).

 

Altri, più giovani, possono ricordare che le visite pre-aborto prescritte dalla legge vengono eseguite con tale cura che, anni fa, accadde che mandarono a far abortire una signora che non era nemmeno incinta. È una storia che circolava: scommettiamo che i casi sono molteplici, ma, certamente, non raggiungono i giornali.

 

Non è finita, perché di qui, come la nobile iniziativa contro l’aborto, si va in peggio.

 

L’amico mi legge il testo del comunicato: «La donna ha il diritto di essere resa consapevole della vita che porta nel grembo, una vita con un cuore che pulsa. Solo in tal modo può essere realmente libera e responsabile delle sue azioni».

 

Ammettiamo di non capire cosa ci sia davvero scritto: aiutiamo la donna a capire davvero di stare per divenire un’assassina figlicida?

 

Oppure c’è scritto: lasciamo la donna libera di uccidere il figlio in piena consapevolezza?

 

La parola «responsabile», cosa significa? «Responsabile» di che, visto che l’aborto (con la produzione di esseri umani in vitro e lo squartamento per predazione degli organi) è, al di fuori della guerra, l’unica forma di terminazione della vita altrui (dicesi anche: «omicidio») senza alcuna conseguenza penale, anzi, con dietro una spinta morale dello Stato e della società?

 

Nemmeno ora è finita: la proposta di legge «intende dare piena applicazione alla legge sul consenso informato».

 

Eh?

 

Consenso informato? Ma stiamo scherzando, vero? Il «consenso informato» vale una vita umana? Un bambino vale un bugiardino?

 

E poi, scusate, parliamo di consenso informato, dopo anni di vaccinazioni obbligatorie mRNA? Dopo che milioni di persone (e quanti antiabortisti viscidi, scappati di casa e/o para-democristiani?) si sono iniettati un siero genico sperimentale senza sapere nemmeno cosa fosse – come non lo sapevano nemmeno i produttori dell’intruglio stregonesco genetico-nanolipidico?

 

Massì. I prolife italici cianciano «consenso informato» dopo che hanno accettato – praticamente tutti – il vaccino venuto dal niente, che è stato derivato, memento, proprio dall’aborto.

 

Arrivati qui, non riesco nemmeno a definirmi bene in testa la magnitudine dello schifo che provo.

 

Perché sento addosso le ore-uomo passate in questi anni a riflettere e a scrivere sulla fine del «consenso informato» decretata dalla pandemia, la cancellazione di Norimberga, l’istituzione di un biototalitarismo spietato ed onnipervadente che non ha bisogno né di informarci né di avere il nostro consenso, perché, toltici i diritti e le costituzioni, siamo solo schiavi.

 

Eccoli, discutono di «consenso informato», in un argomento, quello dell’aborto, dove inserirlo non poteva venire in mente neanche sotto tortura – perché è ridicolo, non c’entra nulla con la vita del bambino, che è l’unica cosa che conta! – in un mondo dove, con estrema probabilità, già si muovono i vaccini autopropaganti: cioè, piccole epidemie vaccinali che si diffondono non con programmi statali sanitari di sierizzazione, ma con la diffusione virale tipica delle malattie.

 

Su Renovatio 21 ne parliamo da anni: i vaccini autopropaganti – che sono materialmente la fine del feticcio del «consenso informato» – stanno avanzando, oltre che nei discorsi dei bioeticisti, anche negli esperimenti. E non è detto che quello che chiamano lo «shedding», la diffusione involontaria interpersonale delle proteine spike e possibilmente dell’mRNA (e pure delle particelle LNG che trasportano il materiale genetico del vaccino), una questione che sta impegnando diversi scienziati al momento, non abbiamo un esempio di vaccino autopropagante già con la siringa anti-COVID-19.

 

Il che significa, che c’è chi dice che i non vaccinati si stiano contaminando anche solo rimanendo a contatto con i vaccinati – e non solo con i contatti sessuali (dove, con orrore, si è osservata l’incidenza della spike negli spermatozoi!) ma pure per trasmissione aerea.

 

Gli antiabortisti, che magari si sono fatti il siero fatto con l’aborto, vogliono la clausola di «consenso informato», mentre magari stanno contagiando, con la loro pozione diabolica derivata da sacrificio di bambino, il prossimo loro, senza che questi possa essere informato, o consentire, ad alcunché.

 

Bisogna dire che non sono solo stanco delle ingenuità, così come dei traffici dell’immortale network democristiano para-episcopale, con la loro programmatica opposizione simbolica all’aborto, che mi sono ritrovato ovunque, nel governo Berlusconi, nel governo Monti, nel governo Letta, nel governo Renzi e pure ora, a volte ritornano, nel governo Meloni. Ne ho scritto, negli anni, ad nauseam.

