Connettiti con Renovato 21

Geopolitica

«Gli Stati Uniti hanno scelto questo risultato»: le sconvolgenti rivelazioni di un’inviata di guerra

Pubblicato

il

 

 

Lara Logan è una corrispondente di guerra sudafricana che da tanti anni lavora per testate americana. È stata inviata di guerra per la CBS tra il 2002 e il 2018; ora ha un programma tutto suo su Fox.

 

Nel novembre 2001, settimane prima dell’invasione angloamericana del Paese, era già in Afghanistan dove, dopo aver reperito un visto all’ambasciata russa di Londra,  riuscì a infiltrarsi nell’Alleanza del Nord per intervistare il generale Babajan, erede del comandante Massoud ucciso due giorni prima dell’attacco alle Twin Towers.

 

Dopo estensivi reportage dal fronte afghano, lavorò anche da quello iracheno.

 

Nel 2011 la Logan pagò con la violenza l’amore per il suo lavoro: l11 febbraio 2011, mentre si trovava in piazza Tahrir al Cairo per la cronaca delle dimissioni di Mubarak – il culmine della «Primavera Araba» egiziana, fu vittima di uno stupro di massa in cui tra i 200 e i 300 uomini abusarono di lei , le strapparono i vestiti, la seviziarono con «mani, aste di bandiera e bastoni» filmando tutto con gli smartphone.

 

Salvata per miracolo dagli effetti della «Primavera Araba», fu subito rimpatriata negli USA dove nei giorni di ospedale ricevette la telefonata di Obama.

Tuttavia, la giornalista non perse la sua schiettezza, specie riguardo all’Afghanistan, un mondo che conosce bene: in un discorso tenuto per una cena di una ONG giornalistica la Logan criticò con forza le affermazioni dell’amministrazione Obama secondo cui i talebani si stavano indebolendo in Afghanistan.

 

Sostenere che i talebani stessero sparendo, per la Logan costituiva «una grande bugia» fatta in preparazione per porre fine al ruolo militare degli Stati Uniti in quel Paese: in pratica, si trattava di pura manipolazione senza alcun riguardo per la realtà.

 

L’altro giorno la Logan è tornata a parlare di Afghanistan sul canale Fox nella trasmissione Tucker Carlson Today. La lucidità della sua visione, fatta di analisi ed informazioni accurate, è senza paragoni. Le conclusioni a cui fa arrivare l’ascoltatore non sono solo coraggiose, sono piuttosto uniche.

 

«Ad esempio, sanno che gli Stati Uniti potrebbero bombardare le linee di rifornimento dei talebani in questo momento. Vengono tutti dal Pakistan»

Ciò che ha detto può risultare, per chi vive sotto la cappa della propaganda occidentale, davvero sconvolgente.

 

«Quello che la gente sembra dimenticare è che gli Stati Uniti hanno il potere di fare praticamente qualsiasi cosa… e gli afghani lo sanno», dice.

 

La Logan è un’inviata con vera esperienza sul campo, specie in Afghanistan, dove, a differenza di altri titolati corrispondenti dal fronte (anche nostrani) invece che starsene in albergo stava, a suo rischio e pericolo, tra la gente in strada, captando la temperatura e il pensiero del Paese reale.

 

«Ciò che è veramente interessante del vivere sul campo con persone in un paese come l’Afghanistan è che, quando togli il prisma della politica e dei partiti e  le trappole che oscurano la verità negli Stati Uniti, queste persone, ti insegnano a guardare le cose nelle loro forme più elementari».

 

L’inviata fa riferimenti precisi:

 

«Ad esempio, sanno che gli Stati Uniti potrebbero bombardare le linee di rifornimento dei talebani in questo momento. Vengono tutti dal Pakistan. Lo sanno tutti. In effetti, stanno passando proprio attraverso il valico di frontiera di Spin Buldak, uno dei primi che i talebani hanno preso all’inizio di questa offensiva».

 

Soprattutto, tutti gli afghani «sanno che i talebani non esistono senza il Pakistan, vero, e l’ISI». L’ISI è il potentissimo servizio segreto del Pakistan, universalmente più che sospettato di essere creatore e fiancheggiatore del movimento talebano dalle origini ai giorni nostri.

 

Gli afghani inoltre «sanno che gli Stati Uniti finanziano l’intero budget della difesa dell’esercito e dei servizi segreti pakistani»

Gli afghani inoltre «sanno che gli Stati Uniti finanziano l’intero budget della difesa dell’esercito e dei servizi segreti pakistani. Quindi, per esempio, potresti fermare i soldi. Potresti fermare le rimesse dei pakistani che vivono negli Stati Uniti. Potresti mettere sanzioni…»

 

Tuttavia niente di tutto questo non solo non è stato fatto, ma nemmeno è stato accennato nel contesto del potere di Washington.

 

«Ogni volta che si tenta di affrontare questo problema, la risposta immediata in  20 anni di questa guerra è stata: se fai così stai sostenendo una guerra in Pakistan. No. Quello che sanno [gli afghani] è che ci sono molte cose che gli Stati Uniti potrebbero fare in questo momento per cambiare ciò che è successo e sta accadendo in Afghanistan, e non lo stanno facendo».

 

Chi decide questa inerzia assassina? La Logan risponde che «quando sentiamo parlare della burocrazia di Capitol Hill, dei burocrati che sopravvivono di amministrazione in amministrazione, questa è stata la loro politica… hanno spinto attraverso l’amministrazione Bush, Clinton, Obama, Trump e ora a Biden che, poiché il Pakistan è una nazione nucleare, è l’unico Paese in quella regione che conta davvero».

 

Biden non solo è consapevole di questa politica, ma ne è un attore attivo sin dai primi giorni in cui era vicepresidente con Obama.

«Poiché il Pakistan è una nazione nucleare, è l’unico Paese in quella regione che conta davvero»

 

«In effetti – rivela la lucida inviata di guerra – Joe Biden ha detto questo al presidente dell’Afghanistan quando Hamid Karzai era ancora al potere esattamente questo. Durante il suo tour di ascolto dopo la vittoria di Obama, gli ha detto, non ci importa dell’Afghanistan, e crediamo che il Pakistan sia il Paese più importante in quella regione e lo sarà sempre».

 

Il risultato è sotto gli occhi di tutti in queste ore.

 

«Quel messaggio non è mai cambiato e quello che vedete oggi in Afghanistan sono i risultati di quella politica perché la leadership dei talebani ha sede in Pakistan».

 

Come i servizi segreti pakistani dell’ISI controllano l’Afghanistan talebano? Semplice: tramite le shura, le tradizionali assemblee di consultazione islamiche.

 

«La shura di Quetta, la shura di Peshawar e la shura di Miramshah , questi sono i tre consigli di leadership che coprono l’intera guerra per i talebani in Afghanistan. Non sono solo in Pakistan. Sono nell’abbraccio amorevole e caloroso dell’ISI che recluta per loro conto quando e ordina ai pakistani nelle aree tribali di rinunciare ai loro figli per andare a combattere. A volte non hanno scelta».

 

«Joe Biden ha detto a Karzai: non ci importa dell’Afghanistan, e crediamo che il Pakistan sia il Paese più importante in quella regione e lo sarà sempre»

Possibile che gli USA non conoscano questa dinamica?

 

«Gli Stati Uniti lo sanno dal primo giorno. Voglio dire, questa è la parte sbalorditiva per me è che quando senti questo dibattito, le agenzie di intelligence non sono riuscite a vederlo. Sul serio? Sul serio».

 

È impossibile che i servizi americani siano all’oscuro di ciò che stava accadendo, anche per l’esistenza stessa della NSA, l’ente di spionaggio elettronico più potente al mondo.

 

«La NSA è conosciuta come il gioiello della corona della collezione Intelligence nel mondo. Non esiste un segnale digitale che non raccolgano, archivino e analizzino e con algoritmi e tutto il necessario per elaborarlo… Sai cosa ci vuole per fare un’invasione come questa? Devi mettere in scena le forze. Devi pianificare. Devi fare riunioni. Devi avere, sai, armi che si stanno muovendo?».

 

Ci dicono che la situazione è troppo complessa. Forse non è così. Anzi, forse quest’idea stessa è una manipolazione del potere.

 

«Quello che vogliono che tu creda è che l’Afghanistan è complicato perché se lo complichi, hai una tattica nella guerra dell’informazione chiamata aumento dell’ambiguità».

 

«Quello che vogliono che tu creda è che l’Afghanistan è complicato perché se lo complichi, hai una tattica nella guerra dell’informazione chiamata aumento dell’ambiguità»

«Quindi ora, stiamo tutti parlando della corruzione e di questo e di quello, e ci sono tutte queste parti complesse, ma nel suo cuore, ogni singola cosa nel mondo nella tua vita personale, professionale, sulla scena globale, nel suo cuore, è molto semplice. Si riduce sempre a una cosa – una o due cose, e in questo caso, in Afghanistan, questo si riduce al fatto che gli Stati Uniti vogliono questo risultato».