 

Il fatto è che sto cominciando a maturare una visione più ampia, e tetra, che mi rende la dabbenaggine catto-attivista ancora più intollerabile. Non è solo il fatto che il maggiore numero di morti non lo fa la 194/78, ma la 40/2004: cioè muoiono più embrioni con la riproduzione assistita (legge vergata, come quella abortista, da democristiani) che con l’interruzione volontaria di gravidanza. Non è solo il fatto che mi è chiaro, e da anni, che il Vaticano, con i suoi omini piazzati in politica e le capriole bioetiche nei Sacri Palazzi, sta preparando lo sdoganamento del bambino artificiale, dell’umano concepito in provetta, magari bioingegnerizzato col CRISPR.

 

No, il mio livello di disillusione, e di timore, oramai è passato di livello.

 

Ho capito che mentre tutto il mondo pro-vita – per decenni, me compreso – parlava di 194, legge 40, uteri in affitto, DICO, PACS, unioni civili, fecondazione eterologa, gay, testamento biologico, DDL e pontificie accademie, qualcuno nascondeva in giro per il Paese barattoli contenenti feti.

 

Se siete nuovi su Renovatio 21 e questa non l’avete sentita, andate a leggervi qualcuno degli articoli. Bambini perfettamente formati, figli di chissà chi, abortiti chissà come (per cesareo? I bambini abortiti normalmente escono a pezzi, «frullati») inseriti in barattoli pieni formaldeide, e disseminati sul territorio, specialmente in zone verdi.

 

Uno è stato ritrovato poco tempo fa nella campagna veneta. Uno lo avevano rinvenuto nel 2019 in un parchetto di Torino. Indietro con gli anni spuntano gli stessi feti imbarattolati, con la formaldeide, vicino ai fiumi, nei cimiteri… un caso su cui sto cercando materiale, di anni fa, riguarderebbe addirittura una chiesa: enigmatico aborto in bottiglia, piazzato dentro la Casa di Dio.

 

Non nascondo, infine, che nonostante la mia tenacia, ancora nulla ho capito riguardo a cosa fossero quelle decine di barili pieni di feti ritrovati in quel capannone di Granarolo… Chi erano? Come erano stati ottenuti? A cosa servivano? All’uomo che tenta di unire i puntini, può uscire il pensiero più folle, e finire per ipotizzare che siano in qualche modo correlati a questi feti in barattolo occultati nel territorio – un fenomeno il cui pattern, ci rendiamo conto, è stato ipotizzato solo da Renovatio 21.

 

Torno a parlare di questa storia perché, qualora avessi ragione, saremo davanti alla necessità di capire che la lotta contro l’aborto è condotta sul piano sbagliato, con i mezzi sbagliati, e magari pure con le persone sbagliate.

 

E se l’aborto, invece che essere una faccenda di raccolta di firme e di marcette, di comma di legge, di incontri con vescovi e parlamentari farlocchi… fosse una guerra con forze sataniste, post-sataniste, organizzate in reti di cui mai abbiamo avuto sentore?

 

Quanto è importante l’aborto per questi attori invisibili, se arrivano a incastonare nelle provincie – a loro pericolo – questa serie di capitelli occulti fatti di feti morti?

 

Quella motivazione esoterica, prima che sociopolitica, ha davvero la persistenza dell’aborto legale nel nostro Paese?

 

Dovete capire che per me non è una domanda campata in aria. Qualche idea mi gira già per la testa, e da tempo. Ci sono alcune cose che mi hanno riportato riguardo ad antiche figure che sulla carta dovevano combattere l’aborto (hanno fallito, o anzi hanno fatto peggio) che, messe insieme con altre informazioni, mi hanno portato ad unire altri puntini ancora… facendo uscire disegni indicibili, che lambiscono scandali e misteri del Paese.

 

Non lo sto dicendo per una qualche forma di vanteria, per gongolare stile «io-so-una-cosa-che-voi-no», anche perché con certezza non so nulla, sono solo stato gettato, con la mente, in quadro che è spaventoso, e ogni passo che faccio in avanti, più mi rendo conto che l’abominio è radicato in cose che nulla hanno a che fare con la politica, con la CEI, con gli attivismi inetti e babbalei.

 

Non è una ricerca che ho portato a compimento: non ho certezze, perché so che nel momento in cui mi dedicassi a cercarle, ne verrei divorato, non potrei pensare ad altro, finirei come tutti quegli scrittori la cui esistenza finisce consumata dall’ossessione per un serial killer… e mi rendo conto che è proprio questa la questione, perché qui parliamo di persone e strutture che hanno consentito l’omicidio seriale non di decine, non di centinaia, ma di milioni di persone.