L’affermazione è molto impegnativa: «gli Stati Uniti vogliono questo risultato».

 

Accettare questa idea dall’apparenza estrema porta a mettere in discussione tanti altri eventi che stanno accadendo nel mondo – e nelle nostre vite.

 

«Chiunque sia al potere in questo momento, chiunque stia davvero tirando le fila – e non lo so chi sia – potrebbe fare tutto ciò che vuole per cambiare la situazione e non lo fa. E lo vedi al confine meridionale [l’attuale problema americano dell’immigrazione incontrollata dal Messico e dall’America Latina, ndr], lo vedi con la Critical Race Theory [teoria critica della razza: un’ideologia razzista anti-bianchi che oggi viene diffusa a piene mani nelle scuole americane, pure nelle elementari private, ndr], lo vedi con le violazioni fi  Big Tech [le censure di Facebook, Twittter, Google, etc.], lo vedi  in mille modi diversi, lo vedi tutto intorno a te».

 

Di fronte a problemi insormontabili, come l’Afghanistan, ci fanno pensare che non ci sia soluzione: ma questa impotenza trasmessa è essa stessa una forma di manipolazione.

 

«Il governo degli Stati Uniti potrebbe cambiare tutto anche oggi e non lo fa. Non usano l’influenza che hanno con il Pakistan»

«Il governo degli Stati Uniti potrebbe cambiare tutto anche oggi e non lo fa. Non usano l’influenza che hanno con il Pakistan. Ti daranno 5000 ragioni, ma non importa. Non usano – non ti dicono la minaccia alla sicurezza nazionale rappresentata dal lasciare che i Cartelli [dei narcotrafficanti] attraversino il confine meridionale [degli USA], vero? Hanno solo una conversazione su una cosa, l’aspetto umanitario».

 

La Logan sostiene che esiste «tutta una letteratura e delle comunicazioni di al-Qaeda e di altri terroristi islamici che stanno celebrando questa come una massiccia sconfitta [per gli USA]», ma di questo politici e giornali non vogliono parlare. Di più «non stanno parlando del motivo per cui i talebani stanno smantellando l’equipaggiamento militare avanzato degli Stati Uniti e lo rispediscono oltre il confine con il Pakistan, e peggio ancora, non lo stanno fermando».

 

Un’accusa pesantissima: gli USA starebbero autorizzando il trasferimento tecnologico delle sue stesse armi all’infido alleato pakistano, che è nazione nucleare. E non solo…

 

«Come mai? La NSA e la National Geospatial Agency, che controlla i satelliti, e tutte queste altre braccia del governo degli Stati Uniti stanno osservando questo accadere in tempo reale. Stanno vedendo attrezzature militari statunitensi avanzate oltrepassare il confine con l’Iran e andare in Pakistan e non stanno facendo nulla per fermarlo…»

 

«Quindi quello che vi diranno gli afghani, quello che vi diranno è che gli Stati Uniti hanno scelto questo risultato»

Siamo colpiti dalla estrema lucidità della giornalista sudafricana, così come dalle preziose informazioni ed analisi snocciolate in pochi minuti.

 

Logan dice che questa saggezza tuttavia è comune nel popolo che sta subendo questa follia.

 

«Quindi quello che vi diranno gli afghani, quello che vi diranno è che gli Stati Uniti hanno scelto questo risultato».

 

I talebani che tornano al potere: questo è esattamente il risultato che qualcuno negli USA desiderava. In Afghanistan lo sanno tutti.

 

Se vi domandate «perché?», Renovatio 21 qualche giorno fa a provato a rispondere.

 

Basterà vedere a chi sarà dato in mano tutto il sistema del Paese, dove finiranno le sue miniere di terre rare, e cosa succederà (o non succederà) sul piano internazionale riguardo a rivelazioni su virus e famiglia Biden…

 

 

 

Immagine di MilitaryPhotos via DeviantArt pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported (CC BY-NC-ND 3.0)

 

Geopolitica

La Spagna si è rifiutata di attraccare una nave che trasportava armi verso Israele

Pubblicato

il

Da

Il 16 maggio la Spagna ha rifiutato la richiesta di una nave che trasportava armi destinate a Israele di attraccare nel porto di Cartagena, ha riferito la rete spagnola EFE, secondo la testata israeliana Ynet.

 

La nave Marianne Danica sarebbe partita dalla città di Chennai (un tempo conosciuta come Madras) in India con un carico di circa 27 tonnellate di esplosivo.

 

La notizia è stata confermata dal ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares, il quale ha affermato che alla nave era stato rifiutato l’ingresso dopo che aveva chiesto il permesso di fare scalo a Cartagena il 21 maggio.

 

Secondo il sito di localizzazione navale Vessel Finder, la Marianne Danica è una piccola nave da carico secco che naviga sotto bandiera danese.

Sostieni Renovatio 21

Amnesty International riferisce che è gestito dalla H. Folmer & Co., che a quanto pare è specializzata nel trasporto di munizioni.

 

Lo scorso novembre il primo ministro Pedro Sanchez aveva dichiarato che la Spagna è disposta ad andare avanti da sola sulla questione del riconoscimento dello Stato palestinese, anche se preferirebbe agire insieme ad altri membri dell’UE.

 

Come riportato da Renovatio 21, lo scorso ottobre il ministro spagnuolo per i diritti sociali Ione Belarra ha esortato i leader europei a intraprendere azioni immediate contro Israele, paventando la possibilità che altrimenti la UE diventi «complice del genocidio».

 

A marzo parlamentari spagnuoli avevano firmato – assieme ad altri circa 200 colleghi di Australia, Belgio, Brasile, Canada, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti – un appello intitolato «Non saremo complici della grave violazione del diritto internazionale da parte di Israele» per esprimere opposizione ai «Paesi esportatori di armi verso Israele», chiedendo un embargo immediato sulle armi spedite da Paesi partner militari dello Stato Ebraico.

 

All’appello non pare abbia partecipato alcun parlamentare italiano.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di Øyvind Holmstad via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

Continua a leggere

Geopolitica

L’operazione israeliana a Rafah si espande. Con conseguenze disastrose

Pubblicato

il

Da

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato ieri che l’esercito invierà più truppe per «intensificare» l’invasione. Gallant si è ventato che «stiamo logorando Hamas». Israele sostiene che ci sono sei battaglioni di Hamas ora a Rafah insieme agli ostaggi presi il 7 ottobre, e altri due battaglioni sarebbero nel centro di Gaza.   Nel suo ultimo articolo intitolato «Bibi va a Rafah», il reporter indipendente premio Pulitzer Seymour Hersh riferisce che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno allagato 5 dei 12 tunnel di Hamas sotto Rafah, e «alcuni battaglioni israeliani agguerriti, i cui ranghi includono molti ingegneri di combattimento esperti in demolizione, si stanno facendo strada nei tunnel bui e pieni di trappole esplosive verso Yahya Sinwar, il leader di Hamas che è l’obiettivo finale di Netanyahu».   Secondo un informato funzionario americano citato da Hersh, Netanyahu ha promesso che «moriranno tutti nei tunnel».   Si stima che circa 730.000 palestinesi siano fuggiti da Rafah. L’Ufficio del Coordinatore degli Affari Umanitari (OCHA) delle Nazioni Unite riferisce che un totale di 285 kmq, ovvero circa il 78% della Striscia di Gaza, sono ora soggetti agli ordini di evacuazione dell’IDF. Viene riferito di continui bombardamenti «dall’aria, dalla terra e dal mare… su gran parte della Striscia di Gaza».

Sostieni Renovatio 21

Nel Nord ci sono state incursioni di terra dell’IDF e pesanti combattimenti nel campo profughi di Jabalia e anche a Deir al Balah, nel centro di Gaza. I carri armati israeliani si sono spinti nel centro stesso di Jabalia, affrontando i razzi anticarro e i colpi di mortaio dei militanti di Hamas. Al Jazeera riferisce che ci sono vittime da entrambe le parti e che i carri armati e gli aerei israeliani hanno spazzato via «quasi tutto» a Jabalia.   Secondo il Times of Israel, l’IDF riferisce di aver ucciso qui 200 uomini armati di Hamas. Anche se Jabalia era stata precedentemente «autorizzata» dall’IDF, a quanto pare non era andata abbastanza in profondità nel campo per trovare i militanti di Hamas che vi avevano sede.   Il valico di Rafah resta chiuso. Israele chiede che l’Egitto si unisca a lui nella supervisione del valico di Rafah, ma l’Egitto rifiuta, insistendo sul fatto che solo i palestinesi dovrebbero farlo.   Il Programma Alimentare Mondiale, nel frattempo, avverte che «sono necessari più punti di ingresso per gli aiuti per invertire sei mesi di condizioni di quasi fame ed evitare una carestia». È necessario un flusso costante di scorte di cibo ogni giorno, ogni settimana, avverte. «La minaccia della carestia a Gaza non è mai stata così grande».   Come riportato da Renovatio 21, il ministro israeliano Itamar Ben Gvir aveva minacciato di far cascare il governo Netanyahu, di cui è membro con il suo partito ultrasionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») qualora l’esercito israeliano non fosse entrato a Rafah.   I carrarmati entrati a Rafah, dove hanno distrutto perfino le scritte «I LOVE GAZA», avrebbero la benedizione degli USA. Atroci filmati sono usciti già nelle prime ore dell’invasione di Rafah da parte dei soldati dello Stato degli ebrei.   L’Egitto ha avvertito Israele che l’invasione di Rafah potrebbe porre fine al trattato di pace siglato nel 1979. Il Cairo ha inoltre segnalato di voler partecipare al processo per «genocidio» della Corte Internazionale di Giustizia.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
 