 

Qualcuno, operante su un livello ancora incompreso, ha impostato questo immane sacrificio umano – e lo sta mantenendo, forse pure con segni occulti.

 

Mi fermo qua. Il fastidio per l’ingenuità pro-vita sta lasciando il passo alla paura, all’orrore.

 

Il fumetto che descrive ciò di cui sto scrivendo è, quello sì, davvero un pezzo di letteratura fantastica. Tuttavia, esso è aderente alla realtà: mostruosa e oscura, la storia più orrenda che abbiate mai sentito, il racconto che più nella vita dovrebbe intimorirvi, la maledizione concreta che dovrebbe terrorizzare tutti i cristiani, e non solo loro.

 

Nell’orrore e nell’incomprensione, nel mistero e nella stupidità, il sacrificio umano nazionale va avanti.

 

Mentre i catto-ebeti continueranno, ad aeternum, a non capire un cazzo.

 

 

Roberto Dal Bosco

 

 

 

 

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Se la realtà esiste, fino ad un certo punto

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I genitori si accorgono improvvisamente che la biblioteca scolastica mette a disposizione degli alunni strani libri «a fumetti» dove si illustra amabilmente il bello della liaison omoerotica.

 

L’intento degli autori è inequivocabile, quello di presentare un modello antropologico indispensabile per una adeguata formazione dell’individuo in crescita… Meno chiaro appare nell’immediato se la scuola, nel senso dei suoi responsabili vicini o remoti, di questa trovata educativa abbiano coscienza e conoscenza.

 

Di istinto, i genitori dell’incolpevole alunno si chiedono se tutto ciò sia proprio indispensabile per uno sviluppo armonico della psicologia infantile, magari in sintonia con i suggerimenti più elementari della natura e della fisiologia.

 

Tuttavia, poiché anche lo zeitgeist ha una sua potenza suggestiva, a frenare un po’ il comprensibile sconcerto, in essi affiora anche qualche dubbio sulla adeguatezza culturale dei propri scrupoli educativi, tanto che sono indotti a porsi il dubbio circa una loro eventuale inadeguatezza culturale rispetto ai tempi, votati come è noto, a sicure sorti progressive.

 

Ma il caso riassume bene tutto il paradosso di un fenomeno che ha segnato questo quarto di secolo e soltanto incombenti tragedie planetarie, mettono un po’ in sordina, finché dagli inciampi della vita quotidiana esso non riemerge con tutta la sua inaspettata consistenza.

 

Infatti la domanda sensata che si dovrebbero porre questi genitori, è come e perché una anomalia privata abbia potuto meritare prima una tutela speciale nel recinto sacro dei valori repubblicani, per poi ottenere il crisma della normalità e quindi quello di un modello virtuoso di vita; il tutto dopo essersi insinuata tanto in profondità da avere disattivato anche quella reazione di rigetto con cui tutti gli organismi viventi si difendono una volta attaccati nei propri gangli vitali da corpi estranei capaci di distruggerli.

 

Eppure, per quanto giovani possano essere questi genitori allarmati, non possono non avere avvertito l’insistenza con cui questa merce sia stata immessa di prepotenza sul mercato delle idee, quale valore riconosciuto, dopo l’adeguata santificazione dei cultori della materia ottenuta col falso martirio per una supposta discriminazione. Quella che già il dettato costituzionale impediva ex lege.

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Ma tutta l’impalcatura messa in piedi intorno a questo teatro dell’assurdo in cui i maschi prendono marito, le femmine si ammogliano nelle sontuose regge sabaude come nelle case comunali di remote province sicule, non avrebbe retto comunque all’urto della ragione naturale e dell’evidenza senza la gioiosa macchina da guerra attivata nel retrobottega politico con il supporto della comunicazione pubblica e lasciata scorrazzare senza freni in un mortificato panorama culturale e partitico.

 

Nella sconfessione della politica come servizio prestato alla comunità, secondo il criterio antico del bene comune, mentre proprio lo spazio politico è in concreto affollato da grandi burattinai e innumerevoli piccoli burattini, particelle di un caos capace di tenere in scacco «il popolo sovrano». Una parte cospicua del quale si sente tuttavia compensato dalla abolizione dei pronomi indefiniti, per cui tutte e tutti possono toccare con mano tutta la persistenza dei valori democratici.