Continua a leggere

Geopolitica

Orban collega la sparatoria di Fico ai preparativi di guerra dell’Occidente

Pubblicato

il

Da

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha collegato l’uccisione di ieri del primo ministro slovacco Robert Fico con i preparativi attivi dei Paesi occidentali per partecipare direttamente al conflitto in Ucraina.

 

I vicini Ungheria e Slovacchia, sia membri dell’UE che della NATO, confinanti con l’Ucraina, ed entrambi i paesi hanno cercato che il paese si impegnasse in negoziati di pace.

 

L’attentato al Fico «ha coinciso con altri eventi che indicavano preparativi di guerra», ha detto Orbán in un programma mattutino su Radio Kossuth, facendo quindi riferimento alla visita del Segretario di Stato americano Antony Blinken a Kiev il 14 e 15 maggio, ai piani degli Stati Uniti di organizzare 100 miliardi di dollari in aiuti all’Ucraina nei prossimi cinque anni e ai dibattiti sull’invio di truppe occidentali sul territorio.

 

Questo mi fa venire i brividi», ha detto Orban secondo la TASS, per poi rivelare che il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha intenzione di visitare l’Ungheria in vista delle elezioni per il Parlamento europeo.

Sostieni Renovatio 21

«I grandi attori globali stanno cercando di trascinare l’Ungheria nella guerra», come è già successo più volte nel corso della storia, ma questo non accadrà ora, ha detto l’Orbano.

 

Per quanto riguarda l’Ucraina, ha insistito sul fatto che «il proseguimento delle ostilità significherebbe continua sofferenza, poiché il conflitto può essere risolto solo al tavolo dei negoziati, e non sul campo di battaglia».

 

Orban ha sottolineato che Fico era determinato a negoziare la pace in Ucraina, offrendo «grande sostegno» all’Ungheria, che ha costantemente favorito la risoluzione del conflitto ucraino attraverso i colloqui.

 

In Europa occidentale, ha proseguito il premier magiaro, solo il Vaticano promuove la pace, ma la Santa Sede «non vota per risolvere le questioni politiche» negli incontri dell’UE. «Ciò significa che dovremmo raddoppiare gli sforzi, e il mio lavoro diventa sempre più difficile a Bruxelles, dove devo discutere con i politici del campo della guerra».

 

Un sondaggio della Fondazione ungherese Szazadveg rivela che Orbán esprime solo la volontà della stragrande maggioranza degli ungheresi di opporsi all’invio di truppe NATO in Ucraina. Nel sondaggio Project Europe, Szazadveg ha scoperto che il 91% degli ungheresi intervistati è contrario all’invio di truppe in Ucraina.

 

Per quanto riguarda la media dei 27 paesi dell’UE, il 69% sarebbe contrario alla partecipazione dei soldati dell’UE in Ucraina.

 

Come riportato da Renovatio 21, una ridda di leader europei sta ricevendo in queste ore minacce di morte, sia che si tratti di filorussi che di antirussi.

 

La storia si ripete: anche nel 1914 spararono ad un regnante mitteleuropeo per innescare un’infame Guerra Mondiale – l’inutile strage, come disse il papa Benedetto XV nella sua lettera ai capi dei popoli belligeranti il 1° agosto 1917 – che nessuno in realtà voleva.

Qui abbiamo l’impressione che la storia si ripete, più che per imperscrutabili leggi cosmiche, per la mancanza di originalità dei padroni del mondo, che tirano avanti sempre con la stessa sceneggiatura – la quale prevede il sacrificio di milioni di vite umane, fiumi di sangue in cui potrebbe andare a finire anche il vostro.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

Continua a leggere

Più popolari