 

Non per nulla proprio in omaggio a questi valori è installato nella anticamera della presidenza del Consiglio, da anni funziona a pieno regime un governo ombra, quello terzogenderista dell’UNAR. Un ufficio che ha lavorato con impegno instancabile, e indubbia coerenza personale, alla attuazione del «Piano» (sic) elaborato già sotto i fasti renziani e boschiani, per la imposizione capillare nella società in generale e nella scuola in particolare, di tutto l’armamentario omosessista.

 

Il cavallo di battaglia di questa benemerita entità governativa è la difesa dei «diritti delle coppie dello stesso sesso», dove sia il «diritto», che la «coppia» hanno lo stesso senso dei famosi cavoli a merenda.

 

Ecco dunque un esempio significativo ed eccellente di quella desertificazione della politica per cui il governo ombra guidato da interessi particolari in collaborazione e in sintonia con centri di potere radicati in istituzioni sovranazionali, possa resistere ad ogni cambio di governo istituzionale senza che ne vengano disinnescati potere e funzioni.

 

I partiti, dismessi gli apparati ideologici, e omogeneizzati nella sostanza, sono ridotti a «parti», alla moda di quelle fiorentine che pure un qualche ideale di fondo ce l’avevano, anche se tutte si assestavano su un gioco di potere.

 

Qui prevale il gioco dei quattro cantoni, dove tutti sono guidati dall’utile di parte che coincide a seconda dei casi con l’utile politico personale o ritenuto tale. Un utile calcolato tra l’altro senza vera intelligenza politica ovvero senza intelligenza tout court. Anche chi si è abbigliato di principi non negoziabili, alla bisogna può negoziare tutto, perché secondo il noto Principio della Dinamica Politica, «Tutto vale fino ad un certo punto».

 

Tajani, insieme a Rossella O’Hara ci ha offerto il compendio di tutta la filosofia occidentale contemporanea. Quindi dobbiamo stare sereni. Ma i genitori attoniti devono comprendere che quei libretti e questa scuola non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di una politica diventata capace di tutto perché incapace a tutto sotto ogni bandiera.

 

Patrizia Fermani

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Putin: il futuro risiede nella «visione sovrana del mondo»

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Le nazioni devono basarsi sulle proprie tradizioni storiche e spirituali, oltre che su una «visione sovrana del mondo», mentre plasmano il loro avvenire, ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin in un messaggio scritto ai partecipanti del II Simposio Internazionale «Inventare il Futuro» a Mosca. L’evento, in programma il 7 e 8 ottobre, accoglierà oltre 7.000 partecipanti provenienti da quasi 80 Paesi.   Discussioni aperte e innovative sul futuro dell’umanità supportano i governi nel rispondere adeguatamente alle nuove sfide, ha osservato il presidente russo. «Le conclusioni e i risultati di un dialogo così profondo e sostanziale sono di grande valore», ha aggiunto Putin. «Sono fiducioso che dobbiamo creare il nostro futuro sulla base di una visione del mondo sovrana».   Promosso su iniziativa del presidente russo, il simposio comprende circa 50 eventi, organizzati in tre aree tematiche: società, tecnologia e cooperazione globale. Il forum ospiterà oltre 200 relatori provenienti da Russia, Cina, Stati Uniti, Italia e da Paesi di Africa, America Latina, Medio Oriente e Sud-est asiatico, che discuteranno di temi che spaziano dalle sfide demografiche all’intelligenza artificiale (IA) e all’esplorazione spaziale.

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Nel primo giorno del simposio si è svolta una tavola rotonda incentrata sul futuro delle tecnologie di intelligenza artificiale e sul loro potenziale di diventare non solo uno strumento professionale di nicchia, ma una base per un’infrastruttura globale e un nuovo «linguaggio della realtà» per governi e imprese private.   Un altro dibattito tenutosi martedì si è concentrato sulle prospettive di collaborazione tra Russia e Africa nei prossimi decenni, fino al 2063. Mosca mira a rafforzare i legami con il continente, promuovendo attivamente la condivisione di tecnologie con le nazioni africane, contribuendo a garantire la sicurezza regionale e sostenendo la sovranità degli attori locali, oltre a favorire un approccio più equo nelle relazioni internazionali.   Al forum del Club Valdai, a Sochi, giorni prima Putin aveva parlato dei «valori tradizionali» anche in merito alla «disgustosa atrocità» dell’assassinio di Charlie Kirk.   «Sapete, questa disgustosa atrocità, e ancora di più, dal vivo», ha detto Putin a un forum organizzato dal Valdai Discussion Club a Sochi, in Russia. «In effetti, l’abbiamo vista tutti, ma non so, è davvero disgustoso. Era orribile». «Prima di tutto, naturalmente, porgo le mie condoglianze alla famiglia del signor Kirk e a tutti i suoi cari», ha continuato il leader russo. «Siamo solidali e solidali, soprattutto perché ha difeso quei valori tradizionali».   Putina aveva aggiunto che la sparatoria mortale è il segno di una «profonda frattura nella società», secondo Reuters. «Negli Stati Uniti, non credo ci sia bisogno di aggravare la situazione all’esterno, perché la leadership politica del Paese sta cercando di ristabilire l’ordine a livello nazionale», ha affermato Putin.

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La questione di Heidegger

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Negli scorsi mesi è scoppiata sul quotidiano La Verità una bizzarra diatriba riguardo ad un pensatore finito purtroppo per essere centrale nel nostro panorama filosofico accademico, Martin Heidegger (1889-1976), già noto per la collaborazione con il nazismo e per l’adulterio consumato con la celebre ebrea Hannah Arendt, all’epoca sua studentessa, e da alcuni, per qualche ragione, considerato come un filosofo «cattolico».

 

Un articolista con fotina antica a nome Boni Castellane (supponiamo si chiami Bonifazio, ma lo si trova scritto così, con il diminutivo, immaginiamo) ha cominciato, con un pezzo importante, a magnificare le qualità dell’Heidegger lo scorso 17 agosto:«Omologati e schiavi della Tecnologia – Heidegger ci aveva visti in anticipo».

 

Giorni dopo, aveva risposto un duo di autori, tra cui Massimo Gandolfini, noto, oltre che la fotina con il sigaro, per aver guidato (per ragioni a noi sconosciute) eventi cattolici di odore vescovile, che come da programma non sono andati da nessuna parte, se non verso la narcosi della dissidenza rimasta e il compromesso cattolico. Sono seguite altri botta e risposta sul ruolo del «sacro» secondo l’Heideggerro e la sua incompatibilità con il cristianesimo.

 

Il Gandolfini e il suo sodale scrivono, non senza ragione, che «il dio a cui si riferisce Heidegger non è il nostro». Una verità non nota agli intellettuali cattolici che, in costante complesso di inferiorità nei confronti del mondo, hanno iniziato ad importare il pensatore tedesco dalle Università italiane – dove ha tracimato, dopo un progetto di inoculo sintetico non differente da quello avutosi con Nietzsche – per finire addirittura nei seminari.

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Il progetto, spiegava anni fa Gianni Collu al direttore di Renovatio 21, era del tutto identico a quello visto con Nietzsche, recuperato dall’ambito della cultura nazista, purgato nell’edizione Adelphi di Giorgio Colli e Mazzino Montinari – la cura dell’opera omnia nicciana arriva prima in italiano che in tedesco! – e servito alla massa del ceto medio riflessivo italiota, e mondiale, per distoglierlo dal marxismo e introdurre elementi di irrazionalismo e individualismo nichilista nella vita del popolo – di lì all’esoterismo di massa, il passo diventa brevissimo.

 

Con Heidegger si è tentato un lavoro simile, ma Collu aveva profetizzato allo scrivente che stavolta non avrebbe avuto successo, perché era troppo il peso del suo legame con l’hitlerismo, e troppa pure la cifra improponibile del suo pensiero. Di lì a poco, vi fu lo scandalo dei cosiddetti «Quaderni neri», scritti ritenuti inaccettabili che improvvisamente sarebbero riemersi – in verità, molti sapevano, ma il programma di heidegerizzare la cultura (compresa quella cattolica) imponeva di chiudere un occhio, si vede. Fu ad ogni modo divertente vedere lo stupore di autori e autrici che avevano dedicato una buona porzione della carriera allo Heidegger – specie se di origini ebraiche.

 

L’incompatibilità di Heidegger – portatore di una filosofia oscura e disperata – con il cattolicesimo è, comunque, totale. Di Heidegger non vanno solo segnalati i pericoli, va combattuto interamente il suo pensiero, che altro non è se non un ulteriore sforzo per eliminare la metafisica, e quindi ogni prospettiva non materiale – cioè spirituale – per l’uomo.

 

Molto vi sarebbe da dire sul personaggio, anche a partire dal suo dramma biografico. Lasciamo qui la parola al professor Matteo D’Amico, che ha trattato il tema dell’influenza di Heidegger nel mondo cattolico, e la difformità di questo personaggio e del suo pensiero, in un intervento al Convegno di studi di Rimini della Fraternità San Pio X nel 2017.

 

 

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Immagine di Landesarchiv Baden-Württemberg, Staatsarchiv Freiburg W 134 Nr. 060680b / Fotograf: Willy Pragher via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

 

 

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